In tema di
responsabilità del direttore del periodico per i reati commessi a mezzo della pubblicazione di articoli giornalistici, merita senz’altro una menzione la
sentenza della Cassazione Penale n. 13398/2018.
Nel caso di specie, si contestava il
reato di cui all’art.
595, co. 1, 2 e 3 c.p. all’
imputato, quale responsabile di una testata giornalistica web, con conseguente condanna in
primo grado, per aver redatto e pubblicato sul giornale telematico un articolo, tramite il quale si offendeva con attribuzione di fatti determinati, l’
onore e la
reputazione del destinatario; persona offesa costituitasi
parte civile in sede penale.
In secondo grado l’imputato veniva assolto, essendosi ritenuto che il fatto non fosse previsto dalla legge come reato.
Agli effetti civili, si proponeva
ricorso per Cassazione, deducendo la violazione di legge ed il vizio di
motivazione del provvedimento impugnato, relativamente alla ritenuta mancata dimostrazione della consapevolezza dell’imputato circa la pubblicazione dell’articolo dal contenuto diffamatorio.
Questi era
responsabile della
testata telematica, nonché amministratore del sito web in cui venivano pubblicati i contenuti. Vi era, inoltre, prova di detta consapevolezza, secondo il ricorrente, data la prolungata permanenza in “rete” del contenuto.
Si deduceva, ancora, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, relativamente al fatto che la fattispecie concreta non sarebbe stata riconducibile, in base alla ricostruzione della Corte territoriale, a quella di cui all’
art. 57 del c.p.. Ciò perché “
le pubblicazioni divulgate mediante la rete informatica difettano dei requisiti tipici della riproduzione tipografica […]”.
Ha ricordato, anzitutto, la Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, il quadro normativo di riferimento, ex art. 57 c.p., in virtù del quale si stigmatizza la responsabilità a titolo di colpa del direttore (o vice-direttore) responsabile del periodico, che ometta di esercitare il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, allorquando questi siano effettivamente posti in essere.
Si è affermato, inoltre, come, alla luce della giurisprudenza di legittimità dominante (Cass., Sez. Un., n. 31022/2015), il periodico online debba essere assimilato funzionalmente a quello giornalistico cartaceo, essendo valido il richiamo della nozione di stampa, ex art. 1, l. 47/1948.
Ciò perché il periodico telematico, sia come riproduzione della versione cartacea che come autonoma fonte di informazione, anche “ontologicamente è assimilabile alla pubblicazione cartacea. È, infatti, un prodotto editoriale, con una propria testata identificativa, diffuso con regolarità in rete; ha la finalità di raccogliere, commentare e criticare notizie di attualità diretta al pubblico; ha un direttore responsabile, iscritto all’Albo dei giornalisti: ha un hosting provider che funge da stampatore, e un editore registrato presso il ROC”. Elementi tutti riscontrati nella fattispecie concreta.
La riconduzione del caso in esame alla nozione di stampa implica l’assoggettamento dello stesso alla disciplina di cui all’art. 57 c.p., oltreché alle imprescindibili tutele costituzionali della stampa e della libertà di pensiero. Al dettato di cui all’art. 57 c.p. va ricondotta, inoltre, l’ipotesi in cui, per costante orientamento di legittimità, il contenuto pubblicato sia privo di sottoscrizione (non firmato), ma ugualmente riconducibile al direttore responsabile poiché frutto della produzione redazionale (Cass., n. 15004/2012).
L’unica ipotesi non assoggettabile alla prescritta responsabilità è quella relativa alle pubblicazioni online “postate” direttamente dall’utenza, situazione in cui ci si serve, ai fini della trasmissione dati, di un internet provider e di rete telefonica fissa o di cellulare. In tali casi, si è precisato, “sussiste l’impossibilità per il direttore della testata di impedire la pubblicazione di commenti diffamatori, il che rende evidente che la norma contenuta nell’art. 57 c.p. non è stata pensata per queste situazioni, perché costringerebbe il direttore ad una attività impossibile, ovvero lo punirebbe automaticamente ed oggettivamente, senza dargli la possibilità di tenere una condotta lecita”. Il contenuto incriminato, dunque, non essendo riconducibile ad un commento “esterno” di un avventore del sito digitale (basti pensare all’utenza dei c.d. forum di discussione), sia pur non firmato dall’autore, avrebbe potuto essere controllato preventivamente dall’imputato.
Sulla scorta di tali rilievi, la Corte ha aggiunto che, data la provata, e prolungata, permanenza dell’articolo sul sito web della testata giornalistica, quandanche l’imputato, per assurdo, non avesse avuto la possibilità di effettuare tale opera di vigilanza preventiva, avrebbe comunque
potuto e
dovuto rimuovere detto
contenuto, il quale si era reso così accessibile ad una platea di utenti potenzialmente illimitata. Il reato di
diffamazione, infatti, si perfeziona nel
momento della pubblicazione web del contenuto, ma la
consumazione, e la contestuale
offesa del bene giuridico tutelato, si
protraggono nel tempo, quantomeno per tutto il periodo di permanenza sul web.
Alla luce di quanto osservato, posta anche la materiale possibilità di rimozione dei contenuti per l’imputato, qualificato come “amministratore” del sito internet dove era pubblicato il giornale, la Corte ha concluso per l’accoglimento del ricorso ed il contestuale
annullamento con rinvio al giudice civile.