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Articolo 595 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/10/2024]

Diffamazione

Dispositivo dell'art. 595 Codice Penale

Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente(1), comunicando con più persone(2), offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.

Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato(3), la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.

Se l'offesa è recata col mezzo della stampa [57-58bis] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità(4), ovvero in atto pubblico [2699], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.

Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio [342], le pene sono aumentate(5)(6).

Note

(1) Rispetto all'ingiuria ex art. 594, tale disposizione persegue la condotta dell'offendere rivolta verso persone non presenti, ovvero non solo assenti fisicamente, ma anche non in grado di percepire l'offesa.
(2) Il requisito della comunicazione tra più persone si considera integrato anche qualora questa avvenga in tempi diversi (si pensi al cd. passaparola).
(3) La dottrina si è diversamente espressa in merito al fatto determinato, dovendo per alcuni essere determinato nelle sue specificazioni di tempo, spazio e modalità così da essere irripetibile (teoria dell'irripetibilità), mentre altri propendono per considerare bastevole che non sia un fatto vago (teoria della concretezza).
(4) La nozione di "stampa" ex art. 1 della l. 8 febbraio 1948, n. 47 è identificata in tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione, cui si deve aggiungere qualsiasi altro mezzo di pubblicità realizzata utilizzando un qualunque strumento destinato ad un numero indeterminato di persone (si pensi ad esempio ai discorsi in luogo pubblico). Si ricordi che la l. 47/1978 prevede all'art. 13 un'aggravante nell'ipotesi di diffamazione a mezzo stampa consistente nell'attribuzione di un fatto determinato.
(5) Tale aggravante richiede implicitamente l'assenza dei soggetti elencati, diversamente si integrerebbe il reato ex art. 342.
(6) Vi si applicano le esimenti ex artt. 596, 598 e 599.

Ratio Legis

La disposizione trova il proprio fondamento nella necessità di garantire la reputazione dell'individuo, ovvero l'onore inteso in senso soggettivo, quale considerazione che il mondo esterno ha del soggetto stesso.

Spiegazione dell'art. 595 Codice Penale

Il bene giuridico oggetto di tutela è la reputazione della persona offesa.

I presupposti del reato sono i seguenti:

  • l'assenza dell'offeso, consistente nell'impossibilità che la persona offesa percepisca direttamente l'addebito diffamatorio. L'impossibilità di difendersi determina infatti una maggiore potenzialità offensiva rispetto alla mera ingiuria (ad oggi comunque depenalizzata).

  • L'offesa alla reputazione, intendendosi la possibilità che l'uso di parole diffamatorie possano ledere la reputazione dell'offeso.

  • La presenza di almeno due persone in grado di percepire le parole diffamatorie (esclusi il soggetto agente e la persona offesa). La giurisprudenza ritiene configurato il delitto in esame anche qualora l'offesa sia comunicata ad una persona sola, affinché questa, però, la comunichi ad altre.

Trattasi di reato di evento, che si consuma nel momento della percezione da parte del terzo delle parole diffamatorie.

La condotta è scriminata in caso di esercizio del diritto di cronaca, critica e satira, quando attuata nei limiti di verità, continenza e pertinenza.

///SPIEGAZIONE ESTESA

Il reato di diffamazione punisce chi, comunicando con più persone, rechi volontariamente un'offesa alla reputazione di una persona assente.

Costituiscono requisiti essenziali, ai fini della configurazione della fattispecie in esame: l'offesa dell'altrui reputazione; l'impossibilità, per il soggetto passivo, di percepire fisicamente l'offesa arrecatagli; la presenza di almeno due persone.

Si deve, innanzitutto, precisare che per "reputazione" si intende la stima che gli altri hanno della sfera morale di una persona, nell'ambiente in cui essa vive, la quale riceve tutela dalla legge come interesse del soggetto alla sua conservazione e al suo rispetto da parte dei consociati.

La condotta tipica del delitto di diffamazione consiste, dunque, negli atti con cui l'agente comunichi, ad almeno due persone, l'offesa alla reputazione di un terzo. Tale comportamento può essere realizzato con qualsiasi mezzo e in qualunque modo, purché risulti idoneo a comunicare l'offesa alla reputazione altrui. L'agente può, pertanto, ricorrere, ad esempio, all'utilizzo di parole, scritti, disegni, pitture o fotografie.
La condotta criminosa può anche consistere in omissioni, purché se ne possa dimostrare l'intenzione delittuosa.
In ogni caso, per rilevare ai sensi della norma in esame, la condotta deve essere illegittima, ossia non giustificata dall'adempimento di un obbligo giuridico, né dall'esercizio di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo, né, ancora, dal consenso della persona che dovrebbe risultarne offesa.
Nel caso in cui l'agente realizzi più comunicazioni offensive ai danni di una stessa persona, esse si considerano come un unico reato qualora avvengano in un unico contesto d'azione, mentre concorrono nel caso in cui si verifichino in contesti diversi.

La condotta dell'agente si deve, altresì, realizzare, attraverso una comunicazione rivolta a più persone. Quest'ultima si considera idonea ad integrare il reato in esame qualora due o più persone, diverse dall'agente o dal suo concorrente, abbiano notizia dell'offesa, contemporaneamente o anche in momenti successivi.

Oggetto materiale del reato è la persona che risulti offesa dalla condotta del soggetto agente. Qualora le persone offese siano più di una, si considerano configurate più ipotesi di diffamazione in concorso tra loro.

L'evento tipico del reato di diffamazione è rappresentato dalla percezione dell'offesa da parte delle due o più persone a cui sia rivolta la comunicazione penalmente rilevante. A tal fine non è sufficiente né la mera esternazione senza percezione, come nel caso in cui essa sia rivolta ad una persona distratta, considerato che la comunicazione implica un rapporto bilaterale di dare e ricevere la notizia, né la mera percezione non accompagnata dalla comprensione del significato offensivo dell'addebito.
Considerato che l'offesa può essere comunicata ad almeno due persone sia contemporaneamente che in momenti successivi, il reato si considera consumato con la percezione dell'offesa da parte della seconda persona a cui sia stata comunicata.

Nella generalità dei casi non si ritiene ammissibile il tentativo di diffamazione. Tuttavia, in relazione a particolari modalità del fatto, esso si può configurare: si pensi, ad esempio, al caso dell'offesa che sia realizzata attraverso uno scritto indirizzato a più persone, il quale, però, non giunga a destinazione per ragioni indipendenti dalla volontà dell'agente.

È sufficiente che, in capo all'agente, sussista il dolo generico, considerato che la norma in esame non richiede alcun fine specifico, ma soltanto la coscienza e volontà dell'offesa e della sua comunicazione a due o più persone.

Affinché si possa considerare configurato il reato di diffamazione è, poi, necessario che la persona offesa sia nell'impossibilità di percepire fisicamente l'offesa a sé indirizzata. Tale circostanza si verifica, alternativamente, qualora la persona offesa sia assente, oppure nel caso in cui essa, seppur presente, non abbia percepito l'offesa.
Proprio il requisito dell'assenza della persona offesa differenzia il reato di diffamazione dalla fattispecie, ora depenalizzata, di ingiuria, la quale, ai sensi dell'abrogato art. 594 c.p., richiedeva la necessaria presenza della persona offesa.

I commi 2, 3 e 4 della norma in esame prevedono alcune circostanze aggravanti speciali a carattere oggettivo, riguardando le modalità del fatto o le qualità personali dell'offeso.
Ai sensi del comma 2, la diffamazione è, innanzitutto, aggravata, qualora l'agente attribuisca alla persona offesa un fatto determinato, ossia un fatto specificamente individuato nelle sue circostanze di tempo o di luogo, oppure nelle sue modalità essenziali.
Ai sensi del comma 3, invece, il reato è aggravato nel caso in cui la comunicazione sia realizzata attraverso il mezzo della stampa, con un altro mezzo di pubblicità, oppure con un atto pubblico. La diffamazione risulta, altresì, aggravata, ai sensi del comma 4, qualora l'offesa sia recata ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, oppure ad una sua rappresentanza o ad un'Autorità costituita in collegio.

L'art. 598 c.p. prevede l'applicazione di una causa di esclusione della punibilità del fatto qualora le offese siano contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi ad un'Autorità amministrativa, qualora le offese concernano l'oggetto della causa o del ricorso amministrativo. Il comma 2 della medesima norma prevede, tuttavia, che il giudice possa ordinare la soppressione o la cancellazione, in tutto o in parte, delle espressioni offensive, assegnando, altresì, alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.

Un'altra causa di esclusione della punibilità del fatto è, altresì, prevista dal secondo comma dell'art. 599 c.p., con riferimento al caso in cui l'offesa idonea ad integrare la diffamazione sia seguita ad una provocazione, ossia sia stata commessa nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, quale sua diretta conseguenza. "Ingiusto" è sia il fatto che risulti, di per sé, illecito, sia quello che venga compiuto in maniera antigiuridica. L'ingiustizia del fatto è il presupposto necessario per l'esclusione della punibilità.
Tale causa di esclusione della punibilità si considera applicabile anche nel caso in cui l'imputato non sia la persona verso cui sia stato diretto il fatto ingiusto, ben potendo, quest'ultimo, essere stato compiuto nei confronti di una persona a lui legata da un rapporto che giustifichi la solidarietà nel risentimento. Si considera ammissibile anche la provocazione putativa, purché l'erronea opinione sull'ingiustizia del fatto sia ragionevole e la reazione sia tempestiva.

L'art. 596 c.p., al comma 1, sancisce, in relazione al delitto di diffamazione, il principio dell'esclusione della prova liberatoria. Ciò comporta che chi si sia reso colpevole del reato di diffamazione, non possa provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. La verità o la notorietà dei fatti offensivi, dunque, non escludono il reato di diffamazione, motivo per cui la relativa prova è inammissibile in quanto irrilevante. I commi 2 e 3 della medesima norma prevedono, però, alcune deroghe a tale principio, ammettendo, ad esempio, la prova della verità del fatto qualora la persona offesa sia un pubblico ufficiale e il fatto attribuitogli si riferisca all'esercizio delle sue funzioni.

///FINE SPIEGAZIONE ESTESA

Massime relative all'art. 595 Codice Penale

Cass. pen. n. 9953/2022

In tema di diffamazione, ricorre l'esimente dell'esercizio dei diritti di critica e di satira politica nel caso in cui le espressioni utilizzate esplicitino le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, non si risolvano in un'aggressione gratuita alla sfera morale altrui o nel dileggio o disprezzo personale.

Cass. pen. n. 4530/2022

In tema di delitti contro l'onore, costituisce legittimo esercizio del diritto di critica politica la diffusione, con mezzo di pubblicità, di giudizi negativi circa condotte biasimevoli poste in essere da amministratori pubblici, purché la critica prenda spunto da una notizia vera, si connoti di pubblico interesse e non trascenda in un attacco personale.

Cass. pen. n. 1365/2022

In tema di diffamazione, il contenuto allusivo e insinuante di uno scritto o di una frase pronunciata non assume rilevanza penale nel caso in cui non sia immediatamente e inequivocabilmente percepibile secondo parametri di comune comprensione, ancorati al registro di verifica dell'uomo medio.

Cass. pen. n. 2218/2022

In tema di diffamazione, la scriminante del diritto di cronaca non opera nel caso in cui la notizia pubblicata su un sito "internet" provenga da uno scritto anonimo, in quanto insuscettibile del controllo di veridicità e, quindi, non meritevole di interesse pubblico.

Cass. pen. n. 37067/2022

In tema di diffamazione, non può ritenersi validamente contestata "in fatto" l'aggravante dell'offesa recata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa nel caso in cui il capo d'imputazione si limiti a contestare l'utilizzo del fax, senza ulteriori indicazioni, posto che la qualificazione di uno strumento tecnico per la trasmissione/comunicazione come "mezzo di pubblicità" richiede componenti valutative relative alla capacità diffusiva dello stesso di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone.

Cass. pen. n. 24585/2022

Il delitto di diffamazione tramite inserimento di un video nel canale "You Tube" ha natura di reato istantaneo di evento, che si consuma nel momento in cui la frase o l'immagine lesiva diventano fruibili da parte di terzi mediante l'inserimento nel "web", con la conseguenza che da quel momento inizia a decorrere il termine di prescrizione del reato.

Cass. pen. n. 17784/2022

In tema di diffamazione, sussiste la scriminante dell'esercizio del diritto di critica sindacale e politica nel caso in cui, in un articolo pubblicato su un "blog" locale di chiaro orientamento politico (nella specie "Brescia anticapitalista"), si stigmatizzi come "sottocultura da letamaio" la reazione del datore di lavoro alle rivendicazioni salariali, giudizialmente riconosciute, degli operai, in buona parte immigrati, in quanto funzionale alla disapprovazione della condotta di sfruttamento e delle idee "razziste" espresse sul profilo "facebook" dal datore di lavoro.

Cass. pen. n. 2598/2021

Non osta all'integrazione del reato di diffamazione l'assenza di indicazione nominativa del soggetto la cui reputazione è lesa, qualora lo stesso sia individuabile, sia pure da parte di un numero limitato di persone, attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e la portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, e i riferimenti personali e temporali.

Cass. pen. n. 1059/2021

In tema di diffamazione, le espressioni denigratorie dirette nei confronti di singoli appartenenti ad un ente locale possono, al contempo, aggredire anche l'onorabilità dell'entità collettiva cui essi appartengono, sicché quando l'offesa assume carattere diffusivo, incidendo sulla considerazione di cui l'ente gode nella collettività, a tale entità compete la legittimazione ad assumere la qualità di soggetto passivo del reato, nonché alla presentazione della querela ed alla successiva costituzione di parte civile.

Cass. pen. n. 41013/2021

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il giornalista che effettua un'intervista può beneficiare dell'esimente del diritto di cronaca con riferimento al contenuto delle dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie a lui rilasciate, se riportate fedelmente ed in modo imparziale, senza commenti e chiose capziose a margine - tali da renderlo dissimulato coautore - e sempre che l'intervista presenti profili di interesse pubblico all'informazione, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, al suo oggetto e al contesto delle dichiarazioni rilasciate. (Nella specie la S.C. ha ritenuto immune da censure la condanna dell'imputato per la pubblicazione di un'inchiesta giornalistica frutto di assemblaggio di dichiarazioni di terzi, commentate con chiose ed amplificate nella loro portata, e di informazioni sul passato di un personaggio politico, senza previa verifica della serietà ed attendibilità delle fonti).

Cass. pen. n. 30724/2021

In tema di diffamazione, la rappresentazione in una "fiction" giudiziaria di fatti storici non del tutto fedeli al dato investigativo e processuale, non è di per sé diffamatoria, attesa la natura creativa ed artistica dell'opera, salvo che vengano distorti, in senso denigratorio, gli accadimenti reali, deformando irrimediabilmente la verità processuale emersa, in modo da potenziare il sospetto nei confronti dei protagonisti della vicenda oltre quello derivante dagli elementi indiziari vagliati nel processo.

Cass. pen. n. 28340/2021

L'applicazione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, a seguito della sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, è subordinata alla verifica della "eccezionale gravità" della condotta, che, secondo un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, si individua nella diffusione di messaggi diffamatori connotati da discorsi d'odio e di incitazione alla violenza ovvero in campagne di disinformazione gravemente lesive della reputazione della vittima, compiute nella consapevolezza della oggettiva e dimostrabile falsità dei fatti ad essa addebitati.

Cass. pen. n. 32917/2021

In tema di diffamazione a mezzo stampa, deve essere esclusa l'esimente del diritto di cronaca o di critica nel caso di pubblicazione, in uno scritto autobiografico di un personaggio di rilievo pubblico, di notizie diffamatorie sulla vita privata di un suo familiare (nella specie la ex moglie) non mediaticamente esposto, non rivestendo tali notizie oggettiva utilità ed interesse sociale.

Cass. pen. n. 21703/2021

In tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, il giornalista che riporti una notizia tratta da un procedimento penale, in particolare se risalente nel tempo, è tenuto a verificarne gli esiti giudiziali, onde accertare se la stessa si sia poi rivelata priva di fondamento, tanto da comportare l'assoluzione dell'accusato.

Cass. pen. n. 22878/2021

In tema di diffamazione tramite "internet", ai fini della individuazione del "dies a quo" per la decorrenza del termine per proporre querela, occorre fare riferimento, in assenza di prova contraria da parte della persona offesa, ad una data contestuale o temporalmente prossima a quella in cui la frase o l'immagine lesiva sono immesse sul "web", atteso che l'interessato, normalmente, ha notizia del fatto commesso mediante la "rete" accedendo alla stessa direttamente o attraverso terzi che in tal modo ne siano venuti a conoscenza. (Nella specie la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata per aver ritenuto la tempestività della querela, presentata dopo oltre quattro mesi dalla pubblicazione di un "post" diffamatorio, sulla base della sola dichiarazione assertiva della persona offesa di non aver avuto per lungo tempo accesso ai "social network").

Cass. pen. n. 20644/2021

In tema di diffamazione, è legittimo il sequestro preventivo di un sito "web" di informazione televisiva che, pur soggetto al formale controllo di un apposito "delegato", non possieda le caratteristiche formali di una testata giornalistica telematica registrata, non potendo trovare applicazione la normativa di rango costituzionale e di livello ordinario che disciplina l'attività di informazione professionale diretta al pubblico.

Cass. pen. n. 26512/2021

In tema di diffamazione, per la sussistenza della circostanza aggravante dell'attribuzione di un fatto determinato è sufficiente che l'episodio riferito venga specificato nelle sue linee essenziali, in modo che risulti maggiormente credibile e che le espressioni adoperate evochino, alla comprensione del destinatario della comunicazione, azioni concrete e dalla chiara valenza negativa.

Cass. pen. n. 19889/2021

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di cronaca può essere riconosciuta al giornalista che riporti fedelmente le dichiarazioni, oggettivamente lesive dell'altrui reputazione, rilasciate da un personaggio pubblico nel corso di un'intervista, indipendentemente dalla veridicità e continenza delle espressioni riportate, per il prevalente interesse pubblico a conoscere il pensiero dell'intervistato in relazione alla sua notorietà, che non deve essere intesa necessariamente come sinonimo di autorevolezza "a priori", da cui desumere l'affidabilità delle dichiarazioni, ma valutata anche in ragione della notorietà della persona offesa e delle vicende oggetto di propalazione.

Cass. pen. n. 13993/2021

È legittima, in relazione all'art. 10 Cedu, secondo un'interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata della norma, l'irrogazione di una pena detentiva, ancorché sospesa, per il delitto di diffamazione commesso, anche al di fuori di attività giornalistica, mediante mezzi comunicativi di rapida e duratura amplificazione (nella specie "internet"), ove ricorrano circostanze eccezionali connesse alla grave lesione di diritti fondamentali, come nel caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza.

Cass. pen. n. 13979/2021

Integra il reato di diffamazione la pubblicazione su una pagina "facebook" di un'accusa, del tutto immotivata, ad un professore di operare manipolazioni psicologiche degli studenti e così praticare metodi contrari agli scopi formativi ed educativi dell'insegnamento, trattandosi di espressioni che, in sé e per il contesto fattuale di riferimento, travalicano i limiti della continenza espositiva.

Cass. pen. n. 8898/2021

In tema di diffamazione, nel caso di condotta realizzata attraverso "social network", nella valutazione del requisito della continenza, ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tener conto non solo del tenore del linguaggio utilizzato, ma anche dell'eccentricità delle modalità di esercizio della critica, restando fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali, che devono ritenersi sempre superati quando la persona offesa, oltre che al ludibrio della sua immagine, sia esposta al pubblico disprezzo. (Fattispecie relativa alla pubblicazione di commenti "ad hominem" umilianti e ingiustificatamente aggressivi su una bacheca "facebook", pubblica "piazza virtuale" aperta al libero confronto tra gli utenti registrati).

Cass. pen. n. 7220/2021

In tema di diffamazione, l'amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell'art. 57 cod. pen., in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook), salvo che sussistano elementi che denotino la compartecipazione dell'amministratore alla attività diffamatoria. (Fattispecie in cui il titolare di un sito internet aveva condiviso la pubblicazione di un articolo offensivo della reputazione di un agente di polizia, collaborando alla raccolta delle informazioni necessarie per la sua redazione, partecipando al collettivo politico che ne aveva elaborato l'idea e rivendicandone in dibattimento il contenuto).

Cass. pen. n. 9566/2020

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non ricorre l'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica, che pure tollera l'uso di parole forti e toni aspri, ove tali espressioni siano generiche e non collegabili a specifici episodi, risolvendosi in una gratuita manifestazione di sentimenti ostili che prescinde dalla verità dei fatti storici su cui si fonda l'elaborazione critica.

Cass. pen. n. 8890/2020

In tema di diffamazione, sussiste il requisito della comunicazione con più persone anche quando uno dei due destinatari sia tenuto al segreto professionale. (Fattispecie relativa alla manifestazione di espressioni offensive della reputazione di una collega di lavoro nel corso di un incontro di mediazione con il dirigente aziendale, tenuto in forma riservata con l'assistenza di uno psicologo). (Annulla con rinvio, TRIBUNALE FIRENZE, 19/12/2019)

Cass. pen. n. 71/2020

In tema di diffamazione a mezzo stampa, sussiste la responsabilità a titolo di colpa ex art. 57 cod. pen. del direttore responsabile di un periodico per non aver svolto i dovuti controlli al fine di evitare che venisse dolosamente lesa la reputazione di un terzo, attraverso la pubblicazione della fotografia di questi correlata alla notizia non veritiera della condanna per associazione di tipo mafioso. (Nella specie la Corte ha ritenuto legittima la decisione del giudice distrettuale di non rinnovare l'escussione dei caporedattori in quanto la prova dichiarativa non avrebbe comportato in ogni caso l'esenzione da responsabilità penale del direttore, stante la sua posizione di garanzia in ordine alla portata diffamatoria dell'articolo).

Cass. pen. n. 42755/2019

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esercizio del diritto di critica storica postula che l'autore utilizzi fonti attendibili e verificabili, segua un percorso logico non pretestuoso e si esprima con termini appropriati e continenti, non assumendo, invece, rilievo in sede penale la completezza delle fonti bibliografiche compulsate, né la perspicacia dei giudizi formulati. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto l'esimente in relazione ad una pubblicazione avente ad oggetto la ricostruzione di un episodio della resistenza partigiana, la strage di Rovetta, nella quale il ricorrente aveva formulato, "con logica discutibile e claudicante", l'ipotesi della corresponsabilità della persona offesa, fondandosi però su una serie di indizi, corrispondenti a dati reali e correttamente esposti, prospettati insieme all'opinione dissenziente espressa da altri storici, in modo da consentire al lettore di "apprezzare la forza del ragionamento e di farsi una propria opinione sul fatto").

Cass. pen. n. 39047/2019

La parola "mafioso" assume carattere offensivo e infamante e, laddove comunicata a più persone per definire il comportamento di taluno, in assenza di qualsiasi elemento che ne suffraghi la veridicità, integra il delitto di diffamazione, sostanziandosi nella mera aggressione verbale del soggetto criticato. (Fattispecie relativa al commento critico, pubblicato su "facebook" dall'ex-sindaco di un comune siciliano, del comportamento tenuto dal sindaco in carica nella designazione dei candidati per le elezioni locali, comportamento definito dal ricorrente come "imposizione o agire mafioso").

Cass. pen. n. 38896/2019

In tema di diffamazione a mezzo stampa o mediante pubblicazioni di tipo giornalistico "on line", ai fini della configurabilità della scriminante putativa del diritto di cronaca o di critica, non è sufficiente, ai fini dell'adempimento dell'onere di verifica dei fatti riportati e delle fonti, la consultazione dei più noti motori di ricerca e dell'enciclopedia web "Wikipedia", trattandosi di strumenti inidonei a garantire la necessaria completezza informativa. (Fattispecie relativa all'erronea attribuzione alla persona offesa del coinvolgimento nella strage di Bologna del 1980, nel contesto di una pubblicazione che ne descriveva il profilo politico e l'appartenenza alla "destra eversiva").

Cass. pen. n. 34129/2019

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di critica nella forma satirica sussiste quando l'autore presenti, in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione di persone di alto rilievo, una situazione e un personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa, e non quando si diano informazioni che, ancorché presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino storicamente false. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la responsabilità dell'imputato, ex art. 595, comma terzo, cod. pen., per avere pubblicato su un "blog" una dichiarazione storicamente falsa attribuita ad un noto personaggio politico, aggiungendola a dichiarazioni rese effettivamente da quest'ultimo nel corso di un'intervista, inserita nel contesto di un articolo dal tono né ironico né scherzoso, e, dunque, ingannevole).

Cass. pen. n. 32829/2019

In tema di diffamazione, nell'ambito delle trasmissioni dedicate al c.d. "gossip", caratterizzate dalla spettacolarizzazione del pettegolezzo, i limiti dell'interesse pubblico alla conoscenza del fatto e della continenza espressiva, immanenti all'esercizio del diritto di critica, assumono una maggiore elasticità in considerazione del contesto dialettico nel quale si sono realizzate le condotte e, in particolare, il parametro dell'interesse pubblico alla conoscenza del fatto, che in siffatte trasmissioni ruota attorno alla curiosità determinata dalla vita privata di personaggi noti, deve necessariamente ampliarsi, tenendo in considerazione anche la scelta dell'interessato di partecipare a siffatti dibattiti, che implica la volontaria esposizione al pericolo che vengano colpiti da critica anche aspetti della sfera personale ulteriori rispetto a quelli che egli ha deciso di rendere noti; mentre la continenza espressiva deve valutarsi secondo i parametri propri della critica di costume, che consente toni anche sferzanti, purché non gratuiti e pertinenti al fatto narrato e al concetto da esprimere.

Cass. pen. n. 30455/2019

E' configurabile il concorso tra il delitto di trattamento illecito di dati personali e quello di diffamazione, poiché la clausola di riserva di cui all'art. 167, comma 1, d.lgs 30 giugno 2003, n. 196 ("salvo che il fatto costituisca più grave reato") presuppone l'identità dei beni giuridici tutelati dai diversi reati, identità che non ricorre nel caso di specie, poiché il delitto di diffamazione tutela la reputazione, attinente all'aspetto esteriore della tutela dell'individuo e al suo diritto di godere di un certo riconoscimento sociale, mentre il delitto di trattamento illecito di dati personali è posto a tutela della riservatezza che ha riguardo all'aspetto interiore dell'individuo e al suo diritto a preservare la propria sfera personale da ingerenze indebite e ricorrendo, altresì, tra le due fattispecie, un rapporto di eterogeneità strutturale, sotto il profilo dell'oggetto materiale (che, nel delitto di cui all'art. 167 d.lgs. n. 196 del 2003, può essere costituito dai soli dati sensibili) e del dolo (configurato nel solo delitto di trattamento illecito come dolo specifico orientato al profitto dell'agente o al danno del soggetto passivo) che esclude la configurazione di un rapporto di specialità ai sensi dell'art. 15 cod. pen.

Cass. pen. n. 27675/2019

In tema di diffamazione, è legittimo il sequestro preventivo di un "blog" che integra un "mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa, per cui non trova applicazione la normativa di rango costituzionale e di livello ordinario che disciplina l'attività di informazione professionale diretta al pubblico, che rimane riservata, invece, alle testate giornalistiche telematiche. (Fattispecie relativa a un "blog" pubblicato su un sito gestito da un soggetto non iscritto nel Registro degli operatori di comunicazione, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto da un lato legittimo il sequestro, dall'altro insussistenti i presupposti del reato di pubblicazione di stampa clandestina, contestato insieme a varie ipotesi di diffamazione).

Cass. pen. n. 27616/2019

In tema di diffamazione, i valori della riservatezza e della dignità possono essere compressi nel bilanciamento con il diritto all'informazione espresso dal pubblico interesse alla notizia, ma non possono essere compromessi oltre la soglia imposta dalla destinazione della notizia a soddisfare un bisogno sociale di conoscenza. (Fattispecie in tema di divulgazione della relazione extraconiugale del marito dell'imputata con la persona offesa).

Cass. pen. n. 19960/2019

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'affermazione circa la natura diffamatoria di un articolo di stampa implica la valutazione del suo contenuto complessivo e degli elementi tipografici della comunicazione, e cioè del titolo, dell'occhiello e di eventuali foto. (Fattispecie in tema di intervista contenente la critica dell'operato di un magistrato inquirente, nella quale la Corte ha rilevato come nel titolo, nell'occhiello e nel testo dell'articolo, integralmente considerato, fossero riportate informazioni veridiche e obiettive, funzionali alla corretta rappresentazione della condotta professionale oggetto di critica).

Cass. pen. n. 12548/2019

Il direttore responsabile di un giornale risponde del reato di cui all'art. 595, comma terzo, cod. pen., in relazione al titolo di tenore diffamatorio che accompagni l'articolo pubblicato, soltanto laddove sia provato che egli abbia formato o contribuito a formare detto titolo o abbia consapevolmente aderito ai contenuti dello scritto prima della pubblicazione.

Cass. pen. n. 12180/2019

In tema di diffamazione, l'esercizio del diritto di critica, reso legittimo dall'interesse pubblico della notizia e dalla funzione pubblica esercitata dal soggetto criticato, non autorizza l'offesa rivolta alla sfera privata di quest'ultimo mediante l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza che aveva ravvisato la scriminante del diritto di critica nella condotta dell'imputato che, nel commentare sul proprio sito "web" l'attività di una donna architetto in servizio presso una soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, aveva fatto gratuito riferimento a presidi sanitari di ordinario utilizzo femminile, con un chiaro coinvolgimento della persona e della sua sfera intima).

Cass. pen. n. 55386/2018

La diffamazione, che è reato di evento, si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono le espressioni offensive e dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano state inserite in un messaggio di posta elettronica diretto a più destinatari, non è sufficiente il mero inserimento nella rete, ma occorre quanto meno la prova dell'effettivo recapito dello stesso, ovvero che il messaggio sia stato "scaricato" mediante trasferimento sul dispositivo del destinatario. (In motivazione la Corte ha precisato che tale prova non deve essere necessariamente frutto di accertamenti tecnici, potendo essere oggetto di testimonianza e anche di prova logica acquisita in via inferenziale, ad esempio facendo riferimento all'accertata abitudine del destinatario di accedere con frequenza al "server" di posta elettronica).

Cass. pen. n. 54496/2018

La cronaca giudiziaria è lecita quando sia esercitata correttamente, limitandosi a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sé ovvero a riferire o a commentare l'attività investigativa o giurisdizionale; quando invece le informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario sono utilizzate per ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti e autonomamente offensive, il giornalista deve assumersi direttamente l'onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza, non potendo reinterpretare i fatti nel contesto di un'autonoma e indimostrata ricostruzione giornalistica.

Cass. pen. n. 16751/2018

In tema di diffamazione, l'amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell'art. 57 cod.pen., in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook) . (In motivazione, la Corte ha precisato che il mero ruolo di amministratore di un forum di discussione non determina il concorso nel reato conseguente ai messaggi ad altri materialmente riferibili, in assenza di elementi che denotino la compartecipazione dell'amministrazione all'attività diffamatoria).

Cass. pen. n. 7859/2018

Esula dai limiti del corretto esercizio di critica politica e dà luogo alla configurabilità del delitto di diffamazione con l'aggravante della finalità di discriminazione razziale l'espressione “rassegni le dimissioni e se ne ritorni nella giungla dalla quale è uscita”, pubblicamente rivolta ad un esponente politico di provenienza africana a commento di talune non condivise proposte di legge dal medesimo avanzate.

Cass. pen. n. 50187/2017

Sussiste il reato di diffamazione nel caso in cui un "blogger", nel dare la notizia della morte di un esponente apicale di un sodalizio mafioso, adopera espressioni tese ad umiliare e a ricoprire di disprezzo la persona del defunto, in quanto esula dai limiti del diritto di critica l'accostamento di quest'ultimo a cose o concetti ritenuti ripugnanti, osceni o disgustosi, considerata la centralità che i diritti della persona hanno nell'ordinamento costituzionale. (Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza del tribunale che aveva ritenuto non costituire reato l'accostamento del criminale defunto ad "un gran bel pezzo di merda").

Cass. pen. n. 22193/2017

In tema di diffamazione commessa con il mezzo della stampa , il giornalista può operare accostamenti tra notizie vere, a condizione che esse non producano un ulteriore significato che trascenda la notizia stessa, acquisendo autonoma valenza lesiva; occorre, pertanto, fare riferimento al risultato che il detto accostamento determina e, qualora esso consista in un mero corollario o dato logico, pur insinuante e suggestivo, l'effetto denigratorio è da escludere. Viceversa, ove l'effetto consista in una notizia sostanzialmente nuova, grava sul giornalista l'onere di accertarne la rispondenza al vero. (Fattispecie in cui l'articolo oggetto della contestazione era stato frutto di accostamenti tra alcune affermazioni rese sul blog dalla persona offesa e l'esistenza di criminalità nella città di Brindisi, con l'effetto di aver determinato in concreto l'attribuzione alla P.O. di opinioni e giudizi sui cittadini della città di Brindisi che invece non risultava aver espresso).

Cass. pen. n. 16108/2017

In tema di diffamazione, sussiste il requisito della comunicazione con più persone anche quando le frasi offensive sono pronunciate alla presenza di un adulto e di minori in tenera età (nella specie di due e quattro anni) qualora questi, pur non essendo in grado di cogliere lo specifico significato delle parole usate, ne abbiano colto la generica portata lesiva, tanto da esserne rimasti turbati e diventino potenziali strumenti di propagazione dei contenuti diffamatori.

Cass. pen. n. 4873/2017

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca "facebook" integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, cod. pen., sotto il profilo dell'offesa arrecata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone e tuttavia non può dirsi posta in essere "col mezzo della stampa", non essendo i social network destinati ad un'attività di informazione professionale diretta al pubblico. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza anche dell'aggravante di cui all'art. 13 della legge n. 47 del 1948).

Cass. pen. n. 2200/2017

Costituisce legittima espressione del diritto di critica, tale da escludere la punibilità del fatto, l'uso, da parte del preside di istituto, dell'espressione "futili e superficiali", in risposta alle considerazioni contenute nella lettera di un insegnante inviata in precedenza agli stessi destinatari.

Cass. pen. n. 50659/2016

È da escludersi che il termine “omosessuale” abbia conservato nel presente contesto storico un significato intrinsecamente offensivo come, forse, poteva ritenersi in passato, essendo entrato nell'uso comune. A differenza di altri appellativi che veicolano il medesimo concetto con chiaro intento denigratorio secondo i canoni del linguaggio corrente, il termine in questione assume infatti un carattere di per sé neutro, limitandosi ad attribuire una qualità personale al soggetto evocato.

Cass. pen. n. 42755/2016

In tema di diffamazione tramite intervista televisiva diffusa successivamente su rete internet, sussiste la responsabilità penale del giornalista che non manifesti distacco dalle affermazioni dell'intervistato che risultino prive di verosimiglianza e tali da indurre discredito sulla persona offesa. (Nella specie, in cui l'intervistato aveva dichiarato che, per ottenere un mutuo quale vittima di estorsione, aveva dovuto versare denaro al rappresentante di un'associazione proprio a tutela delle vittime di estorsione ed usura, la Corte ha disatteso l'argomento difensivo secondo cui si trattava di intervista "in diretta" con impossibilità di intervenire, precisando, peraltro, che tale responsabilità non sarebbe stata esclusa neppure in quest'ultimo caso, in quanto il giornalista sarebbe stato comunque tenuto ad intervenire con richieste di chiarimenti e precisazioni, dopo essersi reso conto della offensività delle dichiarazioni).

Cass. pen. n. 41671/2016

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esercizio del diritto di critica giudiziaria non deve trasmodare nel dileggio e nella gratuita attribuzione di malafede a chi conduce le indagini, ovvero in condotte lesive della reputazione professionale e dell'intangibilità della sfera di onorabilità del pubblico ministero, in quanto ogni provvedimento giudiziario può essere oggetto di critica anche aspra, purché questa non si risolva in un attacco alla stima di cui gode il soggetto criticato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto intrinsecamente offensive - senza dunque necessità di approfondimenti sull'elemento soggettivo del reato - le dichiarazioni fatte dall'imputato, di professione avvocato, ad un incontro pubblico su fatti di grave allarme sociale, secondo cui il pubblico ministero competente "voleva chiudere l'indagine in un sol modo, prima ancora di cominciarla", conducendo una "pseudo-indagine", in quanto intese ad attribuire al medesimo l'esercizio del proprio ruolo professionale sulla scorta di un'idea preconcetta).

Cass. pen. n. 33287/2016

Il reato di diffamazione, non consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, commesso a mezzo di trasmissione televisiva diffusa in diretta su tutto il territorio nazionale si consuma al momento della percezione del contenuto offensivo dell'altrui reputazione da parte di soggetti diversi dall'agente e dalla persona offesa, per cui la competenza territoriale appartiene al giudice del territorio in cui si è verificata la percezione del messaggio offensivo contenuto nella trasmissione televisiva. (In motivazione, la S.C. ha precisato che la possibile concorrenza di più giudici derivante dalla cognizione dell'informazione offensiva da parte di più persone può essere risolta mediante l'applicazione delle regole suppletive previste dall'art. 9 cod. proc. pen.).

Cass. pen. n. 24065/2016

Il reato di diffamazione è costituito dall'offesa alla reputazione di una persona determinata e non può essere, quindi, ravvisato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria anche limitata se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuabili. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del reato in relazione a delle generiche affermazioni offensive, pronunciate nel corso di una trasmissione radiofonica, caratterizzate da preconcetti e luoghi comuni riferiti ad asserite caratteristiche degli abitanti di una zona del territorio nazionale).

Cass. pen. n. 24431/2015

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca "facebook" integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.

Cass. pen. n. 18170/2015

In tema di delitti contro l'onore, il requisito della continenza non può essere evocato come strumento oggettivo di selezione degli argomenti sui quali fondare la comunicazione dell'opinione al fine di costituire legittimo esercizio del diritto di critica, selezione che, invece, spetta esclusivamente al titolare di tale diritto, giacché altrimenti il suo contenuto ne risulterebbe svuotato, in spregio del diritto costituzionale di cui all'art. 21 Cost.. Il rispetto del canone della continenza esige, invece, che le modalità espressive dispiegate siano proporzionate e funzionali alla comunicazione dell'informazione, e non si traducano, pertanto, in espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato. Pertanto, il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla forma comunicativa ovvero alle modalità espressive utilizzate e non al contenuto comunicato.

Cass. pen. n. 2784/2015

In tema di diffamazione a mezzo stampa, qualora l'espressione lesiva dell'altrui reputazione sia riferibile, ancorché in assenza di indicazioni nominative, a persone individuabili e individuate per la loro attività, esse possono ragionevolmente sentirsi destinatarie di detta espressione, con conseguente configurabilità del reato di cui all'art. 595 cod. pen.

Cass. pen. n. 39986/2014

In tema di diffamazione, la comunicazione contenente i nominativi dei condomini morosi affissa al portone condominiale integra il reato di cui all'art. 595 c.p., non sussistendo alcun interesse da parte dei terzi alla conoscenza di tali fatti ancorché veri.

Cass. pen. n. 11895/2014

Per procedere al sequestro preventivo di un sito "internet" in cui siano stati pubblicati messaggi e commenti a carattere diffamatorio è necessaria una potenzialità offensiva del sito in sé, non individuabile nello sviluppo di un "blog" di libera informazione, che rappresenta una modalità fisiologica ed ordinaria dell'utilizzo del sito. (Nella fattispecie terze persone avevano utilizzato il "blog", gestito dall'indagato, per diffondere "post" offensivi nei confronti di politici locali).

Cass. pen. n. 4031/2014

In tema di diffamazione, è configurabile l'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica nel caso in cui un consigliere di minoranza di un ordine professionale diffonda - a mezzo "e mail"- la notizia di aver presentato un esposto nei confronti di altri consiglieri del medesimo ordine, con l'accusa di aver percepito indebitamente rimborsi per la partecipazione ad un convegno, in quanto gli ordini professionali sono, ai sensi degli artt. 45-49 del d.p.r. n. 328 del 2001, enti di diritto pubblico, ferma restando la necessità di verificare che la riprovazione non trasmodi in un attacco personale portato direttamente alla sfera privata dell'offeso e non sconfini nella contumelia e nella lesione della reputazione dell'avversario.

Cass. pen. n. 49782/2013

In tema di diffamazione a mezzo stampa addebitata ad un membro del Parlamento, una volta che sia stata deliberata dalla Camera di appartenenza l'insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare, il giudice ordinario non può che prenderne atto, ovvero sollevare conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale, ma non gli è consentito assumere una determinazione opposta sull'applicabilità della scriminante di cui all'art. 68 Cost..

Cass. pen. n. 40930/2013

In tema di diffamazione, ai fini della applicazione dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica, non può prescindersi dal requisito della verità del fatto storico ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica.

Cass. pen. n. 38962/2013

In tema di diffamazione, sussiste l'esimente dell'esercizio del diritto di critica sindacale nel caso in cui il segretario di un'organizzazione rappresentativa degli interessi dei lavoratori indirizzi una missiva a vari dirigenti amministrativi, con cui si censurano le scelte del direttore medico responsabile di un servizio di un'Azienda USL, in materia di espletamento di tale servizio, ponendone in dubbio la regolarità e denunciando favoritismi. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto che nella missiva fossero rilevabili, da un lato, espressioni non già con carattere di aggressione personale, bensì funzionali allo svolgimento della rappresentanza dei lavoratori coinvolti, dall'altro, l'utilizzo di modalità di estrinsecazione del diritto di critica entro i limiti della continenza espressiva, benché aspre).

Cass. pen. n. 28502/2013

In tema di diffamazione a mezzo stampa e con riferimento ad un articolo avente la forma dell'intervista, l'esimente del diritto di cronaca può essere riconosciuta all'intervistatore non solo quando vi è l'interesse pubblico a rendere noto il pensiero dell'intervistato in relazione alla sua notorietà, ma anche quando sia il soggetto offeso dall'intervista a godere di ampia notorietà nel contesto ambientale in cui viene diffusa la notizia. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente la scriminante del diritto di cronaca per un giornalista che aveva intervistato un soggetto che aveva riferito fatti e giudizi oggettivamente offensivi nei confronti di un presidente del comitato locale della croce rossa italiana, connessi alla gestione del medesimo ente).

Cass. pen. n. 5781/2013

In tema di diffamazione a mezzo stampa, qualora si verifichino successive edizioni di un libro, recanti riferimenti diffamatori, ciascuna di esse assume carattere autonomo, siccome dotata di propria, se non di rinnovata valenza lesiva, essendo, per sua natura, diretta ad una platea sempre nuova di lettori, ovviamente diversa da quella che ha letto la prima edizione. Ne consegue che, in tal caso, le distinte fattispecie di reato, integrate dalle successive edizioni del testo e suscettibili in astratto di essere avvinte dal vincolo della continuazione, mantengono la loro autonomia ai fini del computo della prescrizione, il cui termine può ben essere decorso per talune di esse con conseguente estinzione dei relativi reati ed, invece, tuttora in corso per le edizioni più recenti.

Cass. pen. n. 43184/2012

Nel reato di diffamazione in cui sia persona offesa un ente commerciale, il concetto di reputazione deve ritenersi comprensivo anche del profilo connesso all'attività economica svolta dall'ente ed alla considerazione che esso ottiene nel contesto sociale, sicché la condotta lesiva può attenere anche al buon nome commerciale del soggetto giuridico. (Fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto attinente al concetto di reputazione la divulgazione a mezzo stampa della falsa notizia che, presso l'esercizio commerciale, era stato accoltellato un buttafuori ad opera di un cliente).

Cass. pen. n. 21867/2012

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il direttore che sia anche l'autore dell'articolo diffamatorio risponde del reato previsto dall'art. 595 c.p. e non anche di quello di omesso controllo di cui all'art. 57 dello stesso codice.

Cass. pen. n. 43264/2011

In tema di diffamazione a mezzo di giornale televisivo, l'immediatezza della notizia non legittima il sacrificio dell'accuratezza del controllo in ordine alla verità della notizia e all'affidabilità della fonte, in quanto il sacrificio della reputazione è giuridicamente accettabile se giustificato dall'esigenza di esercitare un diritto di pari livello costituzionale, ontologicamente confliggente, come la libertà di manifestazione del pensiero; non è, invece, accettabile se giustificato dall'esigenza di diffusione e di ascolto o meri scopi di concorrenza ampliando l'area di lettori od utenti, trattandosi di esigenze preordinate a soddisfare scelte imprenditoriali di carattere commerciale che non sono prevalenti sui diritti della persona, ex art. 2 e 3 Cost. e sono estranee all'area di tutela dell'art. 21 Cost., posto a fondamento dell'esimente del diritto di cronaca. Ne deriva che la notizia può e deve essere ritardata, in favore del controllo della verità, anche a costo della diminuzione di lettori ed utenti, in conformità con l'interesse pubblico alla informazione, considerato che i cittadini non hanno interesse a conoscere notizie veloci ma non corrispondenti al vero.

Cass. pen. n. 42155/2011

Integra il reato di diffamazione a mezzo stampa la condotta del giornalista che nell'articolo a propria firma modifichi in senso peggiorativo il contenuto dell'accusa contestata - consistente nell'aver compiuto atti sessuali a pagamento con una minorenne (art. 600 bis, comma secondo c.p.) - attribuendo al soggetto passivo il ruolo di sfruttatore della prostituzione minorile (art. 600 bis, comma primo, c.p.), non sussistendo la verità della notizia; né la condotta diffamatoria può ritenersi esclusa in virtù dell'omogeneità dell'addebito, considerato che la fattispecie di sfruttamento della prostituzione minorile è oggettivamente diversa e ben più grave di quella effettivamente contestata, come evidenziato dalla difformità del trattamento sanzionatorio disposto per ciascuna delle due ipotesi delittuose.

Cass. pen. n. 37383/2011

Integra il delitto di diffamazione, sotto il profilo della lesione della reputazione professionale dell'Ente, la divulgazione a mezzo stampa di false notizie in ordine a presunti contrasti tra i soci principali di una società commerciale.

Integra il reato di diffamazione la condotta lesiva dell'identità personale, intesa come distorsione, alterazione, travisamento od offuscamento del patrimonio intellettuale, politico, religioso, sociale, ideologico o professionale dell'individuo o della persona giuridica, quando viene realizzata mediante l'offesa della reputazione dei soggetti medesimi.

Cass. pen. n. 29221/2011

Integra il reato di diffamazione aggravato ai sensi dell'art. 595, comma terzo, c.p. (offese recate con la stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità), la diffusione delle espressioni offensive mediante il particolare e formidabile mezzo di pubblicità della posta elettronica, con lo strumento del "forward" a pluralità di destinatari.

Cass. pen. n. 26133/2011

In tema di diffamazione a mezzo stampa, nella nozione di "stampa" di cui all'art. 595 comma terzo c.p. vanno ricomprese tutte le riproduzioni grafiche, come i manifesti e i volantini, ottenute con qualsiasi mezzo meccanico, sia esso un ciclostile, una fotocopiatrice o un computer, atteso che per la configurabilità del reato è sufficiente che la riproduzione sia destinata alla diffusione ad una indifferenziata cerchia di persone, mentre è del tutto irrilevante lo strumento utilizzato per ottenerla o il numero di copie ottenuto. (Fattispecie relativa alla diffusione di un volantino contenente frasi oscene ed offensive nei confronti della vittima ed affisso nelle cabine telefoniche della città dove la stessa viveva).

Cass. pen. n. 23222/2011

Sussiste il requisito della comunicazione con più persone atto ad integrare il delitto di diffamazione (art. 595 c.p.) nella condotta di colui che invii una lettera denigratoria al Presidente del Consiglio dell'ordine degli avvocati, considerato che la destinazione alla divulgazione può trovare il suo fondamento oltre che nella esplicita volontà del mittente-autore anche nella natura stessa della comunicazione, in quanto propulsiva di un determinato procedimento (giudiziario, amministrativo, disciplinare) che deve essere "ex lege" portato a conoscenza di altre persone, diverse dall'immediato destinatario, sempre che l'autore della missiva prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi; in tal caso, tuttavia, occorre valutare la possibile sussistenza della causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p. o della causa di non punibilità ex art. 598 c.p.. (Nella specie la S.C., pur ritenendo infondato il motivo di ricorso proposto dal PG circa l'inesistenza dell'elemento della comunicazione con più persone, ha ritenuto rilevabile "ex officio", anche in sede di legittimità, la possibile sussistenza di una esimente, disponendo, di conseguenza, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata).

Cass. pen. n. 15060/2011

In tema di diffamazione, il limite della continenza nel diritto di critica è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato. Pertanto, il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non può in alcun modo scriminare l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest'ultimo in quanto tale. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha escluso la scriminante del diritto di critica nei confronti degli imputati che avevano affisso nelle bacheche aziendali e diffuso con volantini un comunicato in cui contestando la posizione dissenziente di un iscritto alla C.G.I.L. lo si definiva 'notoriamente imbecille'.

Cass. pen. n. 7410/2011

Non osta all'integrazione del reato di diffamazione l'assenza di indicazione nominativa del soggetto la cui reputazione è lesa, se lo stesso sia ugualmente individuabile sia pure da parte di un numero limitato di persone. (Fattispecie in tema di diffamazione a mezzo stampa).

Cass. pen. n. 7408/2011

L'integrazione del reato di diffamazione non richiede che la propalazione delle frasi offensive venga posta in essere simultaneamente, potendo la stessa aver luogo anche in momenti diversi, purché risulti comunque rivolta a più soggetti.

Cass. pen. n. 4938/2011

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il rispetto della verità del fatto assume in riferimento all'esercizio del diritto di critica politica un limitato rilievo, necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica. Il limite immanente all'esercizio del diritto di critica è, pertanto, essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l'utilizzo di "argumenta ad hominem". (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il Gup ha dichiarato non doversi procedere perché il fatto non costituisce reato nei confronti di un vice presidente della provincia il quale aveva rilasciato dichiarazioni su un corteo organizzato da Forza Nuova stigmatizzando il fatto "che spazi politici e di espressione siano lasciati a disposizione di organizzazioni chiaramente fasciste e che sono portatori di valori quali la xenofobia, il razzismo, la violenza e l'antisemitismo", dichiarazioni riportate virgolettate dall'articolista).

Cass. pen. n. 4558/2011

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca (nella specie giudiziaria) qualora il titolo dell'articolo attribuisca alla persona offesa - nei cui confronti penda un procedimento penale - una condotta sostanzialmente diversa da quella avente riscontro negli atti giudiziari e nell'oggetto dell'imputazione; né, a tal fine, rileva l'estraneità del titolo al resoconto giudiziario esposto nell'articolo, in quanto il titolo di un articolo di stampa può assumere carattere diffamatorio non solo per il suo contenuto intrinseco ma anche per la sua efficacia suggestiva rispetto al testo dell'articolo, in specie ove esso ne travisi e amplifichi il contenuto. (Nella specie il testo dell'articolo riferiva di un procedimento penale relativo ad irregolarità verificatesi nella sperimentazione della terapia oncologica Di Bella, avente per oggetto l'ipotesi di reato di cui all'art. 443 c.p., per avere somministrato ai pazienti farmaci con composizione diversa da quella indicata nei protocolli della terapia Di Bella mentre il titolo era del seguente tenore."così hanno truffato Di Bella". La S. C. ha ritenuto che il termine 'truffa contenuto nel titolo non trovava alcuna corrispondenza nel procedimento penale di cui riferiva l'articolo in questione).

Cass. pen. n. 3676/2011

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l'esimente del diritto di critica nella forma satirica qualora essa, ancorché a sfondo scherzoso e ironico, sia fondata su dati storicamente falsi; tale esimente può, infatti, ritenersi sussistente quando l'autore presenti in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione delle persone di alto rilievo, una situazione e un personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa e non quando si diano informazioni che, ancorché presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino false e, pertanto, tali da non escludere la rilevanza penale.

Cass. pen. n. 3047/2011

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la sussistenza dell'esimente del diritto di critica presuppone, per sua stessa natura, la manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui, la cui offensività possa, tuttavia, trovare giustificazione nella sussistenza del diritto di critica, a condizione che l'offesa non si traduca in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale del soggetto passivo ma sia 'contenuta (requisito della 'continenza) nell'ambito della tematica attinente al fatto dal quale la critica ha tratto spunto, fermo restando che, entro tali limiti, la critica, siccome espressione di valutazioni puramente soggettive dell'agente, può anche essere pretestuosa ed ingiustificata, oltre che caratterizzata da forte asprezza. (Fattispecie in cui un consigliere regionale aveva affermato in intervista rilasciata a un quotidiano - con riferimento alla scarcerazione di numerosi stranieri arrestati per violazione della legge sugli stupefacenti - "non è la prima volta che a Bergamo si butta all'aria per cavilli burocratici un lavoro di mesi delle forze dell'ordine" e " a questo punto certi magistrati, anziché pensare a 'resistere, resistere, resistere dovrebbero pensare a lavorare, lavorare, lavorare", aggiungendo l'invito a riflettere "tra uno sciopero e l'altro sullo stato d'animo dei cittadini residenti nella zona interessata allo spaccio di stupefacenti).

Cass. pen. n. 2739/2011

La competenza per territorio, per il reato di diffamazione commesso mediante la diffusione di notizie lesive dell'altrui reputazione allocate in un sito "web", va determinata in forza del criterio del luogo di domicilio dell'imputato, in applicazione della regola suppletiva stabilita dall'art. 9, comma secondo, c.p.p.

Cass. pen. n. 1914/2011

Ai fini dell'accertamento della sussistenza della scriminante dell'esercizio del diritto di critica politica, il giudice deve considerare sia l'estrema opinabilità degli argomenti che la sostengono, sia la possibilità che i giudizi siano espressi in modo da far trasparire una radicale contrapposizione e un rifiuto delle altrui posizioni. (Fattispecie relativa al termine "assassino" attribuito all'autore dell'omicidio in danno del filosofo Giovanni Gentile).

Cass. pen. n. 43024/2010

È configurabile la causa di giustificazione del reato di diffamazione a mezzo stampa, costituita dall'esercizio del diritto di cronaca, nel caso in cui la notizia pubblicata riguardi episodi di violenza consumati in ambito familiare, in quanto, pur trattandosi di fatti attinenti la sfera privata, sussiste un interesse pubblico alla divulgazione. (In motivazione la Corte ha precisato che l'uso della violenza in ambito familiare è circostanza esecrabile, in alcun modo lesiva della "privacy", sicché la divulgazione della notizia ha un indubbio riflesso sociale).

Cass. pen. n. 38096/2010

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non costituisce reato la riproduzione, nell'ambito di un'inchiesta giornalistica, di affermazioni e ricostruzioni, in passato già diffuse da altri, che rechino frasi offensive della reputazione dei soggetti coinvolti nella detta inchiesta, quando il precedente storico assuma una funzione meramente documentale per supportare un giudizio critico di contenuto diverso e riferibile alla situazione attuale; l'attualità della notizia deve, infatti, essere riguardata non con riferimento al fatto ma all'interesse pubblico alla conoscenza del fatto e, quindi, alla attitudine della notizia a contribuire alla formazione della pubblica opinione, di guisa che ognuno possa liberamente fare le proprie scelte, con la conseguenza che solo una notizia dotata di utilità sociale può perdere rilevanza penale, ancorché capace di ledere l'altrui reputazione, e tale utilità è necessariamente connotata dall'attualità dell'interesse alla pubblicazione. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di merito ha escluso la scriminante del diritto di cronaca e, quindi, affermato la responsabilità, in ordine ai reati di cui agli artt. 595 e 57 c.p., rispettivamente del giornalista e del direttore - relativamente ad un articolo pubblicato su un quotidiano e dedicato ad una inchiesta sui concorsi universitari a cattedra, alcuni annullati dal Tar e all'origine di indagini avviate dalla locale Procura - per difetto di attualità dei fatti narrati, perché le espressioni incriminate riguardavano eventi risalenti a tre anni prima, ritenuti "tout court" privi di interesse sociale).

Cass. pen. n. 37220/2010

In tema di reati contro l'onore, non sussiste la causa di giustificazione del diritto di critica politica qualora nel corso di una pubblica assemblea il Sindaco ed un consigliere di maggioranza accusino un consigliere di minoranza avvocato e promotore di un comitato preordinato ad impedire l'urbanizzazione di un'area verde sita nel centro abitato di avere indotto un cittadino, carpendone la buona fede, a sottoscrivere un ricorso amministrativo per impugnare una concessione edilizia relativa alla detta area verde, trattandosi di espressioni apertamente denigratorie della dignità e credibilità professionale della persona offesa e, dunque, inidonee ad assurgere alla dignità di legittima critica politica, in quanto, nella specie, l'interesse dell'opinione pubblica è quello di conoscere le ragioni delle parti politiche in contrasto sulla destinazione dell'area verde; né, d'altra parte, la contesa politica può svolgersi sul piano dell'invettiva personale, di guisa che per acquisire consensi in danno dei contraddittori sia lecito ad una parte politica diffondere in pubblico considerazioni denigratorie di carattere personale o professionale nei confronti degli oppositori.

Cass. pen. n. 36602/2010

In tema di delitti contro l'onore, il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, riguarda le espressioni utilizzate, mentre la continenza non può essere evocata come argomento a copertura della pretesa di selezione degli argomenti attraverso i quali si formula la critica, perché quest'ultima, quale valore fondante fissato nella Costituzione, non può che basarsi sulla assoluta libertà di scelta degli argomenti sui quali si articola la esposizione del proprio pensiero, sempre che sussistano gli altri due requisiti e cioè la verità del fatto da cui muove la critica e l'interesse sociale a conoscerla. (Fattispecie nella quale è stata esclusa la sussistenza del reato di cui all'art. 595 c.p., nei confronti dell'imputato - il quale, in qualità di primario di un ospedale, aveva riferito a una paziente che un medico di quella struttura non avrebbe più eseguito interventi chirurgici perché prossimo ad essere allontanato dall'azienda ospedaliera e ad un'altra paziente che la ragione dell'allontanamento era la produzione di danni gravi per la stessa azienda - ritenendo che la prima comunicazione era priva di contenuto offensivo e la seconda era scriminata sia per la verità dei fatti riferiti che per la continenza delle espressioni utilizzate).

In tema di delitti contro l'onore, l'elemento psicologico della diffamazione consiste non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell'altrui reputazione ma anche nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone. Pertanto è necessario che l'autore della diffamazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona, ma con tali modalità che detta notizia sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e voglia tale evento.

Cass. pen. n. 33994/2010

Non integra il delitto di diffamazione (art. 595 c.p.), la condotta di colui che invii un esposto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati contenente dubbi e perplessità sulla correttezza professionale del proprio legale, considerato che, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p., sub specie di esercizio del diritto di critica, preordinato ad ottenere il controllo di eventuali violazioni delle regole deontologiche.

Cass. pen. n. 29730/2010

In tema di diffamazione, espressioni che trasmodino in un'incontrollata aggressione verbale del soggetto criticato e si concretizzino nell'utilizzo di termini gravemente infamanti e inutilmente umilianti superano il limite della continenza nell'esercizio del diritto di critica.

Cass. pen. n. 27106/2010

L'esimente putativa del diritto di cronaca giudiziaria può essere invocata in caso di affidamento del giornalista su quanto riferito dalle sue fonti informative, non solo se abbia provveduto comunque a verificare i fatti narrati, ma abbia altresì offerto la prova della cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicità dei fatti.

Cass. pen. n. 22716/2010

L'immunità parlamentare ex art. 68, comma primo, Cost., così come quella riconosciuta ai consiglieri regionali in virtù dell'art. 122, comma quarto, Cost. è limitata alle opinioni espresse e agli atti che presentino un chiaro nesso con il concreto esercizio delle funzioni anche se svolte in forme non tipiche o "extra moenia", purché identificabili come espressione dell'esercizio funzionale, a tanto non essendo sufficiente né la comunanza di argomenti, né un mero contesto politico cui possano riferirsi.

Cass. pen. n. 19449/2010

Sussiste l'esimente dell'esercizio del diritto di critica storica e politica nel caso in cui, con varie lettere indirizzate ad un quotidiano locale e da questo pubblicate, si critichi il raduno dell'associazione 'Forza Nuova', svoltosi nella città di Trieste, utilizzando le espressioni 'nazifascisti' e 'neonazisti', in quanto, alla luce dei dati storici e dell'assetto normativo vigente durante il ventennio fascista, segnatamente delle leggi razziali (r.d. n. 1728 del 1938 e relative leggi di attuazione), la qualità di 'fascista' non può essere depurata dalla qualità di razzista e ritenersi incontaminata dall'accostamento al nazismo, il che fornisce base di verità alle predette lettere di critica in relazione a quei termini, oggettivamente offensivi, ma che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati ai fini del concetto da esprimere.

Cass. pen. n. 16284/2010

Non è applicabile l'aggravante di cui all'art. 595, comma quarto, c.p. (offesa recata ad un corpo giudiziario) nel caso in cui il soggetto attivo invii a diverse autorità un esposto-denuncia contenente espressioni offensive nei confronti di un magistrato, in quanto quand'anche l'offesa recata alla reputazione di un singolo magistrato, a causa dell'adempimento delle sue funzioni, possa riflettersi sull'intero ordine giudiziario, non vi è coincidenza tra la nozione di 'corpo giudiziario' e quella ben più ampia di ordine giudiziario, richiamata dall'art. 290 c.p. con riguardo al reato di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate; inoltre, non potendosi attribuire al singolo magistrato la veste di soggetto legittimato ad esprimere l'istanza punitiva anche a nome dell'intero ordine giudiziario, mancherebbe, comunque, la necessaria condizione di procedibilità della querela che il detto ordine, a mezzo di soggetto idoneo ad assumerne la rappresentanza avrebbe dovuto proporre.

Cass. pen. n. 16266/2010

In tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini della individuazione del soggetto passivo non è sufficiente avere riguardo al titolo dell'articolo diffamatorio ma è necessario estendere la disamina a tutto il complesso degli elementi topografici che concorrono a comporlo e cioè: titolo, occhiello, eventuali foto, oltre al testo dell'articolo stesso, in quanto la valenza diffamatoria di una affermazione è quella che il lettore ricava dall'intero corpo delle notizie che la compongono, indifferente essendo la contiguità grafica delle varie componenti o la possibilità che la lettura del titolo stampato in prima pagina e quella del testo pubblicato in altra pagina dello stesso quotidiano richiedano, in concreto, una attenzione maggiore e prolungata dell'interessato alla notizia stessa. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello ha escluso - sulla base dell'assenza del requisito dell'identificabilità del diffamato, non essendo presente nella prima pagina del quotidiano in cui compariva il titolo alcun nome o foto - la responsabilità del giornalista e del direttore responsabile, rispettivamente a titolo di diffamazione e omesso controllo, per la pubblicazione di un articolo di stampa dal titolo "era lui il terrore delle prostitute", dedicato come poteva comprendersi leggendo il corpo dell'articolo situato in una pagina interna del giornale a soggetto ben determinato).

Cass. pen. n. 11897/2010

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la scriminante del diritto di cronaca è configurabile qualora la notizia pubblicata sia vera anche indipendentemente dalla verità del fatto che ne costituisce oggetto, purché la notizia stessa sia di interesse pubblico, anche in relazione ai soggetti coinvolti e sia presentata oggettivamente come tale e non come verità del fatto narrato.

Cass. pen. n. 9634/2010

Non integra il fatto costitutivo del delitto di diffamazione (art. 595 c.p.), la condotta di colui che con espressione congrua rappresenti la verità del fatto. (La S.C. ha affermato l'insussistenza della responsabilità, a titolo di diffamazione, nei confronti degli imputati, i quali determinatisi a rilasciare dichiarazioni per generica solidarietà, ignorando che le stesse fossero in realtà preordinate ad essere utilizzate in un procedimento disciplinare, avevano scritto una lettera alle competenti autorità, chiedendo l'inibizione dell'uso di dette dichiarazioni perché 'carpite'. In motivazione la S.C. ha ritenuto che il significato dell'espressione 'carpire', sinonimo di acquisire 'notizia con astuzia', costituisse la rappresentazione che si voleva fornire all'autorità superiore per giustificare la richiesta di non utilizzazione delle dichiarazioni stesse e che dagli elementi acquisiti non era possibile escludere che quanto rappresentato nella comunicazione oggetto della imputazione rispondesse a verità).

Cass. pen. n. 7419/2010

In tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini dell'applicazione dell'esimente di cui all'art. 51 c.p., la critica politica - che nell'ambito della polemica fra contrapposti schieramenti può anche tradursi in valutazioni e commenti tipicamente "di parte", cioè non obiettivi - deve pur sempre fondarsi sull'attribuzione di fatti veri, posto che nessuna interpretazione soggettiva, che sia fonte di discredito per la persona che ne sia investita, può ritenersi rapportabile al lecito esercizio del diritto di critica, quando tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti opposta alla verità. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto la sussistenza del delitto di cui all'art. 595 c.p. nei confronti degli autori di un articolo che indicava la persona offesa come promotrice e organizzatrice di una manifestazione per conto di un centro sociale e che affermava contrariamente al vero essersi trattato di una festa per la legalizzazione delle droghe svoltasi all'interno di un parco e durante la quale si sarebbe fatto abbondante uso di sostanze stupefacenti).

Cass. pen. n. 6410/2010

In tema di diffamazione a mezzo stampa ricorre la scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca qualora eventi storicamente veri siano stati rappresentati in forma giuridicamente non corretta. (Fattispecie relativa ad articolo di stampa che indicava il querelante come accusato di fatti di usura, laddove lo stesso era stato rinviato a giudizio per il delitto di estorsione).

Cass. pen. n. 46107/2009

In tema di diffamazione, le critiche di scarsa professionalità e inadeguatezza pubblicamente rivolte a un pubblico ufficiale, sempre che non abbiano modalità e contenuti insultanti, esprimono giudizi di valore attingenti l'agire pubblico del destinatario e sono pertanto di per sé dotate del carattere della continenza. (Fattispecie relativa a diffamazione militare erroneamente ritenuta dal giudice di merito per la sola circostanza della pubblicazione di alcuni manifesti, nella città sede del corpo militare di appartenenza dell'agente e del superiore dichiaratamente offeso dal reato, che facevano riferimento a "inaudite prevaricazioni" e al mancato rispetto delle leggi perpetrati dall'ufficiale presunto diffamato).

Cass. pen. n. 45051/2009

In tema di diffamazione a mezzo "mass media" - fermo restando che la libertà di stampa, espressione del diritto di manifestazione del pensiero sancito dall'art. 21 Cost., comporta la compressione dei beni giuridici della riservatezza, dell'onore e della reputazione, peraltro, anch'essi, aventi dignità costituzionale, ex art. 2 e 3 Cost. - il riferimento a distanza di tempo, in sede di c.d. talk show televisivo, dello sviluppo di indagini di polizia giudiziaria, consentito in chiave storica dell'evento nonché di critica all'operato degli inquirenti, comporta che l'obbligo deontologico del giornalista deve parametrarsi a criteri di rigore ancora maggiori dell'ordinario, nel senso che, ove permanga o si riattualizzi l'interesse pubblico alla relativa propalazione - che, in tal caso, deve essere bilanciato con il diritto all'oblio - ed esigenze di ricostruzione storica o artistica lo richiedano, la notizia deve essere accompagnata dalla doverosa avvertenza che le tesi investigative rimaste a livello di mera ipotesi di lavoro, non hanno trovato alcuna conferma o addirittura sono state decisamente smentite dal successivo sviluppo istruttorio, in quanto incombe sul giornalista il dovere giuridico di rendere una informazione completa e di effettuare, all'uopo, tutti i controlli necessari per verificare gli esiti di una data indagine.

Cass. pen. n. 43403/2009

In tema di diffamazione, per la sussistenza dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica è necessario che quanto riferito non trasmodi in gratuiti attacchi alla sfera personale del destinatario e rispetti un nucleo di veridicità, in mancanza del quale la critica sarebbe pura congettura e possibile occasione di dileggio e di mistificazione, fermo restando che l'onere del rispetto della verità è più attenuato rispetto all'esercizio del diritto di cronaca, in quanto la critica esprime un giudizio di valore che, in quanto tale, non può pretendersi rigorosamente obiettivo.

Cass. pen. n. 19396/2009

Non integra il delitto di diffamazione (art. 595 c.p.) la condotta di colui che invii una lettera al Presidente dell'Ordine degli Avvocati contenente espressioni offensive nonché la segnalazione di comportamenti deontologicamente scorretti tenuti dal proprio difensore, trattandosi di un reclamo diretto personalmente al titolare di un organo e mancando, pertanto, l'elemento della comunicazione con più persone, che, d'altro canto, non può ritenersi sussistente ove sia avvenuta per esclusiva iniziativa del destinatario, considerato che la tutela richiesta all'Autorità non comporta necessariamente la diffusione della doglianza nell'ambito di una prevedibile procedura disciplinare e che, comunque, di tale evento non può rispondere colui che si rivolge all'Autorità collegando la comunicazione con più persone ad una sua imprudente condotta, non essendo prevista l'ipotesi colposa della diffamazione.

Cass. pen. n. 10631/2009

In tema di diritto di critica giudiziaria, non è scriminante la condotta di attribuzione di parzialità per ragioni politiche ad un soggetto che esercita la funzione giudiziaria in quanto intrinsecamente offensiva. (Fattispecie nella quale un opinionista televisivo aveva accusato un pubblico ministero di avere esercitato per ragioni politiche l'azione penale in danno di un noto imprenditore per il reato di finanziamento illecito ad un partito politico, e di non avere fatto altrettanto in relazione ai finanziamenti illecitamente ricevuti da altro partito politico antagonista; la Corte ha anche precisato che la scriminante postula comunque il rispetto del dovere di verità, laddove nella specie l'azione penale "de qua" era stata esercitata da altro pubblico ministero).

Cass. pen. n. 6758/2009

Integra il delitto di diffamazione la condotta del datore di lavoro che indirizzi al proprio dipendente una lettera contenente espressioni offensive di cui informi anche il consiglio di amministrazione, in quanto il potere gerarchico o, comunque, di sovraordinazione consente di richiamare, ma non di ingiuriare il lavoratore dipendente o di esorbitare dai limiti della correttezza e del rispetto della dignità umana con espressioni che contengano un'intrinseca valenza mortificatrice della persona e si dirigano più che all'azione censurata, alla figura morale del dipendente, traducendosi in un attacco personale sul piano individuale, che travalichi ogni ammissibile facoltà di critica (Nella specie la lettera indirizzata al dipendente e resa nota al consiglio di amministrazione conteneva le seguenti espressioni: "appare penoso dover constatare l'utilizzo di certi mezzucci da mezze maniche per fregare il proprio datore di lavoro").

Cass. pen. n. 6046/2009

Non sussiste la responsabilità del gestore di un punto internet (cosiddetto "internet point") a titolo di diffamazione per non avere impedito l'evento (art. 40, comma secondo, e 595 c.p.) qualora l'utente invii una e-mail avente contenuto diffamatorio, in quanto il gestore non solo non ha alcun potere di controllo e, quindi, alcuna conoscenza sul contenuto della posta elettronica inviata, ma gli è addirittura impedito di prenderne contezza - ex art. 617 quater c.p. che vieta l'intercettazione fraudolenta di sistemi informatici e telematici - mentre ha l'obbligo di identificare gli utenti che facciano uso del terminale ai soli fini della prova dell'utilizzazione e non per impedire l'eventuale reato.

Cass. pen. n. 2066/2009

In tema di diffamazione nei confronti di un magistrato, il provvedimento giudiziario può essere oggetto di critica anche aspra, in ragione dell'opinabilità degli argomenti che li sostengono, ma non è lecito trasmodare in critiche virulente che comportino il dileggio dell'autore del provvedimento stesso.

Cass. pen. n. 1369/2009

In tema di diffamazione, il divieto di "exceptio veritatis", alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 596, comma primo, c.p., non può trovare applicazione qualora l'autore del fatto incriminato abbia agito nell'esercizio di un diritto, ex art. 51 c.p. e, quindi, non solo nell'ipotesi di diritto di cronaca spettante al giornalista ma in ogni caso in cui si prospetti il legittimo esercizio del diritto di critica. (In applicazione di questo principio la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello ha confermato la responsabilità a titolo del reato di cui all'art. 595 c.p.- nei confronti di alcuni collaboratori di una società che avevano indirizzato ai clienti della stessa società una "e-mail" con la quale si attribuiva a quest'ultima l'inosservanza del contratto collettivo di lavoro e l'inadempimento degli obblighi retributivi - rigettando l'istanza di produzione documentale volta a dimostrare la veridicità delle affermazioni contenute nella missiva, senza avere motivatamente escluso che il messaggio di posta elettronica incriminato fosse stato inviato nell'esercizio di un diritto di critica; cfr. Corte cost. n. 175 del 1971).

Cass. pen. n. 41283/2008

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto alla creazione letteraria non può scriminare offese gratuitamente rivolte ad un soggetto identificato o, comunque, facilmente identificabile e privo di rilievo nella dimensione storica e sociale rappresentata, in quanto non è mai lecita la rappresentazione negativa di persone che non abbiano significative responsabilità individuali ; né detta individuazione è necessaria ai fini del risultato d'espressione artistica o di critica sociale, conseguibile anche con riferimenti generici o di fantasia ; d'altro canto, l'esercizio del diritto di critica scrimina l'offesa, altrimenti illecita, solo nei limiti in cui essa sia indispensabile per l'esercizio del diritto costituzionalmente garantito dall'art. 21, con la conseguenza che rimangono ugualmente punibili le espressioni «gratuite » cioè non necessarie all'esercizio del diritto, in quanto inutilmente volgari, umilianti o dileggianti.

Cass. pen. n. 40359/2008

In tema di diffamazione, integra la lesione della reputazione altrui non solo l'attribuzione di un fatto illecito, perché posto in essere contro il divieto imposto da norme giuridiche, assistite o meno da sanzione, ma anche la divulgazione di comportamenti che, alla luce dei canoni etici condivisi dalla generalità dei consociati, siano suscettibili di incontrare la riprovazione della "communis opinio". (In applicazione di questo principio la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello aveva escluso la responsabilità dell'imputato a titolo di diffamazione per avere attribuito, comunicando con più soggetti, alla persona offesa una relazione sentimentale, in costanza di fidanzamento, con un altro uomo, ritenendo tale condotta idonea ad esporla al pubblico biasimo e, conseguentemente, a ledere la sua reputazione).

Cass. pen. n. 30664/2008

Il consenso alla pubblicazione di una foto non vale come scriminante del delitto di diffamazione se l'immagine sia riprodotta in un contesto diverso da quello per cui il consenso sia prestato che implichi valutazioni peculiari, anche negative sulla persona effigiata. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità del direttore di un quotidiano, ex art. 57 e 595 c.p., per avere pubblicato sulla prima pagina del giornale un articolo dal titolo «Terapeuti a quattro zampe » corredato della foto di una minore in compagnia di un gatto, lasciando intendere che la bimba fosse sottoposta a trattamento terapeutico per autismo o handicap psicomotorio ).

Cass. pen. n. 18799/2008

Non integra il delitto di diffamazione la condotta di colui che, in qualità di sindaco di un Comune, indirizzi una missiva al presidente della Provincia committente del servizio di pulizia delle strade definendo il servizio svolto dall'appaltatore come risultato di «menefreghismo » e di «scarsa professionalità » considerato che dette espressioni non hanno portata offensiva, in quanto il sindaco ha non solo il potere ma il dovere di controllare, nell'interesse dei cittadini, l'esatto adempimento del contratto di appalto e di rappresentare al committente le proprie valutazioni critiche.

Cass. pen. n. 13880/2008

In tema di diffamazione, integra la causa di giustificazione dell'esercizio del diritto di critica politica l'espressione «protettori di illegalità » pronunciata da un consigliere comunale, in sede istituzionale riferita al periodo in cui taluni soggetti avevano ricoperto la carica di sindaco. (In applicazione di questo principio la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la responsabilità penale del predetto consigliere a titolo di diffamazione ).

Cass. pen. n. 13565/2008

Il reato di diffamazione oggettivamente configurabile nel fatto di definire taluno come «furfante » o «responsabile di furfanterie » può ritenersi scriminato in virtù dell'art. 51 c.p. quando detta definizione si collochi in un contesto di polemica politica, significando il ritenuto disvalore di scelte che si assumano compiute in contrasto con l'interesse collettivo.

Cass. pen. n. 13550/2008

Non integra il delitto di diffamazione la condotta di colui che pronunci espressioni offensive inconsapevole del fatto di essere ascoltato dalla persona offesa e in presenza di una sola persona (nella specie la madre dell'offeso ), qualora egli non manifesti la volontà che le dette espressioni siano ulteriormente propalate, in quanto, ai fini dell'integrazione della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 595 c.p., è necessario che l'espressione offensiva sia destinata nelle stesse intenzioni del soggetto attivo ad essere riferita ad almeno un'altra persona che ne abbia successivamente conoscenza.

Cass. pen. n. 9084/2008

In tema di diffamazione, sussiste l'esimente del diritto di critica politica qualora, all'esito di una seduta consiliare, un consigliere comunale rivolga — dirigendosi verso la postazione della stampa — all'indirizzo di un collega di partito l'espressione 'è un Giuda, considerato che il diritto di critica si concreta nell'espressione di un giudizio o di un'opinione che, come tale, non può essere rigorosamente obiettiva ed, a maggior ragione, ciò vale in ambito politico in cui risulta preminente l'interesse generale al libero svolgimento della vita democratica e che, nella specie, l'epiteto succitato trae origine dall'intendimento di portare a conoscenza della pubblica opinione la scelta della parte civile di dissociarsi dalla linea ufficiale del gruppo di appartenenza votando contro la delibera da questo proposta, nonostante nella pre-riunione non avesse sollevato obiezioni di sorta.

Cass. pen. n. 3597/2008

L'intervista televisiva «in diretta» presuppone che siano comunicate notizie provenienti da una fonte «non filtrata» con la conseguenza che, in tal caso, non si può esigere dal giornalista l'esecuzione di un sia pur rapido controllo prima della diffusione della notizia ed in particolare un'attività di verifica sulla fondatezza della notizia comunicata e diffusa, in quanto essa viene diffusa nello stesso momento in cui il giornalista la apprende dall'intervistato. Ne deriva che l'obbligo di controllo di veridicità che grava sul giornalista in ordine all'intervista «in differita» non è applicabile al giornalista che effettui l'intervista «in diretta» trattandosi di condotta inesigibile, posto che non si può controllare ciò che ancora non si conosce; tuttavia, il giornalista, in tal caso, deve osservare la diligenza in eligendo nel senso che nella scelta del soggetto da intervistare deve adottare, sia pure nei limiti del diritto-dovere di informare, la cautela preordinata ad evitare di dare la parola a soggetti che prevedibilmente ne approfittino per commettere reati, fermo restando l'obbligo di intervenire, se possibile, nel corso dell'intervista (chiarendo, chiedendo precisazioni ecc.), ove si renda conto che il dichiarante ecceda i limiti della continenza o sconfini in settori privi di rilevanza sociale.

Cass. pen. n. 3565/2008

Non integra il delitto di diffamazione la segnalazione al competente Consiglio dell'ordine di comportamenti deontologicamente scorretti tenuti da un libero professionista nei rapporti con il cliente denunciante, sempre che gli episodi segnalati siano rispondenti al vero, perché il cliente per mezzo della segnalazione esercita una legittima tutela dei suoi interessi.

Cass. pen. n. 46295/2007

In tema di diffamazione a mezzo stampa e di esimente del diritto di cronaca, deve escludersi che questa possa operare al di là del limite segnato dall'attitudine della notizia a soddisfare una oggettiva esigenza di informazione pubblica, da non confondere con il mero interesse che il pubblico, per pura curiosità «voyeristica» può avere alla conoscenza di particolari attinenti alla sfera della vita privata di un determinato soggetto, specie quando questo non sia persona investita di cariche pubbliche o comunque dotata di rilievo pubblico. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che potesse trovare giustificazione la diffusione di notizie e commenti ironici relativi ad una presunta relazione extraconiugale tra un uomo ed una donna, sua inquilina, nella cui abitazione egli era stato trovato morto).

Cass. pen. n. 42085/2007

In tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini della responsabilità del giornalista che abbia pubblicato un esposto-denuncia presentato alla Procura della Repubblica — con il quale si accusino alcuni magistrati del Pubblico Ministero di indagare allo scopo di screditare un personaggio politico — occorre accertare se detto giornalista abbia assunto la prospettiva del terzo osservatore dei fatti, agendo per conto del pubblico dei suoi lettori, ovvero sia solo un dissimulato coautore della dichiarazione diffamatoria, che agisca contro il diffamato, posto che in quest'ultimo caso, in applicazione dell'art. 110 c.p., è configurabile a suo carico il concorso nel delitto di diffamazione per avere diffuso l'altrui testo diffamatorio, contribuendo in misura determinante alla consumazione del delitto in questione.

Cass. pen. n. 36077/2007

Sussiste l'esimente del diritto di critica qualora — con una missiva indirizzata al Sindaco e alla Giunta locali — si accusino alcuni vigili urbani di “scarsa professionalità” e di “superficialità mista a incoscienza e presuntuosità” in relazione al rilevamento degli incidenti stradali, considerato che tali espressioni costituiscono giudizi di valore e che essi rispettano i canoni della pertinenza e della continenza.

Cass. pen. n. 35543/2007

Integra il delitto di diffamazione il comunicato, redatto all'esito di un'assemblea condominiale, con il quale alcuni condomini siano indicati come morosi nel pagamento delle quote condominiali e vengano conseguentemente esclusi dalla fruizione di alcuni servizi, qualora esso sia affisso in un luogo accessibile — non già ai soli condomini dell'edificio per i quali può sussistere un interesse giuridicamente apprezzabile alla conoscenza di tali fatti — ma ad un numero indeterminato di altri soggetti.

Cass. pen. n. 34432/2007

In tema di diffamazione a mezzo stampa, ricorre l'esimente del diritto di critica giudiziaria allorché sussista il requisito della verità del fatto riferito e criticato, l'interesse pubblico alla notizia e la continenza espressiva. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto sussistente l'esimente del diritto di critica in relazione a talune espressioni, contenute in un articolo apparso su un quotidiano nazionale, con il quale si censurava l'operato di un magistrato del Pubblico Ministero per avere prestato, in ordine ad un gravissimo delitto, il suo consenso al patteggiamento in appello, che aveva comportato una drastica riduzione di pena nonché per una serie di dichiarazioni sul caso che egli aveva rilasciato nel corso di un intervista; in particolare la S.C. ha ritenuto che l'accusa di « subalternità psicologica» nei confronti della famiglia dell'imputato ricca e potente — avanzata dal giornalista nei confronti del P.M. in questione — costituisse argomento atto a rinvenire una plausibile spiegazione ad una ritenuta grave ingiustizia e non già a denigrare la persona del requirente).

Cass. pen. n. 32577/2007

Integra il delitto di diffamazione la diffusione di un manifesto-volantino nel quale si definisca il Sindaco di un Comune come «gaglioffo» e «azzeccagarbugli» non potendosi tali attributi giustificare con il legittimo esercizio del diritto di critica politica.

Cass. pen. n. 29433/2007

In tema di diffamazione il ricorso all'epiteto «fascista» riferito da un avversario ad un politico per stigmatizzarne il comportamento, costituisce legittimo esercizio del diritto di critica politica se utilizzato non come argumentum ad hominem bensì per paragonare il suo modo di governare ed amministrare la cosa pubblica ad una ideologia e ad una prassi politica ritenute scarsamente rispettose degli oppositori. (Fattispecie in tema di offese rivolte nei confronti del Sindaco da un consigliere dell'opposizione nel corso di una seduta del Consiglio comunale, che lo aveva definito, tra l'altro, «fascista nel senso più deteriore del termine»).

Cass. pen. n. 29277/2007

È scriminata ex art. 51 c.p. la condotta (astrattamente integrante il delitto di diffamazione) dell'amministratore di una società che comunichi ai clienti il licenziamento di un collaboratore e indichi la ragione di esso nei suoi «comportamenti scorretti» in quanto l'amministratore ha non solo il diritto ma anche il dovere di tutelare i diritti patrimoniali della società e di difenderla da atti di concorrenza sleale, anche quando provengano da propri dipendenti (In motivazione la S.C. evidenzia che nella fattispecie detta comunicazione è espressa in termini continenti ed appare necessaria per informare i clienti del nuovo soggetto preposto alla collaborazione per conto della società e nel contempo per evidenziare la correttezza del comportamento della società ed evitare la perdita della clientela).

Cass. pen. n. 27624/2007

In tema di diffamazione, sussiste il requisito della comunicazione con più persone, necessario per integrare il reato, qualora le espressioni lesive dell'altrui reputazione siano contenute in una lettera indirizzata ad una pubblica autorità in forma impersonale, in una busta non chiusa e, quindi, non in forma riservata.

Cass. pen. n. 25138/2007

In tema di diffamazione a mezzo stampa, i limiti della critica alle istituzioni giudiziarie sono preordinati a garantirne la difesa da attacchi sprovvisti di fondamento e non suscettibili di smentita in virtù del dovere di riservatezza che impedisce ai magistrati presi di mira di reagire agli attacchi loro rivolti; tali limiti non sussistono qualora la critica concerna indagini non in corso ma inchieste giudiziarie aventi innegabile effetto politico (inchiesta «Mani pulite»), e il dibattito polemico sia scaturito da una riflessione pubblica innestata dalla stessa persona offesa che si sia risolta ad intervenire liberamente sulla scena pubblica esternando le proprie considerazioni attraverso un'intervista a un quotidiano a tiratura nazionale, oggetto di replica da parte dell'articolo di stampa incriminato; d'altro canto, l'art. 21 Cost., analogamente all'art. 10 Cedu, non protegge unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti, essendo al contrario principalmente rivolto a garantire la libertà proprio delle opinioni che «urtano, scuotono o inquietano» con la conseguenza che di esse non può predicarsi un controllo se non nei limiti della continenza espositiva, che, una volta riscontrata, integra l'esimente del diritto di critica.

In tema di esercizio del diritto di critica giudiziaria, il ruolo fondamentale svolto dalla libertà di stampa nel dibattito democratico non consente di escludere che essa si esplichi anche in attacchi al potere giudiziario. La critica nei confronti delle istituzioni giudiziarie, tuttavia, è soggetta a limiti più rigorosi rispetto a quella riguardante altri soggetti pubblici, in considerazione del dovere di riservatezza che impedisce ai magistrati presi di mira di reagire agli atti a loro rivolti. (Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la polemica contenuta in un articolo di stampa riguardante la conduzione di un noto filone di indagini giudiziarie non solo si inseriva in una situazione nella quale, non essendovi indagini in corso, non vi era motivo di riservatezza che impedisse al magistrato del pubblico ministero di reagire, ma soprattutto che era stato lo stesso magistrato, con una intervista rilasciata ad un quotidiano a tiratura nazionale, ad aver in qualche modo “reagito” alla suddetta polemica). (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 19559/2007

Sussiste il requisito della «comunicazione con più persone» necessario ad integrare il delitto di diffamazione nel caso in cui le espressioni lesive dell'altrui reputazione siano contenute in un telegramma.

Cass. pen. n. 19427/2007

In materia di diffamazione a mezzo stampa sussiste l'esimente del diritto di critica nel caso in cui il portavoce di una organizzazione sindacale — nel caso di specie, del settore sanitario — riferisca in una conferenza stampa la notizia del rinvio a giudizio per i reati di abuso di ufficio e falso di un soggetto titolare di una casa di cura privata, inserendo tale notizia in una generale denuncia sociale posta in essere dal sindacato contro il malaffare nella sanità per la gestione delle strutture sanitarie pubbliche, richiamando sia dati numerici relativi agli interventi eseguiti presso le cliniche private, sia collegamenti tra personaggi del settore sanitario e fatti di mafia, effettuati in base a dati di cronaca.

Cass. pen. n. 11662/2007

L'esimente del diritto di critica è configurabile quando il discorso giornalistico abbia un contenuto prevalentemente valutativo e si sviluppi nell'alveo di una polemica intensa e dichiarata su temi di rilevanza sociale, senza trascendere in attacchi personali, finalizzati all'unico scopo di aggredire la sfera morale altrui, non richiedendosi neppure — a differenza di quanto si verifica con riguardo al diritto di cronaca — che la critica sia formulata con riferimento a precisi dati fattuali, sempre che il nucleo ed il profilo essenziale dei fatti non siano strumentalmente travisati e manipolati. (Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto sussistente l'esimente del diritto di critica in riferimento ad un articolo di stampa nel quale veniva espresso un giudizio sull'operato di un pubblico ministero, definendolo «sprovveduto» ed «incauto» in quanto la figura istituzionale del criticato — magistrato designato alla trattazione dibattimentale ed al coordinamento di indagini di grande rilievo sociale e criminale — rendeva legittima la critica giornalistica, in base al consolidato principio che in democrazia a maggiori poteri corrispondono maggiori responsabilità e l'assoggettamento al controllo da parte dei cittadini, esercitabile anche attraverso il diritto di critica).

Cass. pen. n. 7662/2007

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esercizio del diritto di critica richiede la verità del fatto attribuito e assunto a presupposto delle espressioni criticate, in quanto — fermo restando che la realtà può essere percepita in modo differente e che due narrazioni dello stesso fatto possono perciò stesso rivelare divergenze anche marcate — non può essere consentito attribuire ad un soggetto specifici comportamenti mai tenuti o espressioni mai pronunciate, per poi esporlo a critica come se quei fatti o quelle espressioni fossero effettivamente a lui riferibili; pertanto, limitatamente alla verità del fatto, non sussiste alcuna apprezzabile differenza tra l'esimente del diritto di critica e quella del diritto di cronaca, costituendo per entrambe presupposto di operatività. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha ritenuto integrato il delitto di cui all'art. 595 c.p. ed escluso conseguentemente l'esimente del diritto di critica nei confronti dell'autore di un libro contenente accuse di deviazionismo giudiziario nei confronti di alcuni magistrati appartenenti all'Ufficio del Pubblico Ministero in assoluta mancanza di prove).

Cass. pen. n. 4991/2007

Non sussiste l'esimente del diritto di critica politica (art. 51 c.p.) qualora il tenore delle espressioni utilizzate ecceda i limiti della continenza, il che si verifica qualora, nel corso di un comizio elettorale, si paragoni l'avversario politico a «Giuda Iscariota» e lo si accusi di essersi venduto per «trenta denari» posto che tale accostamento comporta l'attribuzione di caratteristiche infamanti.

Cass. pen. n. 30877/2006

Sussiste l'esimente dell'esercizio del diritto di critica (art. 51 c.p.) nel caso in cui il giornalista riporti in un comunicato stampa le opinioni raccolte nell'ambito delle associazioni dei magistrati nei confronti di un alto magistrato, qualora esse costituiscano espressione di una legittima critica nei confronti dell'operato di quest'ultimo, considerato che la critica presuppone la verità del fatto narrato e soggiace ai limiti da esso imposti soltanto quando sia originata da un fatto storico oggettivo e non quando si traduca in libera espressione del pensiero, purché la sua diffusione non si concreti in un pretesto per aggredire gratuitamente l'altrui reputazione (continenza) e al contempo rivesta interesse generale. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto, ai soli fini della responsabilità civile, sussistente l'esimente del diritto di critica nella condotta del giornalista che aveva diffuso un comunicato nel quale si dava notizia di critiche espresse da magistrati e raccolte nell'ambito delle loro associazioni con riguardo ad iniziative del Primo Presidente della Cassazione — in particolare l'assemblea dei consiglieri della Corte non tenuta da tanti anni e, pertanto fatto eccezionale, e l'assegnazione di tre delle quattro relazioni introduttive della predetta assemblea a rappresentanti di una corrente di minoranza — interpretati da un lato quale protagonismo sospetto e dall'altro come pagamento di un debito politico dato che la corrente beneficata aveva dato il proprio appoggio alla candidatura di detto Presidente. La S.C. ha ritenuto che tali espressioni costituenti sintesi di giudizi di valore, rappresentati con criteri rispettosi dei canoni della logica e della speculazione astratta ed esternati nel rispetto del canone della continenza e in costanza del requisito della rilevanza sociale dell'argomento costituissero legittimo esercizio del diritto di critica).

Cass. pen. n. 29436/2006

Sussiste la scriminante di cui all'art. 51 c.p. (esercizio del diritto di critica) nella condotta di un giornalista ambientalista che - nel corso di una trasmissione televisiva a difesa dei beni naturali - utilizza l'espressione «uomini squalo» nei confronti dei responsabili di speculazioni edilizie, considerato che, data per accertata la non rispondenza agli strumenti urbanistici dell'opera realizzata, il termine «squalo» ancorché aspro, non è volgare né paragonabile, nel contesto in cui è inserito, all'insulto gratuito o all'invettiva libellistica e nemmeno può considerarsi sproporzionato o sovrabbondante rispetto all'interesse preordinato a risvegliare nonché all'indignazione dovuta alla circostanza che l'autore di tale speculazione - che aveva aggirato le regole a presidio dei valori ambientali - era perdipiù un magistrato.

Cass. pen. n. 29383/2006

In materia di diffamazione, la critica che si manifesti attraverso la esposizione di una personale interpretazione ha valore di esimente, nella ricorrenza degli altri requisiti, senza che possa pretendersi la verità oggettiva di quanto rappresentato, ma da tale requisito non può prescindersi, viceversa, quando un fatto obiettivo sia posto a fondamento della elaborazione critica.

Cass. pen. n. 25875/2006

La diffamazione, che è reato di evento, si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l'espressione ingiuriosa e dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano state immesse sul web, nel momento in cui il collegamento viene attivato.

Cass. pen. n. 19509/2006

In tema di diffamazione, il diritto di critica politica può manifestarsi anche in maniera estemporanea, non essendo necessario che si esprima nelle sedi istituzionali o mediatiche più appropriate. (Nell'affermare tale principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza con la quale il giudice di merito aveva escluso la sussistenza dell'esimente di cui all'art. 51 c.p. perché l'episodio diffamatorio — consistito nel proferire all'indirizzo del Presidente del Consiglio le espressioni ingiuriose — si era svolto nei corridoi di un palazzo di giustizia).

Cass. pen. n. 18090/2006

Non integra gli estremi del delitto di diffamazione (art. 595 c.p.) l'inoltro di un esposto — contenente notizie di una serie di abusi edilizi — alla competente autorità al solo fine di richiederne l'intervento, ancorché i successivi accertamenti non ne confermino la fondatezza.

Cass. pen. n. 16323/2006

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la pubblicazione della rettifica della notizia giornalistica falsa, ex art. 8 L. 8 febbraio 1948, n.47, non riveste efficacia scriminante, in quanto non elimina gli effetti negativi dell'azione criminosa, ma può avere la sola funzione di attenuare la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 12 della legge citata. (Nell'affermare tale principio, la Corte ha altresì escluso in presenza della rettifica l'applicabilità in via analogica del regime previsto per la ritrattazione, trattandosi di istituti con natura e caratteri del tutto diversi).

Cass. pen. n. 9373/2006

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esercizio del diritto di critica pur assumendo necessariamente connotazioni soggettive ed opinabili, in particolare quando, come nella specie, abbia per oggetto lo svolgimento di pubbliche attività di cui si censurino le modalità di esercizio e le disfunzioni e si suggeriscano i provvedimenti da adottare, richiede — unitamente al rispetto del limite della rilevanza sociale e della correttezza delle espressioni usate — che, comunque, le critiche trovino riscontro in una corretta e veritiera riproduzione della realtà fattuale e che, pertanto, esse non si concretino in una ricostruzione volontariamente distorta della realtà, preordinata esclusivamente ad attirare l'attenzione negativa dei lettori sulla persona criticata. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto incensurabile la decisione con cui il giudice di merito ha escluso l'operatività dell'esimente del diritto di critica nei confronti di una giornalista, la quale aveva pubblicato svariati articoli con i quali accusava il presidente di un ente regionale di una «cattiva e allegra gestione» insinuando la sussistenza di illeciti senza che vi fosse la minima prova degli stessi).

Cass. pen. n. 8042/2006

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il concetto di cronaca presuppone la immediatezza della notizia e la tempestività dell'informazione, così che l'esigenza della velocità può comportare un sacrificio, in nome dell'interesse alla notizia, dell'accuratezza della verifica della sua verità e della bontà della fonte. Ciò per contro non deve accadere quando si offre il resoconto di fatti distanti nel tempo, in relazione ai quali è legittimo pretendere una attenta verifica della fonte proprio perché l'accuratezza della ricostruzione corrisponde, in tal caso, all'interesse del pubblico. (Nella fattispecie la Corte ha escluso la sussistenza del diritto di cronaca nell'ipotesi di utilizzazione, da parte del giornalista, della versione data dalla sola «fonte» della notizia — peraltro portatrice di rancore verso la parte lesa — circa fatti accaduti molti anni addietro e meglio verificabili anche dal punto di vista storico).

Cass. pen. n. 7259/2006

La competenza territoriale per i reati di diffamazione con il mezzo della stampa appartiene al giudice del luogo in cui si trova la tipografia dalla quale gli stampati sono usciti per essere distribuiti e messi in circolazione.

Cass. pen. n. 832/2006

In materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare la frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e quindi della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato. (Fattispecie nella quale il giornalista, in un articolo dedicato alle presunte malefatte di una Giunta regionale, aveva riportato la notizia del conferimento di un incarico, da parte di tale Giunta, ad un professionista, il quale poi aveva sporto querela; la Corte ha escluso che nell'articolo fossero dedicati riferimenti offensivi alla figura del querelante).

Cass. pen. n. 45910/2005

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la pubblicazione di una notizia falsa ancorché espressa in forma dubitativa, può ledere l'altrui reputazione allorché le espressioni utilizzate nel contesto dell'articolo siano ambigue, allusive, insinuanti ovvero suggestionanti, e perciò idonee ad ingenerare nella mente del lettore il convincimento della effettiva rispondenza a verità dei fatti narrati, con la conseguenza che tale indagine è rimessa al giudice di merito e se giustificata da adeguata motivazione è incensurabile in sede di legittimità.

Cass. pen. n. 44395/2005

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di cronaca non può oltrepassare i limiti del rispetto della verità e dell'interesse del pubblico a essere informato; in particolare il diritto di critica, che può anche essere non obbiettivo, deve tuttavia sempre corrispondere all'interesse sociale alla comunicazione nei limiti della correttezza del linguaggio. (Nella specie, la Corte ha ritenuto non operante l'esimente nell'ipotesi accuse di corruzione e connivenze con la mafia le quali, formulate con contumelie e ingiurie, proprio per la loro genericità apparentemente prive di fondamento valicavano il limite del diritto di critica).

Cass. pen. n. 34821/2005

In tema di diffamazione a mezzo stampa (art. 595 c.p.), l'esercizio del diritto di critica storica postula l'uso del metodo scientifico che implica l'esaustiva ricerca del materiale utilizzabile, lo studio delle fonti di provenienza e il ricorso ad un linguaggio corretto e scevro da polemiche personali. Ne deriva che il giudice al fine di stabilire il carattere storico dell'opera, oggetto di contestazione, deve accertare l'esistenza — quanto meno sotto forma di indizi certi, precisi e concordanti — delle fonti indicate ed utilizzate dall'autore per esprimere i propri giudizi, con la conseguenza che è illegittima la decisione con cui il giudice di merito pervenga alla affermazione di responsabilità in ordine al delitto di cui all'art. 595 c.p., da un canto, limitando il diritto della difesa alla controprova e, in particolare, impedendole di pervenire alla prova storica dei fatti posti a fondamento della tesi sviluppata nell'opera suddetta e, dall'altro, pervenendo ad una valutazione di offensività di alcune frasi estrapolandole dal contesto (nella specie di circa trecento pagine), il cui vaglio è necessario per pervenire ad un giudizio obiettivo e completo e, quindi, per stabilire se l'opera in contestazione ricada sotto la tutela dell'art. 21 Cost. o sotto quella più ampia dell'art. 33 Cost.

Cass. pen. n. 30879/2005

In tema di diffamazione a mezzo della stampa, deve ritenersi che la critica, contenuta nella specie in un articolo di giornale, al protagonista di una trasmissione televisiva comporta necessariamente l'espressione di giudizi di natura estetica, relativi cioè allo stile dell'esibizione, al buon gusto e all'efficacia del programma. Ne deriva che chiunque decida di esporsi alla televisione (o comunque «sulla piazza mediatica») con modalità tali da offrire alla fruizione del pubblico episodi di vita privata, implicitamente accetta che la critica colpisca anche quei fatti della sfera personale che egli ha deciso di rendere noti (la Corte ha ritenuto che la definizione «sospirosa esibizione» non travalichi il limite del diritto di cronaca, atteso che l'esibizione televisiva era esattamente connotata da toni intenzionalmente melodrammatici).

Cass. pen. n. 30255/2005

In tema di diffamazione attribuita ad un parlamentare, non sussistono i presupposti di fatto per sollevare, da parte dell'A.G., conflitto di attribuzione a fronte di una delibera di insindacabilità emessa, ai sensi dell'art. 68 comma primo della Costituzione, dalla competente Camera, quando la suddetta delibera risulti basata sull'esistenza di un nesso funzionale tra opinione espressa ed attività non genericamente politica bensì parlamentare, anche se le caratteristiche di quest'ultima e di conseguenza quelle dello stesso nesso funzionale non possono essere rigorosamente definite in astratto, in ragione dell'inscindibile legame tra conflitto e singola fattispecie. (In applicazione di tale principio, la Corte, rilevando che anche l'invio di una lettera avente contenuto offensivo — purché strettamente legato alla materia con atti tipici della funzione parlamentare — rientra tra le modalità di espressione della funzione stessa, ha annullato senza rinvio la sentenza di secondo grado,che, non avendo apprezzato «con evidenza» una causa di proscioglimento nel merito, aveva dichiarato l'estinzione per prescrizione del reato di diffamazione, consistita nell'essersi il parlamentare prestato ad una diffusione di una lettera anonima contenente affermazioni diffamatorie nell'ambiente accademico ove il querelante era titolare di cattedra).

Cass. pen. n. 23805/2005

In tema di diffamazione, l'applicazione della scriminante del diritto di critica, pur nell'ambito della polemica tra avversari di contrapposti schieramenti od orientamenti di per sé improntata ad un maggior grado di virulenza, presuppone che la critica sia espressa con argomentazioni, opinioni, valutazioni, apprezzamenti che non degenerino in attacchi personali o in manifestazioni gratuitamente lesive dell'altrui reputazione, strumentalmente estese anche a terreni estranei allo specifico della contesa politica, e non ricorrano all'uso di espressioni linguistiche oggettivamente offensive ed estranee al metodo e allo stile di una civile contrapposizione di idee, oltre che non necessarie per la rappresentazione delle posizioni sostenute e non funzionali al pubblico interesse. Né il travalicamento di tali limiti può ritenersi lecito in ragione della recente comparsa dei protagonisti sulla scena politica, essendo semmai vero che proprio tale novità e l'estrazione di tali soggetti dalla cosiddetta società civile dovrebbero garantirne un più intenso radicamento ai canoni ordinari della critica e della dialettica ed un maggior rispetto delle convenzioni comportamentali praticate nei contesti di provenienza.

Cass. pen. n. 15986/2005

In tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini della configurabilità della scriminante del diritto di cronaca, anche sotto il profilo putativo, occorre avere riguardo alla verità della notizia quale risulta nel momento in cui viene diffusa, con la conseguenza che, nel caso in cui la notizia riguardi un fatto oggetto di denuncia risalente nel tempo — bisognevole di una verifica da parte del giudice e, quindi, suscettibile di modifiche — è necessario che il giornalista verifichi nel momento della sua pubblicazione se siano nelle more intervenute circostanze capaci di avere influito sulla verità del fatto. Pertanto, non sussiste l'esimente del diritto di cronaca, sotto il profilo putativo, allorché sia impossibile per il giornalista attualizzare la verifica della notizia risalente in ragione della inaccessibilità delle nuove fonti informative, coincidenti con gli organi di indagine penale, giacché tale inaccessibilità lungi dal comportare l'abdicazione del dovere di controllo, implica la non pubblicazione della notizia incontrollabile, ovvero la precisazione che la verità del fatto non è stata ancora accertata nella sua sede naturale.

Cass. pen. n. 15643/2005

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'individuazione del soggetto passivo — che incide sulla legittimazione all'esercizio del diritto di querela — deve avvenire, in assenza di un esplicito e nominativo richiamo, attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, di guisa che possa desumersi, con ragionevole certezza, l'inequivoca individuazione dell'offeso, sia in via processuale che come fatto preprocessuale, cioè come piena e immediata consapevolezza dell'identità del destinatario che abbia avuto chiunque abbia letto l'articolo diffamatorio.

Cass. pen. n. 15236/2005

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di critica — i cui limiti scriminanti sono più ampi di quelli relativi al diritto di cronaca — riveste necessariamente connotazioni soggettive ed opinabili quando si svolga in ambito politico, in cui risulta preminente l'interesse generale al libero svolgimento della vita democratica; ne consegue che, una volta riconosciuta la ricorrenza della polemica politica ed esclusa la sussistenza di ostilità e malanimo personale, è necessario valutare la condotta dell'imputato alla luce della scriminante del diritto di critica di cui all'art. 51 c.p.

Cass. pen. n. 12859/2005

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l'esimente, anche putativa, del diritto di cronaca giudiziaria allorché manchi la necessaria correlazione tra il fatto narrato e quello accaduto, il quale implica l'assolvimento dell'obbligo di verifica della notizia e, quindi, l'assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva di quanto esposto, nonché il rigoroso obbligo di rappresentare gli avvenimenti quali sono, senza alterazioni o travisamenti di sorta, risultando inaccettabili i valori sostitutivi, quale quello della verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di innocenza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi. (In applicazione di tale principio la S.C. ha censurato la decisione del giudice di merito che aveva assolto l'imputato — il quale aveva riferito in un articolo pubblicato il giorno dopo il rinvio a giudizio della parte offesa per il reato di omissione di atti d'ufficio, di indebiti vantaggi derivanti dalla mancata tassazione di plusvalenze, che nulla avevano in comune con il reato contestato — in virtù del dubbio circa l'esistenza della scriminante del diritto di cronaca, pur avendo evidenziato che si trattava di articolo connotato da superficialità e, quindi, privo dei necessari controlli nonché dall'intento di pubblicare una notizia scandalistica).

Cass. pen. n. 12807/2005

Non sussiste l'esimente del diritto di critica qualora, nel corso di un dibattito televisivo di natura politica, si attribuisca all'avversario un fatto oggettivamente falso, penalmente rilevante e, pertanto, lesivo della sua reputazione. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure l'affermazione — da parte del giudice di merito — di responsabilità nei confronti dell'imputato che aveva attribuito all'avversario politico, nel corso di una trasmissione televisiva, reati di natura corruttiva e concussoria).

Cass. pen. n. 11950/2005

In materia di diffamazione, il requisito della continenza delle espressioni utilizzate, necessario per la ravvisabilità della esimente di cui all'art. 51 c.p. nella specie del diritto di critica, presenta una sua necessaria elasticità e non è necessariamente escluso dall'uso di un epiteto infamante, dovendo la valutazione del giudice del merito soppesare se il ricorso ad aggettivi o frasi particolarmente aspri sia o meno funzionale alla economia dell'articolo, alla luce della eventuale assoluta gravità oggettiva della situazione rappresentata (fattispecie nella quale il giornalista aveva riferito in ordine a scelte attribuite ad un P.M., circa il trattamento riservato ad un detenuto, definendolo «bestiale e torturatore» in presenza di un procedimento disciplinare concluso con sentenza di condanna).

Cass. pen. n. 4009/2005

Costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, in quanto giustificato dall'interesse pubblico alla conoscenza delle varie reazioni ad un fatto illecito costituito da uno stupro di gruppo, il riferire, da parte del giornalista, mantenendosi in una posizione di obiettiva terzietà, anche le affermazioni, in sè e per sè diffamatorie nei confronti della vittima dello stupro, espresse dai parenti dei presunti autori del fatto.

Cass. pen. n. 49019/2004

In tema di diffamazione, non può ritenersi giustificata dall'esercizio del diritto di critica l'attribuzione ad una ben determinata persona fisica, in assenza di elementi dimostrativi dell'assunto, del ruolo di coautrice «di una delle più grandi operazioni di depistaggio che la Repubblica italiana abbia mai visto», in sè lesiva della reputazione del soggetto cui si riferisce, dal momento che il «depistaggio» costituisce una condotta dolosa che può assumere anche gli estremi della calunnia. (Nella specie, l'accusa di «depistaggio» era stata rivolta dall'imputato, generale dell'Aeronautica militare, alla presidentessa del Comitato delle famiglie delle vittime dell'incidente aereo avvenuto nei pressi di Ustica nel giugno del 1980).

Cass. pen. n. 47452/2004

In tema di diffamazione, la reputazione di una persona che per taluni aspetti sia stata già compromessa può divenire oggetto di ulteriori illecite lesioni in quanto elementi diffamatori aggiunti possono comportare una maggiore diminuzione della reputazione della persona offesa nella considerazione dei consociati. (Fattispecie nella quale, alla notizia, vera, della sottoposizione di una maestra elementare a procedimento penale per reati di pedofilia, era stata aggiunta quella, falsa, che la stessa era stata sottoposta a perizia psichiatrica. La Corte di cassazione ha ritenuto manifestamente illogico il ragionamento della Corte territoriale secondo cui la sottoposizione a perizia psichiatrica di una persona imputata comporterebbe una riabilitazione della stessa).

Cass. pen. n. 46193/2004

In tema di diffamazione a mezzo stampa, quando il comportamento di una persona, essendo contrassegnato da ambiguità, sia suscettibile di più interpretazioni, tutte connotate in negativo sotto il profilo etico-sociale e giuridico, ricorre la scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca e di critica a favore del giornalista che abbia operato la ricostruzione di una determinata vicenda sulla scorta dei dati in suo possesso e di quelli contenuti in un provvedimento giudiziario, quando sia rimasta dimostrata come vera una condotta del presunto diffamato di rilevanza penale e riprovevole non sostanzialmente meno di quella rappresentata dal giornalista:in tal caso, infatti, il bilanciamento tra il diritto costituzionalmente garantito alla libera manifestazione del pensiero e l'interesse della parte alla tutela della propria reputazione non può subire un trattamento diverso, per la sostanziale persistente compromissione della reputazione a causa degli eventi veri comunque rappresentati. (Fattispecie relativa ad un articolo di stampa in cui, nel descrivere un episodio di cronaca relativo all'aggressione di un cane subita da un bambino, era stato riportato che il proprietario dell'animale, anziché soccorrere il bambino, lo aveva colpito con calci e pugni. La S.C. ha ritenuto che correttamente il provvedimento aveva affermato l'esistenza della scriminante risultando dagli atti l'aggressione al minore da parte del proprietario del cane ed ha così rigettato il ricorso del P.G. che aveva impugnato la sentenza di assoluzione, non sul rilievo della inadeguatezza della prova fornita dall'imputato ma sostenendo che la condotta del protagonista della narrazione sarebbe stata meno grave di quella menzionata dal giornalista).

Cass. pen. n. 42643/2004

In tema di diritto di cronaca e di satira, ciò che determina l'abuso del diritto è la gratuità delle modalità del suo esercizio non inerenti al tema apparentemente in discussione, ma tese a ledere esclusivamente la reputazione del soggetto interessato. (Fattispecie in cui la Corte ha censurato l'uso di immagini delle parti intime del soggetto donna destinataria del servizio, carpite fraudolentemente nel corso di una manifestazione pubblica, intese a screditare la stessa, mediante l'evocazione di una sua inadeguatezza personale, rispetto alla funzione pubblica svolta, in quanto contrapposte alle uniche effettive qualità desumibili dalla visione delle sue parti intime).

Cass. pen. n. 37435/2004

In tema di diffamazione a mezzo stampa, integra l'esimente putativa dell'esercizio del diritto di cronaca (art. 51 c.p.) il controllo della notizia attraverso il riferimento a fonti di sicura qualità ed affidabilità, che trova attuazione allorché il giornalista prima di pubblicare la notizia di un determinato fatto, avente natura di pubblico interesse, provveda ad intervistare in ordine allo stesso un soggetto particolarmente qualificato, in virtù della qualità istituzionale rivestita, il quale, nell'esprimere la propria opinione dia implicitamente per pacifico il fatto stesso; in tal caso, il riferimento a fonte attendibile e autorevole rappresenta, infatti, attuazione dell'obbligo di controllo sulla verità della notizia percepita, quale esigibile dal giornalista, e correlativamente integra - sussistendo gli altri requisiti della pertinenza e della continenza - gli estremi di un incolpevole ed involontario errore percettivo del giornalista sulla corrispondenza al vero del fatto esposto che determina l'esenzione da responsabilità. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto integrata l'esimente di cui all'art. 51 c.p. nella pubblicazione di un fatto non vero e oggettivamente offensivo - nei confronti di un procuratore della Repubblica - il quale era stato considerato come pacifico da un soggetto istituzionale, intervistato dal giornalista nella sua qualità di relatore della Commissione bicamerale sui problemi della giustizia).

Cass. pen. n. 36283/2004

In tema di diffamazione a mezzo stampa (art. 595 c.p.), non ricorre l'esimente del diritto di cronaca nel caso in cui si pubblichi una notizia in sé vera, relativa ad un grave fatto di sangue, corredandola della foto di una persona estranea ad esso, in quanto l'ambito di operatività di detta esimente è circoscritto al contenuto dell'articolo ovvero a fatti di cronaca diligentemente e professionalmente valutati nella loro verità, e non può certamente estendersi sino ad escludere l'antigiuridicità del fatto ulteriore consistito nella pubblicazione della foto sbagliata, la cui capacità lesiva è indubbia ed, in quanto tale, idonea ad integrare l'elemento oggettivo del delitto di diffamazione.

Cass. pen. n. 31728/2004

In tema di diffamazione commessa mediante scritti (art. 595 c.p.), sussiste il requisito della comunicazione con più persone, necessario per integrare il reato, anche quando le espressioni offensive siano comunicate ad una sola persona ma destinate ad essere riferite almeno ad un'altra persona, che ne abbia poi effettiva conoscenza. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto sussistente il requisito della «comunicazione con più persone» in una lettera inviata dal presidente di un Tribunale ad un presidente della Corte di appello — nella quale si esprimevano valutazioni offensive nei confronti di due sostituti dello stesso Tribunale — la quale, ancorché inviata in doppia busta chiusa con la dicitura «riservata personale» conteneva la sollecitazione di inoltrare tale comunicazione ad altra autorità, inoltro poi effettivamente avvenuto).

Cass. pen. n. 28661/2004

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non costituisce esercizio legittimo del diritto di critica la gratuita attribuzione di mala fede a chi conduce indagini giudiziarie, presentando come risultato di complotti o di strategie politiche l'opera del pubblico ministero, perché in tal caso non si esprime un dissenso, più o meno fondato e motivato, sulle scelte investigative, ma si afferma un fatto che deve essere rigorosamente provato.

Per l'individuazione del soggetto passivo del reato di diffamazione a mezzo stampa, in mancanza di indicazione specifica, è sufficiente il riferimento inequivoco a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto.

Cass. pen. n. 24709/2004

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la configurabilità dell'esimente del diritto di critica o di cronaca,con la necessaria correlazione fra quanto è stato narrato e ciò che è realmente accaduto, importa l'inderogabile necessità di un assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva di quanto riferito, risultando inaccettabile il valore sostitutivo della verosimiglianza. (Fattispecie in cui è stata esclusa la sussistenza dell'esimente essendo stato attribuito in modo non corrispondente al vero alla P.O. il tentativo di condizionare indebitamente l'operato del sindaco e dell'amministrazione comunale, attuato anche mediante un accordo elettorale di natura corruttiva).

Cass. pen. n. 19334/2004

In tema di diffamazione a mezzo stampa, è configurabile l'esimente del diritto di critica (distinto e diverso da quello di cronaca) quando il discorso giornalistico abbia un contenuto esclusivamente valutativo e si sviluppi nell'alveo di una polemica intensa e dichiarata, frutto di opposte concezioni, su temi di rilevanza sociale, senza trascendere ad attacchi personali finalizzati all'unico scopo di aggredire la sfera morale altrui, non richiedendosi neppure — a differenza di quanto si verifica con riguardo al diritto di cronaca — che la critica sia formulata con riferimento a precisi dati fattuali, sempre che il nucleo ed il profilo essenziale di questi non siano strumentalmente travisati e manipolati. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto la sussistenza della scriminante in un caso in cui il giornalista, nel recensire criticamente un libro scritto da un noto magistrato, in dichiarato dissenso di fondo dalla sua impostazione, aveva tra l'altro affermato che il detto magistrato si era «gloriato di non rispettare le leggi» e aveva espresso l'opinione che la presunzione d'innocenza prevista dalla Costituzione fosse «un concetto sbagliato e da abolire»).

Cass. pen. n. 15595/2004

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la valutazione del carattere di critica e di satira di un articolo costituisce in linea di massima l'oggetto di una valutazione insindacabile da parte della Corte di cassazione, purché i criteri di valutazione adottati dal giudice di merito risultino corretti.

Cass. pen. n. 4568/2004

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non ricorre l'esimente di cui all'art. 51 del c.p., nell'ambito dell'esercizio specifico del diritto di cronaca giudiziaria, quando il giornalista si discosti dalla verità obiettiva dei fatti riferiti, alterando e modificando in senso diffamatorio le notizie riferite dalle fonti ufficiali, posto che, in tale ambito, il limite costituito dalla verità del fatto narrato — fermo restando il rispetto dei canoni della pertinenza e della continenza — deve avere un riscontro fenomenologico nella realtà obiettiva, in quanto nei confronti di tali accadimenti il giornalista si pone come semplice intermediario tra il fatto e l'opinione pubblica, nel senso che insieme al diritto — dovere di informare vi è quello dei cittadini ad essere correttamente informati. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto integrato il reato di cui all'art. 595 c.p. nella pubblicazione di un articolo che addebitava al soggetto passivo specifiche condotte costituenti reato, nonché il coinvolgimento in una organizzazione criminale legata a mafia e camorra, mentre le fonti ufficiali non avevano precisato le imputazioni addebitate a ciascuno degli imputati, attenendosi a informazioni del tutto generali e generiche).

Cass. pen. n. 46226/2004

Integra l'ipotesi di reato di cui all'art. 57 c.p. la condotta del direttore responsabile di un quotidiano il quale autorizzi la pubblicazione di una lettera, apparentemente firmata da un comune cittadino, dal contenuto denigratorio nei confronti di amministratori comunali, accusati di una serie di illeciti di rilievo penale, omettendo di controllare se sia stata fatta una verifica non solo sulla fondatezza delle affermazioni in essa contenuta, ma sulla stessa esistenza del mittente e sulla riferibilità allo stesso dello scritto fatto pervenire al periodico. (Nella specie, la missiva pubblicata era stata disconosciuta dall'apparente mittente).

Non commette il delitto di diffamazione a mezzo stampa per una lettera pubblicata su un giornale, contenente offese e accuse penalmente rilevanti ad alcuni amministratori comunali, il giornalista che ricevuta la missiva, apparentemente firmata e a lui non diretta, si sia limitato a “girarla” alla redazione della sua testata giornalistica, in quanto la decisione della pubblicazione non rientra tra i suoi compiti, ma nei poteri dei responsabili del quotidiano.

Cass. pen. n. 30819/2003

Integra l'elemento obiettivo del reato di diffamazione, sotto il profilo della comunicazione con più persone, l'invio a mezzo di un telefax di missiva contenente espressioni lesive dell'altrui reputazione, poiché le caratteristiche e la natura del mezzo prescelto implicano la conoscenza o conoscibilità del contenuto della comunicazione da parte di un numero indeterminato di persone. (Fattispecie relativa alla spedizione via fax di una missiva, da parte di un componente della giunta provinciale, al segretariato generale della Provincia interessata, in esito alla quale numerosi soggetti avevano di fatto preso cognizione del relativo contenuto).

Cass. pen. n. 19827/2003

Poiché il delitto di diffamazione commesso dal giornalista con il mezzo della stampa rappresenta l'evento del reato colposo attribuibile al direttore responsabile, ai sensi dell'art. 57 c.p., la condotta omissiva di quest'ultimo consiste specificamente nel non aver attivato i dovuti controlli per evitare che — col mezzo della stampa e sul periodico da lui diretto — si ledesse dolosamente la reputazione di terze persone; ne consegue che, se il delitto di cui all'art. 595 comma terzo c.p. non risulta essere stato consumato per carenza dell'elemento psicologico, la fattispecie colposa omissiva prevista a carico del direttore non può trovare applicazione.

Cass. pen. n. 32364/2002

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la pubblicazione di un'intervista-rettifica alla persona offesa, che costituisce espressione dell'obbligo, penalmente sanzionato, di ristabilire prontamente la verità (ex art. 8 L. 8 febbraio 1948, n. 47), non riveste efficacia scriminante con riguardo alla diffusione della precedente notizia diffamatoria.

Cass. pen. n. 29880/2002

In tema di diffamazione addebitata a soggetto investito di mandato parlamentare, deve escludersi che le prerogative connesse a tale mandato, con particolare riguardo a quella dell'insindacabilità delle opinioni, stabilita dall'art. 68 Cost., possano estendersi fino a coprire le affermazioni rese nel corso di interviste giornalistiche, atteso che, pur volendosi ritenere che l'esercizio del mandato parlamentare non sia circoscritto al solo ambito materiale istituzionalmente preposto allo svolgimento delle relative funzioni, la sfera delle guarentigie non può comunque riguardare l'attribuzione di fatti particolari, lesivi dell'onorabilità di terzi, al di fuori di qualsivoglia nesso pertinenziale con l'esercizio delle ordinarie attribuzioni ordinamentali. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto che l'affermazione, contenuta in una intervista resa da un parlamentare ad un organo di stampa, secondo cui un altro parlamentare suo collega sarebbe stato uso ad andare in giro armato nei locali della Camera di appartenenza sarebbe stata, di per sé, idonea a rendere configurabile il reato di diffamazione se, nella specie, essa non fosse stata invece giustificata dalla legittima finalità di meglio accreditare la riconosciuta esistenza di comportamenti minacciosi effettivamente subiti dall'intervistato, per ragioni politiche, ad opera del collega cui egli si riferiva). (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 16195/2002

In tema di diffamazione attribuita ad un parlamentare, non sussistono i presupposti di fatto per sollevare, da parte dell'A.G., conflitto di attribuzione a fronte di una delibera di insindacabilità emessa, ai sensi dell'art. 68 comma primo della Costituzione, dalla competente Camera, quando la suddetta delibera risulti basata sul presupposto che l'imputato, pur al di fuori delle sedi istituzionali e non riportando esattamente quanto già esposto in dette sedi, abbia reso le dichiarazioni obiettivamente diffamatorie, nell'ambito dell'attività legittimamente volta a coltivare, con comizi, assemblee, dibattiti radiofonici o televisivi, il rapporto con i cittadini, allo scopo di ottenerne consenso per le sue iniziative politiche. (In applicazione di tale principio, la Corte — rilevando che, nella delibera di insindacabilità, era stato evidenziato che l'imputato, in Parlamento, si era reso promotore di iniziative volte a limitare i poteri della Magistratura inquirente ed aveva formulato censure in relazione ad ipotizzate interferenze di magistrati nella attività politica — ha annullato senza rinvio la sentenza di secondo grado, che aveva confermato la condanna dell'imputato, per diffamazione consistita nell'avere egli, nel corso di due trasmissioni televisive, accusato un procuratore della Repubblica di operare secondo logiche partitiche e di costruire «teoremi» politico-giudiziari).

Cass. pen. n. 15176/2002

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esercizio del diritto di cronaca non può ritenersi fedele al requisito della veridicità dei fatti qualora la ricostruzione degli avvenimenti avvenga in modo da travisare la consecuzione degli stessi, omettendo il riferimento di fatti rilevanti nella proposizione delle notizie e, per contro, proponendone taluni in una luce artificiosamente emblematica, al di là della loro obiettiva rilevanza, in modo da tentare di indirizzare il giudizio del lettore.

Cass. pen. n. 15174/2002

I limiti espressivi entro i quali il diritto di critica deve essere esercitato, non possono essere tanto stretti da pregiudicare il concreto esercizio del diritto stesso. L'uso di un termine intrinsecamente comparativo, non può essere, in sè, considerato esorbitante dai suddetti limiti, in quanto la comparazione e il raffronto sono strumenti irrinunciabili proprio per l'articolazione della critica. (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 10135/2002

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esercizio della critica per assumere rilievo scriminante nei confronti di un'offesa deve essere esercitato nei limiti del diritto costituzionalmente garantito, sicché restano ugualmente punibili le espressioni inutilmente volgari, umilianti o dileggianti. Ne consegue che l'idoneità psichica di un soggetto, sebbene possa rappresentare legittimo tema di discussione nell'ambito di una controversia giudiziaria, non può essere assunto come oggetto di dibattito sulla stampa d'informazione per l'esigenza fondamentale di tutelare la riservatezza di dati ed informazioni, attinenti alla salute ed alla sfera sessuale dei singoli, che rientrano nell'ambito della tutela prevista per i dati sensibili dall'art. 22 della legge 675 del 1996. (Nella specie la Corte ha ritenuto corretta la decisione di merito secondo cui aveva valicato i limiti del diritto di critica la dichiarazione di un soggetto il quale aveva criticato una decisione del giudice che aveva affidato alla moglie il figlio affermando che, secondo gli psichiatri interpellati nel corso del giudizio, la donna era «una border-line che ha fatto i soldi con la perversione sessuale, una instabile e narcisista»).

Cass. pen. n. 4462/2002

In tema di diffamazione a mezzo stampa non è configurabile la scriminante del diritto di cronaca per il solo fatto che il contenuto dell'articolo diffamatorio sia riproduttivo di un'arringa difensiva svolta in sede dibattimentale poiché nel processo l'esposizione di fatti obiettivamente lesivi dell'altrui reputazione è scriminata dall'esercizio del diritto di difesa mentre la pubblicazione sulla stampa degli stessi fatti può perdere il carattere dell'illiceità solo se giustificata dall'interesse generale alla conoscenza della notizia e se questa sia riportata in termini corretti, precisi e non ambigui. Ne consegue che in assenza di dette condizioni la pubblicità del dibattimento non può valere di per sé a legittimare la pubblicazione della notizia in quanto la possibilità di presenziare allo svolgimento del giudizio da parte di un numero più o meno ampio di persone non può essere equiparata alla divulgazione della notizia, col mezzo della stampa, ad un numero indeterminato di lettori.

Cass. pen. n. 1188/2002

In tema di diffamazione a mezzo stampa, le espressioni denigratorie dirette nei confronti di singoli appartenenti ad un'associazione od istituzione possono, al contempo, aggredire anche l'onorabilità dell'entità collettiva cui essi appartengono, entità alla quale, conseguentemente, anche compete la legittimazione ad assumere la qualità di soggetto passivo di delitti contro l'onore. Ne consegue che, quando l'offesa assume carattere diffusivo (nel senso che essa viene ad incidere sulla considerazione di cui l'ente gode nella collettività), detto ente, al pari dei singoli soggetti offesi, è legittimato alla presentazione della querela ed alla successiva costituzione di parte civile e ad esso compete eventualmente la facoltà di proporre impugnazione nelle ipotesi particolari previste dall'art. 577 c.p.p. (Fattispecie in cui è stata riconosciuta la qualità di persona offesa - con possibilità di costituirsi parte civile e di proporre la impugnazione sopra specificata - ad un Consiglio dell'ordine degli avvocati, avendo il giornalista formulato giudizi negativi e denigratori nei confronti di «migliaia di avvocati», appartenenti al predetto ente, ed avendone indicati alcuni come «manutengoli della camorra»).

Cass. pen. n. 45163/2001

In tema di diffamazione, le espressioni utilizzate nell'ambito della c.d. “critica politica” assumono naturalmente connotazioni soggettive ed opinabili, in quanto si confrontano varie concezioni contrapposte per il raggiungimento di fini pubblici. Ne consegue che, in tale contesto, la valutazione dei comportamenti e dei giudizi fortemente critici nei confronti degli avversari politici deve essere compiuta tenendo presente il preminente interesse generale al libero svolgimento della vita democratica. (Nella specie la Corte ha ritenuto che le frasi “comportamenti irresponsabili” e “vecchie logiche” rivolte in un manifesto politico al contrapposto schieramento, fossero espressione del diritto di critica politica da considerarsi non punibile ai sensi dell'art. 51 c.p.).

Cass. pen. n. 43483/2001

In tema di diffamazione commessa col mezzo della stampa, ai fini della sussistenza della scriminante del diritto di cronaca nell'ipotesi in cui una serie di fatti venga attribuita ad un gruppo di persone, perché possa dirsi soddisfatto il principio del rispetto della verità obiettiva occorre che sia specificato a quali di tali persone i singoli episodi vengono attribuiti per intero ed a quali in modo parziale, determinandosi altrimenti nel destinatario della notizia la falsa impressione che ad ognuno dei soggetti indicati i fatti sono stati attribuiti nel loro insieme. (Fattispecie in cui era stata diffusa la notizia che un gruppo di persone era indagato per associazione per delinquere finalizzata alla truffa ed altri reati, mentre la persona offesa, pur nell'ambito dello stesso procedimento, era in realtà indagato solo per il reato di utilizzo di false fatture).

Cass. pen. n. 43451/2001

In tema di diffamazione col mezzo della stampa, sussiste la scriminante del diritto di cronaca nell'ipotesi in cui il curatore di un libro antologico, allo scopo di rendere e descrivere fedelmente il contesto socio-culturale cui gli autori dei testi appartengono, riporti e divulghi espressioni forti e pungenti, anche obiettivamente offensive, a condizione che i predetti brani, secondo la motivata opinione del giudice di merito, siano espressivi del patrimonio culturale e delle modalità comunicative di una certa realtà sociale, la cui conoscenza sia di interesse per la collettività. (Fattispecie relativa ad una raccolta di temi di bambini delle classi elementari, uno dei quali conteneva espressioni offensive nei confronti di un soggetto più volte apparso in programmi televisivi).

Cass. pen. n. 43450/2001

Integra il delitto di diffamazione con il mezzo della stampa la condotta del cronista che, nel dare notizia di una operazione di polizia giudiziaria, riporti solo una delle ipotesi investigative illustrate dagli inquirenti nel corso di conferenza stampa appositamente indetta.

Cass. pen. n. 41135/2001

In tema di diffamazione a mezzo stampa, poiché non può ritenersi di per sè attendibile la confidenza di un ufficiale di polizia giudiziaria, il cronista, che raccolga, al di fuori delle comunicazioni ufficiali fornite nel corso di una conferenza stampa, ulteriori notizie relative ad attività di indagine, deve assumersi l'onere di verificarle direttamente e di dimostrarne la pubblica rilevanza. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che avevano ravvisato la sussistenza del delitto di diffamazione in un'ipotesi in cui il giornalista aveva riferito nell'articolo la falsa notizia, appresa nel corso di colloqui informali con un operatore di polizia giudiziaria, del ritrovamento di reperti archeologici sospetti nella casa di un indagato).

Cass. pen. n. 38448/2001

In tema di diffamazione, non può trovare applicazione la scriminante del diritto di critica quando, pur nell'ambito di una competizione politica, la condotta dell'agente trasmodi in aggressioni gratuite, non pertinenti ai temi in discussione ed integranti invece l'utilizzo di argumenta ad hominem, intesi a screditare l'avversario mediante la evocazione di una sua presunta indegnità od inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni. (Fattispecie nella quale, in occasione della campagna elettorale per la rinnovazione dell'amministrazione comunale, il sindaco «uscente» aveva indicato alcuni candidati della lista avversaria come «bugiardi, in quanto incapaci di aprire bocca senza dire menzogne», nonché come «stolti» ed «appartenenti ad una banda di denigratori»).

Cass. pen. n. 37140/2001

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la condotta del giornalista che pubblicando il testo di un'intervista, vi riporti, anche se “alla lettera”, dichiarazioni del soggetto intervistato di contenuto oggettivamente lesivo dell'altrui reputazione, non è scriminata dall'esercizio del diritto di cronaca, in quanto al giornalista stesso incombe pur sempre il dovere di controllare veridicità delle circostanze e continenza delle espressioni riferite. Tuttavia, essa è da ritenere penalmente lecita, quando il fatto in sé dell'intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al più generale contesto in cui le dichiarazioni sono rese, presenti profili di interesse pubblico all'informazione tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo e da giustificare l'esercizio del diritto di cronaca, l'individuazione dei cui presupposti è riservata alla valutazione del giudice di merito che, se sorretta da adeguata e logica motivazione sfugge al sindacato di legittimità.

Cass. pen. n. 36348/2001

In tema di diffamazione con il mezzo della stampa, non sussiste l'esimente del diritto di satira nella rappresentazione caricaturale e ridicolizzante di alcuni magistrati posta in essere allo scopo di denigrare l'attività professionale da questi svolta, attraverso l'allusione a condotte lesive del dovere funzionale dell'imparzialità che, in ragione della previsione costituzionale che ne impone la soggezione solo alla legge, ha come destinatari anche i magistrati del pubblico ministero. (Fattispecie relativa a un «pezzo giornalistico» di costume, con «taglio» satirico ove, accanto a rappresentazioni caricaturali dei tratti fisionomici dei magistrati interessati, si faceva trapelare lo svolgimento di attività istituzionali svolte per finalità persecutorie in danno di appartenenti ad una formazione politica).

Cass. pen. n. 34544/2001

È configurabile il reato di diffamazione a mezzo stampa qualora si dia falsamente notizia che taluno è stato raggiunto da un avviso di garanzia mentre è stato soltanto iscritto nel registro delle notizie di reato come persona sottoposta a indagini.

Cass. pen. n. 32447/2001

In tema di diffamazione con il mezzo della stampa, perché sia integrato il dolo in capo a chi ha concesso un'intervista non è necessario un consenso specifico alla pubblicazione della notizia diffamatoria in quanto la stessa concessione dell'intervista presuppone, salvo prova del contrario, il consenso alla diffusione delle notizie fornite all'intervistatore nel corso dell'incontro.

Cass. pen. n. 31957/2001

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'erronea convinzione circa la rispondenza al vero del fatto riferito non può mai comportare l'applicazione della scriminante del diritto di cronaca (sotto il profilo putativo) quando l'autore dello scritto diffamante non abbia proceduto a verifica, compulsando la fonte originaria; ne consegue che, nell'ipotesi in cui una simile verifica sia impossibile (anche nel caso in cui la notizia possa esser ritenuta «verosimile» in relazione alle qualità personali dell'informatore), il giornalista che intenda comunque pubblicarla accetta il rischio che essa non corrisponda a verità.

Cass. pen. n. 10382/2001

In tema di correlazione fra contestazione e sentenza, non integra gli estremi del «fatto diverso» la circostanza che la persona offesa dal reato di diffamazione a mezzo stampa sia stata, nel decreto che dispone il giudizio, indicata in proprio, piuttosto che con riferimento alla carica pubblica rivestita. È dunque abnorme, perché si colloca al di fuori dello schema legale delineato dal sistema, e pertanto ricorribile per cassazione, l'ordinanza con la quale il giudice, ai sensi del secondo comma dell'art. 521 c.p.p., disponga la restituzione degli atti al P.M. In motivazione, la corte ha chiarito che il fatto, inteso come episodio storicamente verificatosi rimaneva assolutamente certo ed immutato e che nessuna lesione o compressione aveva subito il diritto di difesa.

Cass. pen. n. 10337/2001

Non esula dai limiti del legittimo esercizio del diritto di cronaca, e non può quindi dar luogo a giudizio di responsabilità per il reato di diffamazione, la condotta di un giornalista il quale, in un articolo di cronaca, abbia definito come «santone» dedito a «fatture di maledizione» un soggetto al quale, in un comunicato degli organi di polizia in cui si dava notizia, tra l'altro, del suo avvenuto arresto, nell'ambito di indagini volte a contrastare fenomeni di sfruttamento della prostituzione di donne provenienti dalla Nigeria, veniva attribuita l'effettuazione di rituali magici finalizzati a far credere alle suddette donne che esse sarebbero state esposte alla «vendetta degli spiriti» in caso di disobbedienza.

Cass. pen. n. 10331/2001

L'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca (art. 51 c.p.), relativa al reato di diffamazione commesso con il mezzo della stampa, va esclusa quando il giornalista non abbia rispettato la verità della notizia, per aver esasperato e travisato i fatti riferiti, oggetto di decreto che dispone il giudizio, con una arbitraria e fantasiosa ricostruzione, per dare agli stessi una dimensione artatamente drammatica e sensazionale.

Cass. pen. n. 4741/2000

Il reato di diffamazione è configurabile anche quando la condotta dell'agente consista nella immissione di scritti o immagini lesivi dell'altrui reputazione nel sistema “internet”, sussistendo, anzi, in tal caso, anche la circostanza aggravante di cui all'art. 595, comma terzo, c.p. In detta ipotesi, qualora l'immissione sia avvenuta all'estero, trova applicazione, ai fini della perseguibilità del reato in Italia, la regola dettata dall'art. 6, comma secondo, c.p., dovendosi intendere come “evento” del reato la percezione del messaggio diffamatorio nel territorio nazionale da parte di una indistinta generalità di soggetti abilitati ad accedere al sistema “internet”, nulla rilevando che tra costoro vi sia o possa esservi lo stesso soggetto diffamato.

Cass. pen. n. 11958/2000

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il direttore dimissionario del periodico può ritenersi esonerato dalla responsabilità penale derivante dalla pubblicazione di un articolo diffamatorio solo quando alle dimissioni si accompagni l'effettiva cessazione delle funzioni inerenti all'incarico ricoperto. (Nella specie la Corte ha ritenuto che le dimissioni del direttore non fossero di per sè idonee ad affermare o ad escludere la sua responsabilità penale, ma che occorresse accertare, da parte dei giudici di merito, la violazione concreta del dovere di controllo sulla pubblicazione e quindi verificare se, indipendentemente dalle dimissioni, il direttore avesse o meno continuato di fatto ad esercitare le sue mansioni in seno al giornale).

Cass. pen. n. 11881/2000

Integra gli estremi del reato di diffamazione (art. 595 c.p.) l'attribuzione a taluno del fatto di raccogliere materiale pornografico — senza che sia precisato il ruolo e lo scopo che ne giustifichino la ragione — effettuata mediante la pubblicazione di un falso annuncio pubblicitario su un periodico di informazione tecnologica.

Cass. pen. n. 11221/2000

Costituisce diffamazione l'attribuzione, in uno scritto giornalistico, ad un magistrato inquirente nominativamente individuato, di una condotta qualificata come «gestione disinvolta e politica dei pentiti». Ciò equivale infatti a dire che il magistrato fa un uso distorto, per fini di interesse politico, dei poteri a lui conferiti dalla legge. E non può, al riguardo, neppure invocarsi la scriminante dell'esercizio del diritto di critica, facendo difetto, per un verso, la possibilità di enucleare da un'affermazione come quella anzidetta eventuali aspetti di verità e connotandosi, per altro verso, l'affermazione stessa per l'uso di un tono aggressivo e denigratorio esulante, come tale, dai limiti della correttezza formale entro i quali il diritto anzidetto deve comunque essere esercitato.

Cass. pen. n. 8635/2000

In tema di diffamazione a mezzo stampa, perché possa ritenersi operante la scriminante del diritto di critica, pur essendo certamente consentito, nei riguardi di soggetti investiti di pubbliche funzioni, il ricorso ad un linguaggio più pungente ed incisivo, occorre comunque che il fatto narrato sia vero, che sia correttamente riferito e che sia pertinente al potenziale interesse dell'opinione pubblica. (Fattispecie in cui la Suprema Corte, rilevando che, per quanto si leggeva nella sentenza di appello, non era stata minimamente fornita la prova della rispondenza al vero delle accuse formulate a carico di un sindaco, cui veniva addebitato lo scorretto utilizzo di fondi pubblici, ha ritenuto generiche e non riscontrate le accuse formulate dal giornalista e, stimandole obiettivamente offensive, ha rigettato il ricorso dell'imputato, che aveva invocato l'esercizio del diritto di critica).

Cass. pen. n. 7499/2000

In tema di diffamazione il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca essenzialmente in quanto il primo non si concretizza, come l'altro, nella narrazione di fatti, bensì nell'espressione di un giudizio o, più genericamente, di un'opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su un'interpretazione, necessariamente soggettiva, di fatti e di comportamenti. Non si tratta dunque di valutare la veridicità di proposizioni assertive, per le quali possa configurarsi un onere di previo riscontro della loro rispondenza al vero, quanto piuttosto di stimare la correttezza delle espressioni usate. (Nella fattispecie, relativa ad una polemica tra alcuni lavoratori e un dirigente di azienda, la Corte ha ritenuto che le espressioni «intimidatorio» e «mascalzonata» riferite ad un preteso comportamento discriminatorio nei confronti di un lavoratore, perdessero, una volta contestualizzate e filtrate attraverso i moduli espressivi nel linguaggio sindacale, l'impatto diffamatorio oggettivo rimanendo invece, sotto il profilo dei contenuti polemici cui davano espressione, all'interno dei confini del diritto di critica).

Cass. pen. n. 7498/2000

In tema di diffamazione a mezzo stampa, con riferimento alla pubblicazione di un'intervista, il giornalista non può limitare il suo intervento a riprodurre esattamente e diligentemente quanto riferito dall'intervistato, soltanto perché le eventuali dichiarazioni possono interessare la pubblica opinione, ma deve altresì (a parte la loro falsità), accertare che non difetti il requisito della continenza e, cioè, che esse non consistano in insulti ovvero in espressioni gratuite, non necessarie, volgari, umilianti o dileggianti, ovvero siano affermazioni in sè diffamatorie. In tali casi, il giornalista, sia perché ha creato l'evento «intervista», sia perché ha formulato, d'accordo o meno con il dichiarante, domande allusive, suggestive o provocatorie, che presuppongono determinate risposte assumendo come propria la prospettiva di quest'ultimo, con la loro propalazione diviene o dissimulato coautore delle eventuali dichiarazioni diffamatorie ovvero strumento consapevole di diffamazione altrui. Deve pertanto ritenersi che non sussiste un «dovere» del giornalista di riportare fedelmente le dichiarazioni rese da un soggetto pubblico, anche se le stesse integrino gli estremi della contumelia; al contrario, all'interesse pubblico alla conoscenza sono estranee quelle «notizie» distolte dal fine della formazione della pubblica opinione e volte, invece a soddisfare — attraverso la violazione della sfera morale dei singoli — la curiosità del pubblico anche con il riferire fatti costituenti chiaro pettegolezzo ed offesa in ogni caso inutile, in quanto non pertinente alla notizia.

Cass. pen. n. 2128/2000

In materia di diffamazione a mezzo stampa, se può dunque affermarsi, in via di principio, che la aperta inverosimiglianza dei fatti espressi in forma satirica esclude la loro capacità di offendere la reputazione e dunque che la satira è incompatibile col metro della verità, essa non si sottrae invece al limite della continenza, poiché comunque rappresenta una forma di critica caratterizzata da particolari mezzi espressivi. Ne consegue che, come ogni altra critica, la satira non sfugge al limite della correttezza, onde non può essere invocata la scriminante ex art. 51 c.p. per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell'immagine in modo da suscitare disprezzo o dileggio. Pertanto, pur dovendosi valutare meno rigorosamente le espressioni della satira sotto il profilo della continenza non di meno la satira stessa, al pari di qualsiasi altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali, esponendo la persona al disprezzo e al ludibrio della sua immagine pubblica.

Cass. pen. n. 5738/2000

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la valutazione della portata diffamatoria di un articolo deve essere effettuata prendendone in esame l'intero contenuto, sia sotto il profilo letterale sia sotto il profilo delle modalità complessive con le quali la notizia viene data, potendo assumere significato decisivo, tra l'altro, anche l'esame del titolo. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto che l'omesso esame dell'intero contenuto narrativo della pubblicazione da parte del giudice di merito si è tradotto in un vizio della motivazione con riflessi sulla ritenuta esimente del diritto di cronaca).

Cass. pen. n. 4678/2000

In tema di diffamazione addebitata ad un soggetto rivestente la qualifica di parlamentare, la non perseguibilità del soggetto per le opinioni espresse richiede che tali opinioni siano strettamente connesse con la funzione pubblica esercitata. Detta funzione può ovviamente essere espletata anche al di fuori delle aule del Parlamento e può certamente consistere nella attività politica che si svolge nel corso di un comizio, durante il quale il deputato illustrati le sue iniziative parlamentari e ricerchi, per la buona riuscita delle stesse, il sostegno dei cittadini. Invero, il momento di mediazione tra la istituzione parlamentare e l'opinione pubblica o il corpo elettorale, cui il politico deve rendere conto, deve ritenersi strettamente connesso alla funzione parlamentare e, quindi, tutelata dalla causa di non punibilità di cui all'art. 68 comma 1 della Costituzione. (Fattispecie in cui, nel corso di un comizio, un deputato aveva adoperato espressioni ingiuriose a carico di magistrati impegnati, in Sicilia, nell'azione di contrasto alla criminalità mafiosa. Nello stesso periodo temporale, l'uomo politico aveva formulato più interrogazioni parlamentari, criticando la gestione, da lui ritenuta non corretta, della Procura di Palermo. La Suprema Corte, nell'enunciare il principio di diritto sopra riportato, ha ravvisato nel comportamento dell'imputato una attività volta alla ricerca del consenso popolare necessario per sostenere le sue iniziative parlamentari).

Cass. pen. n. 3477/2000

In tema di diffamazione, quando il discorso giornalistico ha una funzione prevalentemente valutativa, non pone un problema di veridicità di proposizioni assertive e i limiti scriminanti del diritto garantito dall'art. 21 Cost. sono solo quelli costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza di espressione. Sicché, il limite all'esercizio di tale diritto deve intendersi superato, quando l'agente trascende ad attacchi personali, diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato, giacché, in tal caso, l'esercizio del diritto, lungi dal rimanere nell'ambito di una critica misurata ed obiettiva, trascende nel campo dell'aggressione alla sfera morale altrui, penalmente protetta.

Cass. pen. n. 2144/2000

In tema di diffamazione a mezzo stampa e con riferimento all'ipotesi della pubblicazione di una intervista, i criteri che delimitano l'esercizio del diritto di cronaca (la verità del fatto narrato, la pertinenza all'interesse che esso assume per l'opinione pubblica, la correttezza delle modalità con cui il fatto viene riferito), vanno rapportati alle espressioni verbali provenienti dalla persona intervistata, costituenti il “fatto” in se. Il limite della verità si atteggia, pertanto, in maniera del tutto peculiare, siccome riferito non al contenuto dell'intervista, cioè alla rispondenza del fatto riferito dall'intervistato alla realtà fenomenica, ma al fatto che l'intervista sia stata realmente operata e concetti o parole riportati dal giornalista siano perfettamente rispondenti al profferito dalla persona intervistata. Quando, poi, il “fatto-intervista” pubblicato consista in valutazioni o giudizi esternati, da personaggi pubblici, su atteggiamenti di altri personaggi pubblici nell'ambito di un dibattito che — proprio per l'intrinseco contenuto e per la notorietà dei protagonisti — interessa l'opinione pubblica, il giornalista è tenuto al rigoroso rispetto delle opinioni, manifestate dall'intervistato, anche in termini critici, al fine di far emergere l'obiettività del dibattito e fornire al pubblico un quadro più genuino possibile, atto ad orientare il giudizio anche sul personaggio intervistato. Quest'ultimo, qualora le sue parole integrino una lesione alla reputazione del personaggio intervistato, non può non assumerne la responsabilità, anche se poi intenda far valere la scriminante del diritto di critica (ove ne sussistano i presupposti) ben distinto da quello di cronaca invocato dal giornalista.

Cass. pen. n. 2135/2000

L'individuazione del soggetto passivo del reato di diffamazione a mezzo stampa, in mancanza di indicazione specifica, ovvero di riferimenti inequivoci a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto, deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell'offesa, quale si desume anche dal contesto in cui è inserita.

Cass. pen. n. 269/2000

In tema di diffamazione commessa a mezzo di trasmissioni radiofoniche e televisive, la competenza territoriale deve essere stabilita applicando l'art. 30, quinto comma, della L. 6 agosto 1990, n. 223, e cioè con riferimento al luogo di residenza della parte lesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere della diffamazione. Ed invero la citata disposizione, nello stabilire tale competenza, menziona i «reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato», indipendentemente dalla persona che li abbia commessi. L'espressione ulteriore contenuta nella norma, e cioè «si applicano ai soggetti di cui al primo comma le sanzioni previste dall'art. 13 della L. 8 febbraio 1948, n. 47», riguarda il trattamento sanzionatorio, non già il comportamento che costituisce il reato, sanzionato diversamente a seconda della qualifica della persona che lo abbia attuato. Ne segue che, quando nel quinto comma della suddetta legge n. 223 del 1990 si menzionano, ai fini della determinazione della competenza sulla base del luogo di residenza della persona offesa, i reati di cui al quarto comma, questi comprendono anche la diffamazione consistente nell'attribuzione di un fatto determinato che sia stata commessa da persona non rientrante tra quelle indicate nel comma primo; persona che, atteso il richiamo contenuto nello stesso quinto comma all'art. 21 della L. n. 47 del 1948, dovrà essere quindi giudicata dal tribunale nel cui circondario risiede la persona offesa.

Cass. pen. n. 14660/1999

La valutazione equitativa dei danni non patrimoniali è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se ha soddisfatto la esigenza di ragionevole correlazione tra gravità effettiva del danno ed ammontare dell'indennizzo, correlazione motivata attraverso i concreti elementi che possono concorrere al processo di formazione del libero convincimento. (Fattispecie in tema di diffamazione, consumata mediante l'invio di lettere anonime. La cassazione, rilevando che il giudice di merito aveva correlato l'entità del danno morale alla notevole gravità ed alla reiterazione del comportamento diffamatorio, ha dichiarato inammissibile, sul punto, il ricorso dell'imputato, che aveva dedotto vizio di motivazione per incompletezza della istruttoria in ordine alla quantificazione del danno).

Cass. pen. n. 12028/1999

In tema di diffamazione a mezzo stampa, qualora la notizia pubblicata sia costituita da una denuncia di reato presentata da un cittadino, il giornalista va esente da pena nel caso in cui, nel rispetto della verità e della continenza, si limiti a riferire tale fatto, ponendosi, rispetto ad esso quale semplice testimone, animato da dolus bonus e da ius narrandi. Non così, in caso di uso strumentale del fatto, ancora sub iudice, se il giornalista, attraverso arbitrarie integrazioni, aggiunte, commenti, insinuazioni, fotografie corredate da didascalie, fa apparire come vera o verosimile la notitia criminis. Invero, l'ordinamento, imponendo l'obbligo del controllo della fonte (che deve essere sempre legittima e legittimamente usata), vuole assicurare che la stampa persegua la finalità costituzionale della corretta e veritiera informazione e non sia usata strumentalmente per diffondere notizie false o non ancora accertate. (Fattispecie in cui l'agente aveva arbitrariamente aggiunto, alle notizie relative alla presentazione di una denuncia alla Guardia di Finanza, quella della apertura delle indagini ad opera del P.M., nell'ambito di una locale «tangentopoli»).

Cass. pen. n. 10372/1999

In tema di diffamazione a mezzo stampa, poiché, qualunque sia la forma grammaticale o sintattica delle frasi o delle locuzioni adoperate, ciò che conta è la loro capacità di ledere o mettere in pericolo l'altrui reputazione, il reato si realizza anche quando il contesto della pubblicazione determini il mutamento del significato apparente di una o più frasi, altrimenti non diffamatorie, dando loro un contenuto allusivo, percepibile dal lettore medio. (Fattispecie in cui l'imputato, pur avendo riferito circostanze varie — quali le accertate parentele della persona offesa e la sua origine siciliana — le aveva utilizzate in un contesto narrativo, atto ad addurre nel lettore il sospetto che la persona offesa fosse inserita in un'organizzazione mafiosa).

Cass. pen. n. 8742/1999

In tema di condotta diffamatoria attribuibile ad un parlamentare, il giudice, in presenza della dichiarazione di insindacabilità delle opinioni espressa da parte del ramo parlamentare di appartenenza, deve applicare la causa di non punibilità, salvo che intenda sollevare conflitto di attribuzione per vizi in procedendo o per l'arbitrarietà o non plausibilità della valutazione del nesso funzionale fra le espressioni ritenute diffamatorie e le prerogative parlamentari. Ed invero, il nesso funzionale della prerogativa parlamentare ha un duplice aspetto: uno soggettivo ed uno oggettivo. In primo luogo il fatto incriminato deve essere posto in essere per un interesse pubblico, nel senso che le espressioni diffamatorie possono ritenersi non punibili se poste in essere in un atto di funzione, e non se con esse il parlamentare aggredisce l'altrui reputazione per motivi del tutto personali. In secondo luogo il criterio sostanziale che permette di ritenere il nesso funzionale nello svolgimento, in qualsiasi luogo e con qualsiasi forma e mezzo, di attività che, libera da fini personali, sia, per le motivazioni e per le questioni trattate, nell'interesse superiore della res pubblica, connessa o collegabile anche in via strumentale alla funzione parlamentare; quest'ultima va intesa come tramite fra la società civile e la comunità politica, capace di contribuire, anche con denunzie di ritenute lesioni di diritti di libertà, ad alimentare il dibattito ed il confronto politico-parlamentare su temi di interesse generale. (Nella specie, la Corte non ha ritenuto di sollevare conflitto di attribuzione in quanto ha riconosciuto il nesso funzionale nelle dichiarazioni di un parlamentare che aveva fatto riferimento ad un suicidio in carcere ed al suo collegamento con le modalità d'inchiesta a carico del detenuto).

L'articolo 68 della Costituzione, statuendo la non perseguibilità dei membri del Parlamento per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni, è di immediata applicazione, anche se non sostenuta da leggi costituzionali o ordinarie dirette a disciplinare la materia. Ed invero, la norma non si limita ad affermare un valore ideale e un principio programmatico, suscettibile di valorizzazione solo ai fini del giudizio di incostituzionalità di disposizioni incompatibili. Essa è immediatamente cogente perché, assicurando la libertà giuridica di manifestazione del pensiero del parlamentare, esplicitamente impone ai titolari degli atti poteri dello Stato di adeguarsi al principio ed impedisce loro di emanare ed applicare norme confliggenti. Ne consegue che la non perseguibilità o la non sindacabilità sono assimilabili, sotto il profilo sostanziale, ad una causa di non punibilità, applicabile in ogni stato e grado del giudizio ex articolo 129 c.p.p., qualora non risulti una prevalente causa di proscioglimento nel merito, pur in assenza di norme di attuazione a causa della mancata conversione della relativa decretazione d'urgenza.

Cass. pen. n. 7599/1999

In tema di diffamazione, per la sussistenza della aggravante dell'attribuzione di un fatto determinato, è sufficiente che l'episodio riferito venga specificato nelle sue linee essenziali, di modo che risulti maggiormente credibile e che le espressioni adoperate evochino alla comprensione del destinatario della comunicazione azioni concrete e dalla chiara valenza negativa.

Cass. pen. n. 7551/1999

In tema di diffamazione commessa mediante scritti, il requisito della comunicazione con più persone non sussiste qualora la propagazione dell'offesa, contenuta in una lettera diretta ad un determinato soggetto, non sia voluta dall'agente, ma sia dovuta alla esclusiva iniziativa del destinatario. (Fattispecie relativa ad una missiva, indirizzata al presidente del consiglio degli avvocati, contenente richiesta di azione disciplinare per pretese violazioni deontologiche, desumibili solo dagli allegati alla raccomandata, recante la scritta «riservata-personale» e recante, tra l'altro, la richiesta di ottenere, direttamente dal destinatario, una nota di risposta).

Cass. pen. n. 3705/1999

Il responsabile dell'ufficio stampa (nella specie: di un partito politico) assume la paternità e la responsabilità del comunicato che viene reso di pubblico dominio su sua specifica disposizione, e risponde pertanto di diffamazione a mezzo stampa anche se altri abbia fornito la notizia o predisposto il testo lesivo della reputazione.

Cass. pen. n. 2899/1999

In tema di diritto di cronaca giornalistica, il principio di verità — sul quale il suddetto diritto si fonda — è rispettato anche nel caso in cui il giornalista, pur senza fare riferimento esplicito alla archiviazione, intervenuta in relazione ad alcuni tra i fatti originariamente addebitati alla persona della quale si parla nell'articolo, riferisca con precisione circa gli altri fatti per i quali è intervenuto il rinvio a giudizio e che, dunque, risultano sottoposti al vaglio del giudice dibattimentale. Il lettore infatti risulta informato, in maniera chiara anche se indiretta, circa la infondatezza delle accuse non ricomprese nel provvedimento di rinvio a giudizio.

Cass. pen. n. 935/1999

In tema di diffamazione, perché vi sia offesa alla reputazione, non è sufficiente l'astratta idoneità delle parole a offendere, ma è necessario che esse siano a ciò destinate, in quanto adoperate appunto nel loro significato sociale, oggettivo, che vengono ad assumere le parole, senza alcun riferimento alle intenzioni dell'agente. Per questa ragione il dolo richiesto è quello generico. E può trattarsi anche di un dolo eventuale, purché il soggetto agente si rappresenti il fatto che le sue parole vanno ad assumere un significato offensivo, in quanto appariranno destinate ad aggredire la reputazione altrui. L'intenzione o lo scopo del soggetto agente, pertanto, non devono necessariamente essere di offesa, ma è sufficiente che egli adoperi consapevolmente parole socialmente interpretabili come offensive.

Cass. pen. n. 12747/1998

In tema di diffamazione (nella specie in danno del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, dott. Caselli), è corretto ritenere l'offensività, per un uomo prima che per un magistrato, di frasi che attribuiscono fatti specifici che sottendono mancanza di personalità, di dignità, di autonomia di pensiero, di coerenza e di onestà morale, nonché comportamenti che indicano in modo esplicito deviazioni dai propri doveri d'ufficio. Né il fatto può trovare giustificazione nell'esercizio del diritto di critica, quando risulti assente il pur minimo ed implicito contributo di pensiero suscettibile di essere promosso al rango di giudizio critico e di tentativo di ironia.

Cass. pen. n. 12744/1998

In tema di diffamazione, non solo una persona fisica ma anche una entità giuridica o di fatto, una fondazione, un'associazione, tra cui un sodalizio di natura religiosa, può rivestire la qualifica di persona offesa dal reato, essendo concettualmente identificabile un onore o un decoro collettivo, quale bene morale di tutti gli associati o membri, considerati come unitaria entità, capace di percepire l'offesa. (Fattispecie di diffamazione a mezzo stampa in danno della Congregazione dei Testimoni di Geova).

Cass. pen. n. 11928/1998

Le critiche rivolte ad un magistrato, cui si addebiti un atteggiamento di parzialità e di «reggenza o supplenza politica», nonché una concezione del procedimento penale come strumento di difesa sociale possono avere una diversa valenza a seconda che siano rivolte al pubblico ministero, che è parte, sia pure pubblica, nel processo, o al giudice che, nell'esercizio della giurisdizione, deve essere necessariamente terzo, senza che, peraltro, la diversità dei ruoli possa mai giustificare l'accusa di asservimento della funzione giudiziaria ad interessi partitici. (Nella specie, in applicazione di detti principi, la S.C. ha escluso il carattere diffamatorio dell'espressione «difficilmente magistrati come Casson, Caselli, Cordova potranno fare politica e “giustizia” dai teleschermi», contenuta in uno scritto illustrativo delle prospettive che, ad avviso dell'autore, si sarebbero aperte successivamente all'esito delle elezioni politiche del 1994; espressione che la S.C. ha ritenuto essere stata arbitrariamente intesa dai giudici di merito nel senso che ai nominati magistrati sarebbe stata rivolta l'accusa di «approfittare dell'ufficio ricoperto per perseguire fini estranei e incompatibili e piegare l'attività giudiziaria a fini politici e di parte, avvalendosi della televisione pubblica quale strumento improprio per fare politica al riparo della toga.

Non costituisce reato di diffamazione la critica ad un magistrato per l'esternazione, in dibattiti, interviste giornalistiche e televisive, di opinioni su argomenti legislativi, economici, sociali, politici, religiosi e di politica giudiziaria, rivolta da parte di chi lo ritenga, a torto o a ragione, destinatario dell'onus publicus di doverosa riservatezza. Esternando il proprio pensiero extra moenia, infatti, il magistrato finisce, in ultima analisi, per fare politica, pur nel senso etimologico di attività intellettuale, funzionale alla buona gestione della polis e si espone al rischio di giudizi di valore ed apprezzamenti positivi o negativi, cioè, in altri termini, di critiche politiche le quali, per principio, sono legittime, se contenute nel linguaggio e non pretestuosamente sostenute dalla finalità politica per realizzare, in effetti, solo una volgare denigrazione.

Cass. pen. n. 9839/1998

In materia di diffamazione a mezzo stampa, è necessario, perché si perfezioni il reato, che il contesto determini un mutamento del significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria, dandole quanto meno un contenuto allusivo, percepibile dal lettore medio.

Cass. pen. n. 761/1998

In materia di diffamazione a mezzo della stampa rientra nel diritto di critica di un esponente politico indicare all'opinione pubblica eventi che tra loro possono anche non avere connessione logica. Precludere ad un esponente politico nel vivo di una polemica di prospettare siffatte connessioni significa togliere al dibattito politico ogni aggressività, che viceversa ne costituisce un tratto naturale. Peraltro, i limiti della continenza debbono intendersi superati ogni volta che le espressioni o le frasi usate nella polemica, ancorché giustificata dalla vivezza del dibattito, intaccano la personalità morale della persona destinataria di tali espressioni. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto che l'accusa di un avversario politico, di essersi venduto «per trenta denari», come il Giuda personaggio dei Vangeli costituisce a tutt'oggi un'attribuzione di caratteristiche infamanti).

Cass. pen. n. 9384/1998

In tema di diffamazione, un pubblico comizio va considerato mezzo di pubblicità, e cioè di ampia e indiscriminata diffusione della notizia tra un numero indeterminato di persone.

Cass. pen. n. 8035/1998

Il carattere diffamatorio dell'informazione a mezzo stampa può risultare sia dalla complessiva valutazione dell'insieme dell'articolo, allorché i singoli elementi costitutivi, valutati separatamente, risultino ambigui o neutri; sia in relazione a singole parti dell'articolo formulate in modo tale da risultare diffamatorie. E in tal caso, anche se dalla lettura dell'intero articolo sia possibile ottenere una corretta visione della realtà, atteso che i lettori del giornale ben possono prestare solo una frettolosa attenzione alla notizia data da titolo, sottotitolo e sommario, senza approfondire il contenuto dell'intero testo.

Cass. pen. n. 8031/1998

La cronaca giudiziaria è lecita quando venga esercitata correttamente, limitandosi a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sè, specie ove adottato nei confronti di persona investita di pubbliche funzioni, ovvero a riferire o commentare l'attività investigativa o giurisdizionale; non lo è invece quando le informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario vengano utilizzate per ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare, o a sostituire, gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti, ed autonomamente offensive. In tal caso il giornalista deve assumersi direttamente l'onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza, senza poter esibire il provvedimento giudiziario quale sua unica fonte di informazione e di legittimazione. (Fattispecie di conferma della sentenza di condanna in relazione ad un articolo intitolato «Tradito dalle donne il boss delle tangenti», in quanto oggetto della notizia non fu tanto il provvedimento giudiziario quanto i fatti che lo avevano giustificato, reinterpretati e riferiti nel contesto di un'autonoma e indimostrata ricostruzione giornalistica).

Cass. pen. n. 8021/1998

Affinché il presentatore di un filmato televisivo diffamatorio possa andare esente da responsabilità penale (art. 595, comma terzo, c.p.) connessa ai suoi contenuti è necessario che il filmato venga presentato come un documento, oggetto di una possibile discussione, e non come parte di una comunicazione di informazioni ed opinioni riconducibili, oltre che all'autore, anche al presentatore.

Cass. pen. n. 7990/1998

In tema di diritto di critica, ciò che determina l'abuso del diritto è la gratuità delle espressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione; è l'uso dell'argumentum ad hominem, inteso a screditare l'avversario politico mediante l'evocazione di una sua pretesa indegnità o inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni. (Fattispecie di rigetto del ricorso con cui gli imputati invocavano l'esercizio del diritto di critica politica, esercitato nelle forme della satira, relativamente all'uso di espressioni quali «realburinismo» e «aver un diesel fumoso al posto del cervello», nonché all'invito a finanziare i suoi progetti con i metodi illeciti propri del suo partito, nei confronti dell'amministratore al traffico di Roma).

Cass. pen. n. 1473/1998

In tema di diffamazione commessa col mezzo della stampa, il diritto di cronaca non esime di per sè dal rispetto dell'altrui reputazione e riservatezza, ma giustifica intromissioni nella sfera privata dei cittadini solo quando possano contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività.

Cass. pen. n. 679/1998

Riportare su un comunicato stampa la notizia di una procedura disciplinare a carico di un magistrato, collegandola, in modo non rispondente al vero, ad un atto del suo ufficio, costituisce offesa alla reputazione (art. 595 c.p.), screditando detta persona pubblicamente in ordine alla mancanza di doti professionali. Né può essere esclusa la responsabilità dell'imputato in base ad una asserita “buona fede” non rilevante nel reato in esame, il cui elemento psicologico è costituito dal dolo generico. (Nella specie la Corte ha annullato la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto che l'imputato, “non informato della effettiva ragione del procedimento disciplinare”, avesse agito “non con l'intenzione di screditare il predetto magistrato, ma per fornire una completa informazione della collettività”).

Cass. pen. n. 11667/1997

In tema di reati commessi da parlamentari, gli atti c.d. “di funzione” — quegli atti, cioè, che, compiuti da parlamentari in relazione a tale specifica qualità, si rendono insindacabili anche da parte dell'autorità giudiziaria perché espressione della loro indipendenza ed autonomia — sono soltanto quelli relativi all'esercizio delle funzioni proprie di membro del Parlamento, vale a dire gli atti tipici del mandato parlamentare (presentazione di disegni di legge, interpellanze ed interrogazioni, relazioni, dichiarazioni), compiuti nei vari organi parlamentari o para-parlamentari (gruppi), con l'esclusione di quelle attività che, pur latamente connesse con l'esercizio di tali funzioni, ne sono tuttavia estranee, quale l'attività politica extraparlamentare esplicata all'interno dei partiti. Ne consegue che non possono farsi rientrare nell'attività coperta dalla prerogativa dell'insindacabilità, tutte quelle manifestazioni di pensiero che — espresse in comizi, cortei, trasmissioni radio-televisive, o durante lo svolgimento di scioperi — non possono vantare alcun collegamento funzionale con l'attività parlamentare, se non meramente soggettivo in quanto poste in essere da persona fisica che è “anche” membro del Parlamento.

Cass. pen. n. 11663/1997

Ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico del reato di diffamazione è sufficiente il dolo generico, vale a dire la consapevolezza di offendere l'onore o la reputazione di altro soggetto; ne consegue che, allorquando il carattere diffamatorio delle espressioni rivolte assuma una consistenza diffamatoria intrinseca — che non può sfuggire all'agente il quale le ha usate proprio per dare maggiore efficacia al suo dictum — non è necessaria alcuna particolare indagine sulla presenza o meno dell'elemento psicologico. (Nella fattispecie, in un manifesto che era stato stampato e poi affisso nelle bacheche di una Usl, per iniziativa dell'imputato nell'ambito della sua attività sindacale, alla parte lesa era stata attribuita la responsabilità di aver impedito il trasferimento di una infermiera “in modo ricattatorio” rifiutandosi di firmare l'ordine di servizio, “quasi a significare una rivalsa personale”, con l'ulteriore affermazione che il ruolo ricoperto dalla parte lesa medesima “non sembrava essere alla sua altezza”. La Suprema Corte, in applicazione del principio di cui in massima, ha confermato la sentenza della Corte di Appello che aveva condannato l'imputato ritenendo sussistente il reato di diffamazione a mezzo stampa).

Cass. pen. n. 6793/1997

In tema di diffamazione commessa a mezzo di trasmissioni radiofoniche e televisive, la competenza territoriale deve essere stabilita applicando l'art. 30, comma quinto, della legge 6 agosto 1990, n. 223, e cioè con riferimento al foro di residenza della parte lesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere della diffamazione. Ed invero la citata disposizione — nello stabilire tale competenza — menziona i «reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato», indipendentemente dalla persona che li abbia commessi; l'espressione ulteriore contenuta nella norma — e cioè «si applicano ai soggetti di cui al comma primo le sanzioni previste dall'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47» — riguarda il trattamento sanzionatorio, non già il comportamento che costituisce il reato, sanzionato diversamente a seconda della qualifica della persona che lo abbia attuato: ne segue che, quando nel comma quinto dell'art. 30 della suddetta legge n. 223 del 1990 si menzionano, ai fini della determinazione della competenza con riferimento al luogo di residenza della persona offesa, «i reati di cui al quarto comma», questi comprendono anche la diffamazione consistente nell'attribuzione di un fatto determinato commesso da persona non rientrante tra quelle indicate nel comma primo, che dovrà essere giudicata dal tribunale, in relazione al richiamo all'art. 21 della legge n. 47 del 1948 contenuto nel comma quinto, nel cui circondario risiede la persona offesa.

Cass. pen. n. 5454/1997

In tema di diffamazione, si configura la condotta del reato solo qualora — nell'ipotesi in cui l'agente comunichi in via riservata con un'unica persona — vi sia la prova della volontà, da parte dell'agente medesimo, della diffusione del contenuto diffamatorio della comunicazione attraverso il destinatario. (Fattispecie relativa alla lettera inviata dal superiore gerarchico all'Autorità amministrativa centrale, e concernente addebiti presuntivamente diffamatori nei confronti di un funzionario, del quale veniva richiesto l'allontanamento dall'ufficio).

Cass. pen. n. 3121/1997

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il significato delle parole dipende dall'uso che se ne fa e dal contesto comunicativo in cui si inseriscono — e ciò soprattutto se esse vanno a comporre espressioni, come «fedina penale», che, pur alludendo a vicende giudiziarie, sono estranee al linguaggio giuridico. Per questa ragione, quando il giudizio penale richiede l'interpretazione di fatti comunicativi, le regole del linguaggio e della comunicazione costituiscono il criterio di inferenza (premessa maggiore) che, muovendo dal testo della comunicazione (premessa minore), consente di pervenire alla conclusione interpretativa. Sicché le valutazioni del giudice del merito sono censurabili solo quando si fondino su criteri interpretativi inaccettabili (difetto della giustificazione esterna) ovvero applichino scorrettamente tali criteri (difetto della giustificazione interna). La stessa individuazione del contesto comunicativo che contribuisce a definire il significato di un'affermazione, invero, comporta una selezione dei fatti e delle situazioni rilevanti, che è propria del giudizio di merito, e quando l'interpretazione del significato di un'affermazione che si assuma falsa e offensiva è sorretta da un'adeguata motivazione, essa è incensurabile nel giudizio di legittimità. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso della parte civile, la S.C. ha ritenuto non censurabile l'interpretazione del testo dell'articolo proposta dai giudici del merito, secondo cui nel contesto di detto articolo non assumeva un significato deliberatamente denigratorio il riferimento alla «fedina penale», né tale espressione individuava il querelante medesimo come persona già condannata).

Cass. pen. n. 2113/1997

L'esercizio del diritto di informazione garantito nel nostro ordinamento deve, ove leda l'altrui reputazione, sopportare i limiti seguenti: a) l'interesse che i fatti narrati rivestano per l'opinione pubblica, secondo il principio della pertinenza; b) la correttezza della esposizione di tali fatti in modo che siano evitate gratuite aggressioni all'altrui reputazione, secondo il principio della continenza; c) la corrispondenza rigorosa tra i fatti accaduti e i fatti narrati, secondo il principio della verità: quest'ultimo comporta l'obbligo del giornalista (come quello dello storico) dell'accertamento della verità della notizia e il controllo della attendibilità della fonte.

Cass. pen. n. 901/1997

In tema di diffamazione a mezzo stampa, se si reca offesa alla reputazione di un partito politico, attraverso il comportamento attribuito a suoi esponenti non identificati, che agiscono in un determinato territorio, legittimato a proporre querela è chi legalmente lo rappresenta in quel territorio.

Cass. pen. n. 891/1997

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente putativa dell'esercizio del diritto di cronaca presuppone che le notizie pubblicate siano vere (oltre che di interesse pubblico ed esposte con correttezza) o che, se non vere, almeno siano state sottoposte a verifiche tali da avere indotto in errore non colpevole l'autore dell'articolo.

Nel delitto di diffamazione col mezzo della stampa, il danno cagionato alla persona offesa, non essendo patrimoniale e non avendo funzione reintegrativa, non può essere quantificato se non con valutazione equitativa, rispettando l'esigenza di una ragionevole correlazione tra gravità del danno ed ammontare dell'indennizzo; in tale delitto, la gravità non può che essere rapportata all'entità del discredito causato dalla notizia giornalistica.

Cass. pen. n. 7393/1997

La prova dell'errore scriminante in materia di esercizio putativo del diritto di cronaca deve vertere sul fatto, e cioè sulla verità della notizia e non sull'attendibilità della fonte di informazione, dal momento che il giornalista può essere esentato dall'avere pubblicato una notizia non vera solo con la dimostrazione di avere svolto il controllo, e non già per l'affidamento riposto in buona fede sulla fonte, per quanto possa trattarsi di un organo dello Stato. (Nella fattispecie, si sosteneva che l'articolo in questione si era limitato a riferire i dati di un censimento di polizia).

Quando sia pubblicata una notizia non vera, non è possibile allegare a riscontro dell'esercizio putativo del diritto di cronaca l'operato erroneo di altri organi di informazione, quale che sia la loro diffusione, e nemmeno la provenienza della notizia da fonti privilegiate di informazione, dal momento che ciascun organo d'informazione deve verificare la fondatezza della notizia, e per gli organi dello Stato sono previste dalla legge precise forme di pubblicità del loro operato, fuori delle quali non esiste alcuna ufficialità riconoscibile. (Nella fattispecie, in un articolo in cui si verificavano i dati del censimento svolto dalle forze di polizia delle persone denunciate per associazione mafiosa in una regione d'Italia in un determinato anno era stata fatta menzione, nel quadro di eventi criminosi ricollegabili ad organizzazioni mafiose del territorio, di un soggetto, all'epoca coinvolto in un procedimento per associazione per delinquere, usura ed estorsione, poi conclusosi con sentenza di non luogo a procedere, indicandolo, dopo avere riprodotto la mappa delle principali famiglie di mafia, operanti nella regione, nel novero di capi e famiglie. È stata ravvisata l'offesa alla reputazione del detto soggetto sul rilievo che qualsiasi organizzazione mafiosa comune non poteva essere assimilata a quella mafiosa per via del salto di qualità tra l'una e l'altra ed è stato escluso l'esercizio anche putativo del diritto di cronaca).

Cass. pen. n. 7713/1996

L'elemento psicologico del reato di diffamazione consiste nella volontà di usare espressioni offensive con la consapevolezza di ledere l'altrui reputazione. (Nella fattispecie la Corte, rigettando il ricorso tendente al riconoscimento dell'ipotesi colposa per essere stato il risultato diffamatorio conseguente a scarsa perizia professionale nel montaggio dell'articolo, ha precisato che un articolo giornalistico, che dia per certa la notizia di violazione del segreto professionale da parte di un medico, contiene in sè una carica offensiva inequivocabile, la quale soprattutto non può sfuggire al giornalista autore; e ciò indipendentemente dalla tecnica di redazione).

Cass. pen. n. 1291/1996

Le norme speciali di cui all'art. 30 L. 6 agosto 1990, n. 223, in tema di trattamento sanzionatorio e di competenza territoriale per il reato di diffamazione con attribuzione di fatto determinato commesso attraverso trasmissioni televisive — secondo le quali si applicano le sanzioni previste dall'art. 13 L. 8 febbraio 1948, n. 47 ed il foro di competenza è determinato dal luogo di residenza della persona offesa — valgono esclusivamente, come discende dal combinato disposto dei commi 1 e 4 della predetta disposizione, con riferimento ai soggetti in essa specificamente indicati, i quali si identificano nel concessionario privato, nella concessionaria pubblica ovvero nella persona da loro delegata al controllo della trasmissione, ma non nella persona che concretamente commette la diffamazione, sicché a quest'ultima non si applicano le norme speciali ma esclusivamente l'art. 595 c.p. e le regole generali sulla competenza per territorio.

Cass. pen. n. 2210/1996

In tema di reato di diffamazione a mezzo stampa, l'attribuzione a taluno, in termini di certezza, di un fatto che è invece rimasto non accertato, non perde il connotato della illiceità sol perché sia inserita all'interno di una determinata analisi socio-politica: ed invero, costituisce causa di giustificazione soltanto la critica che rispetti la verità dei fatti e non anche quella che si sviluppi attraverso l'arbitrario inserimento di circostanze non vere, dato che, in questo caso, la critica diviene un mero pretesto per offendere l'altrui reputazione. (Nella fattispecie, l'imputato, in un articolo giornalistico — in cui aveva inteso tracciare un'analisi socio-politica del fenomeno eversivo — aveva rappresentato il contributo offerto da una persona a gravissimi fatti oggetto di un procedimento penale, indicando anche gli atti attraverso i quali si sarebbe concretizzato il detto contributo, ed omettendo di riferire che tali circostanze non erano state ritenute certe all'esito del procedimento conclusosi con sentenza passata in giudicato. La Suprema Corte ha ritenuto la sussistenza del reato di diffamazione a mezzo stampa ed ha enunciato il principio di cui in massima).

Cass. pen. n. 11664/1995

In materia di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di critica va riconosciuto nei confronti di personaggi la cui voce ed immagine abbia vasta risonanza presso la collettività grazie ai mezzi di comunicazione, anche quando si manifesti in forma penetrante e talvolta impietosa. (Fattispecie relativa alla critica delle modalità di conduzione di un programma televisivo di sport, «novantesimo minuto», con la quale il presentatore era stato indicato, tra l'altro, come «ottusamente aggrappato al “gobbo”, macchinetta che serve ad imbrogliare i telespettatori facendo loro credere che il conduttore non stia leggendo ...»).

In tema di diffamazione a mezzo stampa, affinché sia riconosciuta la scriminante di cui all'art. 51 c.p., non occorre che la critica sia formulata con riferimento a precisi dati fattuali, purché il nucleo ed il profilo essenziale di essa emergano chiaramente dalla modalità della sua estrinsecazione. (Fattispecie riguardante la trasmissione televisiva «novantesimo minuto», nella quale il giudizio critico era espresso con una serie di aggettivi - quali lento, confuso, approssimato, zeppo di errori - tutti riferiti al programma).

Cass. pen. n. 6062/1995

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il significato delle parole dipende dall'uso che se ne fa e dal contesto comunicativo in cui si inseriscono. Pertanto, anche il riferimento a indefinite «sensazioni» o la proposizione di interrogativi più o meno retorici può risultare idonea a diffondere una notizia falsa. (Fattispecie nella quale l'articolo di un quotidiano, dopo aver riferito il deferimento alla competente commissione disciplinare di alcuni calciatori della squadra della Roma, risultati «positivi» al controllo antidoping, osservava: «la sensazione è che il presidente della Federcalcio abbia le prove di un coinvolgimento anche dello staff medico della Roma»).

Cass. pen. n. 4000/1995

In tema di diffamazione a mezzo stampa, quando il comportamento di una persona, essendo contrassegnato da ambiguità, sia suscettibile di più interpretazioni, tutte connotate in negativo sotto il profilo etico-sociale e giuridico, è scriminato dall'esercizio del diritto di cronaca e di critica il giornalista che, operando la ricostruzione di una determinata vicenda sulla scorta dei dati in suo possesso e di quelli contenuti in un provvedimento giudiziario, riconduce il comportamento ad una causale considerata dalla interessata più infamante di quella, ugualmente riprovevole e penalmente illecita, prospettata nello stesso provvedimento giudiziario. (Fattispecie relativa ad un articolo di stampa, in cui un brigadiere dei carabinieri era stato definito «in mano alla piovra campana», per aver discreditato dei testi che collaboravano con l'autorità giudiziaria inquirente in un omicidio di camorra e per avere consegnato un memoriale contenente rivelazioni non solo al giudice istruttore, ma anche ai difensori degli imputati. La S.C. ha ritenuto che correttamente la corte d'appello aveva affermato l'esistenza della scriminante, benché nell'ordinanza di rinvio a giudizio la condotta del querelante fosse attribuita non a collusione o a collateralità con le cosche camorristiche, come implicitamente significato dal giornalista, ma all'intento di screditare per ritorsione i propri superiori, che lo avevano denunciato per concussione).

Cass. pen. n. 3247/1995

In tema di diffamazione, la reputazione non si identifica con la considerazione che ciascuno ha di sè o con il semplice amor proprio, ma con il senso della dignità personale in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico. Non costituiscono, pertanto, offesa alla reputazione le sconvenienze, l'infrazione alla suscettibilità o alla gelosa riservatezza. (Fattispecie relativa ad un articolo pubblicato in un quotidiano, nella quale è stato escluso il carattere lesivo dell'espressione «gli sposini felici hanno venduto l'esclusiva delle immagini ad un settimanale», evidenziando in specie che lo scritto non conteneva alcun giudizio di riprovazione morale, che il fatto attribuito atteneva al «patrimonio minimo della personalità» e che i protagonisti delle vicende erano personaggi popolari).

Cass. pen. n. 3236/1995

In tema di diffamazione a mezzo stampa, ogni accostamento di notizie vere è lecito quando non produce un ulteriore significato che le trascenda e che abbia autonoma attitudine lesiva. Quando l'accorpamento determina un'espansione dei significati, occorre avere riguardo al risultato: se questo consiste in un mero dato logico, in un corretto corollario, per quanto insinuante, è da escludere l'effetto denigratorio. Se invece, per effetto dell'espansione, si produce una nuova notizia o una specificazione di quelle già date, dovrà indagarsi sulla loro verità: solo in caso di risposta negativa, si realizza l'effetto diffamatorio. (Fattispecie relativa ad un servizio giornalistico sul riciclaggio di denaro proveniente da attività criminali gestite dalla camorra ed investito nelle case da gioco. Posta la premessa della verità, di due notizie, che cioè una certa società «stava dietro» i movimenti di capitale e che il querelante, esercente la professione legale, ne era il prestanome, la Suprema Corte, diversamente dai giudici di merito, ha ritenuto che il diritto di cronaca si estendesse al corollario che derivava dal loro collegamento, ossia all'accostamento logico cui il lettore era indotto tra le suddette attività illecite e la persona del querelante medesimo).

Cass. pen. n. 1618/1995

Nel delitto di diffamazione a mezzo stampa, realizzato con la pubblicazione di un'intervista, è configurabile l'esimente putativa dell'esercizio del diritto di cronaca nei confronti del giornalista tutte le volte in cui la notizia è costituita non solo, e non tanto, dal contenuto delle dichiarazioni (di pubblico interesse) rese dall'intervistato, quanto dalla qualità di questi, idonea a creare particolare affidamento sulla veridicità delle sue affermazioni, sì che l'eventuale omessa pubblicazione dell'intervista finirebbe per risolversi in una forma di censura, in contrasto con l'interesse pubblico alla conoscenza della notizia. (Fattispecie nella quale un assessore aveva, con un'intervista, avallato le voci di corruzione all'interno dell'apparato amministrativo comunale e la notizia, da lui stesso fornita, di illecita ricezione di tangenti da parte di un funzionario, identificabile, dello stesso comune).

Cass. pen. n. 5710/1994

La sindrome derivante da deficienza immunitaria, comunemente denominata Aids, è notoriamente collegata alla sfera sessuale ed all'uso di sostanze stupefacenti. Pertanto, il diffondere attraverso il mezzo della stampa la notizia, non vera, che una persona è affetta da tale malattia, incide negativamente sulla sua sfera morale e si risolve, quindi, in un'offesa della sua reputazione, che integra il reato di diffamazione.

Cass. pen. n. 2329/1994

In tema di diffamazione a mezzo stampa, per l'attività di scienza opera il principio di libertà fissato dall'art. 33 della Costituzione, senza lo specifico condizionamento della verità del fatto riconosciuto dalla giurisprudenza per la manifestazione del pensiero, sicché il giudice ha il solo compito di stabilire la natura scientifica dell'opera, nella sua rigorosa formalità, per il metodo, lo stile ed il contenuto: dato, quest'ultimo, da recepire nella sua letterale rappresentazione, senza pretesa di verifica alcuna dell'ipotesi scientifica, non consentita nella sede giudiziaria. Pertanto, una volta stabilito che l'attività scientifica non può soffrire limiti, consegue che non può essere ritenuta mezzo o modalità della violazione della sfera morale altrui, in termini di lesione del bene tutelato dall'art. 595 c.p. (Nella specie, relativa ad annullamento senza rinvio di sentenza di condanna, perché trattavasi di persona non punibile per aver agito nell'esercizio del diritto di ricerca scientifica, l'imputato era stato tratto a giudizio per aver scritto e pubblicato un libro nel quale, sostenendo la non autenticità di un reperto, ne attribuiva la falsificazione ad un archeologo).

Cass. pen. n. 10307/1993

Il reato di diffamazione è costituito dall'offesa alla reputazione di una persona determinata e non può essere, quindi, ravvisato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria anche limitata se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuabili. (Nel caso di specie, la corte ha escluso la sussistenza del delitto di diffamazione a mezzo stampa in un articolo apparso su un quotidiano in cui si parlava di «insabbiamento» di un'indagine giudiziaria senza fare però specifico riferimento a singoli magistrati).

Cass. pen. n. 6493/1993

Il diritto alla «identità personale», cioè il diritto di ciascuno di «essere se stesso» e di essere quindi tutelato dall'attribuzione di connotazioni estranee alla propria personalità, suscettibili di determinare la trasfigurazione o il travisamento di quest'ultima, non può implicare la pretesa di una costante corrispondenza tra la narrazione di fatti riferiti ad una determinata persona e l'idea che la medesima ha del proprio io, giacché, altrimenti, verrebbe automaticamente preclusa ogni possibilità di esercizio del legittimo diritto di critica.

In tema di diffamazione a mezzo stampa il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca essenzialmente in quanto il primo non si concretizza, come l'altro, nella narrazione di fatti, bensì nella espressione di un giudizio o, più genericamente, di un'opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su una interpretazione, necessariamente soggettiva, di fatti e comportamenti. Ne consegue che l'esercizio di un tale diritto non può trovare altro limite che non sia quello dell'interesse pubblico e sociale della critica stessa, in relazione all'idoneità delle persone e dei comportamenti criticati a richiamare su di sé una comprensibile e oggettivamente apprezzabile attenzione dell'opinione pubblica.

Cass. pen. n. 3900/1993

In tema di diffamazione, non è necessario che la persona cui l'offesa è diretta sia nominativamente designata, essendo sufficiente che essa sia indicata in modo tale da poter essere individuata in maniera inequivoca. (Fattispecie nella quale l'articolo di un quotidiano riferiva che il direttore di un determinato albergo, di cui non si faceva il nome, era indagato per favoreggiamento della prostituzione all'interno dell'albergo stesso).

Cass. pen. n. 3320/1993

In materia di diffamazione, poiché la circostanza aggravante dell'attribuzione di un fatto determinato prevista dall'art. 595 secondo comma c.p. e dall'art. 13 L. 8 febbraio 1948, n. 47 riguarda la qualificazione particolare della notizia diffamatoria, la condotta dell'ipotesi di base e quella della circostanza aggravante possono coincidere.

Cass. pen. n. 2657/1993

Ai fini della determinazione della somma liquidata a titolo di riparazione pecuniaria alla persona offesa dal reato di diffamazione commesso col mezzo della stampa, il parametro della diffusione dello stampato attiene non al numero delle copie vendute nel giorno in cui è stato commesso il fatto, ma alla diffusione in linea generale del periodico sul piano nazionale o anche su quello locale; ciò che rileva infatti, è la possibilità di una notevole propalazione della notizia e non la concreta conoscenza che possa, in una determinata circostanza, averne avuto un numero più o meno grande di persone.

Cass. pen. n. 2435/1993

In tema di riparazione pecuniaria, disposta quale sanzione civilistica accessoria alla condanna per il reato di diffamazione commessa col mezzo della stampa dall'art. 12 della L. 18 febbraio 1948, n. 47, tale norma devolve al giudice, su richiesta della parte interessata, il compito di stabilire la somma da liquidare alla persona offesa, in via equitativa e secondo i parametri valutativi della gravità dell'offesa e della diffusione degli stampati.

Cass. pen. n. 2432/1993

In tema di diffamazione, sussiste l'estremo della comunicazione con più persone non solo quando l'agente prenda direttamente contatto con una pluralità di soggetti, ma anche quando egli comunichi ad una persona una notizia destinata, nelle sue stesse intenzioni, ad essere riferita ad almeno un'altra persona, che ne abbia poi conoscenza. (Nella fattispecie l'imputato aveva comunicato al proprio legale un fatto diffamatorio nei confronti del suo consulente tributario, con l'incarico di riferirlo al legale di quest'ultimo, com'era poi avvenuto).

Cass. pen. n. 849/1993

Deve ravvisarsi l'illecito civile per lesione del diritto alla identità personale quando vi sia distorsione della effettiva identità personale o alterazione, travisamento, offuscamento, contestazione del patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale. Deve, invece, ritenersi la sussistenza del delitto di diffamazione quando alla lesione suddetta si pervenga mediante offesa della reputazione. (Fattispecie relativa a diffamazione a mezzo stampa).

Cass. pen. n. 843/1993

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la genericità del titolo, per la vaghezza dei termini usati, va risolta mediante analisi del contenuto dell'articolo. Quando tale contenuto è stato ritenuto non diffamatorio di una determinata persona per aver riferito fatti risultati corrispondenti a verità e l'intero articolo è stato ritenuto costituire espressione del diritto di cronaca giornalistica, è da escludere la sussistenza della diffamazione in base alla sola formulazione generica del titolo stesso.

Cass. pen. n. 10257/1992

Ai fini della sussistenza dei requisiti della scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca, occorre avere riguardo non solo alla verità del fatto narrato, ma anche alle modalità con cui la notizia viene offerta (commenti, aggiunte, insinuazioni) dal giornalista, che sono suscettibili di deformare la verità stessa.

Cass. pen. n. 9264/1992

In tema di diffamazione col mezzo della stampa per la configurabilità dell'ipotesi putativa dell'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca è necessario che l'agente abbia esaminato, controllato e verificato in termini di adeguata serietà professionale la notizia in rapporto all'affidabilità della relativa fonte d'informazione, rimanendo vittima di un errore involontario.

Cass. pen. n. 8848/1992

Il solo fatto che una notizia sia stata riferita in forma dubitativa non è sufficiente ad escludere l'idoneità a ledere la reputazione altrui. Anche le espressioni dubitative, come quelle insinuanti, allusive, sottintese, ambigue, suggestionanti, possono, infatti, essere idonee ad integrare il reato di diffamazione, quando, per il modo con cui sono poste all'attenzione del lettore, fanno sorgere in quest'ultimo un atteggiarsi della mente favorevole a ritenere l'effettiva rispondenza a verità dei fatti narrati. Trattasi di indagine da effettuarsi caso per caso. (Indagine che nella specie, relativa ad annullamento con rinvio di sentenza di assoluzione, è completamente mancata).

Cass. pen. n. 8703/1992

Nei reati contro l'onore, la verità della qualifica o del fatto attribuito non elimina di per sé il carattere offensivo dell'azione; in ogni caso, però, i delitti di ingiuria e di diffamazione non sussistono quando l'offesa all'altrui personalità morale non risulti oggettivamente illegittima, ma sia invece giuridicamente lecita o penalmente indifferente per la presenza di cause di giustificazione, anche non codificate, quali sono, tra le altre, l'adempimento di un dovere, l'esercizio di diritti soggettivi o di facoltà legittime e il consenso dell'avente diritto. Con particolare riferimento alla diffamazione, alla stregua dell'art. 21 della Costituzione che garantisce a chiunque il diritto alla libera manifestazione del pensiero, nel caso di una persona che dia notizia di fatti veri offensivi dell'altrui reputazione, l'illegittimità dell'azione resta esclusa quando la facoltà di informazione risulti esercitata per necessità o comunque per ragioni che valgano a legittimarla, come possono essere l'interesse oggettivo alla comunicazione diffamatoria di colui che ne è l'autore e di coloro che ne sono i destinatari. (Fattispecie relativa a comunicazione diffamatoria ritenuta ingiustificata poiché fatta in un colloquio svoltosi non solo con persona interessata, ma con altre due persone estranee).

Cass. pen. n. 7632/1992

Ai fini della configurabilità dell'esimente di cui all'art. 51 c.p. per il reato di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di cronaca (e di critica), come ogni diritto si definisce per mezzo dei suoi stessi limiti, che consentono di precisarne il contenuto e di determinarne l'ambito di esercizio. Tali limiti secondo il costante insegnamento di questa Corte, sono costituiti: 1) dalla verità del fatto narrato; 2) dalla loro pertinenza, ossia dall'oggettivo interesse che essi fatti rivestono per l'opinione pubblica; 3) dalla correttezza con cui gli stessi vengono riferiti (cosiddetta continenza); essendo estranei all'interesse sociale che giustifica la discriminante in parola ogni inutile eccesso e ogni aggressione dell'interesse morale della persona. In ordine al primo requisito, va osservato che, prescindendo da ogni controversa opinione filosofica sull'argomento, per «verità», ai fini che qui interessano, deve intendersi la sostanziale corrispondenza (adaequatio) tra fatti come sono accaduti (res gestae) e i fatti come sono narrati (historia rerum gestarum). Solo la verità come correlazione rigorosa tra il fatto e la notizia soddisfa alle esigenze dell'informazione e riporta l'azione nel campo dell'operatività dell'art. 51 c.p., rendendo non punibile (nel concorso dei requisiti della pertinenza e della continenza) eventuale lesione della reputazione altrui. Il principio della verità, quale presupposto dell'esistenza stessa del diritto di cronaca oltreché del suo legittimo esercizio, comporta, come suo inevitabile corollario, l'obbligo del giornalista, non solo di controllare l'attendibilità della fonte, ma altresì di accertare la verità della notizia, talché solo se tale obbligo sia stato scrupolosamente adempiuto, l'esimente dell'art. 51 c.p. potrà essere utilmente invocata.

Cass. pen. n. 7252/1992

In tema di esercizio del diritto di cronaca, per ritenere l'attendibilità di chi fornisce una determinata notizia è necessario accertare l'identità di tale persona, le funzioni ricoperte, la concreta possibilità per la stessa di essere a sicura conoscenza dei fatti.

Cass. pen. n. 5559/1992

Nei delitti contro l'onore ed in particolare in tema di diffamazione a mezzo stampa, la circostanza aggravante di un fatto determinato è costituita dall'addebito di una condotta che non sia designata solamente nel genere o nella specie, ma che sia sufficientemente precisata, mediante l'indicazione di elementi concernenti le modalità con cui si è svolta, quali quelli relativi a persone, cose, tempo, luogo, contenuto, scopi, etc. A questo fine, tuttavia, non occorre che la condotta venga descritta in tutti indistintamente gli aspetti che la caratterizzano, bastando una specificazione che serva a rendere l'accusa più attendibile e quindi più pregiudizievole per l'offeso. (In applicazione del predetto principio è stata riconosciuta la sussistenza della circostanza aggravante de qua al fatto diffamatorio costituito dalle affermazioni che il P.M. del processo, «con il pieno consenso ed anzi con gli incoraggiamenti del presidente del collegio, aveva mobilitato i testimoni meno attendibili, cercando di chiudere la bocca a quelli della difesa»).

Cass. pen. n. 5545/1992

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'aver avuto modo di esprimere sullo stesso giornale da parte del diffamato la propria tesi in contrasto con quella dell'autore di un articolo diffamatorio non equivale a manifestazione tacita di consenso alla pubblicazione dell'articolo stesso. Il difendersi da una accusa non implica, infatti, in alcun modo la volontà di acconsentire a che l'accusa stessa venga pubblicamente diffusa, né la pubblicazione della tesi difensiva vale a rendere lecita la diffusione di una notizia diffamatoria, in quanto l'offesa alla reputazione resta comunque in essere e la sua esclusione è peraltro limitata e condizionata ad un giudizio che possa essere dato da alcuni lettori circa la prevalenza della tesi difensiva rispetto a quella diffamatoria.

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non è invocabile il diritto di cronaca quando la notizia è data attraverso uno scritto anonimo che, essendo come tale, insuscettibile di controlli circa l'attendibilità della fonte e la veridicità della notizia stessa, non può ritenersi controllato per il solo fatto che sia stata eventualmente aperta una inchiesta giudiziaria sui fatti pubblicati.

Cass. pen. n. 2886/1992

Se è vero che nella lotta politica si è adusi ad un linguaggio la cui scorrettezza incorrerebbe nel delitto di ingiuria o diffamazione se una riconosciuta desensibilizzazione della sua potenzialità offensiva entrata nel costume non lo accreditasse come legittimo, tuttavia non può in nessun caso essere tollerato che le espressioni degenerino in frasi pesantemente e platealmente sconvenienti e volgari, trasmodando in incivile denigrazione non giustificabile neppure nella vis polemica invalsa nelle tenzoni politiche. (Fattispecie in tema di diffamazione a mezzo stampa).

Cass. pen. n. 1866/1992

Nel caso di professionista al quale sia stata applicata dal consiglio dell'ordine una sanzione disciplinare, non costituisce lesione della sua reputazione, tale da dar luogo al delitto di diffamazione, la diffusione di un giudizio di adesione, formulato in termini di civile correttezza, alla decisione del detto consiglio, essendo questa già per sua natura destinata ad essere potenzialmente conosciuta da chiunque, anche prima che abbia assunto carattere di definitività. (Fattispecie relativa a comunicazione inviata al Consiglio nazionale forense e al ministro di grazia e giustizia da un gruppo di professionisti in relazione all'intervenuta condanna disciplinare di un collega).

Cass. pen. n. 1486/1992

Ai fini dell'accertamento della sussistenza del reato di diffamazione a mezzo stampa, deve essere valutato sia il testo letterale dell'articolo sia il complesso della informazione rappresentata dal testo, dal titolo, dalle immagini e dal modo di presentazione, di modo che se dal complesso di questi elementi viene agevolata una interpretazione del testo letterale piuttosto che un'altra, deve tenersi conto di tale situazione per la valutazione del contenuto diffamatorio della notizia pubblicata.

Cass. pen. n. 1481/1992

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la reputazione che per taluni aspetti sia stata compromessa può formare oggetto di ulteriori illecite lesioni. Ne consegue che anche per una persona imputata di alcuni reati non può non risultare lesiva la notizia che essa è stata condannata per altri gravi reati, ed anzi siffatta notizia, oltre a determinare una valutazione negativa per la condanna, fa apparire in una luce diversa e peggiore anche l'esistenza di quelle imputazioni sulla cui fondatezza il giudice non si è ancora pronunciato. (La Cassazione ha peraltro evidenziato che può anche accadere che rispetto ad una pluralità di fatti veri, cui si aggiunga un fatto marginale non vero, la notizia di questo possa risultare sostanzialmente irrilevante e priva di lesività, nulla aggiungendo alla menomazione della reputazione già verificatasi per la notizia degli altri fatti veri).

Cass. pen. n. 1478/1992

In tema di diffamazione a mezzo stampa, nel caso in cui l'articolo pubblicato non abbia di per sé un contenuto diffamatorio, ma sia il complesso dell'informazione, per le modalità di presentazione e, soprattutto, per i titoli che l'accompagnano, ad attribuire alla informazione un contenuto offensivo dell'altrui reputazione, del fatto lesivo non può essere chiamato a rispondere l'autore dell'articolo quando questi si sia limitato — come di regola — a fornirne il testo alla redazione del giornale, la quale abbia provveduto alla pubblicazione stabilendone essa, come appunto avviene di norma, e cioè la collocazione in una determinata pagina, il risalto da dare alla notizia, la formulazione di titoli e sottotitoli ed ogni altro particolare. (Nella specie, in cui il querelante si duoleva del contenuto diffamatorio del titolo e non anche dell'articolo, la Cassazione ha accolto la tesi del ricorrente, autore dell'articolo, che sosteneva che il fatto lesivo non fosse a lui addebitabile in quanto il titolo non era opera sua essendo la stesura della stesso affidata ad una speciale equipe all'interno del giornale).

Cass. pen. n. 1477/1992

Il reato di diffamazione è costituito dall'offesa della reputazione di una persona determinata che non può essere ravvisato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria anche limitata se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuabili.

Cass. pen. n. 4387/1991

Il giornalista, pur investito dell'altissimo compito di informazione, deve sempre attenersi, fino a che non intervenga una sentenza di condanna, al principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza dell'imputato e non può tacciare quindi lo stesso di una colpevolezza non ancora accertata. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, è stato ritenuto che l'affermazione che la persona offesa si era sottoposta ad intervento di plastica facciale per sfuggire alla polizia ben costituiva fatto lesivo della reputazione anche per un soggetto sottoposto allo stato a gravi procedimenti penali, dal momento che non erano ancora intervenute sentenze di condanna e che nel contesto dell'articolo essa finiva per avallare e per circoscrivere di verità le precedenti affermazioni ed accuse di terrorismo e traffico di stupefacenti).

Cass. pen. n. 4384/1991

L'intento diffamatorio può essere raggiunto anche con mezzi indiretti e mediante subdole allusioni e pure in questa forma deve essere penalmente represso. (Nella specie — relativa a rigetto di ricorso delle parti civili, le quali avevano denunziato l'illogicità della motivazione con la quale il giudice di merito aveva inteso giustificare la ritenuta impossibilità di identificare con sufficiente chiarezza nei querelanti le persone alle quali venivano attribuite negli articoli incriminati le condotte antigiuridiche ivi descritte — proprio siffatta allusività era stata esclusa dal giudice di merito con motivazione immune da vizi logici ed errori giuridici).

Cass. pen. n. 274/1991

Ai fini dell'applicabilità dell'esimente del diritto di cronaca, anche sotto l'aspetto putativo, al reato di diffamazione a mezzo stampa, la necessaria correlazione tra l'oggettivamente narrato e il realmente accaduto importa l'inderogabile necessità di un assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva di quanto riferito, risultando inaccettabili i valori sostitutivi di essa, quali quello della veridicità o della verosimiglianza dei fatti narrati, nonché lo stretto obbligo di rappresentare gli avvenimenti tali quali sono, né il giornalista può appagarsi di notizie rese pubbliche da altre fonti informative — giornali, agenzie, RAI — senza esplicare alcun controllo; altrimenti le fonti propalatrici delle notizie — attribuendosi reciprocamente credito — finirebbero per rinvenire in se stesse attendibilità.

Cass. pen. n. 2489/1991

In tema di diffamazione a mezzo stampa, lo scopo o il motivo di scherzo che si manifesti in modo suscettivo di ledere la reputazione altrui, non impedisce l'integrazione del reato sia sul piano materiale che su quello psichico. Attribuire, pertanto, in un manifesto, ad un personaggio pubblico (nella specie sindaco), espressioni volgari e di pesante ironia, assume comunque carattere diffamatorio, costituendo un attacco alla sua reputazione attraverso il discredito che un simile linguaggio comporta a chi ne faccia uso.

Cass. pen. n. 11492/1990

Ai fini dell'elemento psicologico del delitto di diffamazione, è sufficiente la sussistenza del dolo generico, cioè la volontà dell'agente di usare espressioni offensive con la consapevolezza di ledere l'altrui reputazione. Quando, per l'intrinseca potenzialità offensiva delle espressioni usate, siffatta volontà appare inequivocabile, non può attribuirsi alcuna rilevanza alle sottostanti ragioni che hanno determinato l'agente a pronunciarle.

In tema di diffamazione, per integrare l'aggravante del fatto determinato non risulta necessario il richiamo a particolare circostanza ogni qual volta il detto fatto sia indicato in modo tale da suscitare nel lettore o nell'ascoltatore la rappresentazione sostanziale di un accadimento nella concreta ed inconfondibile unicità ed individualità.

Cass. pen. n. 7843/1990

In tema di diffamazione a mezzo stampa è configurabile l'operatività della causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p., anche in termini di putatività ed art. 59, ult. p., c.p., qualora l'esercizio del diritto di cronaca sia stato corrispondente alla verità oggettiva dei fatti (sia pure correlativamente alla fonte e nell'attualità del preciso riferimento storico dell'epoca della pubblicazione) e tale verità non abbia subito immutazioni, alterazioni o rifacimenti dei dati, che ne costituiscono l'essenza, in termini tali da rappresentarli come sostanzialmente diversi, nella connotazione della loro valenza lesiva della reputazione della persona. (Nella specie è stato altresì precisato che per non ricorrere in deformazioni sostanziali dei dati essenziali della notizia mediante l'introduzione di elementi aggiuntivi, l'autore della pubblicazione ha il dovere di esaminare, verificare e controllare, in termini di adeguata serietà professionale, la consistenza, nella sua realtà propositiva, della relativa fonte d'informazione).

Cass. pen. n. 7839/1990

Nel reato di diffamazione a mezzo stampa l'individuazione del soggetto passivo del reato — in mancanza di una indicazione specifica ovvero di riferimenti inequivoci a circostanze e fatti di notoria conoscenza attribuibili ad un determinato soggetto — deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell'offesa. Tale criterio oggettivo non è surrogabile con le intuizioni o con le soggettive congetture che possano insorgere in chi, per sua scienza diretta, può essere consapevole, di fronte alla genericità di un'accusa denigratoria, di poter esser uno dei destinatari, se dal contenuto della pubblicazione non emergano circostanze obiettivamente idonee alla rappresentazione di tale oggettivo coinvolgimento.

Cass. pen. n. 6384/1990

In tema di ricerca storica o storiografica, la prova della verità, come causa di giustificazione, deve essere ancora più rigorosa, e più rigoroso il controllo delle fonti di prova, non potendosi fare la storia con dubbi o insinuazioni. Infatti, anche nella vera e propria ricerca storica, il diritto di critica o di manifestazione del pensiero non può sconfinare nella altrui denigrazione. (Applicazione in tema di diffamazione col mezzo della stampa in relazione ad un volume dal titolo «In nome della loggia»).

Cass. pen. n. 312/1990

L'ipotesi di cui all'art. 13 della L. 8 febbraio 1948, n. 47 (disposizioni sulla stampa) non costituisce un'autonoma ipotesi di reato, ma una circostanza aggravante complessa del reato di cui all'art. 595 c.p., in quanto si limita a stabilire una pena più grave per il concorso di aggravanti già contemplate nello stesso art. 595, rispettivamente al secondo e terzo comma.

Cass. pen. n. 5427/1989

Allorché la diffamazione è compiuta a mezzo stampa, l'elemento della pluralità e cioè della comunicazione con più persone, richiesto per la configurabilità del delitto ex art. 595 c.p., si può ritenere in re ipsa, per il fatto stesso della pubblicazione e della diffusione del mezzo usato, che si rivolge ad un numero cospicuo ed indeterminato di persone. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, l'imputato aveva sostenuto che la diffamazione doveva essere considerata non a mezzo stampa, ma semplice, per il fatto che solo poche persone avrebbero identificato la persona offesa).

Cass. pen. n. 1952/1989

In tema di diffamazione, la comunicazione diretta in busta chiusa al superiore di un determinato ufficio non integra il delitto di diffamazione perché l'eventuale conoscenza da parte di persona diversa dal destinatario non è voluta dallo scrivente.

Cass. pen. n. 3756/1988

Le persone giuridiche e gli enti collettivi possono assumere la qualità di soggetti passivi dei delitti contro l'onere e non è preclusa la configurabilità di una concorrente offesa all'onore o alla reputazione delle singole persone che dell'ente fanno parte. Tale concorrente responsabilità presuppone, però, che l'offesa non si esaurisca in valutazioni denigratorie che riflettano esclusivamente l'ente in quanto tale, ma investano, o attraverso riferimenti espliciti, o mediante un indiscriminato coinvolgimento nella riferibilità dell'accusa, i singoli componenti, così danneggiati nella loro onorabilità individuale.

Cass. pen. n. 6167/1987

In tema di diffamazione l'offesa ad un soggetto può ben comportare, di riflesso, una lesione della reputazione di un altro soggetto, ma per la sussistenza del delitto nei confronti di quest'ultimo, occorre che esista un nesso indefettibile ed univoco fra l'offesa esplicita e quella che può costituirne l'effetto ulteriore e diverso. (Fattispecie concernente l'accusa di «madornale favoritismo» nei confronti di un soggetto mossa nei riguardi di una giunta comunale e dai giudici del merito ritenuta diffamatoria del soggetto interessato. La Corte, constatata la carenza di motivazione sul nesso suddetto, ha annullato con rinvio).

Cass. pen. n. 8282/1985

Per fatto determinato, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 595 comma secondo c.p., s'intende il fatto concretamente individuabile mediante l'indicazione dell'azione o delle azioni che si affermano essere state commesse da qualcuno e non la generica attribuzione di qualità o di attività disonoranti; fatto determinato, in altri termini, è il fatto sufficientemente delineato nel suo carattere e nei suoi elementi essenziali in modo che ne derivi quell'aspetto di più agevole credibilità come fatto reale, produttivo di quel maggiore pregiudizio alla reputazione, nel quale si concreta la ratio della suddetta aggravante. (Nella specie è stata esclusa la circostanza di cui all'art. 595 comma 2 c.p. nell'attribuzione della qualifica di «esportatore di valuta» non accompagnata dall'indicazione di circostanze concrete, quali il tempo e l'ammontare dell'esportazione).

Cass. pen. n. 5490/1985

Anche nei rapporti tra persone esercenti la medesima attività professionale, se è consentito manifestare giudizi negativi sull'operato del collega, nel legittimo esercizio del diritto di critica, questa ultima deve però rimanere nell'ambito di un dissenso motivato su basi tecnico-scientifiche ed espresso in termini corretti, misurati ed obiettivi e non assumere toni lesivi della dignità morale e professionale del collega.

Cass. pen. n. 5267/1985

In tema di diffamazione, la comunicazione con più persone non perde il carattere criminoso se è fatta in via confidenziale o riservata. Ai fini della configurabilità del requisito della comunicazione con più persone concorrono a formare il numero delle persone sia quelle diverse da coloro ai quali l'agente si è direttamente indirizzato, sia i prossimi congiunti del diffamatore o del diffamato, sia persone che siano già informate del fatto offensivo attribuito.

Cass. pen. n. 10510/1981

In tema di diffamazione, per fatto determinato deve intendersi un fatto concretamente individuabile mediante l'indicazione dell'azione che si afferma essere stata commessa da qualcuno, non essendo sufficiente la generica attribuzione di qualità o di attività disonoranti. Se però, deve trattarsi di un fatto sufficientemente delineato nei suoi essenziali elementi, in modo che ne derivi quell'aspetto di maggior credibilità in cui si sostanzia la ratio dell'aggravante in esame, non occorre tuttavia che l'esposizione del fatto sia completata con l'indicazione di circostanze attinenti al luogo, al tempo e alle modalità dell'azione.

Cass. pen. n. 6265/1980

Poiché la ditta non è altro che il nome sotto il quale l'imprenditore esercita l'attività commerciale e le imprese individuali non hanno una soggettività diversa da quella dell'imprenditore che le impersona, l'addebito infamante rivolto alla ditta è riferibile in modo immediato e diretto all'imprenditore.

Cass. pen. n. 5667/1980

La ricorrenza del «fatto determinato» nei delitti contro l'onore consiste nell'attuazione di un'azione o di una condotta, sufficientemente specificata, non rilevando che vengano precisati il tempo o il luogo dell'azione stessa.

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Consulenze legali
relative all'articolo 595 Codice Penale

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. P. chiede
martedì 14/05/2024
“Un mio familiare, che ha tra l'altro problemi psichiatrici in cura, ha detto stronzo ad un politico sul social instagramm. Quando me ne sono accorto l'ho ripreso. Sto cercando di togliere la frase commento dal social. Potrebbe incorrere in problemi seri per questo, è un reato? oppure no.
Mi dispiacerebbe perché percepisce il reddito di inclusione perché invalido.”
Consulenza legale i 15/05/2024
Per rispondere al parere dobbiamo fare due valutazioni: una in astratta e una in concreto.

In via astratta possiamo sicuramente dire che la condotta posta in essere integra il reato di diffamazione previsto e punito dall’articolo 595 c.p.
E’ noto che tale fattispecie punisce qualsivoglia condotta che lede l’onore e il decoro altrui laddove la condotta medesima venga posta in essere in “presenza” di più persone, tale per cui l’offesa viene percepita da più soggetti.

In merito all’utilizzo dei social, peraltro, la giurisprudenza ha anche ritenuto che l’offesa posta in essere mediante questi strumenti risulta aggravata ai sensi del comma 3 dell’articolo 595 c.p. per la particolare diffusività dei social network stessi.

Nel caso di specie è difficile dubitare che definire taluno “idiota” integri il reato preso in considerazione.

Ciò detto, in concreto possiamo però dire che le probabilità che un politico sporga denuncia - querela perché un soggetto qualsiasi gli ha dato dell’idiota sui social sono davvero scarse. I politici sono ben consapevoli della loro esposizione pubblica e, generalmente, fanno riferimento alle vie giudiziarie solo laddove l’offensore sia una testata giornalistica o un soggetto noto. Agire contro un privato cittadino qualsiasi non avrebbe senso.

Peraltro, anche laddove il politico dovesse adire le vie giudiziarie, nel caso di specie ci sarebbe ben poco di cui preoccuparsi. La diffamazione prevede una pena molto lieve che sarebbe anche attenuata, nel caso di specie, dalla seminfermità del soggetto agente e comunque l’incensuratezza dell’offensore dovrebbe condurre alla pena sospesa ex art. 163 del c.p..

D. R. chiede
giovedì 18/04/2024
“Buongiorno, la Mia questione è la seguente.

Durante un colloquio di lavoro (nella sede dell'azienda), di fronte a due esaminatori, mi sono lasciato sfuggire che il mio precedente datore di lavoro aveva dei modi di fare violenti.
Il nome non è stato fornito, ma gli esaminatori avevano il curriculum davanti e la mia spiegazione faceva necessariamente riferimento a uno solo dei numerosi datori di lavoro presenti sul CV.

Durante il colloquio, uno dei due esaminatori aveva un portatile.

Conscio della difficoltà dell'avverarsi di tutte le condizioni, pongo il quesito.

Se l'esaminatore mi avesse registrato (senza mio consenso) e in un secondo momento decidesse di inviare tale registrazione all'offeso, sarebbe possibile per quest ultimo querelarmi per diffamazione? La registrazione sarebbe ammissibile in giudizio?

In quel caso potrei rivalermi su chi ha mandato la registrazione?

In caso di querela e conseguente condanna in sede civile, solitamente, per questo genere di questioni, a quanto ammonta il risarcimento? E in sede penale quali sarebbero le conseguenze?”
Consulenza legale i 29/04/2024
Rispondiamo ai quesiti singolarmente cercando, nel contempo, di fare un po’ di ordine.
Il primo quesito attiene alla sussistenza, nel caso di specie, del reato di diffamazione, previsto e punito dall’articolo 595 c.p.

Come noto, il reato in parola mira a tutelare l’onore e il decoro altrui e l’obiettivo immediato della fattispecie è quello di evitare che taluno si prodighi in condotte offensive e lesive della reputazione di un soggetto terzo.

Senza entrare nel dettaglio di questioni giuridiche articolate, due cose vanno rilevate del reato in parola.

In primo luogo occorre che la condotta diffamatoria sia veicolata a più persone che, secondo giurisprudenza consolidata, devono essere in numero non inferiore a tre.

A ciò si aggiunga che, ad oggi, non è del tutto facile discernere tra ciò che è diffamatorio e ciò che non lo è.
Nel tempo, invero, si è assistito a una giurisprudenza alquanto altalenante in merito alla natura delle espressioni utilizzate dal soggetto diffamante per essere ritenute idonee a configurare la fattispecie di cui all’art. 595 c.p.
Ebbene, la disputa giurisprudenziale ha portato alla manifestazione di due correnti alquanto contrapposte.
Secondo la prima, per la sussistenza del reato è necessario, nel caso della comunicazione scritta od orale, che i termini utilizzati od il concetto veicolato attraverso di essi siano oggettivamente idonei a ledere la reputazione del soggetto passivo (C., Sez. V, 18.10-29.11.2016, n. 50659).
Secondo altra corrente, invece, possono rivelarsi offensive anche le espressioni, apparentemente non diffamatorie, le quali abbiano in realtà un contenuto allusivo, percepibile dal lettore medio, che le rende tali (C., Sez. V, 15.7.2008).

Dunque, nel caso di specie:
- la condotta potrebbe integrare il reato di diffamazione se il colloquio si è svolto al cospetto di minimo 3 persone e,
- se le espressioni utilizzate, pur non essendo oggettivamente offensive, avessero un contenuto effettivamente allusivo e di caratura oggettivamente offensiva dell’ex datore di lavoro.

Quanto alle conseguenze, valga quanto segue.
Sulla pena, l’articolo 595 punisce la condotta con la reclusione fino a un anno. In casi del genere, comunque, l’eventuale pena detentiva sarebbe davvero irrisoria e comunque sarebbe sospesa exart. 163 del c.p.. Ciò a tacer del fatto che mediante i riti alternativi il soggetto potrebbe beneficiare di numerose agevolazioni che potrebbero estinguere il reato in tempi brevissimi. Dal punto di vista penale, dunque, le conseguenze sarebbero nulle o comunque irrisorie.
Generalmente, poi, nei casi di diffamazione, la persona offesa dal reato (cioè il soggetto diffamato) si costituisce parte civile onde ottenere il risarcimento del danno riportato. Ora, quantificare il danno è impossibile non conoscendo il dettaglio della vicenda in questione ma se si pensa che le diffamazioni a mezzo stampa (molto più gravi di quella presa in considerazione nel parere) difficilmente hanno consentito la liquidazione di un danno morale di euro 10.000, l’ipotetico danno liquidabile nel caso di specie sarebbe davvero minima cosa, difficilmente superiore ai 1.000 o 2.000 euro (ammesso che a tale risultato si giunga e non si eviti mediante i riti alternativi).

Quanto alla questione della registrazione, purtroppo dal punto di vista penale non si frappongono ostacoli all’invio della stessa al soggetto interessato atteso che la registrazione in parola è effettuata tra soggetti presenti. Detto in parola semplici, il fatto che la registrazione sia effettuata da un soggetto partecipante al colloquio non genera problemi di privacy o di riservatezza che possano impedire l’inoltro ad altri. Anzi, sul punto è stata la stessa Cassazione a affermare, con la sentenza n. 40148 del 2022, che questi tipi di registrazioni sono paragonati a dei semplici documenti e possono addirittura anche legittimamente confluire tra i mezzi di prova del processo penale ex art. 234 del c.p.p..

Da ciò consegue che laddove, a seguito dell’invio della registrazione all’interessato, dovesse incardinarsi un processo penale con condanna del diffamante, questi non potrà di certo rivalersi su colui il quale ha diffuso la registrazione non avendo, quest’ultimo, posto in essere alcunché di illecito che possa essere foriero di una richiesta risarcitoria.

Va comunque detto che la vicenda de qua è davvero bagattellare e pertanto si sconsiglia di immaginare scenari di una gravità che è ben lontana dall’appartenere all’accaduto.

R. D. L. chiede
venerdì 26/01/2024
“Egr. Avvocato,
le volevo chiedere cortesemente un parere riguardo la recensione rilasciata sulla pagina di Google per un servizio prestato nell’attività di lavanderia di mia moglie della quale è titolare. Attività presente sul mercato da due generazioni.

In particolare la recensione recita quanto segue “Lavanderia sconsigliata, porti un vestito sporco è rimane tale, non sanno minimamente lavorare, e sono anche scortesi e aggressivi con la clientela.”

Quanto asserito è totalmente falso, sia nella prima parte dove asserisce che i capi vengono riconsegnati sporchi, sia sull’accusa espressa nei confronti della persona di mia moglie di essere aggressiva e scortese.

Come posso tutelare la sua immagine e il suo lavoro?
Si possono raffigurare in quanto asserito estremi di reato di diffamazione aggravata per giudizio espresso non al lavoro eseguito ma alla persona di mia moglie su un portale online accessibile a tutti?

Ringraziandola anticipatamente,
Colgo l’occasione per porgerle i miei più Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 30/01/2024
Gli estremi del reato di diffamazione non sembrano sussistere nel caso di specie.

Il reato di diffamazione, invero, risulta scriminato ex art. 51 del c.p. dall’esercizio del diritto di critica che consente al soggetto agente la libertà di esprimere una considerazione su un determinato soggetto e/o servizio se i toni usati non sono oggettivamente offensivi (limite della continenza) e se sussiste un interesse pubblico alla conoscenza della considerazione in parola (criterio della pertinenza).

Ora, fermo restando che nel caso di specie non sono stati usati termini oggettivamente offensivi, è naturale che il soggetto di un esercizio commerciale possa essere legittimamente sottoposto a critiche che non possono – e non devono – essere sussunti nell’alveo della fattispecie penale.
Ciò che si intende dire è che se il reato di diffamazione pone delicate questioni in tema di bilanciamento tra il diritto alla riservatezza e all’onore del soggetto leso e il diritto alla libertà di espressione del soggetto agente, in casi come quello di specie in cui vi è un esercizio commerciale aperto al pubblico e inevitabilmente assoggettato al gradimento degli utenti, ciò che va compresso è il diritto dell’esercente non già la libertà di pensiero altrui.

Diversamente ragionando, invero, si perverrebbe all’assurda conclusione che il reato di cui all’art. 595 c.p. possa essere utilizzato per coartare la libertà di pensiero altrui che costituisce un diritto difficilmente comprimibile.

Si sconsiglia pertanto qualsiasi iniziativa penale al riguardo.

C. B. chiede
giovedì 23/11/2023
“Buona sera,
Sono una Docente precaria di sostegno.
In occasione di un incontro mancato (per sopraggiunta mia influenza, sono mutua da tre giorni) con la mamma dell’alunno che seguo, che avevo convocato io stessa per discutere di un problema disciplinare occorso in classe, problema che aveva coinvolto il ragazzo, la stessa non ha rimandato l’appuntamento. Ha invece chiesto di parlare con la collega che con me si occupa del ragazzo (ci dividiamo la cattedra oraria per l’aiuto allo studente, nelle diverse materie: si tratta di una classe prima della scuola secondaria di primo grado). La Signora, probabilmente piccata per la mia convocazione, ha riferito alla collega e ad un’altra collega presente al colloquio, la referente per l’inclusione (quindi erano in tre, e le due colleghe hanno recepito il messaggio, comunicandomelo telefonicamente oggi), in mia assenza e ledendo la mia reputazione (ne sto risentendo molto dal punto di vista fisico e psichico, tanto che ho valutato anche la possibilità di dimettermi) che io avrei dato del « coglione » (cit., e mi spiace dover essere così esplicita) al bambino. Cosa assolutamente assurda, falsa, probabilmente inventata dal ragazzino. Ho sempre avuto buoni rapporti con il ragazzo e con la famiglia, ma dopo un momento di tensione in classe, e complice la mia malattia (un’influenza stagionale, niente di più) sono venuta a sapere dell’accaduto solo oggi, come detto, al telefono da una delle due colleghe presenti, mercoledì 22 novembre 2023. A me sembra che sussistano tutti i requisiti (tre) che inquadrano il reato di diffamazione art. 595 e non intendo denunziare, ma al momento, semplicemente conoscere se la mia interpretazione è corretta. Purtroppo in questi casi, a scuola e in particolare modo quando si ha a che fare con ragazzi disabili (ma la diagnosi è di semplice sindrome oppositiva, leggero deficit cognitivo e dislessia, molto lieve, art. 104 comma 1 - il caso meno grave, tanto che il QI è quasi nella norma) so già che sarebbe un combattere contro i mulini a vento. Ma almeno difendermi pacatamente, mettendo sull’avviso colleghi, Dirigente e la mamma del ragazzo stesso, durante il colloquio che avrò mercoledì prossimo (che spero in presenza del Dirigente) mi aiuterebbe ad affrontare con più sicurezza la situazione, che mi sta creando come ripeto aggravamento nel mio stato psichico, fiaccato da anni di burn-out scolastico. Sono più che certa di non aver usato quel termine, ne con questo, ne con altri studenti, in 10 anni di onorato servizio. Vorrei che questa fosse l’ultima volta che si usano false illazioni per cercare di schiacciare l’autorità degli insegnanti, e procedere lavorando serenamente fino a giugno, senza timori ne prevaricazioni. Grazie, spero di ricevere Vostra opinione quanto prima, entro martedì 28/11. Cordialmente.”
Consulenza legale i 24/11/2023
Due sono i punti particolarmente problematici della fattispecie in esame: il fatto che la comunicazione diffamatoria sia trasmessa a più soggetti e il fatto che tale comunicazione sia idonea a offendere l’onore e la reputazione altrui.

Sotto il primo versante, non sembrano sussistere problemi nel caso di specie atteso che, secondo giurisprudenza costante, per integrare la diffusività tipica della diffamazione è sufficiente che l’offesa sia comunicata a almeno due persone, anche se non presenti contemporaneamente nel momento in cui l’offensore pone in essere la condotta.

In riferimento, invece, alle espressioni utilizzate, lo scenario si complica.

Nel tempo, invero, si è assistito a una giurisprudenza alquanto altalenante in merito alla natura delle espressioni utilizzate dal soggetto diffamante per essere ritenute idonee a configurare la fattispecie di cui all’art. 595 c.p.
Ebbene, la disputa giurisprudenziale ha portato alla manifestazione di due correnti alquanto contrapposte.
Secondo la prima, per la sussistenza del reato è necessario, nel caso della comunicazione scritta od orale, che i termini utilizzati od il concetto veicolato attraverso di essi siano oggettivamente idonei a ledere la reputazione del soggetto passivo (C., Sez. V, 18.10-29.11.2016, n. 50659).

Secondo altra corrente, invece, possono rivelarsi offensive anche le espressioni, apparentemente non diffamatorie, le quali abbiano in realtà un contenuto allusivo, percepibile dal lettore medio, che le rende tali (C., Sez. V, 15.7.2008).

Tale disputa è rilevante nel caso di specie.
Stando alla richiesta di parere, infatti, il genitore non ha mai pronunciato parole oggettivamente offensive nei confronti dell’insegnante ma ha soltanto affermato che questi avesse appellato in malo modo l’alunno.
Nel caso di specie, dunque, prima di affermare che si è trattato di una condotta diffamatoria occorrerebbe capire il contesto, le modalità e la finalità del comportamento del genitore.
Se questi, infatti, si fosse semplicemente lamentato di una condotta poco consona dell’insegnante, dando per vero che il figlio fosse stato appellato in malo modo, allora la diffamazione non è sussistente.

Se invece il genitore, pur non proferendo offese dirette, al colloquio avesse lasciato intendere che l’insegnante sia incompetente, pur sapendo che questi non ha mai dato del “coglione” al proprio figlio, allora potremmo ritenere il reato sussistente.

E’ evidente, dunque, che nel caso di specie il confine tra condotta lecita e illecita è molto sottile e difficilmente individuabile perché presuppone l’indagine di una consapevolezza interna al genitore che è davvero difficilmente discernibile.

Pertanto, una soluzione potrebbe essere quella di evitare di menzionare il reato nel corso delle fasi iniziali del futuro colloquio e fare presente al genitore che la sua condotta potrebbe costituire diffamazione solo laddove questi dovesse continuare a insistere nella sua posizione anche a fronte delle delucidazioni dell’insegnante rispetto all’offesa – mai pronunciata – nei confronti dell’alunno.

A. V. chiede
mercoledì 03/05/2023
“Siamo tre fratelli, io sono il più giovane.
Per vari motivi di lavoro e salute ho capito, dopo tanti anni, che il conto corrente di famiglia (gestito dalla sorella maggiore fin dal 1995 per assistere nostra madre deceduta nel 2005) è stato da lei utilizzato per scopi personali distraendo continuativamente piccole somme che hanno però danneggiato la nostra liquidità. Stupidamente fidandomi non ho mai ricevuto un resoconto della gestione degli immobili di famiglia, tantomeno conteggi relativi al conto corrente comune. Da qualche tempo ho fatto richiesta alla Banca X di estratti conto annuali e sono in possesso ora di estratti conto per un totale - non contiguo- di circa 18 anni . Inoltre ho le prove del fatto che la vecchia casa di famiglia in YYY sia stata affittata a turisti in tutti questi anni da mia sorella senza mai fornirci notizia e tantomeno dividere gli introiti .
Ora, essendo residente in altra regione ed afflitto da mallatttia grave, sono seguito da un avvaocato in quanto da oltre un anno voglio vendere ai miei fratelli la mia quota ereditaria, ma il mio avvocato è estremamente prudente e la faccenda viene portata per le lunghe dagli avvocati delle controparti. Vorrei sapere se commetto reato pubblicando tutti i documenti in mio possesso e che accuserebbero innanzitutto mia sorella di sottrazione di denaro e mio fratello di complicità o meno nel fatto.”
Consulenza legale i 08/05/2023
Per rispondere al parere bisogna anzitutto comprendere cosa si intende per “pubblicare”.

Se si intende la diffusione di illazioni e/o anche documenti che hanno il fine ultimo di evidenziare le scorrettezze comportamentali della controparte e l’eventuale e ipotetica commissione di alcuni reati, allora il rischio di incorrere in reati come la diffamazione e la calunnia è estremamente alta.
La pubblicazione fine a se stessa, infatti, è chiaramente intrisa di un intento diffamatorio che lascerebbe ben pochi dubbi sulla sussistenza di una delle fattispecie richiamate in precedenza.

Se, invece, per pubblicazione si intende il convogliamento della documentazione presso la Procura della Repubblica competente per denunciare la commissione di fatti costituenti reato, allora:

- sicuramente non si corre il rischio della diffamazione in quanto si tratta di un’operazione che non coinvolge più soggetti, come previsto dall’ art. 595 del c.p.. Si consiglia comunque di procedere, nell’ipotetica denuncia - querela, con toni miti e con una narrazione quanto più asettica possibile;

- il rischio della calunnia è, poi, estremamente basso. Se la querela è fatta bene e se dunque nella stessa si evidenziano bene gli elementi di sospetto relativi alla commissione del fatto, è difficile ritenere sussistente il reato di cui all’ art. 368 del c.p. per il quale è necessario che il soggetto agente sia certo che la controparte non abbia commesso il fatto. Circostanza, questa, esclusa in modo netto laddove il sospetto sulla reità altrui è netto, complice anche un substrato indiziario di rilievo (che, come anzidetto, andrebbe ben evidenziato nella denuncia-querela).

A. G. chiede
giovedì 26/01/2023 - Lazio
“A seguto di interessamento del Garante della Privacy in merito alla condivisione illegittima di un mio dato sanitario da parte di un medico odontoiatra, quest'ultimo nelle giustificazioni addotte scriveva al garante:

- “il rapporto con il paziente ha preso poi una piega spiacevole, in quanto successivamente (…) ha avanzato pretese fuori dal normale rapporto clinico e adottato vari comportamenti sgradevoli – come per esempio un ossessivo atteggiamento da stalker con insistenti messaggi su whatsapp e a seguire numerosi messaggi anche sulla pec (…).

Premettendo che le richieste avanzate inizialmente tramite Whatsapp e successivamente tramite PEC erano esclusivamente richieste formali tese ad ottenere la documentazione clinica e che la condivisione con l'Ordine dei medici da parte del medico è stata successivamente ammonita dal Garante della Privacy, vorrei procedere legalmente per le parole proferite nelle giustificazioni dove il professionista si riferiva al sottoscritto, che esercitava un proprio diritto, come uno stalker (" adottato vari comportamenti sgradevoli – come per esempio un ossessivo atteggiamento da stalker").

Ho preso cognizione di quanto scritto dal medico in questione solo a seguito dell'Ordinanza ingiunzione emessa dal Garante.

Ci sono gli estremi per una querela per avermi dato dello stalker? O quali strade intraprendere per tutelarmi? Non credo ci sia la scriminante delle "offese in atti scritti dinanzi alle Autorità" perché il giudizio reso dal medico eccede la forma e il contenuto necessario a porre le giustificazioni.”
Consulenza legale i 08/02/2023
La diffamazione è una fattispecie penale disciplinata dall’art. 595 del c.p. ed è posta a presidio del bene giuridico dell’onore, intenso omnicomprensivamente come dignità sociale della persona.
Trattasi di un reato comune la cui condotta incriminata è descritta come offesa alla reputazione fuori dai casi previsti dall’articolo precedente, l’ingiuria, ora depenalizzata.

L’assenza dell’offeso è quindi un requisito essenziale per la configurabilità del delitto de quo e deve essere intesa, in accordo con la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie, come impossibilità di percezione fisica dell’offesa da parte del soggetto passivo.

Il regime di procedibilità è a querela della persona offesa e, di conseguenza, un’eventuale denuncia-querela deve essere depositata all’Autorità giudiziaria (rectius Procura della Repubblica territorialmente competente) entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto costituente reato (e quindi dalla data di notifica del provvedimento del Garante).

Tuttavia, ad avviso di questa redazione, nella fattispecie in esame opera la causa di non punibilità di cui all’art. 598 del c.p. atteso che l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali è qualificabile come autorità amministrativa in sede di contenzioso.

Anche qualora la predetta norma non trovasse applicazione, si sconsiglia di agire giudizialmente in sede penale.

Qualora si volesse comunque coltivare la propria pretesa giuridica, si consiglia, in questa fase iniziale, di predisporre una richiesta di risarcimento del danno in sede stragiudiziale (civile) mediante l’assistenza di un legale di fiducia.


S. C. chiede
lunedì 23/01/2023 - Emilia-Romagna
“Egregio Avvocato,

La PM chiedeva l’archiviazione della querela a carico di assistenti sociali e psicologo che avevano inviato al TPM relazioni sostanzialmente false e diffamatorie. La motivazione dell’archiviazione risiederebbe non tanto nel doversi escludere che quanto espresso con le relazioni sia effettivamente di natura diffamatoria,ma: “atteso che” le relazioni erano espressione di valutazioni professionali da parte degli addetti ai servizi sociali,per di più loro commissionate dal TPM.
La diffamazione mi consta essere un reato comune,quindi la valutazione di infondatezza della querela, espressa solo in ragione delle caratteristiche soggettive degli indagati, non pare essere una motivazione plausibile,a meno che qualche logica giuridica o normativa inaccessibile ai profani non indichi il contrario. Chiedo pertanto se sia dimostrabile che la richiesta ed il suo successivo accoglimento siano da considerarsi un artifizio volto esclusivamente all'insabbiamento delle indagini e così garantire l’impunità degli indagati. In tal caso,cosa rischierebbero la PM e,sopra tutto,la G.d.P. che in qualità di GIP ha poi accolto la richiesta e in che modo e a chi potrei sollecitare un intervento in tal senso?

grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 25/01/2023
Prima di rispondere al parere, occorre fare una premessa.
Dalla lettura della richiesta di archiviazione del PM e della conseguente archiviazione del Giudice non emerge affatto che il reato di diffamazione sia stato escluso per la particolare qualifica degli assistenti sociali.
Ciò che il PM e il Giudice hanno inteso dire è che le considerazioni svolte dai soggetti predetti non siano tali da integrare il reato di cui all’ art. 595 del c.p. in quanto si trattava di affermazioni che, seppur sgradevoli, rientravano nel perimetro fisiologico dell’espletamento della loro funzione.

Ora, nel caso di specie non è dato sapere come si siano espressi gli assistenti sociali ma, di certo, laddove questi abbiano svolto delle considerazioni negative sul soggetto X e laddove tali considerazioni non siano trasmodate in offese gratuite e totalmente ultronee rispetto al ruolo assegnato agli assistenti, allora è chiaro che non si può parlare di diffamazione.

Diversamente ragionando si addiverrebbe all’assurda conclusione che ogni assistente sociale debba esprimere dichiarazioni positive sui soggetti attenzionati perché, altrimenti, incorrerebbero nella sanzione penale.
E’ una conclusione ovviamente illogica, che snaturerebbe il ruolo effettivo degli assistenti sociali ed è quindi da escludere.

Il PM e il Giudice, in buona sostanza, intendevano quanto affermato sopra e dai provvedimenti non si evince affatto che il reato non sussiste per una questione di mera qualifica soggettiva.

Stando così le cose, si sconsiglia di intraprendere qualsivoglia azione del genere emarginato nella richiesta di parere. La stessa, oltre a essere infondata, esporrebbe il soggetto agente ad un concretissimo rischio di calunnia.

A. P. chiede
mercoledì 12/10/2022 - Piemonte
“Buongiorno,
sono in procinto di presentare un ricorso al Tribunale del lavoro di XXX, per vertenza contro piccolo Comune in Piemonte (mio ex datore di lavoro).
Attualmente sono un funzionario presso un altro Comune della zona e vorrei inviare breve notizia ad alcuni giornali locali con il duplice obiettivo di riscattare la mia immagine professionale tra gli enti locali della zona e fare pressione sulla controparte per spingerla ad accettare una conciliazione a me favorevole in corso di giudizio e chiudere velocemente la causa (tentativi stragiudiziali non hanno dato buon esito).
Ho pertanto scritto un breve testo da inviare ai suddetti giornali e che vi chiedo di controllare se effettivamente divulgabile senza incorrere in rischi penali/civili per diffamazione o danno d'immagine nei confronti dell'Ente o del Sindaco del Comune (in sostanza scongiurare il rischio di espormi a ritorsioni con la diffusione del breve testo che allego).
Ringrazio anticipatamente”
Consulenza legale i 21/10/2022
Il quesito richiede di analizzare quelli che sarebbero i rischi nel caso in cui venisse pubblicata la notizia attraverso la quale l’ex dipendente del Comune denuncia alcune irregolarità avvenute durante la sua permanenza alle dipendenze dell’ente locale.
Innanzitutto, è bene operare alcuni rilievi di carattere teorico, per giungere poi alla concreta analisi del testo pubblicando e sottoposto all’attenzione della redazione giuridica.
Ebbene, per quanto attiene ai profili di carattere penale, si ritiene che potrebbe essere astrattamente configurabile il reato di diffamazione. L’articolo, infatti, contiene alcune frasi che potrebbero teoricamente assumere carattere diffamatorio.
Il reato di diffamazione è previsto e punito dall’art. 595 del c.p., in virtù del quale è soggetto a pena chiunque offenda pubblicamente l’altrui reputazione.
Non si può quindi escludere che, in seguito all’eventuale pubblicazione dell’articolo in oggetto, il Comune, nella persona del legale rappresentante, possa portare a conoscenza i fatti citati all’Autorità giudiziaria (rectius Procura della Repubblica) ai fini del possibile avvio di un procedimento penale.
Tuttavia, il reato di diffamazione non può ritenersi integrato (tecnicamente: sarà “scriminato) allorquando, ai sensi dell’art. 51 del c.p., vengano rispettati i limiti per una legittima espressione del proprio pensiero, diritto garantito dell'art. 21 Cost.. La giurisprudenza ha individuato, per l’esercizio del diritto di cronaca, i limiti della verità dei fatti esposti, della pertinenza (ovvero dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto) e della continenza (ovvero della correttezza dell’esposizione).
Se questi limiti vengono osservati, l’autore dell’articolo non potrà essere punito.
Passando ora all’analisi dei profili di rischio di carattere civilistico, si potrebbe affermare che, nel caso di cui dovesse essere ritenuta integrata la diffamazione, allora il Comune si potrebbe certamente costituirebbe come parte civile nel giudizio penale, usufruendo delle agevolazioni probatorie tipiche di tale processo, al fine di domandare il risarcimento dei danni derivanti dal fatto di reato. In particolare, il Comune potrebbe effettivamente chiedere il risarcimento a titolo di “danno all’immagine”, che si declina in due aspetti, quello patrimoniale e quello non patrimoniale.
Tuttavia, anche se - per un qualunque motivo - non dovesse ritenersi integrato il reato di diffamazione, nel caso in cui non vengano rispettati i criteri sopra citati per il legittimo esercizio del diritto di cronaca ex art. 21 Cost. (ovvero quello della verità, della pertinenza e della continenza) l’autore del fatto illecito potrebbe esser chiamato a risarcire i danni in virtù della semplice applicazione dell’art. 2043 del c.c. e dell’art. art. 2059 del c.c..
Come per tutte le fattispecie di illecito, per poter esperire un’azione di risarcimento del danno, sarà comunque necessario provare il fatto antigiuridico, il danno ingiusto e il nesso causale tra il fatto illecito e il danno. Ogni danno ingiusto, infatti, deve porsi come conseguenza immediata e diretta dell’illecito posto in essere dall’autore del fatto.
Il danno all’immagine, come ipotesi particolare di danno derivante da illecito aquiliano (o extracontrattuale), è un tipo di danno che può avere, come anticipato, natura sia patrimoniale che non patrimoniale. Sarà leso il patrimonio del soggetto qualora, dal danno all’immagine, consegua una diminuzione degli introiti derivanti al soggetto stesso, diminuzione tuttavia difficilmente configurabile nel caso di un ente territoriale, il quale verrebbe viceversa certamente pregiudicato dal danno all’immagine nella sua natura non patrimoniale, quale lesione della reputazione pubblica del Comune. La pubblicazione della notizia che non dovesse corrispondere al vero, infatti, provocherebbe una incidenza negativa nell’agire delle persone fisiche, che operano all'interno dell’ente, e diminuirebbe la considerazione del Comune da parte dei consociati. Tale pregiudizio, infatti, incide sulla fiducia della cittadinanza nei confronti dell’ente locale.
In ogni caso, però, è utile osservare che il danno all’immagine e alla reputazione, in termini di danno conseguenza, non sussiste “in re ipsa”. Questo significa che il danno deve essere provato da chi ne domanda il risarcimento, e ciò renderà più difficile - in concreto - ottenerlo. In ambito di danno all’immagine, infatti, i giudici sono soliti liquidare il danno sulla base non di valutazioni astratte, bensì sulla base del concreto pregiudizio subito dalla vittima. Le prove del danno all’immagine possono eventualmente essere anche presunte, assumendo quali parametri di tali presunzioni: la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa, la posizione sociale della vittima. Una massima della giurisprudenza, in merito al danno da diffamazione, ha affermato anche che: “Il danno all’immagine ed alla reputazione (nella specie, per un articolo asseritamente diffamatorio), inteso come “danno conseguenza”, non sussiste “in re ipsa”, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento. Pertanto, la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sulla base non di valutazioni astratte, bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sé, ed assumendo quali parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima" (Cass. Civ. n. 4005 del 18/02/2020).
La Suprema Corte, peraltro, ha superato quell’impostazione in virtù della quale si riteneva ammissibile il risarcimento per danno all’immagine solo in presenza di una persona fisica, ritenendo comunque risarcibile il danno non patrimoniale, inteso in senso diverso dal danno morale soggettivo e da quello biologico, anche in favore delle persone giuridiche. Sul punto, la giurisprudenza ha reso risarcibili, a favore della persona giuridica, i danni conseguenti all’obiettiva offesa dell’onore, della reputazione, dell’immagine commerciale, dell’identità politica, nonché storica e culturale.
Fatte queste doverose premesse, dalla lettura della bozza della notizia inviata in redazione, non si evince nemmeno un elemento riguardante le ragioni in base alle quali si richiede “l’annullamento della valutazione di performance 2020 e maxi-risarcimento da 50 mila euro”. In tal senso, sarebbe utile riportare alla redazione i fatti recriminati nell’anno in cui si prestava servizio presso il Comune di XXX, al fine di operare una valutazione circa la fondatezza delle domande poste.
Inoltre, sarebbe necessario sapere cosa è effettivamente accaduto, per analizzare l’effettiva verità dello scritto. Ma ciò richiederebbe un’indagine molto più approfondita, non operabile in questa sede.
Ad ogni buon conto, ai fini del parere in oggetto, questa redazione consiglia l’eliminazione dallo scritto delle seguenti frasi:
  • chiudendo un’esperienza lavorativa che purtroppo definisco come la peggiore della mia vita”;
  • non ho riscontrato nessuna delle problematiche sofferte a XXX”;
  • Personalmente non avevo mai fatto fatto causa a nessuno prima d’ora e peraltro spiace dover ricorrere a certi rimedi, ma ho fiducia nella giustizia” .

Oltre a ciò, si consiglia anche l'intera rimozione delle ultime dieci righe dell'articolo in oggetto.


In ogni caso, anche al di là dei rischi concreti che potrebbero sussistere nel caso in cui il Comune sporgesse querela e il Pubblico Ministero dovesse ritenere integrata la diffamazione, è bene considerare come lo strumento della pubblicazione di uno scritto - dal carattere più o meno incisivo - non costituisce un buon metodo di “fare pressing” nei confronti del Comune, al fine di indurlo ad accettare una conciliazione.
Meglio sarebbe prospettare - nel contesto degli incontri conciliativi - l’effettivo danno, di carattere biologico e/o morale, arrecato dal Comune al lavoratore durante la prestazione del servizio lavorativo nel Comune di XXX. In tal modo, si cercherebbe in modo legittimo di far valere i propri diritti.


Potrebbe - piuttosto - essere opportuno rivolgersi ad un legale di fiducia al fine di una bonaria soluzione transattiva della vertenza in oggetto, condotta attraverso una conciliazione amichevole o, se ne sussistono i presupposti, rivolgendosi alla competente Autorità Giudiziaria.

A. O. chiede
martedì 16/08/2022 - Sardegna
“Domenica 7 agosto, di pomeriggio, mi sono recato in cimitero in occasione del funerale di un mio amico; mentre stavo facendo le condoglianze ai familiari uno di questi, mio amico di lunga data anche lui, le ha platealmente rifiutate lasciando sbigottiti me e i presenti, affermando che non erano gradite a causa del grandissimo male che gli avevo fatto; invitandomi, o meglio, ordinandomi di andar via: “fila via” sono state le sue parole, accompagnate col gesto della mano molto eloquente. La moglie che gli stava a fianco, meravigliata e imbarazzata come gli altri, gli ha chiesto cosa gli avessi fatto e lui ha ribadito che gli avevo fatto molto male e altre cose che non ho capito bene, tanto ero frastornato.
Mi sono trovato improvvisamente e senza alcun preavviso in una situazione bruttissima e dolorosissima; mi sono sentito male; pensavo che mi venisse un colpo. La sorpresa è stata enorme; non avevo idea di come reagire e non ho reagito, visti anche il luogo e la circostanza; per cui, con un gesto di impotenza e di rassegnazione, sono andato via mestamente.
Inutile dire che a questo ormai ex amico non ho mai fatto niente di male e i nostri rapporti sono sempre stati ottimi. Quale geometra libero professionista ho avuto modo di eseguire dei lavori per lui nel corso degli anni, sempre andati a buon fine e con sua piena soddisfazione; tra noi non c’è mai stato uno screzio.
Quindi il comportamento riprovevole e odioso tenuto nei miei confronti da questo individuo miserabile, durante il funerale del fratello, non ha alcuna ragione di essere; l’accusa che mi ha rivolto è assurda; è una grande falsità; una sgradevole, irragionevole e gratuita diffamazione che mi danneggia tantissimo, visto anche il lavoro che svolgo.
Non mi sono ancora ripreso dal grave malessere fisico e mentale che mi ha colpito l’altra domenica; non riesco proprio a farmene una ragione.
Sento il bisogno di sfogarmi; non riesco a tenermi dentro la rabbia per la grave e ingiusta offesa pubblica ricevuta da una persona che ritenevo amica, che ha gettato su di me tanto discredito e che, se avesse voluto, avrebbe potuto chiedere e ottenere, in qualsiasi momento, chiarimenti e spiegazioni su qualunque azione, comportamento e/o atto che posso aver compiuto nel corso degli anni contro di lui e a suo danno, come ha asserito, tanto da giustificare l’odiosa condotta tenuta nei miei riguardi.
Pertanto pensavo di scrivergli una lettera nella quale potermi sfogare dicendogli tutto il peggio che penso di lui, con gli improperi più volgari immaginabili, che sarebbero sempre meno pesanti del male che mi ha fatto e del danno materiale e morale che mi ha causato (quello si vero e reale); del quale, eventualmente, potrei anche chiedergli conto in seguito giudizialmente.
Cosa mi dite? Posso agire come penso di fare? Nel caso, la lettera va scritta e spedita in forma particolare e con quali accorgimenti? Chi mi ha offeso poteva comportarsi in quel modo? Ciò che ha detto di me è diffamazione? Posso chiedere i danni? E nel caso, come dovrei fare?
Vi ringrazio tanto per la vostra cortese risposta”
Consulenza legale i 31/08/2022
L’episodio occorso, sebbene sgradevole e fastidioso, non sembra avere alcun rilievo penale.

Il reato di diffamazione, come noto, mira a punire determinate aggressioni all’onore e alla reputazione altrui.
Nel tempo, vero è che si è assistiti ad una dilatazione dello spettro applicativo della fattispecie di cui all’art. 595 del c.p. , ma è soprattutto vero che l’offesa di cui la persona offesa dal reato si duole deve essere percepibile, netta e intelligibile.
Ci spieghiamo meglio.
In passato si riteneva che il reato di diffamazione potesse essere posto in essere solo a seguito di offese specifiche, peraltro mediante l’utilizzo di termini non consoni e volgari.
Successivamente, la Cassazione ha optato per una soluzione mediana, ritenendo che l’offesa possa essere perpetrata anche mediante l’utilizzo di parole e/o locuzioni ordinarie, appositamente orchestrate al fine di ledere l’altrui reputazione.
Tuttavia, osservando la prassi giurisprudenziale, la stessa dà conto di una casistica molto specifica, in cui l’offesa perpetrata è netta e non assolutamente generica e vaga.

Nel contesto che ci occupa, dunque, v’è più di un dubbio sul fatto che un semplice gesto, seppur pubblico e fatto in un contesto molto formale come un funerale, possa avere una portata diffamatoria.
Al gesto in questione, invero, non è seguito alcun impropero, tale per cui le ragioni dello stesso sono rimaste ignote e ciò costituisce un ostacolo di rilievo nel ritenere che il gesto medesimo possa aver leso l’onore altrui.

Ciò, naturalmente, non esclude la possibilità di agire mediante una denuncia - querela ma, nel comporla, occorre fare molta attenzione ai termini e alle modalità di redazione della stessa, onde evitare di incorrere nel reato di calunnia.

Quanto ai danni ipoteticamente riconducibili al fatto, gli stessi possono essere risarciti solo se si dimostra la sussistenza del reato e la diretta riconducibilità dei danni medesimi alla condotta posta in essere. Tale operazione pare essere, nel caso di specie, piuttosto complessa e non può prescindere da eventi certi, allo stato non conosciuti.

Ciò detto, si sconsiglia di agire, in reazione, nel modo emarginato nella richiesta di parere.

Invero, l’invio di una lettera contenente “gli improperi più volgari immaginabili” avrebbe un contenuto ingiurioso e, pertanto, il soggetto destinatario potrebbe agire in sede civile per ottenere, questa volta si, la comminazione della relativa sanzione con conseguente risarcimento del danno.

Stante quanto su detto, è ovvio che, laddove si dovesse decidere per l’invio della missiva, non esiste cautela formale che tenga dal ritenere sussistente l’illecito civile di ingiuria.

U. M. chiede
venerdì 20/05/2022 - Lazio
“Buongiorno,
Nel corso di un’assemblea condominiale, per motivare il mio voto contrario al rinnovo dell’incarico all’amministratore, ho espresso le critiche scritte riportate nel documento allegato. Di tali critiche esiste dimostrazione documentale certa.
L’amministratore anziché confutare tali critiche si è rivolto all’assemblea chiedendo il mio allontanamento. Successivamente all’assemblea ha presentato querela per diffamazione, rappresentando che in sua assenza io avrei fatto leggere all’assemblea da un’altro condomino il documento, continuando a criticarla senza che ella avesse la possibilità di difendersi. Contestualmente alla querela si è riservata di chiedere il risarcimento per danni alla sua reputazione professionale.
Questa rappresentazione è in fatto non veritiera, in quanto la registrazione audio dell’assemblea mostra inconfutabilmente sia che l’amministratrice era presente alla lettura del documento, sia che ella ha reagito chiedendo il mio allontanamento, sia infine che io sono stato in assoluto silenzio, senza reagire, limitandomi a chiedere che la richiesta di allontanamento dell’amministratrice fosse verbalizzata.
Dopo essere venuto a conoscenza della querela ho presentato a mia volta querela per calunnia.
Ritengo nel procedimento di diffamazione di poter essere assolto con formula piena; inoltre posso dimostrare che l’amministratrice ha alterato scientemente la rappresentazione dei fatti e quindi agito con dolo per danneggiarmi. Posso dimostrare anche che l’amministratrice ha diffuso all’esterno ad altri condomini copia della sua querela, danneggiandomi ulteriormente.
Pongo quindi il quesito sulla possibilità e sui modi per richiedere il risarcimento delle spese (tempo perduto, il mio legale) e dei danni subiti (d’immagine e di stress) all’interno del procedimento di diffamazione che sta per avviarsi.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 30/05/2022
Nel procedimento per diffamazione ex art. 595 c.p. Lei assume attualmente il ruolo di imputato e, in questo senso, anche sulla base di quello che ha esposto nel quesito, deve approntare la strategia difensiva più utile ed opportuna al fine conseguire una pronuncia di assoluzione nel merito.

Quanto alla richiesta di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali.
Poiché ha già sporto denuncia-querela, la sede naturale è quella del procedimento per calunnia da Lei avviato, e all’interno del quale Lei assume la veste di persona offesa.
Qualora il Pubblico Ministero eserciti l’azione penale, mediante la c.d. richiesta di rinvio a giudizio, Lei avrà la possibilità di costituirsi parte civile ai sensi dell’art. 75 c.p.p.

In alternativa, sempre sulla base del disposto dell’art. 75 c.p.p., Lei può esercitare autonomamente un’azione risarcitoria in sede civile.

Ad ogni buon conto Questa Redazione consiglia di valutare, assieme al proprio legale di fiducia, una composizione bonaria delle vertenze con l’amministratrice condominiale attraverso le rimessioni (e contestuali accettazioni) delle rispettive querele.


S. P. chiede
martedì 07/12/2021 - Calabria
“Scrivere in una separazione giudiziale un'accusa al marito di frequentare prostitute dell'est Europa e di recarsi a trovare le stesse in un paese lontano 60 km indicando a teste una cliente dell'avvocato avversario nota alle forze dell ordine come prostituta e falsa testimone cotituisce reato di ingiuria?”
Consulenza legale i 09/12/2021
In primo luogo va detto che, nel nostro ordinamento, ormai il reato di ingiuria è stato depenalizzato. Non è più, quindi, un reato.

Conseguentemente, l’unico reato che, nel caso di specie, può venire in rilievo è quello di diffamazione, previsto e punito dall’art. 595 c.p.
In giurisprudenza si è discusso a lungo della configurabilità di tale reato mediante scritti difensivi, anche alla luce della specifica causa di non punibilità prevista dall’articolo 598 c.p.

Sul punto, la giurisprudenza ha in sostanza affermato che la diffamazione può ritenersi configurata solo allorché gli scritti difensivi (o le dichiarazioni orali del difensore) siano totalmente avulse dal merito della causa pendente e siano oggettivamente e concretamente offensive del decoro e della reputazione altrui.

Nel caso di specie, dunque, se gli scritti difensivi erano funzionali – come sembra – ad eccepire e rilevare una condotta negativa dell’ex marito valevole in punto di addebito della separazione e se il tenore degli stessi non è degenerato in affermazioni palesemente offensive, non dovrebbe esserci alcun pericolo di fattispecie di rilevanza penale.

M. E. S. chiede
martedì 20/07/2021 - Sicilia
“Ho fatto degli commenti su twitter e instagram generici su episodi ma senza alcun riferimento a luoghi, istituzioni or persone. Se qualcuno degli attori di questi incidenti si sente pizzicato, posso essere querelato per diffamazione?”
Consulenza legale i 28/07/2021
Gentile Cliente,
in relazione ai commenti evidenziati nel quesito non si ravvisano profili di carattere penale che potrebbero configurare il reato di diffamazione ex art. 595 c.p..
Occorre tuttavia contestualizzare questi commenti, la conversazione in cui si collocano, e comprendere se vi siano state risposte dirette a ciò che è stato scritto.
Trattasi, all’apparenza, di commenti-post “ad incertam personam”.
Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha precisato come il reato di diffamazione si configuri qualora il destinatario delle offese sia ben determinato. Da ciò ne consegue che il reato non possa ritenersi configurato qualora le espressioni vengano pronunciate verso soggetti né individuati né individuabili (v. Cass. pen., sez. V, sent. 3809/2018).
La Cassazione ha precisato che, qualora trattasi di frasi pronunciate nei confronti di persone sconosciute o non identificabili, la valutazione di determinabilità soggettiva non può risolversi in relazione alla considerazione soggettiva di un soggetto qualsiasi, che si riconosca come destinatario dell’offesa.
Questo condurrebbe infatti ad un’immedesimazione basata unicamente e meramente su collegamenti fattuali, che non rispondono ad un criterio oggettivo di riconoscibilità.


Irene S. chiede
lunedì 05/07/2021 - Sicilia
“Alla Vostra gentile attenzione

Vorrei un parere legale riguardo eventuali reati di ingiuria o diffamazione configurabili a mezzo facebook.
Negli ultimi mesi ho commentato notizie e post pubblici, con botta e risposta, ad utenti assolutamente sconosciuti, utilizzando toni piuttosto pesanti e alcune volte anche insulti all'intelligenza dell'interessato. Vorrei sapere, in questi casi, trattandosi di insulti reciproci, con la presenza virtuale dell'altro utente, che chiaramente rispondeva per le rime, se si può configurare diffamazione (quindi un reato penale) o ingiuria (illecito civile) e quanto sia più o meno attendibile e soprattutto frequente essere querelati per dei commenti a post pubblici da perfetti sconosciuti, considerando che sui social è un po' una costante utilizzare toni accesi e usare espressioni offensive.
Grazie”
Consulenza legale i 12/07/2021
Gentile Cliente,
nel caso di specie i toni espressi sono senza dubbio molto forti ed occorre fare svolgere alcune distinzioni.

Dagli screenshoot compaiono solo i commenti di chi ha posto il quesito.
Dalla lettura degli stessi, si può affermare quanto segue.

I commenti in cui viene “taggato” l’offeso/destinatario della frase ingiuriosa potrebbero astrattamente integrare l’illecito civile dell’ingiuria aggravata dalla presenza virtuale di più persone in quanto lesivi dell’onore delle persone coinvolte nella discussione, inteso come sentimento del proprio valore sociale.

La norma prevede che “il soggetto passivo si trovi nello spazio entro il quale può essere percepita l’espressione oltraggiosa, e cioé essere udita la parola o visto l’atto con cui si concreta l’offesa” (v. Antolisei).
In tal senso una parte della dottrina equipara la presenza fisica ad altre forme di comunicazione e percezione dell’offesa, tra cui vi è quella tramite internet.
Seguendo questa impostazione non vi sarebbero problemi circa la configurabilità dell’ingiuria aggravata.

In questi casi, trattandosi di un illecito civile, la vittima delle offese può agire per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale solamente in sede civile.

Tuttavia è opportuno precisare come la dottrina minoritaria ritenga che l’elencazione dei mezzi di comunicazione abbia carattere tassativo e non esemplificativo.
Da ciò ne deriverebbe l’impossibilità di ricomprendere nell’ambito di operatività dell’ingiuria (aggravata) le forme comunicative più evolute come quelle tramite radio, televisione ed internet, senza incorrere nel divieto di analogia in malam partem.
Seguendo questa seconda impostazione l’ingiuria non sarebbe configurabile nel caso in esame.

Secondo alcuni autori, in casi come quello in esame, è invece astrattamente configurabile il reato di diffamazione ex art. 595 c.p. in relazione al quale è sufficiente che l’offesa, lesiva dell'onore inteso come reputazione di cui un soggetto gode nella comunità, sia stata visibile/percepita da almeno due persone (qui elemento costitutivo del reato e non circostanza aggravante come nell’illecito civile di ingiuria).
Si tratterebbe, nello specifico, di una forma di diffamazione aggravata dall’utilizzo di un mezzo pubblico di comunicazione.
In questo caso il soggetto passivo può agire in sede penale per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale, mediante deposito di atto di denuncia-querela e costituendosi poi eventualmente parte civile, o in alternativa in sede civile.

È però opportuno evidenziare anche che le frasi trascritte nei commenti, qualora non siano ripetute e siano lievi quanto al contenuto, possono essere oggetto di una richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero o, eventualmente qualora vi siano i presupposti previsti dalla legge, di una richiesta di archiviazione per tenuità del fatto ex art. 411 c.p.p., in quanto, in quest’ultimo caso, l’offesa, pur configurando reato, è di particolare tenuità e il comportamento non risulta abituale.

Anche se in internet è “costante” utilizzare toni accesi, la considerazione espressa nel quesito non deve essere valutata come attenuante.
È opportuno riflettere attentamente prima di scrivere frasi come quelle analizzate nei confronti di altri utenti, in quanto ciò che viene inserito in un forum online o su una piattaforma social... rimane.

Alberto O. chiede
mercoledì 23/06/2021 - Lombardia
“Buongiorno, l'argomento di cui sotto fa seguito alla consulenza con codice di riferimento Q202128050.

Ieri c'è stata l'assemblea condominiale. In occasione della stessa, il vicino ha fatto mettere all'ordine del giorno un punto sugli "eccessivi rumori molesti" e poi mi ha accusato pubblicamente di fare rumore fuori orario, di essere un incivile e via dicendo. Al mio tentativo di replicare, mia ha parlato sopra e ci è mancato poco che la riunione degenerasse in rissa.
Io sto pensando di denunciarlo per diffamazione, in quanto le sue accuse (alle quali non ho potuto rispondere, perché mi ha urlato sopra) di essere "rumoroso" ed "incivile", ledono la mia immagine. Sono un imprenditore, ho l'azienda vicino a dove abitiamo, e mi secca molto che mi venga attribuita questa immagine, senza alcuna prova.

E' stata una accesa discussione orale, faccio fatica a ricordare i termini esatti.
Il vicino mi ha diffamato accusandomi di fare ripetuti rumori molesti fuori dagli orari consentiti, c'erano 9 testimoni (esclusi io, il vicino e sua moglie). Questo lede la mia immagine: sono informazioni sufficienti per procedere con un atto formale di diffamazione?
Non sono un tecnico, quindi vorrei un suggerimento da voi su come procedere per difendere la mia immagine di cittadino civile e rispettoso delle regole della convivenza, anche condominiale.

Credete ci siano gli estremi? Nel caso, potrei avere un preventivo?”
Consulenza legale i 30/06/2021
Gentile Cliente,
il reato di diffamazione, rubricato all’art. 595 c.p., tutela lo stato dell’integrità morale della persona, e nello specifico la reputazione dell’uomo intesa come stima diffusa nell’ambiente sociale. La giurisprudenza di legittimità ha precisato come la reputazione si identifica con il senso di dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale in base allo specifico contesto storico (v. Cass. pen., sent. 21128/2018).
Nel caso in esame il condomino ha chiesto che venga messo all’ordine del giorno un punto riguardante “eccessivi rumori molesti”, accusandola pubblicamente di far rumore fuori orario oltre ad ulteriori insulti non meglio specificati.
Occorre in tal senso sottolineare che la Cassazione ha precisato come la condotta lesiva può concernere anche il buon nome commerciale di un soggetto, in quanto la nozione ampia di reputazione può includere anche il profilo connesso all’attività economica e professionale svolta dalla vita e alla considerazione di cui essa gode all’interno di un gruppo sociale (sul punto v. Cass. pen., sent. 250456/2011).
Tuttavia, è bene precisare che la mera divulgazione di fatti non veritieri relativi alla vita di una persona non può determinare automaticamente una lesione della reputazione, in quanto i fatti attribuiti possono risultare indifferenti per l’integrità della sua reputazione (Cass. pen., sent. 4672/2017).
La valutazione riguardante l’offensività non dipende solo dall’oggettiva natura del fatto divulgato, bensì anche dalle implicazioni che la sua divulgazione assume in ragione delle qualifiche soggettive della persona cui esso viene accostato.
Questa Redazione ritiene che sia necessario specificare le frasi pronunciate dal condomino durante l’assemblea e contestualizzare meglio il fatto storico. In questo senso gli eventuali testimoni assumono un'importanza decisiva ai fini probatori.
In conclusione, fermo restando quanto esposto sopra, si consiglia, prima dell'eventuale deposito di atto di denuncia-querela, la redazione di una lettera di diffida da parte di un avvocato, in cui si chiede il risarcimento del danno non patrimoniale al condomino e, in ipotesi di diniego, si avvisi della possibilità di dar corso agli atti giudiziari.

Dario B. chiede
domenica 13/06/2021 - Sicilia
“Salve,
sono stato condannato in sede penale (tutt'e tre i gradi di giudizio, che desidererei allegare) per essere entrato nel profilo facebook di una persona con cui avevo una relazione ed aver scritto un post nel quale elencavo le azioni della stessa e di altre persone (4). Costituitisi in parte civile, gli offesi in sede di mediazione mi chiedono 135.000 in totale che poi sono scesi a 55.000 in totale (15 la proprietaria del profilo e 10 gli altri 4). La mediazione non è andata a buon fine e sicuramente inizierà il processo civile per risarcimento da diffamazione. Vi chiedevo in che termini si può spingere il rischio che corro a livello economico considerata la bassa entità della pena sentenziata in sede penale pur non sapendo quali fantomatici danneggiamenti dichiareranno di aver subito le controparti che evidentemente hanno intenzione di speculare sulla faccenda. Grazie, Saluti”
Consulenza legale i 17/06/2021
Occorre in primo luogo premettere che la bassa entità della pena comminata in sede penale non ha alcuna rilevanza in merito alla quantificazione dei danni in sede civile.
Infatti, per quanto riguarda eventuali danni patrimoniali il danneggiato dovrà fornire prova in giudizio della riduzione dei redditi a seguito della diffamazione (magari tramite certificazione di commercialista) nonché eventuale documentazione (o testimonianze) volta a provare -ad esempio – la perdita di occasioni lavorative a causa della diffamazione subita.
Per quanto riguarda invece il danno non patrimoniale, occorre tenere presente che esso consiste nella“forma della sofferenza soggettiva causata dall’ingiusta lesione del diritto inviolabile inerente alla dignità, immagine e reputazione della persona ex artt. 2 e 3 Cost.” (Cass.Sez.Unite 26972 del 2008).

In materia di diffamazione, la Suprema Corte con la sentenza n.8397/2016 ha precisato che la sua quantificazione avviene tramite “criteri equitativi”: è rimessa quindi al prudente apprezzamento del giudice.
In merito a tale aspetto, l’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ha individuato (dopo aver fatto un esame comparativo di svariate sentenze di giudici di merito) cinque tipologie di gravità della diffamazione a mezzo stampa (o altri mezzi di comunicazione, tra cui i social network come Facebook). Si parte dalla diffamazione di tenue entità (per un risarcimento compreso tra mille e diecimila euro), proseguendo con quella di modesta entità (per un risarcimento compreso tra undicimila e ventimila euro) fino ad arrivare a diffamazioni di eccezionale gravità.
I criteri utilizzati dai giudici per quantificare i danni non patrimoniali riguardano, ad esempio, sia la notorietà del diffamante che la diffusione del mezzo diffamatorio che l’intensità dell’elemento soggettivo del reato ecc.ecc.

Ciò posto, in risposta al quesito, con le assai scarne informazioni in nostro possesso, non possiamo quantificare “il rischio a livello economico” in quanto appunto ciò sarà rimesso alla valutazione equitativa del giudice sulla base dei fatti.
Quello che possiamo dire è che quanto richiesto dalle controparti in sede di mediazione (la cifra più bassa di euro 55.000) corrisponde per le quattro persone a un danno non patrimoniale di tenue entità mentre per la persona con cui si aveva avuto una relazione ad un danno non patrimoniale di modesta entità (sempre che negli importi indicati non siano compresi anche eventuali danni patrimoniali per lucro cessante).
Pertanto, in linea di massima, è plausibile che vengano richiesti tali importi anche nel giudizio civile.
Non siamo tuttavia in grado di dire se il giudice accoglierà o meno tali richieste.
Possiamo solo ipotizzare che, in caso di accoglimento, il “minimo” dell’importo per ciascun diffamato (sulla base dei criteri sopra riportati) sarà contenuto tra euro mille e diecimila.

Nicola M. chiede
martedì 25/08/2020 - Sicilia
“Il decreto di citazione in giudizio si basa sull'incriminazione di un paragrafo copiato da un giornale, che lo ha estratto dal testo di un comunicato stampa pubblicato una settimana prima.
Considerato quanto afferma la sentenza della Corte di Cassazione penale, sez. 5a, del 26-02-2003, N. 19804, in Dir. e Giust. 2003: ''Ai fini della individuazione del contesto diffamatorio dell'informazione deve essere valutato sia il testo letterale dello scritto pubblicato, sia il complesso dell'informazione rappresentata''.

Mi sembra illegittimo giudicare una presunta offesa alla reputazione tenendo conto solo di un paragrafo di 76 parole, estratto da un comunicato di 514 parole, sarebbe un modo come falsare le basi e la conclusioni del procedimento penale.”
Consulenza legale i 31/08/2020
Nel nostro ordinamento non c’è alcuna norma processuale che stabilisca le modalità specifiche di redazione del capo d’imputazione atteso che, il nostro codice di procedura penale, in diversi articoli, afferma soltanto che l’imputazione deve essere enunciata in forma “chiara e precisa” (si veda, ad esempio, l’art. 429 del codice di rito).

Si tratta, evidentemente, di una locuzione estremamente ampia e “oscura” che, nel tempo, ha consentito ai magistrati di formulare le loro imputazioni nei modi più disparati, talvolta anche fantasiosi.

Con specifico riferimento al reato di diffamazione, tuttavia, va detto che, nel 99% dei casi, il pubblico ministero formula l’imputazione richiamando, nella contestazione, le affermazioni diffamatorie, citando testualmente dichiarazioni verbali, email e, talvolta, anche stralci di articoli di giornale.

Vero è, dunque, che la portata diffamatoria di una qualsivoglia affermazione, se non offensiva in modo esplicito, va parametrata al contesto (ciò, a maggior ragione, nel caso in cui si tratti di una diffamazione col mezzo della stampa, come sembra essere nel caso di specie), ma è anche vero che si tratta di un argomento di merito, che dovrà essere fatto valere dall’imputato nel corso del processo penale.

Pertanto, non sembra che la condotta del Pubblico Ministero sia assoggettabile a qualsivoglia censura nel caso di specie.

F. C. chiede
lunedì 17/08/2020 - Emilia-Romagna
“Buongiorno

In una conversazione su Facebook (commenti sotto al post di un amico comune) sono stato apostrofato come "mentecatto" da una certa C. L. e "cafone di merda" da un certo L. S., con reciproco scambio di un "cuore" di compiacimento tra i due soggetti.
I fatti risalgono a circa 15 settimane fa, ma ne ho avuto cognizione solo da qualche giorno.

Se intendessi procedere legalmente contro di loro, ci sarebbero reali possibilità di spuntarla?

Allegherò screenshot della conversazione.

Grazie e buon lavoro”
Consulenza legale i 03/09/2020
Per rispondere al quesito occorre fare due valutazioni:
1. è possibile agire in sede penale?
2. cosa si otterrebbe?

Sul primo versante, la risposta è sicuramente positiva.

In tema di dichiarazioni palesemente offensive rese attraverso l’utilizzo dei social network, la giurisprudenza più di una volta si è pronunciata affermando che tale condotta configura il reato di diffamazione aggravato dal mezzo della stampa (art. 595, comma 3).

Quanto, invece, alla procedibilità, vero è che, a rigore, la querela andrebbe presentata entro novanta giorni, ma è anche vero che la giurisprudenza ha affermato che tale termine decorre non già dal giorno in cui il fatto è stato commesso bensì dal momento in cui la persona offesa dal reato ha preso reale contezza della condotta posta in essere in suo danno.

Nel caso di specie, dunque, dovremmo essere nei termini.

La risposta al secondo tema (cosa si otterrebbe?) è più complessa.

In seguito alla presentazione della querela, invero, la Procura della Repubblica aprirebbe un fascicolo e, qualora dovesse esercitare l’azione penale (cosa piuttosto probabile nel caso di specie), la persona offesa, mediante la costituzione di parte civile nel processo penale, potrebbe chiedere un risarcimento agli imputati per il “danno” ricevuto, previa prova dello stesso.

Tale attività, tuttavia, presuppone l’intervento di un difensore che assista al procedimento penale e che andrà, ovviamente, retribuito. Conseguentemente, spesso il risarcimento ottenibile in casi del genere non compensa minimamente il disagio – e la spesa - di un procedimento penale.

Ciò non toglie che la persona offesa possa denunciare l’accaduto e poi disinteressarsi del processo penale così ottemperando ad una mera questione di giustizia, ovvero punire le persone che hanno tenuto una condotta assolutamente scorretta.

S. C. chiede
sabato 08/08/2020 - Emilia-Romagna
“All’interno del locale privato ove si trovano i loculi dei miei famigliari,fra cui quello di mia figlia,deceduta nel 2015,è stato rinvenuto un manifesto scritto a mano,applicato dall’interno con scotch sulla porta d’ingresso in vetro e ben visibile dall’esterno.
Sul cartello è scritto in stampatello e a caratteri cubitali:”Nessuno può impedire a Manuel di baciare la sua mamma”.
La grafia appartiene al padre di mio nipote Manuel,figlio di mia figlia defunta,che da anni ci impedisce di vedere il bambino ed il significato dello scritto,così come anche percepito da chi lo ha letto,vuole insinuare che il sottoscritto,ed i parenti materni,vogliano impedire al nipote di far visita alla tomba della mamma.
La porta di accesso ai loculi è però sempre aperta e,comunque,la chiave rimane infilata nella toppa. Inoltre,il manifesto,come detto, era applicato all’interno del vano,prova che chiunque può tranquillamente entrare a rendere omaggio ai defunti ivi tumulati.
Il messaggio,appositamente posto affinché tutti potessero leggerlo,ha un chiaro intento diffamatorio,volendo destare in chi legge la convinzione che al minore venga impedito di visitare la tomba della mamma. Benchè il cartello non specifichi il destinatario della diffamazione,il riferimento ai parenti paterni pare scontato essendo gli unici a poter mettere in atto un simile comportamento.
Chiedo se in tale circostanza sia ravvisabile il reato di diffamazione in quanto già alcuni conoscenti mi hanno chiesto perché a Manuel venga impedito di recarsi sulla tomba della mamma.
In alternativa,chiedo quale altra misura intraprendere considerato che,comunque,il soggetto ha trasformato un luogo sacro in una bacheca ove esporre le sue elucubrazioni.”
Consulenza legale i 30/08/2020
La dinamica del caso di specie è particolarmente delicata e, pertanto, è estremamente difficile fare una prognosi sulla fondatezza di un’azione penale.

Cominciando, infatti, dal reato di diffamazione, di certo sussiste uno degli elementi oggettivi del reato di cui all’art. 595 del codice penale, ovvero l’offesa dell’altrui reputazione. Secondo costante giurisprudenza, infatti, ai fini della configurabilità del reato de quo non occorre che la reputazione altrui venga infangata attraverso parole offensive e/o oggettivamente sgradevoli bastando, a tal fine, anche frasi fortemente allusive che siano in grado di ledere l’immagine altrui.
In tal caso, non v’è dubbio che la frase scritta sul cartellone affisso alla tomba di famiglia sia concretamente idonea ad offendere la reputazione di chi, sempre stando al predetto cartellone, non consente ad un figlio di far visita alla tomba materna.

Tuttavia, l’art. 595 c.p. è strutturato in modo tale da censurare offese esplicitamente rivolte ad uno o più soggetti determinati che, proprio perché identificati, possono ritenersi concretamente lesi nella loro reputazione e onore.

Tale circostanza nel caso di specie non sussiste.
La frase in questione, invero, si rivolge a più soggetti, nessuno dei quali identificato in modo specifico e, pertanto, non risulta concretamente idonea ad offendere la reputazione di alcuno.
Vero è che i “sospetti” ricadono sul nucleo familiare, ma si tratta di una valutazione induttiva non suffragata da alcun elemento deducibile dalla frase trascritta.

Conseguentemente, più che agire per il reato di diffamazione, potrebbe essere più utile sporgere denuncia per il reato di cui all’articolo 407 o 408 del codice penale i quali sono posti proprio a presidio della tutela dei sepolcri e delle tombe.

Raffaella P. chiede
martedì 28/04/2020 - Lombardia
“Buongiorno,
vi espongo il mio problema.

Circa un mese e mezzo fa mi è stato portato a casa un cane appartenente a un'anziana amica di mia madre appena deceduta per Covid insieme al marito. La figlia della signora deceduta mi ha chiesto (anche per iscritto) di prendermi cura del cane perché doveva effettuare la quarantena fiduciaria (!).
Essendo un'amante degli animali, dedicandomi quasi esclusivamente alla cura dei miei 3 cani e dei miei 6 gatti e avendo una casa grande con giardino ho prontamente acconsentito ad accudire il cane.

Purtroppo il cane era molto mal tenuto, nonostante la figlia della signora deceduta (nonché attuale proprietaria) dichiari di essersene sempre presa cura.
Il cane, infatti, viveva con i genitori dell'attuale proprietaria: madre ottantenne da anni malata gravemente di Alzheimer e padre ottantaquattrenne quasi mai presente in casa. Al momento del suo arrivo il cane presentava le seguenti condizioni:
moderata enterite con dissenteria grave
severa compromissione dei denti per mancanza di interventi di igiene dentale
lieve soffio al cuore e bradicardia non curati (non seguiva terapie specifiche)
pelo rarefatto e forforoso
eritemi cutanei
obesità grave (pesa 16 kg quando dovrebbe pesarne la metà)
Quanto ho appena affermato è evidenziato dai referti delle visite veterinarie che ho fatto fare a mie spese e che non mi sono state ancora rimborsate dalla proprietaria.
Inoltre, il cane era sporco e maleodorante e aveva le unghie talmente lunghe che alcune erano rigirate nei polpastrelli. Questo, purtroppo, non lo posso dimostrare perché ho subito lavato il povero cane e gli ho tagliato le unghie.

Per tutto questo tempo (dal 14 marzo a oggi) la proprietaria del cane ha accampato diverse scuse e non si è mai presentata a riprendere la bestiola. Di contro, ho più volte rassicurato la proprietaria dicendo di essere più che disponibile ad adottarla e a farmi carico di tutte le spese sin qui sostenute (e da lei non ancora rimborsate).

Una settimana fa, spinta da un capriccio del momento, la proprietaria mi ha chiamata asserendo di voler venire a prendere il cane il prima possibile. Di fronte a una mia perplessità, si è offesa e ha contattato il suo veterinario di fiducia.
A mia volta ho cercato di contattare questo veterinario per spiegare le condizioni in cui avevo ricevuto il cane e far presente che senza dubbio a casa mia veniva accudito molto meglio.

Non appena mi sono presentata telefonicamente al veterinario, questi (in viva voce alla presenza di mio marito) ha iniziato a inveire ad alta voce senza lasciarmi alcuna possibilità di replicare e dicendomi, testualmente: "lei sta sequestrando un cane a una famiglia". Dopodiché ha attaccato il telefono.
Ora, la proprietaria è tornata sui suoi passi e al momento il cane risiede ancora da me. I rapporti con lei, quindi, si sono ricuciti. Il mio problema è con questo veterinario, che da allora non ho mai più sentito.

Da quasi 10 anni adotto cani e gatti trovatelli, sono educatrice cinofila professionista, dedico tutta la mia giornata ad accudire i miei animali, sono stimata da tutte le persone del settore che conosco nella mia città... trovo assurdo che un veterinario che non mi conosce e che non mi ha nemmeno lasciato spiegare il motivo della telefonata possa accusarmi di un reato (sequestro di un cane) senza risponderne in alcun modo. Soprattutto a fronte di tutto ciò che ho fin qui fatto per il cane in questione, dedicandogli tempo e denaro a titolo completamente gratuito.

Mi rendo conto che al più si tratta di ingiuria e che non ho grandi possibilità legali di poterlo querelare, ma attendo comunque un vostro parere.

Distinti saluti.
Raffaella P.”
Consulenza legale i 01/05/2020
Purtroppo, almeno allo stato dei fatti, la condotta del veterinario non può essere passibile di querela.

Come correttamente osservato, invero, il comportamento del veterinario sarebbe tuttalpiù sussumibile nell’alveo del reato di ingiuria, che però è stato depenalizzato dal decreto legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016.

Ad oggi, di fatto, l’unica fattispecie che presiede al rispetto del decoro e dell’onore altrui è quella di cui all’art. 595 del codice penale, ovvero la diffamazione.
Il reato in parola, tuttavia, prevede che l’offesa venga perpetrata all’insaputa del soggetto passivo, e dinanzi a più soggetti, tale che il comportamento posto in essere abbia una particolare connotazione di diffusività.

Cosa che, nel caso di specie, non è accaduta atteso che il veterinario ha offeso direttamente il suo interlocutore, peraltro dinanzi ad una sola persona.

Per tali ragioni, si sconsiglia dall’iniziare qualsivoglia azione penale, procedendo in tal senso solo laddove si venga a conoscenza di ulteriori condotte sussumibili nell’alveo del reato di diffamazione.

Simone O. chiede
venerdì 24/01/2020 - Lombardia
“In merito al teatro di diffamazione, quali sono i termini di procedibilità?
Il reato è comunque perseguibile se l'attore ha diffamato con più persone ma singolarmente in momenti diversi, e con calunnie sempre differenti?
Faccio questa domanda a seguito di una assoluzione per 612bis, per cui la presunta PO, per creare una tesi accusatoria, si confidava con più persone inventando fatti mai avvenuti per confermare il suo inesistente stato di disagio.”
Consulenza legale i 26/01/2020
L’art. 124 del codice penale afferma che, in caso di procedibilità a querela, la stessa non può essere proposta dopo tre mesi dalla conoscenza del fatto che costituisce reato. Nel caso di specie, dunque, l’azione penale avrebbe dovuto essere proposta entro tre mesi dal giorno in cui si è avuto contezza del fatto che sul proprio conto venivano diffuse notizie diffamanti.

Si faccia attenzione, tuttavia, ad una circostanza.

Dal tenore del parere sembra intuirsi che la diffamazione sia confermata dalla sentenza assolutoria dello stalking che proverebbe la falsità delle dichiarazioni sullo stato di patimento che occorre per ritenere sussistente il reato di atti persecutori.

Se così è, però, va considerato che non è detto che l’assoluzione predetta confermi la portata diffamatoria delle dichiarazioni della persona offesa dal reato. La sentenza, invero, potrebbe aver assolto dallo stalking per i più disparati motivi, e senza toccare la buona fede della presunta.

Il giudice, ad esempio, potrebbe aver sostenuto che lo stato di patimento della persona offesa, pur concretamente avvertito, non sarebbe sufficiente a integrare il reato perché il soggetto leso non ha, in realtà, modificato le proprie abitudini di vita. In tale ottica, non può dirsi che la sentenza assolutoria affermi la portata diffamatoria delle dichiarazioni diffuse.

Per tale ragione, prima di agire penalmente, si consiglia di rivolgersi ad un bravo avvocato che, letta la documentazione del processo di atti persecutori, possa ben consigliare la strada da percorrere conoscendo i fatti e, soprattutto, l’iter del giudizio celebrato.

Se poi dovessero sussistere i presupposti per un'azione penale, si potrebbe pensare, proprio per far slittare i termini per proporre la querela, che il soggetto ha raggiunto la consapevolezza del reato di diffamazione posto in essere a suo danno solo nel corso del processo penale per il reato di cui all'art. 612 bis del codice penale.

Franca G. chiede
sabato 30/11/2019 - Lazio
“Buonasera.
Al mio avvocato che stava seguendo una mia pratica da tempo e che l'aveva trascurata facendomi perdere la possibilità di una transazione a me favorevole sentendosi incalzata dalle mie giuste domande mi ha restituito la pratica sbattendola sulla scrivania e mettendomi alla porta in malo modo con frasi "esca subito dal mio ufficio... mi liberi subito l'ufficio". Io ho reagito dandole della "cafona". E da li è scattata la molla dicendomi che mi avrebbe querelato a voce altissima e dicendo che aveva anche i testimoni, cioè suoi dipendenti che lavorano accanto divisi da una vetrata e che oltretutto neppure potevano sentire.

Chiedo la parola "cafona" può essere motivo di querela in questo contesto ? Sarebbe un bel paradosso dopo che mi ha recato anche un bel danno legale...

Attendo un vs. cortese parere a tale proposito e invio cordiali saluti.”
Consulenza legale i 03/12/2019
Tra le fattispecie dei delitti contro l’onore e la reputazione, nel caso di specie potrebbe rilevare quello di diffamazione, previsto e punito dall’art. 595 del codice penale.

Si tratta, in verità, di uno dei pochi reati contro l’onore e la reputazione attualmente sopravvissuto alle molteplici abrogazioni degli ultimi tempi.
Lo stesso, come può agevolmente notarsi dalla lettura della norma, sussiste ogni qualvolta venga offesa l’altrui reputazione dinanzi a più soggetti.

Orbene, nel caso di specie due sono le cose essenziali da valutare:
  • l’oggettiva offensività del termine “cafona”;
  • la possibilità che il termine predetto sia stato sentito da più persone, come, ad esempio, i collaboratori dello studio legale.
Sotto il primo versante, purtroppo non si può fare a meno di ritenere il termine “cafona” oggettivamente idoneo a cagionare un’offesa all’altrui decoro e reputazione. Si noti, infatti, che, stando alla giurisprudenza maggioritaria, il reato in questione può essere posto in essere addirittura senza usare espressioni oggettivamente offensive se, però, le stesse, provviste di una portata allusiva di peso, siano idonee a infangare l’altrui reputazione.
Stando quanto su detto, è difficile dubitare del fatto che il termine “cafona” sia astrattamente idoneo a integrare una condotta diffamatoria.

D’altra parte, come anzidetto, ai fini della sussistenza del reato in questione, la condotta deve avvenire dinanzi a più persone.
Ebbene, nel caso di specie v’è fondato motivo di ritenere che questo non sia avvenuto. Se, infatti, come affermato nel testo del parere, il termine cafona non poteva essere sentito dai collaboratori dello studio, allora difetterebbe un elemento essenziale del reato in questione.

Sembra, in ogni caso, che si tratti di un alterco degenerato in malo modo seguito da una “minaccia” dell’avvocato che difficilmente vorrà davvero realizzare, come accade nella maggior parte dei casi.

ALDO G. chiede
mercoledì 16/10/2019 - Calabria
“In riferimento all'allegato inviatovi "comunicato stampa dei carabinieri", vorrei sapere se c'è stata violazione della privacy, e abuso d'ufficio. Nonostante l'omissione del nome del minore ci sono elementi tali riconducibili alla persona e alla famiglia (ragazzo 17enne Russo adottato), inoltre viene dichiarato il falso che noi genitori avremmo denunciato ns. figlio dal 2016, in realtà da Aprile 2019. Ancora si parla di abuso di sostanze stupefacenti, cartella clinica ecc. "dati sensibili", in realtà ns. figlio non è un tossicodipendente e non risulta essere iscritto in nessuna anagrafe della questura come tale. La notizia è stata riportata dai mass-media nei modi più disparati, con titoloni come se avessero arrestato un mafioso, che poi non si tratta di arresto ma di una misura di collocamento in una comunità del ministero della giustizia. La prova provata è che ci hanno chiamati in tanti sia parenti che amici per sapere dell'accaduto, poiché viviamo in un piccolo paese dove ci si conosce un po' tutti.

DANNI PATRIMONIALI, li possiamo chiedere? (io sono disoccupato mentre mia moglie è una impiegata pubblica)
DANNI NON PATRIMONIALI li possiamo chiedere? (occorre una certificazione sanitaria)
Saluti, A.G.”
Consulenza legale i 22/10/2019
Il comunicato in questione, sebbene sia estremamente sgradevole e viene di solito effettuato dalla Polizia Locale per mere ragioni di “prestigio” e “pubblicità” dell’attività del comando locale, non sembra avere profili di illiceità.

Leggendolo, infatti, risulta evidente che lo stesso rappresenta un mero riassunto della vicenda processuale del soggetto, cui è stata comminata una misura cautelare. Tale circostanza è evidente anche leggendo il virgolettato finale che, in sostanza, non fa altro che riportare uno stralcio dell’ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari ha comminato la misura cautelare all’indagato.

Nessuna violazione della privacy risulta sussistente, poi, soprattutto per il fatto che non è stato reso noto il nome del soggetto.

Va però detto che la liceità del comunicato deve essere anche letta alla luce del contenuto della richiesta di applicazione della misura cautelare del pubblico ministero e del contenuto specifico dell’ordinanza del Giudice. Se, infatti, il testo del comunicato si fosse discostato clamorosamente dal contenuto degli atti predetti, allora si potrebbe ipotizzare di sporgere una querela per diffamazione, articolo 595 del codice penale, laddove la diffusione di informazioni non veritiere ha, ipoteticamente, offeso l’onore e il decoro della persona di cui si parla del comunicato.

A quel punto, e solo nel caso in cui il processo giunga ad una condanna di chi ha pubblicato il comunicato, si potranno chiedere i danni, sia patrimoniali (dovuti, ad esempio, al fatto che la diffusione delle notizie false ha impedito al soggetto di trovare un nuovo lavoro) che non patrimoniali (dovuti, ad esempio, ai danni susseguenti al danno all’onore del soggetto diffamato).

Sebbene non si disponga degli atti (richiesta e ordinanza cautelare) alla stregua dei quali parametrare l’eventuale azione penale per diffamazione, si sconsiglia in ogni caso di proporre la querela atteso che, in questi casi, le possibilità di instaurare un’azione legale fondata sono davvero scarsissime.

Anonimo chiede
domenica 28/07/2019 - Piemonte
“In data 11/06/2019 è stata indetta dal legale , che ha ricevuto il mandato per il recupero crediti dal condominio, insieme all'amministratore condominiale, un' un'assemblea dei consiglieri di scala, tra cui il sottoscritto, con una e_mail per il giorno 12/06/2019. Il sottoscritto non ha potuto presenziare a causa dello scarso preavviso e per impegni improrogabili. L'indomani dell'assemblea vengo a conoscenza, tramite un altro consigliere che era presente alla riunione, di affermazioni quali "è un bastardo", "è uno psicopatico", " è un pezzo di canaglia" "è da mettere sotto a un auto, nei miei confronti. Oltretutto era presente un legale il quale anziché stemperare l'atmosfera, approvando le affermazioni chiedeva all'assemblea se erano tutti d'accordo. Il consigliere che mi ha dato tale informazione mi ha anche detto che ha fatto la registrazione della riunione. Domanda: quali alternative ho per potermi tutelare?”
Consulenza legale i 29/07/2019
Il caso di specie è il perfetto paradigma del reato di diffamazione, previsto è punito dall’art. 595 del codice penale.

Il bene giuridico tutelato dal reato de quo è la reputazione. In particolare, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare come oggetto della tutela penale del delitto di diffamazione è l'interesse dello stato all'integrità morale della persona: il bene giuridico è, più specificamente, dato dalla reputazione dell'uomo, che altro non è se non la stima diffusa nell'ambiente sociale, l'opinione che gli altri hanno del suo onore e decoro (C., Sez. V, 1.3-11.5.2018, n. 21128, secondo cui la reputazione si identifica con il senso della dignita personale in conformita all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico; C., Sez. V, 28.2.1995, secondo cui la reputazione è un sentimento limitato dall'idea di ciò che, per la comune opinione, è socialmente esigibile da tutti in un dato momento storico; di più: la sentenza de qua ha avuto modo di affermare come l'opinione della persona è rilevante solo allorché sia conforme a quella sociale, nonché C., Sez. V, 12.10.2004, per la quale si deve intendere per reputazione l'opinione sociale dell'onore di una persona).

Il soggetto attivo può essere chiunque.

Quanto invece all’idoneità offensiva della condotta, anche in questo caso la Corte di Cassazione ha avuto modo di specificare le modalità della condotta, a tratti non chiarissime, arrivando ad affermare, in estrema sintesi, che ai fini della sussistenza del reato la portata diffamatoria va valutata in concreto, prescindendo dall’oggettiva offensività della terminologia usata.

Quanto invece all’elemento soggettivo, la Suprema Corte ha affermato ancora come sia sufficiente il dolo generico, consistente nella volontà cosciente e libera di propagare notizie e commenti con la consapevolezza della loro attitudine a ledere altrui reputazione ( C., Sez. V, 9.3-11.5.2018, n. 21133; C., Sez. V, 12.12.2012-29.1.2013, n. 4364; C., Sez. V, 28.11.1997, per la quale non può essere esclusa la responsabilità dell'imputato in base ad un'asserita "buona fede" non rilevante nel reato in esame, il cui elemento psicologico è il dolo generico; C., Sez. V, 7.8.1996; C., Sez. VI, 31.8.1992).

Ebbene, alla luce di quanto sopra esposto, permangono pochi dubbi in relazione alla portata diffamatoria delle dichiarazioni propalate nell’ambito dell’assemblea condominiale.
Dichiarazioni contro le quali l’unico strumento di tutela effettivo sarebbe la proposizione di un’apposita querela contro gli autori dell’illecito cui andrebbe allegata anche la fonoregistrazione fornita delle dichiarazioni predette.

Anonimo chiede
venerdì 10/05/2019 - Sicilia
“Illustrissimi avvocati.
Svolgo attività di volontariato in un’associazione sindacale di contribuenti e mi sono trovato a osteggiare una speculazione edilizia: la ditta di una Chiesa cristiana evangelica ha fatto richiesta di concessione edilizia per realizzare una chiesa, tre appartamenti per "case famiglia" e un altro appartamento per la famiglia del presidente dell'associazione evangelista. La realizzazione dell'edificio privato è stata proposta in una zona del PRG destinata ad attrezzature pubbliche e per tanto incompatibile anche per appartamenti di edilizia residenziale, oltre che per le opere private.
L'ufficio urbanistica inizialmente non ha rilasciato nessuna autorizzazione, anche per le proteste dei cittadini della zona, iniziate dopo la distruzione di un boschetto per fare spazio alla speculazione edilizia.
Il Sindaco ha tentato di intimidirmi dichiarando alla stampa che mi aveva già querelato. Invece non ha presento la querela, ma ha nominato un nuovo assessore all'urbanistica che ha presentato al Consiglio comunale una delibera per l'approvazione della convenzione urbanistica e del progetto della ditta Evangelista. Ma il Consiglio comunale, sollecitato dalle proteste dei cittadini della zona, non ha approvato.
L'assessore non ha desistito dai suoi propositi, ha fatto dichiarazioni intimidatorie ed è andato avanti sostituendo la delibera rinviata, con un'altra che attribuisce all'ufficio per l'urbanistica la competenza di sottoscrivere la Convenzione e il progetto con la ditta Evangelista.
Alla pubblica denuncia della nostra associazione per la violazione del ruolo del Consiglio comunale e del PRG, l'assessore ha risposto con una querela per offesa alla sua reputazione contro il sottoscritto e il presidente dell'associazione .
Con la presente gradirei avere un vostro parere, per comprendere se con quanto ho scritto ci sono i presupposti per offesa alla reputazione dell'assessore e come meglio mi posso difendere quando sarò interrogato, in occasione del processo che inizierà nel prossimo settembre.
Con quanto ho scritto nei due comunicati stampa, da cui sono state estratte le poche righe incriminate per la citazione in giudizio, non ho difeso un mio interesse privato e ho tentato di difendere un interesse pubblico: il rispetto del PRG e la tutela ambientale della zona d'intervento.
Le mie osservazioni critiche sono riferite alle scelte e all'attività dell'Amministrazione comunale e dell'ufficio urbanistica, non alla reputazione personale dell'assessore. Tanto è vero che, in un comunicato (capo A) non appare neanche il suo nominativo e nell'altro (Capo B) è accennato solo il cognome dell'assessore.
L'affermazione ''amico privato'' del capo A è stata scritta in contrapposizione con la classificazione di opera pubblica fatta dall'ufficio urbanistica, per fare realizzare l'edificio privato della ditta evangelista in una zona del PRG destinata ad attrezzature pubbliche. Ho definito ''amico privato'' la ditta evangelista per sottolineare come con il Comune abbia realizzato un rapporto tanto amichevole da fare realizzare l'edificio privato evangelista in zona per attrezzature pubbliche. E abbia indotto l'ufficio urbanistica ed il suo assessore a violare: il PRG, le competenze del Consiglio comunale e le leggi dell'urbanistica.
L'affermazione ''forme di estorsione'' del capo B è stata riferita alle continue minacce di querela prima fatte dal Sindaco e dopo l’assessore, per cercare di intimidirmi e rinunciare alla difesa del PRG e delle zone del PRG riservate alle opere pubbliche.
Allego copia della citazione il giudizio.
Restando in attesa del vostro parere, cordialmente vi saluto.”
Consulenza legale i 17/05/2019
Col presente parere si chiede una valutazione in merito alla sussistenza del reato di diffamazione contestato nell’ambito di un procedimento pendente presso la Procura di (omissis).
Il reato oggetto del procedimento è quello di diffamazione pluriaggravata (dal mezzo della stampa e dall’offesa ad un corpo pubblico) in seguito alla diffusione di due comunicati stampa emessi dall’indagato che criticava, con toni alquanto accesi e in qualità di rappresentante di un’associazione sindacale, l’operato dell’amministrazione comunale rispetto all’approvazione di un’opera determinata.

Orbene, il bene giuridico tutelato dal reato de quo è la reputazione. In particolare, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare come oggetto della tutela penale del delitto di diffamazione è l'interesse dello stato all'integrità morale della persona: il bene giuridico è, più specificamente, dato dalla reputazione dell'uomo, che altro non è se non la stima diffusa nell'ambiente sociale, l'opinione che gli altri hanno del suo onore e decoro (C., Sez. V, 1.3-11.5.2018, n. 21128, secondo cui la reputazione si identifica con il senso della dignita personale in conformita all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico; C., Sez. V, 28.2.1995, secondo cui la reputazione è un sentimento limitato dall'idea di ciò che, per la comune opinione, è socialmente esigibile da tutti in un dato momento storico; di più: la sentenza de qua ha avuto modo di affermare come l'opinione della persona è rilevante solo allorché sia conforme a quella sociale, nonché C., Sez. V, 12.10.2004, per la quale si deve intendere per reputazione l'opinione sociale dell'onore di una persona).

Il soggetto attivo può essere chiunque.

Quanto invece all’idoneità offensiva della condotta, anche in questo caso la Corte di Cassazione ha avuto modo di specificare le modalità della condotta, a tratti non chiarissime, arrivando ad affermare, in estrema sintesi, che ai fini della sussistenza del reato la portata diffamatoria va valutata in concreto, prescindendo dall’oggettiva offensività della terminologia usata.
Così, ad esempio: possono integrare il delitto di diffamazione anche offese indirette (T. Trento-Cles 24.12.2001, secondo cui l'intento diffamatorio può essere raggiunto anche con mezzi indiretti, subdole allusioni, espressioni insinuanti e formulazioni allusive, suscitando il dubbio sulla condotta dell'infamato) ed è da considerarsi diffamatorio l'addebito che sia espresso in forma tale da suscitare il semplice dubbio sulla condotta disonorevole ( C., Sez. V, 8.6.1992).
Possono rivelarsi offensive anche le espressioni, apparentemente non diffamatorie, le quali abbiano in realtà un contenuto allusivo, percepibile dal lettore medio, che le rende tali (C., Sez. V, 15.7.2008; C., Sez. V, 18.5.1999; C. civ., Sez. III, 13.1.2009, in cui si sanzionava colui che, riferendo in merito alle - reali - parentele siciliane di un soggetto, lo aveva fatto in maniera tale da indurre chi leggeva a ritenere che il soggetto stesso fosse inserito in un'organizzazione mafiosa).

Quanto invece all’elemento soggettivo, la Suprema Corte ha affermato ancora come sia sufficiente il dolo generico, consistente nella volontà cosciente e libera di propagare notizie e commenti con la consapevolezza della loro attitudine a ledere altrui reputazione ( C., Sez. V, 9.3-11.5.2018, n. 21133; C., Sez. V, 12.12.2012-29.1.2013, n. 4364; C., Sez. V, 28.11.1997, per la quale non può essere esclusa la responsabilità dell'imputato in base ad un'asserita "buona fede" non rilevante nel reato in esame, il cui elemento psicologico è il dolo generico; C., Sez. V, 7.8.1996; C., Sez. VI, 31.8.1992).

Sulla base della giurisprudenza, non può escludersi che il testo dei comunicati possa essere interpretato come diffamatorio.

Nel primo dei comunicati, infatti, le dichiarazioni contro l’assessore rendono conto di un pubblico ufficiale che, piuttosto che svolgere le sue funzioni, si offre ad interessi privati a scapito di quelli pubblici e favorendo dunque speculazioni di sorta.
Nel secondo, ancora, si rende conto di un assessore colluso con gli interessi privatistici patrocinati e la cui malapolitica sembra essere lampante e evidente.

Va però, al contempo, rilevato quanto segue.

La diatriba oggetto del procedimento penale è avvenuta nell’ambito di un contesto politico alquanto acceso. Contesto politico rispetto al quale ben potrebbe applicarsi la scriminante del diritto di critica.
Esso trova il suo fondamento nell'art. 21 Cost., ditalché, allorquando l'esercizio di tale diritto implichi anche la realizzazione di una fattispecie penale, come l'ingiuria o la diffamazione, l'autore non sarà punibile a norma dell'art. 51 del codice penale.
In questo senso la Suprema Corte è giunta ad affermare che il diritto di critica si concretizza non nella narrazione di fatti, ma nell'espressione di un giudizio o di un'opinione che, dunque, non può in nessun modo essere rigorosamente obiettiva, essendo fondata su un'interpretazione di fatti e comportamenti (si veda C., Sez. V, 20.7.2016, n. 36838; C., Sez. V, 28.1.2005, per cui, qualora sia stata accertata la ricorrenza di una situazione di polemica politica e sia stata al contempo esclusa la sussistenza di malanimo e ostilità, occorre valutare la condotta dell'imputato alla luce della scriminante del diritto di critica).
Tra i limiti del diritto di critica non vi sarà, dunque, la veridicità, bensì solo ed unicamente la rilevanza sociale, nonché la correttezza espressiva (C., Sez. V, 24.6.2016, n. 37397; C., Sez. V, 9.3.2015, n. 18170). Sul requisito della continenza, si veda ad esempio C., Sez. V, 7.3.2006, che ha statuito che, nella valutazione della sussistenza o meno del diritto di critica, occorre tenere presente che l'abuso di tale diritto non è determinato dalla maggiore o minore aggressività, quanto dalla "gratuità" delle aggressioni verbali, gratuità che si ravvisa quando queste non siano pertinenti ai temi apparentemente in discussione.

Stando così le cose, la migliore strategia difensiva – sulla base di quanto visto del fascicolo processuale – sembra proprio essere quella di puntare sulla sussistenza del diritto di critica.
E’ ben vero, infatti, che la polemica tra le parti si innestava in un contesto di aspa e dura lotta politica rispetto alla quale può operare il diritto di critica. Ciò considerato anche che le espressioni utilizzate nei comunicati non son mai state oggettivamente offensive e sono state circoscritte ad una legittima critica politica dell’operato amministrativo rispetto ad un’opera in corso. Elementi questi che ben depongono nel rispetto del criterio della continenza.

A. G. G. chiede
martedì 05/03/2019 - Abruzzo
“sabato scorso, in occasione di una gara di sci alpino specialità slalom speciale, il sottoscritto è stato designato dalla FISI quale Delegato Tecnico Federale, per la direzione ed il regolare svolgimento della gara testè descritta, nel corso dello svolgimento della gara, uno dei concorrenti giunto nella zona dove io ero appostato per controllare la gara ha bestemmiato (nostro signore), alla fine della prima manche il sottoscritto ha provveduto a stilare le squalifiche ed ha squalificare anche il concorrente anzidetto ai sensi dell'art. 628.14 del Regolamento tecnico federale (Comportamento anti sportivo).
riandato in pista per la prosecuzione della gara giunge sulla mia postazione il concorrente squalificato e mi aggredisce con le testuali parole:
"sono ......... lei mi ha squalificato io non bestemmio mai la parola che lei ha sentito e "porco dincio" quindi non ho bestemmiato io sono un avvocato faccio invalidare tutta la gara le faccio passare i guai la querelo per diffamazione".
dal momento che lo statuto federale ha la clausola compromissoria, questo sedicente avvocato può rivolgersi al tribunale ordinario?
quale reato avrei compiuto con la squalifica sopra menzionata?
come posso difendermi?
da considerare che comunque dovrei essere tutelato dalla Federazione Italiana Sport Invernali in quanto ho applicato fedelmente un loro regolamento.”
Consulenza legale i 08/03/2019
Rispondiamo ai singoli quesiti singolarmente.

Quanto alla possibilità per il soggetto squalificato di rivolgersi al Tribunale Ordinario nonostante la clausola compromissoria, la risposta è positiva. In caso di azione penale, infatti, sono nulle eventuali pattuizioni sulla giurisdizione per eventuali contenziosi. Nel diritto processuale penale vigono regole inderogabili che impediscono di decidere liberamente su chi sarà il giudice titolato a decidere su una determinata questione.

Quanto al reato asseritamente compiuto, di certo con la squalifica di per sé considerata, non è stato compiuto alcun reato. Potrebbe ipotizzarsi, volendo proprio andare a cercare, il reato di diffamazione di cui all’art. 595 del codice penale; ma solo qualora siano state rese note a più soggetti le ragioni della squalifica. D’altra parte, ragionando in termini di stretto diritto e in aderenza al testo della norma, il reato non sembra sussistere per diverse ragioni:
- La prima è che la condotta sarebbe avvenuta in presenza del soggetto diffamato
- La seconda è che la condotta è stata posta in essere nell’adempimento di un dovere (ovvero quello di Delegato Tecnico Federale): tale circostanza sembra escludere anche il dolo (diritto penale) del reato in questione.

Per queste ragioni si consiglia di non fare assolutamente nulla, atteso che, al momento, non v’è alcuna ragione per difendersi, non essendo intervenuta alcuna denuncia e/o altro.

Armando T. chiede
sabato 09/02/2019 - Lombardia
“Gent.mi, a seguito di uno screzio avvenuto nel direttivo di un'associazione di cui sono parte, ho inviato la seguente mail al vicepresidente (Renato) e al resto del direttivo:

«Care e cari, ieri ho contattato Marta Villa chiedendo una mano per reperire il materiale per fare il volantino di Book City e… mi gira una mail di Renato, che a sua volta ha ricevuto una comunicazione da Book City con un link per accedere ai file da modificare.

La cosa mi lascia perplesso. Soprattutto perché Renato ha più volte invitato a cercarli in autonomia, lasciando trasparire di non avere una scorciatoia a portata di mano. Cerco di fare un po' di ordine mentale. Per questo parlerò molto apertis verbis.

Che Renato ogni tanto tu faccia danni con la comunicazione era evidente sin dalla lectio su Fabietti che ha stracciato le palle a metà dei nostri affezionati (che sono in gran parte zie e mamme) e fatto perdere il treno a una delle relatrici. Lo era comunque sin dalla constatazione che molti soci hanno disattivato le notifiche del gruppo facebook per evitare di incontrarti ogni mattina, ogni mezzogiorno e ogni sera cliccando sulla campanella in alto a destra.

Credo, però, che con l'organizzazione di Book City ti sia schiacciato da solo un qualche tasto strano, che ti ha fatto diventare poco collaborativo e un po' pettegolo. Per questo, ti chiedo, se dobbiamo dircele diciamocele davanti a tutti e non in giri di telefonate che tu, magari per fortune tue, hai tempo di fare senza costi di switch sul tempo lavorativo; io no.»

Il destinatario dell'email mi ha fatto rispondere tramite lettera da parte del suo avvocato, sostenendo che la mia condotta è stata «(…) improvvida, in quanto integra il delitto di diffamazione». Mi domandavo, dal momento che la mail è stata inviata a un numero ristretto di persone (7) e che il destinatario ha avuto diritto di replica, se ciò che dice tramite il suo avvocato è realistico oppure no.

Grazie mille”
Consulenza legale i 12/02/2019
Nel caso di specie, che la mail sia stata inviata solo a 7 persone, compreso il diretto destinatario che avrebbe avuto diritto di replica, è fatto irrilevante.
Il reato di diffamazione infatti presuppone che l’offesa venga diffusa “comunicando con più persone”. Tale concetto è stato dilatato molto dalla giurisprudenza che, ad oggi, ritiene addirittura sussistente il reato allorché la comunicazione diffamatoria sia fatta nei confronti di una sola persona con la consapevolezza che questi l’avrebbe poi diffusa ad altri.

Allo stesso modo è irrilevante che il soggetto sia tra i destinatari. Secondo Cass. pen. Sez. V Sent., 16/10/2012, n. 44980 (rv. 254044), «L'invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l'utilizzo di internet, integra un'ipotesi di diffamazione aggravata e l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria».

Va poi detto che anche in riferimento al tenore delle espressioni ipoteticamente diffamatorie, la giurisprudenza ha allargato a dismisura l’ambito applicativo della norma ritenendo che il reato in questione si configuri anche allorché vengano utilizzati termini di per sé corretti e non oggettivamente offensivi ma subdoli, allusivi e insinuanti suscitando il dubbio sulla condotta dell'infamato.

Stando a quanto su riportato, è possibile che la condotta effettivamente configuri il reato di diffamazione.

Vero è che nel caso di specie la condotta predetta potrebbe essere scriminata dal diritto di critica, ma si tratta di un elemento su cui fondare l’ipotetica strategia difensiva all’interno del procedimento penale e rispetto al quale, ad oggi, è impossibile valutarne la sussistenza non conoscendo l’antefatto del caso specifico.

Si consiglia di inviare una lettera di scuse formali al soggetto e ai medesimi destinatari di cui alla mail originaria al fine di porre rimedio alla condotta posta in essere. Ciò potrebbe avere riverberi di non poco favore nell’ambito dell’ipotetico procedimento che dovesse nascere anche alla luce della riforma da poco intervenuta sulla condotte riparatorie post commissione del reato.

Anonimo chiede
giovedì 10/01/2019 - Lombardia
“Salve,
in una lettera di contestazione del mio ex-datore di lavoro sono venuto a conoscenza che 2 miei ex-collaboratori hanno riferito al Management dell'azienda che io abbia profuso una "minaccia" al team e attraverso questo comportamento minato il clima aziendale.
Inoltre, mi si accusa di aver esclamato affermazioni poche consone sulla categoria femminile.
Partendo dal fatto che tali affermazioni non corrispondono al vero, posso agire tramite querela per diffamazione?
Grazie per il consulto.
Massimo”
Consulenza legale i 15/01/2019
Obiettivo del presente parere è valutare l’opportunità e la possibilità di proporre querela per diffamazione ex art. 595 in seguito al ricevimento di una lettera di contestazione disciplinare da parte del datore di lavoro con la quale si stigmatizzando diverse – presunte – condotte scorrette del lavoratore.

La lettera in parola appare molto articolata e fa riferimento, in estrema sintesi, a condotte che potremmo racchiudere in due macroaree:
  1. Una riguardante un’attività lavorativa per così dire “infedele” laddove si contesta al lavoratore l’aver posto in essere diverse condotte scorrette con la clientela dell’azienda e nell’ambito dell’azienda stessa ma comunque connesse all’espletamento delle mansioni attribuite;
  2. Un’altra riguardante invece condotte “scorrette” che prescindono dall’area lavorativa. Si fa riferimento soprattutto a presunte battute offensive del sesso femminile che avrebbe fatto il lavoratore nell’ambito della propria attività.
Quanto alla possibilità di proporre querela, va innanzi tutto rilevato che la condotta diffamatoria non può essere individuata nella sola lettera di contestazione disciplinare (e nel suo contenuto). La diffamazione è infatti un reato che offende l’onore e la reputazione del soggetto diffamato e, a tal fine, occorre che le informazioni false sul conto di quest’ultimo vengano diffuse nei confronti di più persone come recita testualmente l’art. 595 del codice penale.
Essendo la lettera di contestazione disciplinare inviata solo al lavoratore, non sembra integrato dunque uno degli elementi indispensabili per la sussistenza della fattispecie.

Fatta questa premessa, va analizzata l’opportunità di proporre querela in relazione alle due macroaree di condotte scorrette considerate.

Orbene, in riferimento alla prima macroarea si sconsiglia di proporre querela per diffamazione. Le censure contestate sembrano infatti molto circostanziate e spesso si fa riferimento persino a doglianze rilevate dalla società cliente (una importante società operante nel campo dei carburanti) al datore di lavoro. Tale circostanza non solo renderebbe molto difficile la prova della falsità delle affermazioni in questione (laddove sarebbe molto difficile provare che il referente della società cliente abbia diffuso informazioni false sul lavoratore e ci sarebbe un grosso difetto sul movente: per quale ragione la società predetta avrebbe dovuto riferire notizie false sul lavoratore?) ma soprattutto sembra che le comunicazioni siano avvenute solo al datore di lavoro e sono, ancora una volta, sfornite di quella diffusività che la norma esige perché sia integrato il reato.

Passando invece alla seconda macroarea, sarebbe possibile proporre querela solo allorché si possegga la prova che le presunte condotte scorrette del lavoratore siano state (falsamente) diffuse da un collega e/o altri ad un numero cospicuo di soggetti. Se, dunque, i colleghi che hanno denunciato i fatti si sono limitati a lamentarsene con le funzioni aziendali si sconsiglia di fare denuncia. Se, invece, si posseggono prove sul fatto che questi stessi colleghi abbiano parlato di quanto accaduto anche ad altri soggetti, allora sarebbe possibile ipotizzare una querela per diffamazione.

Ovviamente è importante valutare la correttezza delle “accuse” dei colleghi.

Se infatti questi avessero riportato i fatti in modo oggettivo (magari fraintendendo sull’intenzione bonaria delle frasi pronunciate e/o sull’atteggiamento complessivamente tenuto dal presunto soggetto diffamato), si sconsiglia di proporre querela in quanto il reato di diffamazione presuppone che i fatti diffusi siano oggettivamente falsi, prescindendo dalle intenzioni del soggetto.
L’oggettiva veridicità dei fatti avrebbe poi l’ulteriore effetto collaterale per la persona offesa di dimostrare la falsità delle condotte diffamatorie ascritte e, dunque, non solo il procedimento penale si chiuderebbe con un nulla di fatto ma si rischierebbe una controquerela per calunnia.

Si consiglia in ogni caso di prendere la decisione previa assistenza di un legale che valuti compiutamente i fatti.

Anonimo chiede
sabato 22/09/2018 - Lombardia
“Buongiorno,
ho ricevuto da un notaio una comunicazione dove mi informa che sarò denunciato per diffamazione (in sede penale e civile) per una recensione scritta su Google.
La recensione riguardava un aspetto non professionale ma CARATTERIALE ( ho scritto da evitare, arrogante e insolente)
La mia considerazione è nata dopo uno scambio di email con il notaio, che allego alla presente, dove, dai toni si percepiva tale atteggiamento.
Vorrei sapere se ci sono i presupposti di una denuncia nei miei confronti come minacciato dal notaio.
N.B. HO PROVVEDUTO A CANCELLARE LA RECENSIONE, MA CREDO CHE IL NOTAIO L'ABBIA FOTOGRAFATA”
Consulenza legale i 28/09/2018
Il caso da lei esposto non pare presentare un profilo di rilevanza penale.

Il reato di diffamazione, ex. art. 595 c.p., punisce chiunque leda l’onore o la reputazione altrui, rivolgendosi ad una pluralità di destinatari. Secondo l’interpretazione del concetto di onore e reputazione, è sicuramente vero che “la condotta lesiva può attenere anche al buon nome commerciale di un soggetto, in quanto la nozione di reputazione include il profilo connesso all'attività economica e professionale svolta dalla vittima e alla considerazione di cui essa gode all'interno di un gruppo sociale” (Cassazione penale, Sez. V, 16.06.2011).

La circostanza da lei sottolineata, ovvero che la sua critica era rivolta non alla professionalità del notaio ma al carattere, invero, non ha alcuna rilevanza; la diffamazione, infatti, può riguardare tanto gli aspetti personali quanto, come visto, quelli professionali.

Il reato di diffamazione, secondo gli approdi più recenti della giurisprudenza, può essere commesso anche tramite recensioni nel web o tramite commenti nei vari social network; ciò che rileva, in particolare, è il carattere lesivo dell’onore e della reputazione del “diffamato”.

Va però rilevato che, il reato ex. art. 595 c.p., deve essere bilanciato con l’art. 21 della Costituzione che sancisce, come noto, la libertà di manifestazione del proprio pensiero. Proprio questo bilanciamento ha permesso alla giurisprudenza, ormai più che consolidata, di stabilire che condotte che sarebbero astrattamente idonee ad integrare il reato di diffamazione, siano scriminante (cioè non costituiscano reato) se rispondenti al cd. diritto di critica.

Il diritto di critica, espressione mediata dell’art. 21 della Costituzione, permette di esprimere le proprie opinioni, anche talvolta lesive della reputazione altrui, a condizione che queste rispettino i limiti della rilevanza sociale e della continenza. In particolare, secondo la giurisprudenza della corte di cassazione, è fondamentale valutare anzitutto il contesto nel quale l’espressione pretesamente diffamatoria sia stata pronunciata, al fine di poter valutare la pertinenza di tale critica al contesto specifico nel quale è inserita.

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, “nella valutazione del requisito della continenza si deve tenere conto del complessivo contesto in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione. Infatti, il limite immanente all'esercizio del diritto di critica è essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale”. (Corte di Cassazione, Sez. V, 25.11.2016, 22252).

Alla luce di tutto quanto detto, la recensione da lei lasciata non pare travalicare i limiti della rilevanza sociale e della continenza. Pare dunque rientrare in quel diritto legittimo di critica che ogni utente del web possiede; la recensione, diretta conseguenza di una trattativa con il notaio, postata nella pagina professionale del notaio, infatti, non ci sembra, anche se schietta e forse dura, gravemente infamante e gratuita. Come tale, dunque, non pare integrare gli elementi del reato di diffamazione.

Ciò non esclude che il notaio possa comunque depositare in Procura una querela nei suoi confronti per il reato di diffamazione ma pare poco probabile che il pubblico ministero, specialmente in un foro come quello di Milano, che ha quotidiane comunicazioni di reati assai più gravi, faccia seguito alla querela ed inizi un procedimento penale nei suoi confronti; in ogni caso, anche qualora questo succedesse, ci sarebbero molti elementi da valorizzare per difendersi con successo nel processo.


V. C. chiede
sabato 08/09/2018 - Puglia
“Ho riferito in privata sede ad un mio amico (Alfa) di aver sentito da un altro conoscente (Beta) una critica su delle affermazioni pesanti a sfondo sessuale pronunciate da un soggetto (Gamma) in un bar nei riguardi di una sua collega, nonché amica comune.
Alfa ha riferito tale critica alla collega la quale ha minacciato lo scrivente di averla diffamata e che richiederà al sottoscritto un risarcimento dei danni morali ed esistenziali.
Gamma ha dichiarato di non aver mai detto nulla in merito alla collega mentre Beta dichiara di non aver mai pronunciato il nome di Gamma e della collega amica, allo scrivente.
Premesso che lo scrivente ha commentato negativamente l'accaduto solo e soltanto con Alfa sottolineando che era contrariato sulle presunte frasi dette da Gamma, si chiede quali potrebbero essere le responsabilità in sede civile e penale del sottoscritto.”
Consulenza legale i 12/09/2018
Il caso da lei proposto pare privo di qualsivoglia profilo di responsabilità penale: l’unico reato astrattamente ascrivibile a lei sarebbe quello di diffamazione di cui all’art. 595 c.p.

Il reato di diffamazione, infatti, semplificando, punisce colui che leda l’altrui onore / reputazione.

Se abbiamo compreso l’accaduto, lei si sarebbe limitato a riferire ad un amico alcune frasi (sia pur diffamanti) pronunciate tuttavia da un diverso soggetto. La destinataria delle frasi diffamanti, poi, sarebbe venuta a conoscenza delle frasi e parrebbe averne attribuita a lei la paternità.

Innanzitutto, appare del tutto pacifico che, così stando le cose, non le si potrà di certo muovere alcun rimprovero, né penale, né civile, per le frasi diffamanti, non avendole pronunciate lei personalmente.
Ma soprattutto, e questo pare il punto più rassicurante, non si potrebbe parlare di diffamazione nemmeno se le frasi le avesse pronunciate direttamente lei.

La diffamazione, infatti, annovera tra gli elementi costitutivi quello della comunicazione della diffamazione “a più persone”. Secondo la giurisprudenza la pluralità di persone è integrata a condizione che le frasi diffamanti siano pronunciate di fronte ad almeno due persone, oppure, in alternativa, che siano pronunciate dinnanzi ad una sola persona con l’obbiettivo che poi questi ne riferisca ad almeno un’altra persona (cosiddetto “passaparola”).

In particolare, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione: “occorre rilevare che, in tema di diffamazione, sussiste il requisito della divulgazione dell'offesa, integrato dalla comunicazione con più persone, non solo quando l'agente prenda direttamente contatto con una pluralità di persone, ma anche quando egli comunichi ad una persona una notizia destinata ad essere riferita almeno ad un'altra persona (v. per tutte Cass. 15.3.1993 n. 2432).
Diverso è ovviamente il caso in cui la comunicazione diretta ad una sola persona sia confidenziale e destinata a rimanere segreta nelle intenzioni dell'autore del fatto, non essendo prevista la ipotesi di diffamazione colposa (v. Cass. 12.2.1999 n. 1794)”.


Ecco che, dunque, nel caso da lei descritto, anche a voler ritenere, come sostengono le altre parti, che le frasi diffamanti siano state pronunciate direttamente da lei, il fatto di averle dette, in confidenza, solamente ad un’altra persona, permette di non ritenere configurabile il delitto di diffamazione ex. art. 595 c.p.

Non è escluso che la persona offesa possa presentare una denuncia /querela nei suoi confronti per il delitto di diffamazione; in tal caso, tuttavia, pare ragionevole ritenere che il Pubblico Ministero non dia seguito alla denuncia ed archivi il procedimento.
Anche qualora, anche se pare del tutto improbabile, il Pubblico Ministero decidesse di dar corso ad un processo penale nei suoi confronti, ci sarebbero tutti gli strumenti per addivenire ad una sentenza di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.



Armando N. chiede
domenica 03/06/2018 - Toscana
“Sono un primario ospedaliero .Sono stato denunciato da un mio collaboratore che piu volte non aveva svolto correttamente il suo lavoro( dimissioni e terapie sbagliate etc cose segnalate dal sottoscritto alla amministrazione). La frase da cui e' partita la denuncia e' la seguente ed e' stata scritta in una lettera inviata ai miei superiori
" Bisogna far capire al dr X che bisogna onorare con professionalita ' ed impegno i soldi che si guadagnano"
considerando che i medici sono pubblici ufficiali mi sembra che il termine " onorare" rientri a pieno diritto nell'art. 54 della Costituzione ovvero non sia diffamatorio”
Consulenza legale i 08/06/2018
Il quesito da lei proposto attiene al reato di diffamazione, previsto e punito dall’art. 595 del codice penale.

In particolare il reato di diffamazione è posto a tutela della reputazione; secondo la giurisprudenza, la reputazione deve essere intesa come “la stima diffusa nell’ambiente sociale” (cass. Pen. V Sez., 28.02.1995).

Inoltre, secondo la Suprema Corte, la nozione di reputazione è atta ad includere anche il profilo legato all’attività economica ma soprattutto, per quanto qui interessa, professionale del soggetto.

Il reato di diffamazione è un reato cd. di pericolo, ovvero è un reato per la cui integrazione non è necessario che si verifichi un’effettiva lesione della reputazione del soggetto passivo, ma è sufficiente che la comunicazione diffamatoria sia idonea a lederne la reputazione.

Peraltro, sempre cercando di darle le informazioni che possano essere più attinenti possibile al suo caso, il fatto che la reputazione di un soggetto fosse già, nel momento della comunicazione diffamatoria, compromesso, non esclude la possibilità di integrare il reato di diffamazione; nello specifico, in casi siffatti, la giurisprudenza ha ritenuto integrato il reato di cui all’art. 595 c.p., per il solo aggravarsi della lesione alla reputazione di un soggetto, già precedentemente compromessa.

Il reato di diffamazione consta di 3 elementi fondamentali:

1) L’assenza del soggetto offeso: è necessario, al fine che si integri il reato di diffamazione, che la comunicazione diffamatoria sia stata fatta in assenza dell’interessato; altrimenti si ricadrebbe nel reato (ora abrogato) di ingiuria. Peraltro la giurisprudenza ha chiarito che “L'invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l'utilizzo di internet, integra un'ipotesi di diffamazione aggravata e l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria (C., Sez. V, 16.10.2012, n. 44980)”;
2) La pluralità di destinatari della comunicazione: è necessario, cioè, che la comunicazione diffamatoria sia inviata /riferita a più persone.
3) L’offesa all’altrui reputazione: questo è l’elemento più di difficile comprensione: ciò perché non ogni espressione, sia pur “pungente” integra il reato di diffamazione, ma solo quella che abbia una capacità offensiva obbiettiva, a prescindere, cioè, dalla sensibilità della persona offesa (cfr. Cass. Pen. Sez. V, 18.10.2016, n. 50659).

Nel caso da lei presentato, paiono essere presenti il requisito dell’assenza dell’offeso e della pluralità di destinatari; ciò che è necessario capire, è se la frase da lei pronunciata possa o meno essere idonea ad offendere l’altrui reputazione.
Lasciando intendere che il soggetto leso sia un “fannullone” e che, dunque, non sia meritevole di ricevere lo stipendio di cui è titolare, certamente lede, quantomeno, la stima da parte dei destinatari della comunicazione. E' opportuno, però, introdurre il tema del cosiddetto diritto di critica: ai sensi dell’art. 21 della Costituzione, infatti, “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

In particolare la Giurisprudenza penale ha più volte affermato, da ultimo con una sentenza particolarmente chiara, la n. 52578/17 che “il potere gerarchico o, comunque, di sovraordinazione, non consente di esorbitare dai limiti della correttezza e del rispetto della dignità umana con espressioni che contengano un’intrinseca valenza mortificatrice della persona e si dirigano, più che all’azione censurata, alla figura morale del dipendente, traducendosi in un attacco personale sul piano individuale, che travalichi ogni ammissibile facoltà di critica”.

In altri termini in questa prima parte della sentenza la Corte riconosce la possibilità di dare un giudizio su un lavoratore subordinato/collaboratore e che questo giudizio, anche se negativo, non possa costituire diffamazione a meno che non si risolva in un attacco personale sul piano individuale che miri a screditare la persona più che il lavoro da questa svolto.

Continua la sentenza dicendo che“essenziale è quindi accertare se l’espressione pronunciata dal titolare di una posizione sovraordinata si sia limitata alla censura di una determinata condotta lavorativa o professionale del sottoposto, ovvero, pur prendendo spunto da essa, sia trasmodata in un attacco personale all’individuo, atteso che non esorbitano dall’area della liceità penale le contestazioni che non censurino la persona in sé e per sé considerata ma la condotta professionale del dipendente”.


Alla luce di tutto quanto detto, dunque, la soluzione alla sua domanda dipenderà essenzialmente dalla valutazione che il magistrato farà rispetto alla sua frase: se verrà intesa - ed a noi non parrebbe così - come un attacco personale mirato verso il suo collaboratore e non, invece, una critica relativa alla sua professionalità ed al suo lavoro, potrà essere contestato il reato di cui all’art. 595 c.p.; altrimenti, la condotta sarà scriminata ex. art. 51, ovvero per il diritto di critica.

Simone B. chiede
mercoledì 08/03/2017 - Lazio
“Salve mi serve un vostro parere, pochi giorni fa ho scritto un commento sotto un post di facebook (diffamatorio) il mio commento é frutto di una mia piccola esperienza avuta con i soggetti del Movimento ......... che per loro è diffamatorio, premetto non ho condiviso il post ma ho solo commentato, mi hanno annunciato che mi vogliono querelare tra l'altro l'autore del post era un profilo facebook falso che è stato chiuso il giorno seguente.
Purtroppo sono stato tratto in inganno in quanto il post aveva qualcosa di vero da me riscontrato successivamente.
se volete vi invio le Screen shot del post e del mio commento e dei commenti successivi.

ECCO IL POST COSA DICEVA:

ad A. ce un complotto perpetrato dal ........ di A. a discapito del nostro portavoce (omissis).
ordito affinché il movimento ........ non vinca ad Anzio alle prossime elezioni. A vantaggio di questi poteri forti che sponsorizzano questi criminali.
Perché non bisogna dimenticare che Caio co-organizer dei (omissis) di A. concorreva nelle liste della omissis per la camera dei deputati 2013, i fratelli omissis parenti stretti dell' assessore Sempronio nel 1993 ad A. si creo il circolo di omissis erano tra i fondatori.
Primo compagno di Seconda vissuto alle spalle del partito omissis grazie al quale ha fatto carriera in omissis prima chiamata omissis, Terza si faceva tutte le cene di omissis, Quarta coinvolta nella truffa della ......... dove fregavano i soldi dalla regione indirizzati alle persone con handicap. queste sono le persone che si dichiarano movimento ad A.
Noi siamo onesti non possiamo tenere persone del genere nel movimento.

ECCO IL MI COMMENTO:
DAL POCO CHE HO VISTO ORA CAPISCO MOLTE COSE MEGLIO NON PRESENTARSI CON QUESTI CURRICULUM LA POLITICA PER RITORNI PERSONALI NON FA PARTE DEL MOVIMENTO.

commenti successivi da parte delle persone in difesa dei soggetti accusati nel post.

Quinto SCRIVE SECONDO ME IL SIG DEL POST E IL SIG omissis SONO LA STESSA PERSONA( potrei denunciare a mia volta per questo accostamento all'autore)

poi mi sono scusato del mio commento sul post e una persona tirata in causa sig.ra omissis mi scrive sempre sotto il commento di scuse:
E NON SCUSARTI ACCENDI IL CERVELLO PRIMA DI SCRIVE E CONDIVIDERE. E VERGOGNATI UN POCHINO.

PIÙ VOLTE HA SCRITTO VERGOGNATI. (può a sua volta aver diffamato me e fare una contro denuncia).
grazie fatemi sapere.”
Consulenza legale i 16/03/2017
Dalla lettura del caso esposto ed alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali, si ritiene che non vi siano ragioni per temere di essere incorsi nel reato di diffamazione previsto e disciplinato dall’art. 595 c.p.

Più volte la Corte di Cassazione, nel corso degli ultimi anni, si è espressa sul disvalore penale che può assumere il comportamento di colui che posta un commento offensivo su una bacheca di facebook, ma lo ha fatto con riferimento all’ipotesi in cui persona offesa sia lo stesso utente titolare dell'account facebook.
In tale circostanza si è costantemente affermato che viene ad essere integrato il reato di diffamazione a mezzo stampa, in quanto significa dare al suddetto messaggio una diffusione che potenzialmente ha la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sicché, laddove questo sia offensivo, deve ritenersi integrata la fattispecie aggravata del reato di diffamazione.

Secondo la Cassazione l’ipotesi di reato di cui al terzo comma dell'art. 595 c.p., quale fattispecie aggravata del delitto di diffamazione, trova il suo fondamento nella potenzialità, idoneità e capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorchè non individuate nello specifico ed apprezzabili soltanto in via potenziale, e ciò sia perché, per comune esperienza, bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone, sia perché l'utilizzo di facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione.

Nel nostro caso, però, il contenuto offensivo è riscontrabile innanzitutto nel post pubblicato sulla bacheca del profilo facebook, poi risultato peraltro falso, mentre l’autore del comportamento censurato e di cui si discute si è limitato ad esprimere un commento su tale post, commento peraltro non condiviso (come viene asserito nel quesito).

Proprio su tale fattispecie si è espressa la Cassazione penale, sez. V, con sentenza 29/01/2016 n° 3981, dalla lettura della quale si può dedurre che, in presenza di determinati presupposti, tale comportamento non integri alcuna fattispecie incriminatrice.
A parere di chi scrive, infatti, la frase rimproverata sarebbe priva di contenuto offensivo intrinseco o anche solo indiretto, come del resto del tutto errata risulterebbe una eventuale affermazione per cui il commento della persona incolpata mutuerebbe la sua carica offensiva dall'implicita adesione al post contenente veri e propri insulti caricati dall’ utente del profilo facebook.

Infatti, condividere o meno i presunti insulti che altri “postano” è circostanza irrilevante nella misura in cui la condotta materiale così posta in essere non evidenzia oggettivamente alcuna adesione ai medesimi, rilanciandoli direttamente o anche solo indirettamente.
E’ evidente che il commentatore del post abbia inteso “condividere”, inteso come manifestazione del pensiero garantita dall’art. 41 della Costituzione, la critica alle persone offese nel post stesso, ma non altrettanto che egli abbia condiviso le forme (illecite) attraverso cui altri l'avevano promossa, giacchè egli non ha posto in essere un comportamento materialmente apprezzabile in tal senso, ossia non ha a sua volta posto in essere alcuna azione di condivisione di tale post.

Rientra, infatti, nel diritto di ogni individuo manifestare un'opinione apertamente ostile nei confronti di chiunque altri, purchè tale diritto venga esercitato correttamente, senza ricorrere alle espressioni offensive utilizzate da altri, né dimostrando di volerle amplificare attraverso il proprio comportamento.
La condotta contestata potrebbe assumere in astratto rilevanza penale soltanto qualora potesse affermarsi che con il proprio messaggio il soggetto incolpato abbia consapevolmente rafforzato la volontà dei suoi interlocutori di diffamare le persone a cui si è fatto riferimento nel post.

In realtà, una attenta lettura del commento induce a pensare che l’autore di esso abbia solo preso atto e voluto esprimere un giudizio su fatti di cui è venuto a conoscenza attraverso questo particolare mezzo di comunicazione, ciò che ha fatto nell’esercizio di quella libertà di manifestazione del pensiero cui prima si è fatto cenno, garantita dall’art. 21 della nostra Costituzione, e che trova anche una esplicazione nel diritto di critica.

In tal senso sempre la Corte di Cassazione Sez. V penale, 1.7.2008, nel ribadire che la diffamazione tramite internet costituisce certamente un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, 3° co., ha evidenziato come, essendo ormai internet un potente mezzo di comunicazione di massa, anche attraverso di esso si estrinseca quel diritto di esprimere le proprie opinioni, diritto che costituisce uno dei cardini di una democrazia matura e che, per tale ragione, figura in posizione centrale nella vigente Carta costituzionale.
I diritti di cronaca e di critica, in altre parole, discendono direttamente, e senza bisogno di mediazione alcuna, dall'art. 21 Cost. e non sono riservati solo ai giornalisti o a chi fa informazione professionalmente, ma fanno riferimento all'individuo uti civis.
La Suprema Corte è giunta ad affermare che il diritto di critica si concretizza proprio nell'espressione di un giudizio o di un'opinione che, in quanto tale, non può in nessun modo essere rigorosamente obiettiva, essendo fondata su un'interpretazione di fatti e comportamenti (si veda C., Sez. V, 20.7.2016, n. 36838; C., Sez. V, 28.1.2005), per cui, qualora sia stata accertata la ricorrenza di una situazione di polemica politica e sia stata al contempo esclusa la sussistenza di malanimo e ostilità, occorre valutare la condotta dell'imputato alla luce della scriminante del diritto di critica.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte, infine, si ritiene che nessuna rilevanza penale possa attribuirsi alle espressioni usate da coloro che hanno manifestato un giudizio sul commento, avendo anche loro esercitato una critica rivolta non tanto all’autore del commento, quanto piuttosto al contenuto in sé del commento stesso.

A. L. chiede
lunedì 25/07/2016 - Calabria
“Sono stato condannato a 6 mesi di carcere con sospensione per diffamazione a mezzo stampa. Ecco sinteticamente i fatti:

18 ottobre 2007: Su richiesta del medico curante, mia sorella (persona incapace di intendere e di volere) veniva trasportata dal 118 al Pronto Soccorso per sospetta occlusione intestinale. La permanenza al P.S. è durata un'ora e dieci minuti. Nonostante il medico abbia diagnosticato una "peristalsi torpida" (vi è peristalsi torpida nei tratti danneggiati dell'intestino, mentre nei tratti indenni la peristalsi è esaltata) la paziente veniva dimessa senza una prescrizione farmacologica e senza essere indirizzata al medico curante.
Il medico in questione ha sempre sostenuto di aver effettuato degli esami ematochimici e radiologico (RX diretta addome) e che alla luce degli esiti di tali esami dimetteva la paziente. In realtà gli ematochimici non sono stati effettuati, mentre la diretta addome è stata effettuata in posizione supina e non ortostatica, per cui i famosi livelli idroaerei non si vedevano. Infatti è stato spiegato al Tribunale da un radiologo citato come testimone che prima di fare una "RX diretta addome" il paziente deve rimanere seduto 15 o 20 minuti.
Il medico di P.S. non ha neppure annotato degli indispensabili parametri vitali come la frequenza respiratoria e la temperatura corporea.
Esistono, inoltre, due referti di P.S. di cui uno con un'aggiunta postuma a penna.
19 ottobre 2007: Il medico curante, perplesso per la dimissione della paziente, ha concordato un appuntamento urgente per esami strumentali, fissato al 24 ottobre 2007. All'esito di tali esami (meteorismo intestinale; estasia gastrica con presenza di materiale parzialmente digerito; modeste falde liquide da ascite; nette dilatazioni dell'ampolla rettale con presenza di fecalomi) il medico radiologo chiese all'ospedale del luogo l'immediato ricovero della paziente. Il ricovero avvenne con la diagnosi di "sub occlusione intestinale" ed è perdurato sei giorni. Per fortuna la sub occlusione intestinale con le cure mediche appropriate si risolveva spontaneamente.
26 novembre 2007: Dopo il rilascio della cartella clinica, decisi di scrivere una lettera aperta di protesta alla direzione sanitaria del primo ospedale: "All'opposto delle certezze del dott. (omissis) l'esame radiologico ha rivelato: meteorismo intestinale; estasia gastrica con presenza di materiale parzialmente digerito; modeste falde liquide da ascite; nette dilatazioni dell'ampolla rettale con presenza di fecalomi ecc. (omissis). Questo grave episodio presenta anche l'interesse di rivelare che l'imperizia di un medico può non essere ostativa all'esercizio della medicina anche in un servizio dove si è soli a decidere dell'opportunità del ricovero di un paziente. Che cosa sarebbe accaduto se avessi avuto fiducia nella diagnosi di questo medico o se non avessi potuto affrontare la spesa dell'esame radiologico nel settore privato? La sanità deve essere un affare di competenza e di massima coscienza professionale, senza poterci essere spazio per il pressapochismo. Se questa lettera aperta avrà contribuito a far prendere coscienza che, nell'ambito della sanità, gli errori, i comportamenti criticabili, le carenze e le insufficienze professionali non vanno celati, ma denunciati con forza, non sarà stato inutile averla scritta e, forse, si potrà sperare, per il bene di tutti, ad un miglioramento in questo settore".

10 novembre 2007: Querela del medico per diffamazione a mezzo stampa.

24 novembre 2007: Denuncia contro il medico per messa in pericolo di mia sorella.
La Procura della Repubblica ha nominato un CTU il quale dichiara: "Analizzando la vicenda in oggetto comparandola con quanto previsto dalla letteratura medica, emerge che le condizioni cliniche di Caia all'atto del ricovero presso il P.S. non deponevano per un quadro di sub occlusione intestinale bensì per una stipsi ostinata. Il sanitario in oggetto ha eseguito tutte le indagini strumentali e di laboratorio previste e consigliate dalla stessa pratica clinica in casi consimili; infatti Caia veniva sottoposta ad esame RX diretta addome e successivamente ad esami di laboratorio". A seguito di tale consulenza la Procura chiedeva l'archiviazione del procedimento a cui è stata fatta opposizione.

A seguito dell'opposizione la Procura della Repubblica ha nominato un secondo CTU le cui conclusioni sembrano essere calcate sul primo. La procura ha nuovamente richiesto l'archiviazione di cui sono venuto a conoscenza due anni dopo. I due CTU hanno mentito, perchè gli esami di laboratorio non sono mai stati fatti.

Gennaio 2011: All'udienza penale il medico querelante veniva interrogato in qualità di teste della parte civile. Egli ha affermato davanti al giudice di aver effettuato il prelievo del sangue sulla paziente e successivamente gli esami ematochimici menzionati nel referto di P.S. Ma vi è di più. Egli va ad indicare i valori dei globuli bianchi ecc. allorquando la cartella clinica non contiene nessun documento del laboratorio di patologia clinica che indichi gli analisi effettuati ed i relativi esiti risultanti.

24 novembre 2014: Denuncia/querela contro il medico per falsa testimonianza. A distanza di 18 mesi, non c'è stata ancora nessuna udienza in camera di consiglio.

22 gennaio 2016: Condanna dal Tribunale penale a 6 mesi di reclusione con sospensione.
Dalle indicazioni sopra riportate, è possibile dire se conviene fare appello? La causa di giustificazione doveva essere ritenuta?”
Consulenza legale i 02/08/2016
I termini per proporre impugnazione sono stabiliti dall’art. 585 c.p.p.

Occorre pertanto verificare quanti giorni ha stabilito il Giudice monocratico per il deposito delle motivazioni della sentenza e verificare se il termine ex art. 585 c.p.p. non sia già scaduto.
Per il caso della possibilità di proporre appello, sarebbe bene dapprima effettuare una istanza ai sensi dell’art. 335 c.p.p. per verificare lo stato del procedimento per falsa testimonianza contro il medico (i tempi sono comunque piuttosto lunghi) ed eventualmente inserire tale procedimento tra i motivi di appello.

Inoltre, si potrebbe tentare di dimostrare come per la diffamazione a mezzo stampa ai sensi dell’art. 595 c.p. non sia sufficiente una semplice lettera indirizzata alla direzione sanitaria (quindi cercare di dimostrare l’assenza addirittura dell’elemento oggettivo del reato).

Tutto ciò poiché il reato è prossimo alla prescrizione e pertanto si andrebbe incontro ad una pronuncia di non doversi procedere per estinzione del reato.

Per il caso in cui invece il termine per proporre appello sia già scaduto, la sospensione condizionale della pena prevede l’estinzione del reato qualora il condannato non commetta un delitto della stessa indole nel termine previsto dal giudice (art. 167 c.p.). Pertanto, in ogni caso, qualora sia intervenuta l’estinzione del reato, è possibile chiedere altresì la riabilitazione (art. 179 c.p.) qualora “siano decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o comunque estinta”, termine che decorre “dal momento dal quale decorre il termine di sospensione della pena” (sempre che la sospensione condizionale della pena non sia stata concessa ai sensi dell’art. 163, quarto comma c.p., nel qual caso invece di tre anni il termine per la riabilitazione è pari ad un solo anno), vale a dire dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Si sottolinea come attraverso la riabilitazione per estinzione del reato si andrebbe ad ottenere la cancellazione del “precedente penale” a proprio carico dal certificato del casellario giudiziale.

Anonimo chiede
sabato 23/07/2016 - Estero
“Un conoscente è stato oggetto di una querela formalmente presentata in una zona extraterritoriale rispetto l'Italia in quanto territorio appartenente alla Santa Sede in base ai Patti Lateranensi, dove la polizia in modo molto irrituale è andata personalmente a riceverla, dichiarando peraltro sull'atto di querela che infatti si trovava presso la sede extraterritoriale e non in territorio italiano come per esempio una questura, una stazione di polizia eccetera. In territorio estero per presentare una querela ci si deve rivolgere, se non sbaglio, ad una autorità consolare, non è che la polizia italiana può decidere autonomamente di venire in Germania o in Svizzera, per esempio, e ricevere una querela. Ho visto che in passato sono stati addirittura annullati degli arresti dal giudice perché effettuati dalla polizia in zone extraterritoriali della Santa Sede dove si rileva difetto di giurisdizione. In questo caso la querela è nulla? E in caso di nullità a chi ci si deve rivolgere per l'archiviazione? Grazie.”
Consulenza legale i 28/07/2016
La querela è atto processuale e sostanziale, in quanto condizione di procedibilità per alcune tipologie di delitto. In particolare, essa può essere effettuata all’estero qualora il reato sia stato commesso all’estero: deve però essere presentata ad un agente consolare con sottoscrizione autenticata.

Il caso di specie è particolare: si tratta di una querela per diffamazione a mezzo stampa presentata in sede extraterritoriale alla polizia italiana.
L’art. 595 del c.p. prevede la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516 per il reato commesso a mezzo stampa. La giurisprudenza di legittimità ha affermato, con riguardo al forum commissi delicti, che, ove si tratti di periodico a diffusione nazionale (sebbene corredato di edizioni locali stampate in luoghi diversi, la competenza per territorio va determinata con riferimento al luogo di stampa dell’edizione per mezzo della quale è stato commesso il reato (C. Cass., sez. I, 4/5/2006 n. 15523). In ogni caso, la giurisprudenza è pressoché unanime nel ritenere che la competenza per territorio si radica – in generale – nel luogo di stampa del giornale (ex multis, C. Cass., sez. I, 17/7/2007 n. 28454).

Al fine però di avere una maggior contezza dell’eventuale procedimento penale in corso nei confronti del giornalista, sarebbe bene effettuare una istanza ai sensi dell’art. 335 del c.p.p. (magari a mezzo legale).

Per il caso di un effettivo procedimento penale a carico per il delitto previsto dall’art. 595 del c.p., è bene poi avvalersi della facoltà difensiva prevista dall’art. 415 bis del c.p.p., ovvero – entro venti giorni dalla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari – depositare una memoria con la quale far valere l’irritualità della querela così presentata e richiedere quindi l’archiviazione del procedimento stesso.

Giancarlo F. chiede
domenica 15/11/2015 - Toscana
“Qualche anno fa ho prestato dei soldi ad un amico, ma a tutt'oggi solo promesse e nessun euro restituito. (faccio notare che l'amico è nullatenente)
Pertanto chiedo: rischio condanna per diffamazione o che altro, se con un cartello posto sul mio petto si legge: Sig. cognome e nome ho bisogno di quei soldi che ti ho prestato, sono anni che li prometti. Con questo cartello il sottoscritto cammina su suolo pubblico davanti alla casa dove Lui abita, oppure cammina davanti alla casa dove abita la moglie, oppure cammina davanti alla casa dove abita la madre.”
Consulenza legale i 16/11/2015
Prima di rispondere alla domanda proposta, ci corre l'obbligo di segnalare - anche se probabilmente si tratta di strade già inutilmente battute dal creditore - che questi può agire in sede civile per ottenere la restituzione della somma prestata, anche se risulta a suo carico l'onere di provare che le parti hanno concluso un contratto di mutuo (artt. 1813 e seguenti c.c.) e che risulta scaduto il termine entro il quale il debitore avrebbe dovuto restituire le somme ricevute.

Venendo alla specifica richiesta del quesito, si deve purtroppo avvisare il creditore che il comportamento che si vorrebbe tenere potrebbe configurare reato di diffamazione ai sensi dell'art. 595 del c.p.: la definizione legislativa dice che il delitto è commesso da chiunque "comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione". Accusare un'altra persona di essere un debitore insolvente, ne offende certamente la reputazione.

In giurisprudenza si rinvengono alcuni casi simili anche se non identici a quello prospettato nel quesito.
In particolare, ci sembra significativa la fattispecie sanzionata nella sentenza 26.9.2014 n. 39986 della Corte di Cassazione (e in altre conformi): la pronuncia ha ravvisato l'ipotesi di diffamazione nella condotta di un amministratore del condominio che ha affitto al portone condominiale, laddove anche terzi potevano vedere, una comunicazione contenente i nominativi dei condomini morosi.
Del tutto irrilevante è stata considerata la circostanza di un effettiva morosità degli stessi condomini, in quanto non sussisteva "alcun interesse da parte dei terzi alla conoscenza di quei fatti, anche se veri". Non si può invocare nemmeno l’esimente del diritto di cronaca e di critica, premesso comunque che la scriminante in parole è in astratto ipotizzabile non solo in relazione all’attività di giornalisti o scrittori, ma anche rispetto al comune cittadino: "deve rilevarsi", ha sottolineato la Suprema Corte, "che la diffusione della comunicazione attraverso la sua affissione al portone d’ingresso, essendo potenzialmente conoscibile da un numero indeterminato di persone, integrava il delitto contestato, per essere carente, al di fuori del ristretto ambito condominiale, un qualsiasi interesse alla conoscenza della circostanza relativa alla morosità di alcuni condomini".

Le stesse argomentazioni, ci sembra, possono valere per la prospettata fattispecie: non sussiste un interesse dei terzi passanti a sapere che il signor Tizio deve dei soldi al signor Caio, e lo stesso può sentirsi diffamato dal fatto che il suo creditore "sbandieri ai quattro venti" la mancata restituzione dei denari prestati, anche se ciò corrispondesse al vero.
Per tali ragioni si sconsiglia di adottare la condotta descritta nel quesito, per evitare una querela per diffamazione da parte del debitore furbetto.

Piuttosto, si può cercare di ottenere una dichiarazione sottoscritta dal debitore in cui questi si impegna a restituire il denaro: con questo documento si può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo e procedere con il pignoramento anche solo mobiliare dei beni del debitore, inducendolo ad adempiere mediante azioni di forte impatto e disturbo della sua quiete (naturalmente, azioni legali e condotte da un ufficiale giudiziario in base ad un valido e legale titolo esecutivo!).

Marcello chiede
sabato 27/06/2015 - Friuli-Venezia
“Quesito penale.
Dopo la sentenza 2007 del magistrato della Corte dei Conti inerente ad una causa di servizio ho sentito una mia collega di lavoro affermare di essersi messa in contatto con il capo dell'ufficio del personale della questura che si occupa della mia pratica e di essere in questo modo venuta a conoscenza del contenuto dei miei fascicoli,certificazione medica,presunte indagini svolte,presunti risultati,presunte intenzioni del personale del ministero,che ha diffuso in fabbrica ai miei colleghi di lavoro sostenendo di stare dicendo la verità, innescando discussioni a non finire. Da anni continua con petulante accanimento, provocandomi ad alta voce, ha sostenere che il capo dell'ufficio del personale della questura avrebbe promesso alla sua famiglia che si rivolgerà alla magistratura alternando il si al nò, per le più svariate ragioni. Indipendentemente dal fatto che dica o meno la verità, la verità solo dove gli và bene a lei, supponendo abbia diffuso in fabbrica per sette anni solo la verità, i reali risultati delle indagini svolte e le intenzioni reali del responsabile della pratica.Per quali reati ,se commessi, la potrei denunciare?”
Consulenza legale i 30/06/2015
Nel caso di specie si possono ipotizzare diverse fattispecie delittuose.
Il reato di diffamazione (art. 595 del c.p.) scatta quando un soggetto, comunicando con più persone, offende la reputazione di un terzo assente.
Se l’offesa riguarda l'onore o il decoro di una persona presente si ha ingiuria (art. 594 del c.p.).
La violazione della privacy, invece, è punita dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. All'art. 1 si afferma che “Chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano”.
L’art. 167 descrive la vera e propria fattispecie di reato: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento dei dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi”. Il reato è perseguibile a querela della persona offesa.

La collega di lavoro sembra aver commesso tutti i reati sopra indicati.
Da un lato, le dicerie negative sul conto del compagno di lavoro appaiono lesive dell’onore e della reputazione di quest'ultimo: il fatto che esse vengano diffuse tra i colleghi anche in assenza del diretto interessato sembra configurare pacificamente la punibilità a titolo di diffamazione.
Non può essere invocato da parte della collega il fatto che la notizia diffusa sia vera: si tratta di una scriminante solo per il delitto di diffamazione a mezzo stampa, che viene escluso quando risulta prevalente il diritto di cronaca del giornalista (si reputa in tal caso che la notizia pubblicata debba essere vera; che esista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti in relazione alla loro attualità ed utilità sociale; che l'informazione venga mantenuta nei giusti limiti della più serena obiettività).
Inoltre, anche se di fondo venisse raccontato un fatto reale, le modalità e i tempi della sua comunicazione risultano comunque lesivi della reputazione della persona offesa.

Oltre alla diffamazione, può aversi ingiuria nel caso di offesa rivolta direttamente alla persona di cui si lede l'onore, se si sono verificati degli episodi.

I delitti di ingiuria e diffamazione sono perseguibile a querela della persona offesa (art. 597 del c.p.); la proposizione della querela deve avvenire entro tre mesi, che decorrono dal giorno in cui si ha avuto notizia del fatto che costituisce reato (di regola, dal momento dell'offesa).

E' consigliabile rivolgersi ad un penalista che possa valutare con attenzione tutti i fatti e redigere la querela per conto della parte offesa, così da spiegare nel modo più corretto all'autorità pubblica quali sono le circostanze da cui emerge la commissione dei reati sopra ipotizzati.

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