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Articolo 1813 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Nozione

Dispositivo dell'art. 1813 Codice Civile

(1)Il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all'altra(2) una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili [810, 1818] e l'altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità(3)(4).

Note

(1) Si discute il contratto sia reale o consensuale: secondo l'opinione prevalente si tratta di contratto reale, mentre nell'ipotesi di cui alla promessa di mutuo (1822 c.c.) si tratterebbe di fattispecie consensuale. Inoltre, la stipula produce effetti reali se si considera la prestazione del mutuante, poiché egli trasferisce al mutuatario la proprietà del denaro (1814 c.c.), mentre a carico di quest'ultimo sorge una obbligazione restitutoria.
(2) Si discute se sia necessaria la vera e propria "traditio" del bene o se sia sufficiente che esso venga messo a disposizione del mutuatario.
(3) Poiché si tratta di un contratto di durata, è necessario che venga stabilito un termine per la restituzione (v. 1816 c.c.).
(4) Particolare ipotesi è quella del mutuo c.d. di scopo nel quale viene concessa una somma con l'obbligo di utilizzarla per un preciso scopo (ad esempio, finanziamenti agevolati per acquistare la prima casa): lo scopo, cioè, entra nella causa del contratto. In caso di uso della somma per un fine diverso, si ritiene che il mutuante possa agire per la risoluzione per inadempimento (1453 c.c.) se il mutuo è oneroso, mentre in caso di mutuo gratuito si ritiene che si possa ritenere sussistente una condizione risolutiva (1360, 2 c.c.).

Ratio Legis

Il contratto soddisfa l'interesse del mutuatario a fruire di un bene fungibile o del denaro e quello del mutuante di ricevere una somma quale corrispettivo del prestito, trattandosi di contratto, di regola, oneroso.

Brocardi

Quod a me datum est, ex meo tuum fit
Tantumdem
Tantundem eiusdem generis

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

537 Il progetto del 1936, nel dare la definizione di questo contratto, ha unificato sotto la specie del mutuo non soltanto la sua figura tradizionale a carattere reale, ma anche quella meno pura, semplicemente obbligatoria (promessa di mutuo), che la pratica moderna considera essa stessa mutuo.
Da un punto di vista strettamente giuridico, non mi è parsa accettabile questa posizione, dalla quale avrebbe potuto sorgere il dubbio che si fosse voluto dare alla promessa di contratto la medesima efficacia del contratto.
E' vero, però, che nella pratica d'oggi il mutuo si ritiene già concluso quando le parti sono d'accordo sulla somma da prestare, sugli interessi, sulle garanzie, sul tempo e sul modo della restituzione. Ma la necessità di tener conto della realtà della vita giuridica avrebbe potuto soltanto convincere a superare l'ostacolo della tradizione e ad escludere nel mutuo il carattere reale, costruendolo sotto il tipo della consensualità.
Ho perciò definito il mutuo come contratto meramente obbligatorio, in modo che è rimasta esclusa ogni possibilità di riferimento legislativo ad una promessa di mutuo (articolo 617).
Ho poi soppresso nella definizione del contratto la frase di mera reminiscenza scolastica "prestito di consumazione" di cui è cenno nell'articolo 1819 cod. civ. e che è stata ripetuta dalla Commissione reale, mentre ho parlato, anziché di cose consumabili, di cose fungibili, perché queste più precisamente costituiscono l'oggetto del mutuo.

Massime relative all'art. 1813 Codice Civile

Cass. civ. n. 8829/2023

La prova dell'esistenza di un'obbligazione restitutoria derivante da un contratto di mutuo può essere offerta non necessariamente attraverso la produzione del documento contrattuale, ma anche mediante elementi presuntivi, tra i quali l'indicazione della causale dei bonifici e la mancata allegazione da parte del convenuto, nelle risposte stragiudiziali alle richieste di pagamento, di un titolo che lo legittimi a trattenere la somma ricevuta. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza d'appello che, pur a fronte della specifica indicazione della causale di mutuo nelle distinte dei bonifici eseguiti dall'attore e del comportamento tenuto dal convenuto al tempo delle richieste stragiudiziali di pagamento, aveva rigettato la domanda di restituzione.)

Cass. civ. n. 4232/2023

Nel contratto di mutuo, l'unicità dell'obbligazione di pagamento dei ratei (il cui debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell'ultima rata) fa sì, da un lato, che la prescrizione del diritto al rimborso della somma mutuata inizi a decorrere dalla scadenza dell'ultima rata, e dall'altro che, con riguardo agli interessi previsti nel piano di ammortamento, non operi la prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c..

Cass. civ. n. 23819/2022

Nell'ipotesi di mutuo congiuntamente stipulato da due coniugi in comunione legale dei beni, il diritto alla restituzione compete non già a questi ultimi, ma alla comunione, con la conseguenza che il pagamento integrale della somma mutuata, da parte del debitore, nei confronti di uno solo dei coniugi ha effetto estintivo per l'intero, per la prevalenza delle regole della comunione legale sul principio della parziarietà delle obbligazioni solidali dal lato attivo. (Nell'affermare il suddetto principio, la S.C. ha ritenuto che nella specie si configurasse un acquisto ex art. 177, comma 1, lett. a, c.c., non avendo i coniugi dedotto che il denaro concesso a mutuo fosse personale, né essendo stato specificato, da parte del coniuge al quale l'intera somma era stata restituita, che trattavasi di incasso a titolo personale).

Cass. civ. n. 23149/2022

Il cosiddetto "mutuo solutorio", stipulato per ripianare la pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso il mutuante, non è nullo - in quanto non contrario né alla legge, né all'ordine pubblico - e non può essere qualificato come una mera dilazione del termine di pagamento del debito preesistente oppure quale "pactum de non petendo" in ragione della pretesa mancanza di un effettivo spostamento di denaro, poiché l'accredito in conto corrente delle somme erogate è sufficiente ad integrare la "datio rei" giuridica propria del mutuo e il loro impiego per l'estinzione del debito già esistente purga il patrimonio del mutuatario di una posta negativa.

Cass. civ. n. 15844/2022

In assenza di una norma che vieti, in via generale, di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non è, di per sé, illecito, sicché la sua conclusione non è nulla per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alle parti, apprestando l'ordinamento, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, dei rimedi speciali che comportano, in presenza di particolari condizioni, l'applicazione della sola sanzione dell'inefficacia. (In attuazione del predetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto valido il contratto di mutuo stipulato tra due sorelle, allo scopo di far figurare l'esistenza di una posizione debitoria in capo a una di esse, nell'ambito del giudizio di divorzio).

Cass. civ. n. 11437/2022

In tema di mutuo senza indicazione del termine, sussiste il diritto del creditore di esigere immediatamente l'adempimento restitutorio da parte del mutuatario, laddove quest'ultimo sia divenuto insolvente, risultando invece superflua la preventiva fissazione giudiziale del termine per l'adempimento.

Cass. civ. n. 9229/2022

Ai fini del perfezionamento del contratto di mutuo, avente natura reale ed efficacia obbligatoria, l'uscita del denaro dal patrimonio dell'istituto di credito mutuante, e l'acquisizione dello stesso al patrimonio del mutuatario, costituisce effettiva erogazione dei fondi, anche se parte delle somme sia versata dalla banca su un deposito cauzionale infruttifero, destinato ad essere svincolato in conseguenza dell'adempimento degli obblighi e delle condizioni contrattuali. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha escluso che potesse disconoscersi la natura di titolo esecutivo a un contratto di mutuo, stipulato per atto pubblico, nel quale, subito dopo l'erogazione della somma pattuita, si prevedeva che la stessa fosse riconsegnata all'istituto di credito, al fine di essere custodita in un deposito cauzionale infruttifero a garanzia dell'adempimento di obbligazioni accessorie dei mutuatari).

Cass. civ. n. 37654/2021

Il mutuo è contratto di natura reale che si perfeziona con la consegna di una determinata quantità di danaro (o di altre cose fungibili) ovvero con il conseguimento della giuridica disponibilità di questa da parte del mutuatario; ne consegue che la "tradito rei" può essere realizzata attraverso l'accreditamento in conto corrente della somma mutuata a favore del mutuatario, perché in tal modo il mutuante crea, con l'uscita delle somme dal proprio patrimonio, un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario, irrilevante essendo che le somme stesse siano destinate al ripianamento del saldo negativo del conto stesso.

Cass. civ. n. 35959/2021

Il mutuo va annoverato tra i contratti reali, il cui perfezionamento avviene, cioè, con la consegna del denaro o delle altre cose fungibili che ne sono oggetto; ne consegue che la prova della materiale messa a disposizione dell'uno o delle altre in favore del mutuatario e del titolo giuridico da cui derivi l'obbligo della vantata restituzione costituisce condizione dell'azione, la cui dimostrazione ricade necessariamente sulla parte che la "res" oggetto del contratto di mutuo chiede in restituzione, non valendo ad invertire tale onere della prova la deduzione, ad opera del convenuto, di un diverso titolo implicante l'obbligo restitutorio, non configurandosi siffatta difesa quale eccezione in senso sostanziale.

Cass. civ. n. 27372/2021

Allorché una parte, provata la consegna di una somma di denaro all'altra, ne domandi la restituzione omettendo di dimostrare la pattuizione del relativo obbligo, e la controparte non deduca alcuna causa idonea a giustificare il suo diritto a trattenere la somma ricevuta, il rigetto per mancanza di prova della domanda restitutoria va argomentato con cautela e tenendo conto di tutte le circostanze del caso, onde accertare se la natura del rapporto e le circostanze del caso concreto giustifichino che l'accipiens trattenga senza causa il denaro ricevuto dal solvens. (Nella specie, la S.C. ha riformato la sentenza della Corte di appello osservando che, a fronte di un'espressa imputazione del versamento da parte dell'attrice, documentata dalla causale del bonifico, il giudizio in ordine alla carenza di prova dell'esistenza del rapporto di mutuo invocato dalla ricorrente, non si era attenuto al criterio di particolare cautela valutativa, specie in presenza di un'allegazione difensiva della controparte che si fondava unicamente su documenti unilaterali predisposti in epoca successiva alla dazione della somma). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MILANO, 23/06/2016).

Cass. civ. n. 22725/2021

Per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate nello stesso o in altro atto o documento cui le parti abbiano fatto espresso riferimento, quale, nel caso di mutuo di scopo, la dichiarazione di essere nelle condizioni di fruire di un mutuo a tasso agevolato o in quelle previste nella domanda di concessione. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 11/03/2015).

Cass. civ. n. 1517/2021

L'utilizzo di somme da parte di un istituto di credito per ripianare la pregressa esposizione debitoria del correntista, con contestuale costituzione in favore della banca di una garanzia reale, costituisce un'operazione meramente contabile in dare ed avere sul conto corrente, non inquadrabile nel mutuo ipotecario, il quale presuppone sempre l'avvenuta consegna del denaro dal mutuante al mutuatario; tale operazione determina di regola gli effetti del "pactum de non petendo ad tempus", restando modificato soltanto il termine per l'adempimento, senza alcuna novazione dell'originaria obbligazione del correntista. (Nella specie, la S.C. ha escluso che costituisse mutuo di scopo l'operazione di ripianamento di debito, realizzato mediante accredito da parte della banca di un importo su un conto corrente in passivo del cliente).

Cass. civ. n. 6174/2020

Al fine di accertare se un contratto di mutuo possa essere utilizzato quale titolo esecutivo, ai sensi dell'art. 474 c.p.c., occorre verificare, attraverso la sua interpretazione integrata con quanto previsto nell'atto di erogazione e quietanza o di quietanza a saldo ove esistente, se esso contenga pattuizioni volte a trasmettere con immediatezza la disponibilità giuridica della somma mutuata, e che entrambi gli atti, di mutuo ed erogazione, rispettino i requisiti di forma imposti dalla legge. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANIA, 14/12/2017).

Cass. civ. n. 30944/2018

La "datio" di una somma di danaro non vale - di per sé - a fondare la richiesta di restituzione, allorquando, ammessane la ricezione, l'"accipiens" non confermi il titolo posto "ex adverso" alla base della pretesa di restituzione e, anzi, ne contesti la legittimità, posto che, potendo una somma di danaro essere consegnata per varie cause, la contestazione, ad opera dell'"accipiens", della sussistenza di un'obbligazione restitutoria impone all'attore in restituzione di dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, onere questo che si estende alla prova di un titolo giuridico implicante l'obbligo della restituzione, mentre la deduzione di un diverso titolo, ad opera del convenuto, non configurandosi come eccezione in senso sostanziale, non vale ad invertire l'onere della prova. Ne consegue che l'attore che chieda la restituzione di somme date a mutuo è tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, pertanto, non solo l'avvenuta consegna della somma, ma anche il titolo da cui derivi l'obbligo della vantata restituzione.

Qualora l'attore fondi la sua domanda su un contratto di mutuo, la circostanza che il convenuto ammetta di avere ricevuto una somma di denaro dall'attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo, non costituisce una eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l'onere della prova, giacché negare l'esistenza di un contratto di mutuo non significa eccepirne l'inefficacia, la modificazione o l'estinzione, ma vuol dire negare il titolo posto a base della domanda, benché il convenuto riconosca di avere percepito una somma di denaro ed indichi la ragione per la quale tale somma sarebbe stata versata, con la conseguenza, pertanto, che rimane fermo l'onere probatorio a carico dell'attore.

Cass. civ. n. 22903/2018

Estendendosi il divieto di patto commissorio, ex art. 2744 c.c., a qualsiasi negozio che venga utilizzato per conseguire il risultato concreto vietato dall'ordinamento, ne consegue che anche la procura a vendere un immobile, conferita dal mutuatario al mutuante contestualmente alla stipulazione del mutuo, è idonea a integrare la violazione della norma suddetta, qualora si accerti che tra il mutuo e la procura sussista un nesso funzionale. Tale valutazione è demandata al giudice di merito che, nel compierla, non deve limitarsi ad un esame formale degli atti posti in essere dalle parti, ma deve considerarne la causa in concreto e, in caso di operazione complessa, valutarli alla luce di un loro potenziale collegamento funzionale, apprezzando ogni circostanza di fatto rilevante e il risultato stesso che l'operazione negoziale era idonea a produrre e, in concreto, ha prodotto.

Cass. civ. n. 15929/2018

Il mutuo di scopo risponde alla funzione di procurare al mutuatario i mezzi economici destinati al raggiungimento di una determinata finalità, comune al finanziatore, la quale, integrando la struttura del negozio, ne amplia la causa rispetto alla sua normale consistenza, sia in relazione al profilo strutturale, perché il mutuatario non si obbliga solo a restituire la somma mutuata e a corrispondere gli interessi, ma anche a realizzare lo scopo concordato, mediante l'attuazione in concreto del programma negoziale, sia in relazione al profilo funzionale, perché nel sinallagma assume rilievo essenziale proprio l'impegno del mutuatario a realizzare la prestazione attuativa. La destinazione delle somme mutuate alla finalità programmata assurge pertanto a componente imprescindibile del regolamento di interessi concordato, incidendo sulla causa del contratto fino a coinvolgere direttamente l'interesse dell'istituto finanziatore, ed è perciò l'impegno del mutuatario a realizzare tale destinazione che assume rilevanza corrispettiva, non essendo invece indispensabile che il richiamato interesse del finanziatore sia bilanciato in termini sinallagmatici, oltre che con la corresponsione della somma mutuata, anche mediante il riconoscimento di un tasso di interesse agevolato al mutuatario.

Cass. civ. n. 24699/2017

Nel mutuo di scopo convenzionale si verifica una deviazione dal tipo contrattuale di cui all'art. 1813 c.c. che si configura quando il mutuatario abbia assunto espressamente un obbligo nei confronti del mutuante, in ragione dell'interesse di quest'ultimo – diretto o indiretto – ad una specifica modalità di utilizzazione delle somme per un determinato scopo. Ne deriva che l'inosservanza della destinazione delle somme indicata nel mutuo rileva, in tali casi, ai fini della validità o meno del contratto stesso.

Cass. civ. n. 19282/2014

Nel contratto di mutuo, quando non risulta superato il cosiddetto tasso soglia, la nullità ex art. 1815, secondo comma, cod. civ. della clausola di previsione degli interessi, richiede la prova del loro carattere usurario ai sensi dell'art. 644, terzo comma, secondo periodo, cod. pen., ossia la dimostrazione della sproporzione degli interessi convenuti (con uno squilibrio contrattuale, per i vantaggi conseguiti da una sola delle parti, che alteri il sinallagma negoziale e per il cui apprezzamento il parametro di riferimento è dato dal superamento del tasso medio praticato per operazioni similari), nonché della condizione di difficoltà economica di colui che promette gli interessi (desumibile non dai soli debiti pregressi, ma dalla impossibilità di ottenere, pur fuori dallo stato di bisogno, condizioni migliori per la prestazione di denaro che richiede). La prova di entrambi i presupposti grava su colui che afferma la natura usuraria degli interessi, senza che, accertato lo stato di difficoltà economica, la sproporzione possa ritenersi "in re ipsa", dovendo comunque dimostrarsi il vantaggio unilaterale conseguito dalla banca.

Cass. civ. n. 25569/2011

In tema di contratto di mutuo, l'ordine, proveniente da un istituto bancario, di versare una somma determinata a un terzo, realizzato mediante un mandato emesso sulla propria cassa, cui segua un "atto di quietanza finale di mutuo fondiario", integra il perfezionamento del contratto di mutuo, atteso che il requisito della realità, proprio di tale tipologia contrattuale, può essere integrato anche mediante il conseguimento della disponibilità giuridica della cosa, come si è verificato con l'ordine predetto, piuttosto che con la sua consegna in natura, in considerazione del crescente ricorso alla dematerializzazione dei valori mobiliari ed alla loro sostituzione con annotazioni contabili.

Cass. civ. n. 5740/2011

La procura a vendere un immobile, conferita dal mutuatario al mutuante contestualmente alla stipulazione del mutuo, può integrare la violazione del divieto del patto commissorio, qualora si accerti che tra il mutuo e la procura sussista un nesso funzionale. Tale accertamento è demandato al giudice di merito, il quale tuttavia, nel compierlo, non deve limitarsi ad un esame formale degli atti posti in essere dalle parti, ma deve considerarne la causa in concreto, e, in caso di operazione complessa, valutare gli atti medesimi alla luce di un loro potenziale collegamento funzionale, apprezzando ogni circostanza di fatto rilevante ed il risultato stesso che l'operazione negoziale era idonea a produrre e, in concreto, ha prodotto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto carente la motivazione con la quale il giudice di merito aveva escluso la sussistenza del patto commissorio, senza considerare, tra l'altro, che la procura era stata sottoscritta lo stesso giorno del mutuo, ma aveva avuto esecuzione due anni più tardi).

Cass. civ. n. 14/2011

Il mutuo è contratto di natura reale che si perfeziona con la consegna della cosa mutuata ovvero con il conseguimento della disponibilità giuridica della cosa; ne consegue che la "tradito rei" può essere realizzata attraverso la consegna dell'assegno (nella specie, circolare interno, intestato alla parte e con clausola di intrasferibilità) alla parte mutuataria, che abbia dichiarato di accettarlo "come denaro contante", rilasciandone quietanza a saldo.

Cass. civ. n. 3589/2010

Nel contratto di mutuo in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l'acquisto di un determinato bene, il collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e quello di vendita, in virtù del quale il mutuatario è obbligato all'utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione, comporta che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita ed il correlato venir meno dello scopo del contratto di mutuo, legittimano il mutuante a richiedere la restituzione dell'importo mutuato non al mutuatario ma direttamente ed esclusivamente al venditore. (Rigetta, App. Catania, 30/09/2004).

Cass. civ. n. 7930/2008

Nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull'esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile "ad usucapionem", salvo la dimostrazione di un'intervenuta "interversio possessionis" nei modi previsti dall'art. 1141 cod. civ.. (Rigetta, App. Napoli, 27 Gennaio 2003).

Cass. civ. n. 25180/2007

Il cosiddetto contratto di finanziamento o mutuo di scopo si configura come una fattispecie negoziale consensuale, onerosa ed atipica che assolve, in modo analogo all'apertura di credito, una funzione creditizia; in esso, a differenza del contratto di mutuo regolato dal codice civile, la consegna di una determinata quantità di denaro costituisce l'oggetto di un'obbligazione del finanziatore, anziché elemento costitutivo del contratto, sicché, fino a quando il finanziatore non adempia alla propria obbligazione di consegna al soggetto finanziato delle somme di denaro oggetto del finanziamento, queste rimangono nella disponibilità patrimoniale e giuridica del finanziatore medesimo.(Nella specie, la controversia era stata originata dalla richiesta di un maggior indennizzo assicurativo avanzata dal titolare di una polizza contro gli infortuni, la quale prevedeva un indennizzo parametrato sulla consistenza del saldo di chiusura, risultante alla mezzanotte del giorno precedente a quello dell'infortunio, dei rapporti creditizi intrattenuti dal predetto titolare di polizza con la propria banca; il giudice di merito aveva respinto la domanda affermando che, ai fini dell'incremento dell'indennizzo, non poteva tenersi conto anche di un rapporto di mutuo, del quale, alla data di riferimento prevista nella polizza infortuni, non era stata ancora erogata la pattuita somma di denaro; la S.C., enunciando l'anzidetto principio, ha confermato la sentenza di merito, qualificando il predetto "rapporto di mutuo" in termini di contratto di finanziamento). (Rigetta, App. L'Aquila, 23 Ottobre 2002).

Cass. civ. n. 10569/2007

Il cosiddetto mutuo di scopo si configura come una fattispecie negoziale consensuale, onerosa ed atipica, nella quale sono già individuati i soggetti erogatori ed i soggetti che possono beneficiare del finanziamento, la consegna della somma da corrispondere rappresenta l'esecuzione dell'obbligazione a carico del finanziatore. (Rigetta, App. Palermo, 9 Aprile 2002).

Cass. civ. n. 3258/2007

In tema di contratto di mutuo, poichè il legittimo possesso di assegni bancari da parte del prenditore fa sorgere una presunzione semplice di esistenza di un rapporto fondamentale che legittima la dazione di danaro, è onere della parte che ne chieda la restituzione dimostrare i fatti costitutivi di un altro tipo di rapporto - il contratto di mutuo - e che, in forza di questo, il prenditore sia tenuto a restituire le somme ricevute. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva rigettato la domanda di restituzione perchè la produzione delle copie degli assegni, da cui risultava la dazione di danaro dall'attrice al convenuto, non era decisiva per dimostrare la sussistenza del contratto di mutuo). (Rigetta, App. Catania, 1 Marzo 2002).

Cass. civ. n. 17211/2004

Il contratto di mutuo si perfeziona mettendo la cosa a disposizione del mutuatario, ancorché — in forza di accordi tra quest'ultimo e il mutuante — essa sia consegnata ad altra persona di cui, eventualmente, il mutuatario sia debitore e nei confronti del quale egli intenda adempiere all'obbligazione.

Cass. civ. n. 9074/2001

La natura reale del contratto di mutuo non richiede in via tassativa che la cosa mutuata sia materialmente consegnata dal mutuante al mutuatario, l'esigenza del requisito della traditio potendo ritenersi soddisfatta in determinati casi, allorquando il risultato pratico completamente raggiunto si identifichi con quello che si sarebbe realizzato con la consegna materiale del bene mutuato.

Cass. civ. n. 1945/1999

Il perfezionamento del contratto di mutuo, con la consequenziale nascita dell'obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità del mutuatario medesimo, non rilevando, a detto fine, che il contratto abbia le caratteristiche del mutuo c.d. di scopo, nel quale sia previsto l'obbligo di utilizzare quella somma ad estinzione di altra posizione debitoria verso il mutuante.

Cass. civ. n. 6686/1994

Il mutuo è contratto di natura reale che si perfeziona con la consegna di una determinata quantità di danaro (o di altra cosa fungibile) ovvero con il conseguimento della giuridica disponibilità di questa da parte del mutuatario, la quale può ritenersi sussistente, come equipollente della traditio, nel caso in cui il mutuante crei un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario, in modo tale da determinare l'uscita della somma dal proprio patrimonio e l'acquisizione della medesima al patrimonio di quest'ultimo. Nel predetto paradigma contrattuale rientra pertanto anche il caso in cui la somma mutuata sia depositata su di un libretto fruttifero di risparmio al portatore, contestualmente costituito in pegno a favore del mutuante a garanzia di una fideiussione da quest'ultimo prestata a beneficio del mutuatario per l'erogazione di un finanziamento in valuta estera da parte della banca estera, poiché detta somma, pur non essendo mai entrata nella disponibilità materiale del mutuatario, è comunque uscita dalla disponibilità del mutuante ed entrata nel patrimonio del mutuatario. 

Cass. civ. n. 11116/1992

Il mutuo è contratto di natura reale che si perfeziona con la consegna di una determinata quantità di danaro (o di altre cose fungibili) ovvero con il conseguimento della giuridica disponibilità di questa da parte del mutuatario, la quale può ritenersi sussistente, come equipollente della traditio, solo nel caso in cui il mutuante crei un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario, in guisa tale da determinare l'uscita della somma dal proprio patrimonio e l'acquisizione della medesima al patrimonio di quest'ultimo, ovvero quando, nello stesso contratto di mutuo, le parti abbiano inserito specifiche pattuizioni, consistenti nell'incarico che il mutuatario dà al mutuante di impiegare la somma mutuata per soddisfare un interesse del primo; mentre non possono considerarsi indicative di detta disponibilità, né istruzioni che il mutuatario dia unilateralmente circa la destinazione della somma, né l'autorizzazione al mutuante a trattenere la somma stessa presso di sé, che è un modo indiretto per procrastinare il perfezionamento del contratto.

Cass. civ. n. 12123/1990

Nel mutuo la traditio rei può essere realizzata attraverso l'accreditamento in conto corrente della somma mutuata a favore del mutuatario ed in genere ponendo la somma mutuata nella disponibilità giuridica del mutuatario stesso e, una volta avvenuta la traditio, la realità del mutuo non può retroattivamente venir meno in ragione della maggiore o minore durata del tempo in cui permane la disponibilità del numerano, o del titolo rappresentativo di esso, nelle mani del mutuatario, prima che alla somma sia dato l'impiego dal mutuatario medesimo (o anche dal predetto d'accordo con il mutuante) divisato.

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Il quesito proposto configura un mutuo tra privati.
Infatti, le due persone coinvolte, unite da un rapporto di amicizia, si sono accordate affinché il denaro prestato fosse restituito a rate mensilmente.
Questo accordo è stato redatto per iscritto e registrato all’Agenzia delle Entrate per cui è possibile ricavare la data di sottoscrizione con certezza.

Il mutuante, colui che ha prestato il denaro, in caso di mancata restituzione del denaro potrà agire giudizialmente nei confronti del mutuatario provando l’esistenza del contratto di mutuo con la produzione della scrittura privata e la prova della trasmissione della somma.
In tal modo potrà ottenere un titolo esecutivo di condanna del mutuatario al pagamento dell’importo residuo.
Solo con un titolo esecutivo sarà poi possibile iscrivere ipoteca sul bene immobile o eseguire un pignoramento immobiliare, previa verifica con un legale e un notaio della possibilità, opportunità e costi di tali azioni.

G. D. P. chiede
sabato 06/04/2024
“Gentilissimi buonasera

Sto per acquistare a giugno la mia prima casa per il valore di 130.000 Euro.
Parteciperà al 50% della spesa anche la mia compagna la quale però non riuslterà come acquirente e proprietaria perché già titolare di prima casa, dove manterrà la residenza.

Giustamente vogliamo formalizzare dal notaio una scrittura privata dove specifichiamo che lei ha partecipato alla spesa per la casa in cui è anche domiciliata come anche la spesa per il mobilio, a tutela reciproca in caso di una futura separazione della coppia e a tutela sua inquanto non proprietaria.

Vorrei avere il vostro consulto, prima di arrivare dal notaio al quale ho chiesto la scrittura, circa la miglior configurazione di questa fattispecie in termini di tutela personale e reciproca.

Cordialmente”
Consulenza legale i 12/04/2024
La legge prevede la possibilità per una coppia convivente di disciplinare la propria unione di fatto in forza della L. 76/2016 con la stipula di un contratto di convivenza, tramite atto pubblico o scrittura privata autenticata da un avvocato o da un notaio, in cui vengono regolati i rapporti patrimoniali in relazione all’acquisto e all’arredamento della casa.

L’ipotesi che pare più corretta da percorrere è quella di indicare che una parte presta un importo specifico all’altra al fine di acquistare un determinato bene immobile con l’obbligo di restituzione delle somme in caso di risoluzione del contratto di convivenza.

La fattispecie è assimilabile a quella del “mutuo di scopo”, riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza come figura giuridica in cui il mutuante presta una somma di denaro al mutuatario per raggiungere un determinato scopo comune ad entrambi che deve essere espressamente indicato e specificato nel contratto di mutuo (Cass. 25180/2007; Cass. civ. n. 9838/2021).
Nel caso specifico ovviamente il contratto di mutuo di scopo sarebbe a titolo gratuito senza obbligo di restituzione degli interessi.

Si consiglia, quindi, di rivolgersi ad un notaio o ad un avvocato specializzato in materia che in base alle esigenze delle parti rediga la scrittura privata idonea per la tutela reciproca.

D. M. chiede
mercoledì 03/05/2023
“Buongiorno,
ho bisogno gentilmente di stendere una scrittura privata con mio marito per questo caso:
- nell'aprile 2021 mi ha bonificato euro 35.000,00 a titolo di prestito infruttifero per acquisto del 50% di un immobile
- l'accordo interno tra noi è il seguente: restituisco il prestito infruttifero pagando, da aprile 2021, le bollette/utenze dell'immobile dove risiede il nostro nucleo familiare
- ora, in parte con il pagamento tracciato delle bollette fino al mese di aprile 2023, in parte con una somma che ho depositato in banca, sono in grado di restituire il prestito infruttifero
Potreste gentilmente inviarmi una bozza di accordo in modo tale che chiudo questa situazione con mio marito?”
Consulenza legale i 12/05/2023
Di seguito una bozza di scrittura priva come richiesta.
Si fa presente che le spese per le utenze sono state considerate di spettanza di entrambi i coniugi nella misura del 50% ciascuno, pertanto solo la metà di quanto pagato viene computata a rimborso del prestito infruttifero; ciò in ossequio all'art. 143 del c.c., che al terzo comma impone ad entrambi i coniugi, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, di contribuire ai bisogni della famiglia.

Nell'eventualità in cui l'accordo tra i coniugi preveda che l'intero importo speso per le utenze debba essere considerato a rimborso del prestito, si potrà modificare in tal senso la bozza fornita.

Si rammenta che la scrittura dovrà essere sottoscritta su tutte le pagine.

SCRITTURA PRIVATA
Con la presente scrittura privata redatta in duplice copia, da valere ad ogni effetto di legge:

TRA

Sig. ___

E

Sig.ra _


PREMESSO CHE
  1. Le parti hanno contratto matrimonio in data ___;
  2. Il Sig. ___ in data __/04/2021 ha ceduto alla Sig.ra ___ l’importo di € 35.000,00 mediante bonifico bancario sul c/c intestato a quest’ultima a titolo di prestito infruttifero finalizzato all’acquisto dell’immobile sito in ___, via ___, distinto al Catasto dei fabbricati ___ (dati catastali dell’immobile acquistato);
  3. A far data dal mese di aprile 2021 sino al mese di aprile 2023 la Sig.ra ___ ha sostenuto i pagamenti relativi alle utenze dell’immobile presso il quale risiede il nucleo familiare, sito in ___, via ___ (indirizzo dell’immobile presso il quale risiede il nucleo familiare), per un importo pari a complessivi € ___;
  4. La spesa così sostenuta è da considerarsi di spettanza dei coniugi nella misura del 50% ciascuno;
  5. Le parti con la presente intendono definire le reciproche pretese;
Tanto premesso, tra le parti si
CONVIENE E STIPULA
  1. Le premesse costituiscono parte integrante del presente accordo.
  2. Le spese sostenute dalla Sig.ra ___ a far data dal mese di aprile 2021 sino al mese di aprile 2023 per il pagamento delle utenze relative all’immobile presso il quale risiede il nucleo familiare, pari a complessivi € ___, vengono considerate quale rimborso parziale del prestito di cui in premessa nella misura del 50% pari a € ___ (quota di spettanza del Sig. ___ e sostenute per suo conto dalla Sig.ra ___);
  3. Il residuo, pari a € ___, verrà restituito dalla Sig.ra ___ mediante bonifico bancario, o altro mezzo di pagamento eventualmente concordato tra le parti, entro il ___;
  4. Con l’adempimento degli obblighi ivi contenuti le parti non avranno più nulla a pretendere l’una dall’altra per le ragioni di cui in premessa;
  5. La presente scrittura, redatta in due esemplari ciascuno dei quali sarà considerato un originale e debitamente sottoscritta dalle parti, si compone di complessive due pagine.
luogo, data
Sig. ___ Sig.ra ___


F. F. chiede
mercoledì 16/11/2022 - Basilicata
“Buongiorno,
Io sono il liquidatore di una s.r.l., la società aveva in essere con la Banca XXX un mutuo chirografario a tasso fisso garantito al 50% da YYY e il restante 50% da uno dei soci. A causa delle difficoltà economiche che hanno poi portato la società alla liquidazione, ho chiesto alla banca la possibilità di allungare la durata del mutuo in modo da abbassare l'importo della rata e consentirci così di far fronte ai nostri impegni.
La banca mi ha risposto che era possibile solo se YYY avesse prolungato la durata della sua garanzia, cosa che ha fatto.
Quando sono andata a firmare il nuovo accordo, l'impiegato mi ha fatto prima firmare e poi mi ha detto che c'era un'altra modifica al contratto: il tasso passava da fisso a variabile.
Ho fatto notare la scorrettezza di questa cosa, sottolineando che l'allungamento della durata era per aiutarci a pagare, ma che rialzi dei tassi (che nella attuale situazione sono molto probabili) porteranno nuovamente la rata a livelli insostenibili per noi.
L'impiegato mi ha risposto che la questione non era più trattabile.
Il problema adesso è che il socio garante giustamente mi ha detto che se le condizioni economiche sono cambiate non intende mantenere la garanzia.
Che cosa si può fare?”
Consulenza legale i 23/11/2022
La rinegoziazione del mutuo che Lei ha richiesto all’istituto bancario, con un prolungamento della scadenza e la relativa riduzione dell’importo delle rate, costituisce una modifica delle condizioni contrattuali già sottoscritte, per la quale è necessario il consenso di tutte le parti coinvolte.
In presenza del consenso di tutte le parti, infatti, qualsiasi contratto può essere modificato, mediante la medesima forma utilizzata per la conclusione.

Nel caso di specie, la modifica del contratto di mutuo che sottintenda la garanzia del socio potrà essere praticata mediante atto scritto con il consenso della s.r.l. mutuataria, della banca mutuante e di entrambi i garanti, alle condizioni concordate tra le medesime parti.
Il socio garante, senza il suo consenso, può essere vincolato esclusivamente alla garanzia già prestata, non ad una ulteriore; allo stesso modo la banca può essere vincolata esclusivamente alle condizioni di cui al vecchio contratto di mutuo, ma non può essere obbligata ad offrire le medesime condizioni nell’ambito di una modifica contrattuale.

Tanto premesso, in base alle informazioni fornite, non emergono strumenti giuridici per una modifica unilaterale del contratto di mutuo, ovvero per indurre forzatamente una delle controparti a sottoscrivere la modifica contrattuale alle condizioni da Lei proposte.

Da un punto di vista di una trattativa stragiudiziale, va fatto presente, tuttavia, che sia la banca che il socio garante hanno tutto l’interesse a far si che la s.r.l. rispetti i suoi impegni finanziari; in modo particolare il socio, che in qualità di garante, nell’eventualità in cui la s.r.l. non dovesse adempiere, si vedrebbe richiedere la somma per la quale ha prestato la garanzia.
In questo senso, si può tentare di avvicinare le posizioni delle parti coinvolte, ovvero tentare l’inserimento di un nuovo garante che si sostituisca a quello precedente, o si aggiunga a lui nel garantire la differenza di importi dovuta dal prolungamento delle scadenze del mutuo.

Anonimo chiede
sabato 08/08/2020 - Lazio
“Buonasera, io e mio marito abbiamo prestato dei soldi (con bonifici bancari ma senza effettuare alcuna scrittura) ai miei genitori per ristrutturare due immobili, uno dei quali ci è stato dato in comodato gratuito. È possibile formalizzare il tutto affinché i nostri soldi che hanno aumentato il valore dell'immobile non vadano un domani in eredità e se si in che modo? In caso contrario quali altre possibili soluzioni esistono?

Ringrazio anticipatamente”
Consulenza legale i 30/08/2020
Il caso in esame descrive una situazione molto frequente nella prassi di tutti i giorni, ossia quella del prestito tra parenti.
In linea generale i prestiti tra parenti si definiscono “infruttiferi”, in quanto non prevedono l’applicazione di interessi: chi concede il denaro non vuole in realtà ottenere un guadagno, quanto piuttosto favorire una persona cara.

Malgrado a prima vista possa apparire come un’operazione prettamente informale, è bene adottare determinate accortezze per non avere conseguenze sia sotto il profilo fiscale che sotto il profilo degli eventuali risvolti che potrebbero aversi in sede successoria, come qui si chiede.

Sotto il primo profilo, quello dei rapporti con il fisco, risulta estremamente importante documentare la provenienza delle somme date, ed in questo ci si può sentire abbastanza garantiti dal fatto di aver utilizzato uno strumento di pagamento tracciabile, quale il bonifico bancario.
In tal modo, infatti, il fisco non potrà presumere (attraverso l’utilizzo dei propri strumenti di controllo automatizzati, come il redditometro) l’esistenza di redditi non dichiarati da parte dei beneficiari, dal momento che stanno effettuando una spesa che il loro reddito non gli potrebbe permettere.

Ma gli inconvenienti fiscali possono riguardare anche la posizione di colui o coloro che hanno elargito quelle somme di denaro, in quanto quella che in effetti costituisce una donazione potrebbe essere interpretata come un prestito, sul quale il concedente abbia diritto a maturare interessi attivi, e dunque redditi soggetti a dichiarazione ai fini IRPEF.
Sotto questo profilo, lo strumento di tracciabilità del pagamento utilizzato (ossia il bonifico bancario), se è in grado di dimostrare la provenienza delle somme (a tutela dei beneficiari) non è invece in grado di dimostrare il titolo sulla base del quale tali somme sono state elargite (cioè se trattasi di un regalo o di un prestito con o senza interessi).

Per tale ragione risulta indubbiamente indispensabile costituirsi tale titolo, il quale si farà consistere nella redazione di una scrittura privata.
A questo punto, si tratta di determinare il contenuto di tale scrittura, in quanto dalla stessa si può far risultare che quelle somme sono state elargite a titolo di donazione ovvero a titolo di prestito senza interessi.
In casi come questo, tuttavia, la scelta è circoscritta alla redazione di una scrittura privata avente ad oggetto un prestito senza interessi, e ciò perché nel caso di donazione di somma di denaro, l’art. 782 del c.c. impone la forma dell’atto pubblico con l’assistenza di due testimoni se trattasi di donazione di non modico valore (e tale sicuramente non può definirsi quella in esame).

Altro aspetto importante è quello di dare certezza alla data in cui la scrittura privata è stata redatta e sottoscritta, data che potrà anche essere successiva a quella di effettiva erogazione delle somme.
A tale scopo, a parte il metodo ordinario ed ufficiale di procedere alla sua registrazione presso l’Agenzia delle entrate (pagando la relativa imposta di registro secondo la liquidazione che la stessa Agenzia effettuerà), ci si può avvalere di strumenti per così dire alternativi, che consentono di evitare il pagamento di tale imposta.
Uno di questi è quello di recarsi presso un ufficio postale e inviare a se stessi la scrittura privata, completa in tutte le sue parti, con una c.d. “raccomandata senza busta” o “raccomandata in foglio”, di modo che l’ufficio postale possa apporre direttamente il bollo sulla stessa scrittura.

In relazione al contenuto della scrittura privata di prestito infruttifero, occorre fare le seguenti precisazioni:
  1. la scrittura andrà redatta facendo riferimento all’art. 1813 c.c., relativo appunto al mutuo;
  2. poiché l’art. 1815 del c.c. pone una presunzione di onerosità del mutuo (ossia si presume che il mutuatario sia tenuto a corrispondere gli interessi al mutuante), occorrerà far risultare da essa la diversa volontà delle parti, dando atto che, in considerazione del rapporto di parentela intercorrente tra le parti, il prestito non sarà fruttifero di interessi neppure nella misura dell’interesse legale;
  3. si dovrà anche indicare lo scopo per cui le somme risultanti dai bonifici effettuati sono stati consegnati ai beneficiari/mutuatari, ovvero contribuzione alle spese di ristrutturazione degli immobili, dei quali occorrerà fare una descrizione tale da poterli agevolmente individuare;
  4. ultimo aspetto da prendere in considerazione è quello della determinazione del termine per la restituzione delle somme, il quale potrà essere stabilito dalle parti ex art. 1816 del c.c. ovvero, in mancanza di una determinazione pattizia, essere stabilito dal giudice ex art. 1817 del c.c..
Considerata la peculiarità della situazione e la finalità per cui le somme sono state messe a disposizione dei beneficiari, si suggerisce di convenire un termine massimo di dieci anni per la restituzione di tali somme, stabilendo che la restituzione può avvenire anche in unica soluzione al termine dei dieci anni.
E’ questo il termine massimo previsto dalla legge per la prescrizione del diritto (art. 2946 del c.c.), ossia per poter chiedere la restituzione della somma; pertanto, al fine di non perdere il diritto di credito così acquisito, sarà opportuno, prima dello scadere dei dieci anni, procedere ad una rinnovazione di quella scrittura privata, concedendo un ulteriore termine per la restituzione della somma.

La soluzione sopra prospettata consentirà non solo di risolvere i problemi con il fisco, ma anche quelli che potrebbero sorgere con gli altri eredi, qualora questi non siano disposti a riconoscere che gli immobili ristrutturati (e che finiranno in successione) avranno al momento dell’apertura della successione un valore maggiore grazie al proprio contributo economico.
Infatti, in sede di divisione ereditaria, l’art. 723 del c.c. richiede che, per procedere alla determinazione delle porzioni ereditarie e dei conguagli o rimborsi che si devono i condividenti tra di loro, occorrerà preventivamente formare lo stato attivo e passivo dell’eredità.
E’ chiaro che nello stato passivo dovrà necessariamente essere incluso il debito sussistente nei propri confronti, quale risultante dalla scrittura privata, e del quale non si potrà fare a meno di tener conto al fine di determinare la propria porzione di eredità.

Infine, gli stessi genitori potrebbero direttamente sistemare le quote tra gli eredi avvalendosi del disposto dell’art. 659 del c.c., ossia redigendo testamento in favore di tutti gli eredi legittimari, ma legando a titolo particolare alla figlia creditrice una somma di denaro pari a quella risultante dalla scrittura privata di prestito, ovvero legandole un immobile o beni di pari valore.
Ciò che conta è che, nel disporre il legato, il testatore faccia menzione del debito esistente, poiché, in mancanza di tale precisazione, la legge presume che il legato non sia stato fatto per soddisfare il legatario del suo credito.


Claudio M. chiede
martedì 05/05/2020 - Piemonte
“Buongiorno, espongo il mio problema.
Nel 2014, un amico mi propose di partecipare privatamente a un affare. L'amico, ex sportivo praticante, intendeva acquistare in alcuni Paesi esteri capi di abbigliamento difficilmente reperibili in Italia, e rivenderli poi a privati. Si trattava quindi di un'attività del tutto privata, ovvero senza aprire alcuna società.
In parole povere: l'amico acquistava un certo capo in Inghilterra, a 10, e poi lo rivendeva in Italia a 13. ( Sono cifre del tutto casuali, solo per rendere l'dea).
Il mio ruolo era, evidentemente, solo di finanziatore. Mi propose di investire 10.000 Euro, promettendomi un ritorno quadrimestrale di 800 Euro. Accettai. Puntualmente, ogni 4 mesi, per 6 anni, mi inviava tramite bonifico bancario la somma di Euro 600. In sostanza, in 6 anni mi ha fatto avere 14.400 Euro, cioè , oltre agli iniziali 10.000, ne ho guadagnati 4.400. Pochi giorni fa, mi ha comunicato di non poter più continuare con questa attività, e che quindi ci saremmo fermati definitivamente. Ed ecco il mio dilemma: gli ho chiesto se sarei rientrato in possesso del capitale inizialmente affidatogli, ovvero i 10.000 Euro. L'amico, però, stupito dalla mia domanda, ha detto che non solo i 10.000 Euro mi erano rientrati, ma che ne avevo anche guadagnai altri 4.400. Matematicamente parlando, è verissimo. Considerate anche che non abbiamo mai stipulato alcun contratto scritto, e a dire il vero non abbiamo mai nemmeno parlato di una restituzione del mio capitale iniziale.
Ma il mio vero dubbio è: ho davvero il diritto di chiedergli indietro i 10.000 Euro? Non ne sono nemmeno tanto sicuro, visto che in pratica me li ha resi, con ulteriori 4.400 di utile. Mi sta inoltre anche venendo il dubbio che la storia della vendita sia stata solo un pretesto per farsi imprestare dei soldi, ma anche fosse così, resta il fatto che me li ha restituiti, e con gli interessi.Prima di fare mosse avventate , vorrei sapere come voi valutate giuridicamente la cosa, e se sia consigliabile intentare una causa , è un caso un po' particolare, credo. Ringrazio in anticipo.”
Consulenza legale i 17/05/2020
L’operazione economica conclusa tra le parti è stata sostanzialmente un contratto di mutuo disciplinato dall’art. 1813 del codice civile secondo cui “il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all'altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili e l'altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità”.
Anzi, più precisamente, l’accordo intercorso parrebbe corrispondere ad un mutuo di scopo.
Come evidenziato dalla Suprema Corte nella sentenza n.15929 del 2018 “il mutuo di scopo risponde alla funzione di procurare al mutuatario i mezzi economici destinati al raggiungimento di una determinata finalità, comune al finanziatore, la quale, integrando la struttura del negozio, ne amplia la causa rispetto alla sua normale consistenza, sia in relazione al profilo strutturale, perché il mutuatario non si obbliga solo a restituire la somma mutuata e a corrispondere gli interessi, ma anche a realizzare lo scopo concordato, mediante l'attuazione in concreto del programma negoziale, sia in relazione al profilo funzionale, perché nel sinallagma assume rilievo essenziale proprio l'impegno del mutuatario a realizzare la prestazione attuativa”.

L’art. 1815 del codice civile stabilisce altresì che “salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante”. Ciò significa che vi è una presunzionelegale di onerosità del contratto di mutuo, salvo diversa pattuizione dei contraenti.
Nella presente vicenda, leggiamo che il mutuatario si era soltanto obbligato a versare euro 800 ogni 4 mesi.

Ciò posto, in risposta al quesito possiamo osservare quanto segue.

Come da Lei specificato, non era stato sottoscritto alcun contratto.
Verbalmente, il mutuatario si era impegnato a corrispondere 800 euro ogni 4 mesi cosa che, conti alla mano, è stata puntualmente fatta (2400 euro ogni anno per sei anni fa appunto 14400 euro).
Quindi, non solo la somma iniziale - seppur a rate - è stata restituita, ma è stata corrisposta anche una somma notevolmente superiore agli interessi legali sul capitale iniziale (secondo i nostri calcoli pari a circa 290 euro). Altrimenti, dovremmo inquadrare il tutto in una operazione economica in cui gli 800 euro ogni 4 mesi avrebbero dovuto essere il Suo guadagno ulteriore rispetto alla restituzione del capitale iniziale più gli interessi.
Tuttavia, volendo sostenere un tale assunto in un ipotetico giudizio occorrerebbe provarlo.
Infatti, nel diritto civile, uno dei principi basilari è quello relativo all’onere della prova enunciato nell’art. 2697 c.c secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Nella presente vicenda, in mancanza di un contratto scritto, sarebbe quanto meno temerario sostenere che il Suo amico che ha avuto il finanziamento sia stato inadempiente negli accordi presi in quanto avrebbe dovuto corrispondere 800 euro ogni 4 mesi, oltre a restituire il capitale iniziale più gli interessi.

Pertanto, in risposta al quesito, possiamo affermare che sia sconsigliabile intentare una causa in quanto infondata o comunque del tutto carente sul piano probatorio.

Andrea P. chiede
giovedì 18/07/2019 - Lombardia
“Buon pomeriggio,
è possibile che l'intestatario del mutuo non sia la stessa persona a cui verrà intestata la casa da acquistare?
Ringrazio anticipatamente”
Consulenza legale i 23/07/2019
La risposta è senz’altro positiva.
La compravendita ed il mutuo sono due contratti diversi: il primo ha per oggetto lo scambio del bene (immobile) contro il versamento di un prezzo, mentre il secondo ha per oggetto la consegna di denaro (o altri beni fungibili, ovvero interscambiabili tra loro) in cambio della restituzione della medesima quantità di denaro.

Ebbene, il denaro che si ottiene a titolo di mutuo può essere impiegato liberamente, perché la legge non vincola il mutuatario ad utilizzarlo in un determinato modo piuttosto che in un altro: in buona sostanza, uno con i soldi può farci quello che vuole, a patto che poi li restituisca.

La concessione di denaro a titolo di mutuo, si diceva, non è necessariamente – in generale e per legge – condizionata all’utilizzo per un determinato scopo piuttosto che per un altro: ciò può avvenire solo per espressa pattuizione delle parti, per cui due soggetti possono accordarsi affinché uno dei due presti del denaro all’altro solo se quest’ultimo lo utilizzi poi per acquistare un bene particolare o lo investa in un determinato affare.

Tornando al quesito, in alcuni casi il denaro ottenuto a titolo di mutuo viene utilizzato per la compravendita di un immobile: spesso e volentieri capita, però, che chi acquista la casa non abbia la liquidità sufficiente a sostenerne il prezzo e così lo chieda a terzi (come un istituto di credito).
E’ però possibile (in genere gli istituti di credito non pongono veti in tal senso) che il mutuo concesso per l’acquisto dell’immobile sia intestato ad un soggetto diverso dall’acquirente dell'immobile.

Sotto il profilo civilistico nulla cambia nella compravendita: l’acquirente è il soggetto che diventa formalmente titolare dell’immobile, ma obbligato a versarne il prezzo è invece il soggetto che ha contratto il mutuo per l’acquisto.

Sotto il profilo fiscale, invece, le cose cambiano.
Chi acquista la casa e contemporaneamente si intesta il mutuo ha il vantaggio - se ovviamente non ha altri immobili di proprietà - di poter usufruire delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa e di poter altresì detrarre gli interessi passivi del mutuo stesso.
Chi si intesta solamente il mutuo, non godrà invece di quest’ultimo vantaggio fiscale.

Infine, si evidenzia come chi concede il mutuo voglia in genere il rilascio di una garanzia per la restituzione dei soldi: nel caso degli istituti di credito, spesso il mutuo è ipotecario e l’ipoteca viene iscritta proprio sull’immobile acquistato. In questo caso il proprietario dell'immobile diviene "terzo datore di ipoteca".
In tal caso, la situazione dello “sdoppiamento” di soggetti può avere spiacevoli conseguenze per l’intestatario dell’immobile. Infatti, se il mutuatario (che è soggetto altro rispetto all’acquirente) rimane inadempiente nella restituzione del mutuo, il creditore mutuante può dar avvio all’esecuzione forzata e far mettere in vendita il bene concesso in garanzia, bene del quale è tuttavia intestataria un’altra persona, che si vedrà così pregiudicata nel pacifico godimento del proprio immobile.

Mario B. chiede
mercoledì 23/01/2019 - Campania
“ho stipulato con una banca un contratto di mutuo di 335.000,00 euro in garanzia mi ha chiesto un pegno su libretto di 152.000,00 euro con contratto di pegno irregolare.
all'art 1 del contratto si legge: la banca di credito coop., come sopra generalizzata, concede a titolo di mutuo ai sensi dell'art.38 e seguenti dl, legge 1 settembre 1993 n.385,al mutuatario la somma di 335.000,00 che accetta....
quindi nonostante non ci fosse a garanzia un ipoteca, la banca ha inteso stipulare il mutuo ai sensi dell'art 38.
dopo che non sono state pagate delle rate, la banca ottiene un decreto ingiuntivo, da premettere che sia nel decreto ingiuntivo che nella costituzione in giudizio di opposizione, la banca ritiene che sia un mutuo chirografario
la mora per il ritardo delle rate e pattuita al 10% mentre il tasso soglia del periodo è di 9,9375.
la mia domanda è se la banca ha inteso stipulare il mutuo ai sensi dell'art 38 tub può essere inteso appartenente alla categoria dei mutui?
credo che il giudice dell'opposizione dovrebbe valutare se è un mutuo fondiario o convertirlo in un altro tipo di mutuo, ma nel frattempo non è la banca a dichiararlo mutuo chirografario e la stessa lo ha stipulato ai sensi dell'art 38.
Conosco il primo comma dell'art 38,che per ottenere il mutuo serve un ipoteca, ma la banca non ha chiesto.
credo non si possa ritenere un mero errore di dizione, lo stesso notaio garante avrebbe dovuto chiarire alla banca che per stipulare il mutuo ai sensi dell'art 38 serviva che la garanzia fosse un ipoteca.
siamo nella fase finale della causa termini 190.non credo ci siano ancora le condizioni perché la banca accortasi dell'errore possa chiedere una conversione del mutuo.
intanto nella difesa ho rimarcato che il mutuo rientra nella classe dei mutui e che quindi in usura originaria essendo il tasso mora superiore alla soglia.
può essere dichiarato nullo ai sensi dell'art. 1418 per violazione a norme imperative, avendo la banca stipulato detto mutuo senza garanzia ipotecaria?
secondo voi quali potrebbero essere le conseguenze perché la banca ha stipulato il muto ai sensi dell'art. 38?”
Consulenza legale i 31/01/2019
È necessario, innanzitutto, fare un po’ di chiarezza sulla definizione giuridica del contratto di mutuo, che non sempre coincide con il significato che si dà allo stesso termine nel linguaggio corrente.
Ai sensi dell’art. 1813 del c.c., il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all'altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l'altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità. Il mutuo è un contratto essenzialmente oneroso, dal momento che comporta l’obbligo per il mutuatario di pagare gli interessi.

Una figura particolare di mutuo è espressamente prevista dall’art. 38 T.U. Bancario - che disciplina, in realtà, più ampiamente il c.d. credito fondiario, vale a dire l’attività avente ad oggetto “la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili”.
Ora, la circostanza che nell’atto notarile si faccia riferimento, erroneamente, all’art. 38 T.U. Bancario, mentre nel contratto non è prevista la costituzione di una garanzia ipotecaria, non comporta la nullità del contratto di mutuo, come prospettato, ai sensi dell’art. 1418 del c.c.
Infatti rimane nella facoltà delle parti la scelta se stipulare un mutuo assistito da ipoteca oppure da diversa garanzia (in questo caso fideiussione e, in aggiunta, ma limitatamente a una parte dell’importo, pegno su libretto di deposito a risparmio).

In ogni caso, a prescindere dai riferimenti normativi e dalle espressioni eventualmente utilizzati dalle parti, spetta al giudice la qualificazione giuridica del fatto (si tratta infatti di inquadrare correttamente la fattispecie e non, come riportato nel quesito, di operare una presunta “conversione” di un mutuo fondiario in altro tipo di mutuo).
Inoltre, pur premettendo che ogni valutazione di una vicenda processuale richiede una conoscenza sufficientemente approfondita degli atti, occorre precisare che, in questo caso, la causa è in stato talmente avanzato (deposito di comparse conclusionali ex art. 190 del c.p.c., dunque in fase decisoria) che non appare possibile introdurre difese nuove rispetto a quelle già formulate nei precedenti scritti difensivi e nella precisazione delle conclusioni, per cui non rimane che attendere la decisione del giudice ed esaminarne, semmai, la correttezza ai fini di una eventuale impugnazione.

Giuseppe P. chiede
giovedì 26/07/2018 - Puglia
“Nel 2015 abbiamo acquistato una casa con la mia ex ragazza, la casa è stata intestata solo a lei, però il pagamento e stato effettuato in parte da mio fratello e mia madre tramite assegni bancari direttamente al costruttore per una somma di € 48.450,00(c'è la prova degli assegni). Partendo dal presupposto che non siamo mai stati conviventi, non abbiamo figli in comune, quindi a livello legale siamo due estranei. Nel 2016 lei decide di lasciarmi e ad oggi la mia ex non vuole restituire le somme versate dai miei parenti,dicendo che le sono stati dati come donazione dovuto ad un suo momento di difficoltà economica. Posso procedere per vie legali a richiedere la restituzione delle somme, poiché le sono state date queste somme come prestito infruttifero? Non abbiamo nessun accordo scritto tra la mia famiglia e la mia ex ragazza. Può dichiararle donazioni?”
Consulenza legale i 29/07/2018
La donazione è un contratto a titolo gratuito, unilaterale, che si perfeziona per effetto della sola manifestazione di volontà delle parti, senza necessità di consegna della cosa donata.

La donazione si caratterizza per l'impoverimento del donante, accompagnato dall'arricchimento altrui.

Fatte le necessarie premesse, al fine di dirimere il quesito formulato, si precisa sin d'ora che la donazione è un contratto solenne, che richiede la formazione di un atto pubblico (art. 782 c.c.), alla presenza necessaria di due testimoni (art. 48 L. n. 89/1913). L'atto pubblico è richiesto qualunque sia l'intento delle parti ovvero l'oggetto delle liberalità (cosa immobile o mobile, come il denaro).

L'unica eccezione a tale requisito di forma è data dalla c.d. donazione manuale, quando abbia ad oggetto un bene mobile di modico valore (art. 783).

Dato l'ingente importo dell'assegno consegnato per l'acquisto dell'immobile in questione, va sicuramente esclusa la sussistenza di una donazione manuale nei termini di cui sopra, motivo per cui, per configurare una valida donazione (come erroneamente sostenuto dalla controparte) sarebbe stata necessaria la forma dell'atto pubblico, cosa non avvenuta. La norma di cui sopra, per vero, richiede che la modicità della donazione venga valutata anche in raffronto alle condizioni economiche del donante, ma certamente la somma di € 48.450,00 non potrebbe essere considerata modica in nessun caso.

Oltre a tale elemento essenziale del contratto di donazione, è oltretutto richiesto l'animus donandi, ovvero l'intenzione del donante di effettuare una disposizione patrimoniale in favore del donatario per spirito di liberalità. Se, per contro, l'atto di disposizione è stato compiuto a fini di prestito, non sussiste alcun intento donativo.

Le circostanze del caso indicano inoltre la volontà dei disponenti di concedere un prestito, data la natura non stabile della relazione intercorsa tra i due soggetti.

Da ultimo, anche se la mancanza di atto pubblico consente di prescindere da qualsiasi altra considerazione, si precisa che l'ordinamento prevede la revoca della donazione in alcuni casi specifici (v. artt. 801 e 803), alcuni di natura soggettiva per eventuali comportamenti scorretti del donatario successivi alla donazione, altri di natura oggettiva, come la revocazione della donazione per sopravvenienza di figli.

Data la non sussistenza di alcuna donazione, la fattispecie in esame presenta le caratteristiche del contratto di mutuo gratuito (artt. 1813 e ss.), con obbligo di restituzione della somma versata.

Non essendo verosimilmente previsto un termine per la restituzione, questo può essere stabilito dal giudice, avuto riguardo alle circostanze ex art. 1817.


Sergio B. chiede
venerdì 11/08/2017 - Lombardia
“Buongiorno,
Brevemente vi ripropongo un quesito di natura bancaria.
La ditta Alfa di Tizia, ditta individuale nel campo della pelletteria dal 1967, ha cessato l’attività il 31/12/2012 causa età avanzata della titolare con regolare liquidazione dei dipendenti e pagamento di tutti i fornitori.
Unico scoperto di conto corrente rimasto è con la Banca Gamma Ag. 1 per € 30.000,00 circa.
Nel contempo la Sig.ra Caia (nuora della Sig.ra Tizia e già collaboratrice familiare nell’azienda stessa) in data 16/07/2012 inizia una nuova attività di pelletteria (ditta Beta Cinture di Caia) come unica titolare. Per facilitare lo start up della Sua azienda la Sig.ra Caia si rivolge alla Compagnia Delta ottenendo un finanziamento di € 30.000,00 erogato dalla Cooperativa tramite appoggio della Banca Gamma.
Il benestare della Cooperativa viene trasmesso alla Banca Gamma il 24/09/2012 con obbligo di utilizzo il 31/01/2013.
Sino al 31/01/2013 malgrado numerosi solleciti la Banca non trasmette comunicazioni ne convoca la sig.ra Caia.
Finalmente il 31/01/2013 la Sig.ra Caia viene convocata in l’Agenzia 1 e, ancora prima avere materialmente accreditati i soldi sul conto della Sua nuova azienda, viene invitata a firmare un documento prestampato e compilato a penna con calligrafie differenti con cui, con effetto immediato si ordina il trasferimento dell’importo appena finanziato di € 30.000,00 dal conto della ditta Beta Cinture di Caia al conto della ditta Alfa di Tizia.
Praticamente questi soldi non sono mai stati sul nuovo conto.
Col senno di poi la banca non avendo garanzie (fideiussioni, immobili o altro) da parte della sig.ra Tizia e temendo l’inesigibilità del debito ha messo con le spalle al muro la sig.ra Caia costringendola a coprire il debito offrendo in cambio una linea di credito questa volta con garanzie
A seguito di questa repentina operazione la Sig.ra Caia non solo dovrà rientrare mensilmente pagando la rata del finanziamento della Tizia ma il fido bancario è ben più oneroso di un finanziamento a tasso agevolato che da allora ha sempre creato ulteriori limiti
Vi rinvio la questione bancaria a cui avete già dato risposta per un vostro parere viste le nuove regolamentazioni bancarie e in conseguenza per sapere se è il caso di rivolgersi al ABF (Abbiamo già fatto richiesta di rimborso cui è stato risposto con un pre-stampato (!)
Cordialmente
Sergio B.
Vedi Quesito Q201718490”
Consulenza legale i 21/08/2017
Per rispondere alla richiesta bisogna premettere che è già stata fornita risposta allo stesso quesito, ove si chiarisce, dopo approfondita analisi degli atti rilevanti, che il credito fornito dalla Banca risulta correttamente erogato ed utilizzato entro il termine esatto prefissato, e che non si rilevano estremi di violazione della buona fede nell’avere utilizzato la somma concessa in mutuo per estinguere il debito gravante sulla ditta; infatti, risultano rispettati gli obblighi di trasparenza previsti dalla legge, essendo state specificatamente approvate per iscritto, con apposizione della doppia sottoscrizione, le clausole del contratto ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, del Codice Civile relative allo scopo per il quale il mutuo è stato concesso.

Infatti, nelle premesse del contratto si fa riferimento al fatto che la parte finanziata ha chiesto alla Banca Alfa un finanziamento dell’importo di Euro trentamila destinato alla realizzazione di liquidità aziendale, e nel testo si conviene che la banca concede alla parte finanziata un finanziamento per la spesa prevista in premessa da utilizzare entro il 31 gennaio 2013 (art. 1), che la parte finanziata si obbliga espressamente ad utilizzare il finanziamento unicamente per lo scopo previsto ed a fornire, a richiesta della banca, la relativa documentazione (art. 6), e che il contratto sarebbe da considerarsi sciolto con l’eventuale utilizzo delle somme ricevute a finanziamento per scopi diversi da quelli contrattualmente stabiliti; tutto ciò configura la tipica figura del mutuo di scopo.

Appare infatti evidente che quella somma è stata erogata per lo scopo preciso di soddisfare il debito aziendale che la ditta Beta di Caia aveva nei confronti della Sig.ra Tizia, come risultante dalla fattura citata nella causale del bonifico, realizzando lo scopo per cui il mutuo è stato concesso e favorendo l'avvio dell’azienda con un bilancio in pari.

Alla luce di quanto richiamato nella risposta già fornita e di quanto ora esposto, può riaffermarsi che non si ravvisano gli estremi legali per procedere nei confronti della banca, anche perché ogni documento è stato consapevolmente sottoscritto dalle parti interessate. A ciò si aggiunge che non si ravvisano novità normative riguardanti fattispecie attinenti il caso in esame.

SERGIO B. chiede
lunedì 06/03/2017 - Lombardia
“Buongiorno,
premetto che ho già avuto modo di usufruire di una Vostra consulenza risultata precisa e risolutiva in merito ad un mio problema con un molesto vicino di casa.
Il nuovo quesito che Vi sottoporrei è di natura bancaria. Qui di seguito cercherò di esporre sinteticamente i fatti.
La ditta Alfa di Tizia, ditta individuale nel campo della pelletteria dal 1967, ha cessato l’attività il 31/12/2012 causa età avanzata della titolare con regolare liquidazione dei dipendenti e pagamento di tutti i fornitori.
Unico scoperto di conto corrente rimasto era con la Banca Gamma spa Ag. 1 per € 30.000,00 circa.
Nel contempo la Sig.ra Caia ( nuora della Sig.ra Tizia e già collaboratrice familiare nell’azienda stessa) in data 16/07/2012 inizia una nuova attività di pelletteria ( ditta Beta Cinture di Caia ) come unica titolare.
Per facilitare lo start up della Sua azienda la Sig.ra Caia si rivolge alla Compagnia Delta ottenendo un finanziamento di € 30.000,00 erogato dalla Società Cooperativa …. tramite appoggio della Banca Gamma. Tale cifra viene erogata e resa disponibile presso l’Agenzia in data 31/01/2013.
Lo stesso giorno la Sig.ra Caia viene convocata presso l’Agenzia 1 e, ancora prima di avere materialmente accreditati i soldi sul conto della Sua nuova azienda, viene invitata a firmare un documento prestampato e compilato a penna con calligrafie differenti con cui, con effetto immediato, si ordina il trasferimento dell’importo appena finanziato di € 30.000,00 dal conto della ditta Beta Cinture di Sig.ra Caia al conto della ditta Alfa di Tizia.
Praticamente questi soldi non sono mai stati sul nuovo conto.
Allego pertanto copia dall’estratto conto della ditta Beta Cinture di Caia che conferma, nello stesso giorno, accredito e trasferimento dell’intera somma dal conto della nuova azienda a quello dell’azienda ormai chiusa. Tengo a ribadire che tutto ciò è avvenuto senza prima ricevere alcuna spiegazione in merito a come sarebbe stata utilizzata la cifra del suddetto finanziamento.
A seguito di questa repentina operazione la Sig.ra Caia non solo dovrà rientrare mensilmente pagando la rata del finanziamento, ma Le viene proposto un fido bancario ancora più oneroso che da allora ha sempre creato ulteriori limiti nella gestione dell’Azienda.
Pertanto questo è il quesito che Vi pongo:
- la Banca si è comportata in modo corretto nella gestione di questo finanziamento o ci sono eventuali scorrettezze per cui possiamo rivalerci sulla base di quanto prodotto?

Comunque penso che sia indispensabile che Voi prendiate visione del documento forzatamente firmato dalla Sig.ra Caia.
Pertanto Vi chiedo a quale indirizzo e-mail inviarlo.
Qui di seguito alcuni dati relativi alle due attività di cui sopra (omissis)

Gli eredi hanno rinunciato all'eredità.

Consulenza legale i 13/03/2017
Prima di affrontare il caso concreto che viene sottoposto all’esame, si ritiene utile delimitare per linee generali il tema della responsabilità degli istituti di credito nei rapporti con la clientela, e ciò al fine di rendersi meglio conto della soluzione alla quale si perverrà.

La Corte di Cassazione, con le sentenze n. 4571 del 15.04.1992, n. 72 del 8.01.1997 e n. 12093 del 27.09.2001, ha ritenuto di dover giudicare il comportamento della banca in modo più rigoroso e specifico, richiedendo un grado elevato di diligenza al fine di evitare il verificarsi di eventi dannosi per la clientela.
La normativa di correttezza nell'adempimento delle obbligazioni, prevista da molteplici norme del nostro ordinamento (artt. 1175, 1374, 1375 c.c. ed altre) e confortata dal precetto costituzionale (art. 2 Cost) che impone il rispetto dell'inderogabile dovere di solidarietà sociale, comporta che diritti ed obblighi non possono mai prescindere dall'osservanza del principio generale di buona fede, operante all'interno delle posizioni soggettive, non potendo l'autore di un comportamento scorretto trarre da esso utilità con altrui danno.

Nel nostro ordinamento vi sono molte situazioni da cui possono nascere, per i soggetti coinvolti, doveri e regole di azione, la cui inosservanza integra una omissione imputabile e quindi responsabilità civile.
Con particolare riferimento al sistema bancario, la giurisprudenza (Cass. 13.1.1993 n. 343) ha rilevato che qui vengono imposti, a tutela del sistema stesso, e dei soggetti che vi sono inseriti, comportamenti, in parte tipizzati ed in parte enucleabili caso per caso, la cui violazione può costituire culpa in omittendo.

Il dovere primario dei soggetti dell'ordinamento bancario, informato alla tutela dell'interesse pubblico collegato alla raccolta del risparmio ed alla erogazione del credito consiste "in una corretta erogazione del credito, nel rispetto non soltanto delle ragioni dell'utenza, ma di quelle delle altre imprese inserite nel sistema, con privilegio per le comunicazioni e le informazioni reciproche".
Solo il cliente “debitamente informato può fare scelte consapevoli”; linformazione, infatti, serve ad identificare con precisione cosa la banca VUOLE dal cliente, cosicché quest’ultimo possa operare scientemente le proprie scelte.

Sempre la stessa Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare con la sentenza n. 12093 del 27.09.2001, che tra i più generali doveri di buona fede rientra quello di consegnare al cliente la documentazione relativa al rapporto concluso, dovere che trova la sua corrispondenza negli artt. 1374, 1375 e 119 TUB che sanciscono un vero e proprio diritto soggettivo del cliente a farsi consegnare tale documentazione.
L’eventuale violazione di tale diritto potrà quindi generare una ipotesi di responsabilità contrattuale da inadempimento ed extracontrattuale ex art. 2043 c.c., per violazione del generale principio del neminem ledere nell’ambito della c.d. culpa in omittendo.

Da quanto sopra esposto, dunque, può dirsi in maniera estremamente sintetica che principi cardini enucleabili, cui occorre fare riferimento, sono:
  1. Principio di buona fede, che vieta di tenere comportamenti scorretti, da cui ne può conseguire una utilità per chi li pone in essere ed un danno per chi li subisce;
  2. Corretta erogazione del credito, rispettando le ragioni dell’utenza e delle altre imprese inserite nel sistema;
  3. Obbligo di trasparenza, intesa come informazione completa e adeguata, da cui consegue il diritto del cliente a ricevere ogni documentazione.

A questo punto occorre procedere ad analizzare il rapporto intercorso tra banca e cliente nel caso che ci occupa.
Per fare ciò occorre partire dall’analisi della documentazione fornita, ed in particolare dal contratto di finanziamento con garanzia consortile stipulato con la Banca Gamma spa.
Trattasi di un vero e proprio mutuo, avente la particolarità di essere garantito da parte di una società cooperativa, la cui attività è proprio quella di prestare garanzia verso la banca nel caso in cui le imprese chiedano dei finanziamenti, e ciò al fine di agevolare l’accesso al credito destinato alle attività economiche e produttive (in questo modo vengono minimizzati i rischi per le banche dovuti a eventuali insolvenze dei clienti).
Da uno studio condotto relativamente a questo tipo di cooperative, si ricava che diverse sono generalmente le tipologie di finanziamento per le quali viene prestata garanzia; una di queste è proprio il finanziamento volto a soddisfare esigenze di liquidità in genere dell’impresa, al fine di consentirle acquisto di scorte ovvero il consolidamento di debiti aziendali (da breve a medio lungo termine) verso banche e verso fornitori.
Questo l’aspetto strutturale del finanziamento stipulato con la Banca.

Da un punto di vista prettamente giuridico, va detto che il contratto di mutuo (o di finanziamento) così concluso ha natura di un vero e proprio mutuo di scopo, definito dalla sentenza della Cassazione n. 7773/2003 (richiamata anche dalla sentenza n. 25180 del 2007) come una figura del tutto autonoma e distinta dal mutuo in senso proprio previsto dal codice civile agli artt. 1813 e ss.
Infatti il mutuo di scopo "è un contratto consensuale, oneroso ed atipico che assolve, in modo analogo all'apertura di credito, una funzione creditizia", caratterizzato dalla consegna di somme di denaro al mutuatario affinché quest'ultimo le possa utilizzare esclusivamente per le finalità espressamente previste dal sinallagma contrattuale.
La prima evidente differenza tra le due figure di mutuo, quella ex codice civile ed il mutuo di scopo, risulta quindi essere quella inerente la qualificazione dei due negozi giuridici: il primo è un contratto reale, che prevede la cosiddetta traditio come elemento costitutivo della fattispecie, mentre il secondo è un contratto consensuale che vede nella consegna del denaro un mero adempimento dell'obbligazione contrattuale.

Una tale qualificazione giuridica del contratto stipulato tra la ditta Caia e la Banca Alfa può farsi discendere:
  1. dalla sua premessa, nella parte in cui è detto che la parte finanziata ha chiesto alla Banca Alfa un finanziamento dell’importo di € 30.000,00 destinato alla realizzazione di liquidità aziendale;
  2. dall’art. 1 del contratto, ove è detto che la banca accorda alla parte finanziata un finanziamento per la spesa prevista in premessa da utilizzare entro il 31.01.2013;
  3. dall’art. 6 del contratto, in forza del quale la parte finanziata si obbliga espressamente ad utilizzare il finanziamento unicamente per lo scopo previsto ed a fornire, a richiesta della banca, la relativa documentazione;
  4. dall’art. 8 del contratto, che prevede quale causa di risoluzione l’utilizzo totale o parziale delle somme ricevute a finanziamento per scopi diversi da quelli contrattualmente stabiliti.
Se al contenuto di queste clausole contrattuali si affianca la considerazione che il contratto è stato sottoscritto in data 25.01.2013 con accredito della somma in data 31.01.2013, risulta pressoché impossibile pensare e sostenere che quel finanziamento fosse stato erogato per fornire liquidità per così dire generica alla ditta Beta Cinture di Caia, non essendo possibile riuscire a pensare di utilizzare tale liquidità entro la stessa data dell’accredito, come previsto dall’art. 1.
Risulta, invece, molto più aderente alla realtà sostenere che in effetti quella somma fosse stata erogata per uno scopo ben preciso, ossia soddisfare il debito aziendale che la ditta Beta di Caia aveva nei confronti della Sig.ra Tizia e risultante da quella fattura che viene citata nella causale del bonifico; ciò del resto da un lato realizzava lo scopo per cui il mutuo era stato concesso e dall’altro in effetti avrebbe favorito lo start up dell’azienda, posta così in condizione di avviare l’attività con un bilancio in pareggio.
Ricostruita in tali termini l’attività posta in essere dalla Banca, può escludersi un comportamento scorretto della stessa sulla base dei criteri sopra delineati sotto le lettere a), b) e c), in quanto:
  • non si ravvisano estremi di violazione del principio della buona fede nell’avere utilizzato, seppur in apparenza senza saperlo, la somma finanziata per estinguere un debito gravante sulla stessa ditta finanziata
  • il credito risulta correttamente erogato ed utilizzato entro il termine esatto prefissato (31.01.2013)
  • risultano rispettati gli obblighi di trasparenza, essendo state specificatamente approvate per iscritto le clausole 6 ed 8 del contratto con apposizione della doppia firma, come voluto dall’art. 1341 co. 2° c.c. (ossia le clausole relative allo scopo per cui il mutuo veniva concesso).

Nessuna rilevanza, poi, può avere la circostanza che la ditta della Sig.ra Tizia a quella data risultava cessata, trattandosi di ditta individuale e, quindi, assumendo rilevanza essenzialmente il riferimento alla persona fisica, in cui favore di fatto sono andate le somme.

Per quanto concerne la proposta di fido, si ritiene che anche da questo punto di vista, contrariamente a ciò che accade nel settore bancario e di cui spesso si sente parlare, nulla vi sia di scorretto, essendo stata tale proposta correttamente avanzata dalla Banca al cliente soltanto dopo aver conseguito la certezza che sull’azienda non sussistevano debiti di un certo rilievo, quale quello che si è andato ad estinguere, e che, quindi, si trattava di un’azienda in bonis cui poter concedere un fido.

Federico D. chiede
sabato 09/04/2016 - Lazio
“Espongo nella maniera migliore che mi riesce il caso. Mio fratello è morto prematuramente il 13 marzo di quest'anno. Lascia la moglie e nessun figlio. Io sono l'unico familiare. Io e mio fratello avevamo cointestata, qui a R., l'abitazione di mia madre, deceduta nel 2008: ognuno di noi due ne era proprietario al 50%. Morto mio fratello, i 2/3 della sua parte (cioè del 50% dell'abitazione in questione) spettano alla moglie. In sostanza, la moglie si trova oggi a essere proprietaria di due terzi della metà della casa, cioè di due sesti, cioè di un terzo della casa. Io vorrei riuscire ad acquistare il suo terzo (lei non avrebbe nulla in contrario) in modo da a avere l'intera proprietà della casa. L'abitazione - che, ripeto, si trova a R. - avrà un valore di mercato intorno ai 540.000,00 euro. Io dovrei a mia cognata 180,000 euro circa. In realtà, se le cedessi l'intera proprietà di un'altra casa di cui mio fratello era unico proprietario e il cui valore si aggira sui 270.000 euro - a me spetterebbe un terzo, avente un valore intorno ai 90.000,00 euro - resterebbe da dare a mia cognata circa 90.00,00 euro. Diciamo 100.000,00 euro per non sbagliare. Ripeto, in tutto questo mia cognata sarebbe consenziente. Premesso che sono un insegnante di un Liceo Statale con contratto a tempo indeterminato con uno stipendio mensile intorno ai 1500,00 euro, a quali strumenti finanziari posso ricorrere per dare a mia cognata quei 100,000 euro e divenire l'unico proprietario della casa di mia madre? Finisco col dire che io ho un piccolo mutuo di circa 25.000 euro sulla casa dove vivo, da estinguere in 24 anni ormai (era di 50.000,00 euro, ma ho restituito 25.000,00 euro entro il primo anno). Ho delle piccole liquidità che non vorrei toccare, se non per estinguere piccoli finanziamenti che mi precluderebbero l'accesso a un secondo mutuo. Credo appunto - mi auguro che me lo possiate confermare come pure no - che debba chiedere un secondo mutuo a una banca. Ma non so come giustificarlo LEGALMENTE, non so nulla in merito. Vorrei da Voi un aiuto legale per sbrogliare la matassa. Che in realtà è anche un po' più ingarbugliata, ma che ho cercato di semplificare per non creare confusione. Distinti saluti.”
Consulenza legale i 18/04/2016
Per rispondere al quesito posto dallo scrivente occorre anzitutto premettere che, anche se una persona è già in possesso di un primo immobile di cui sta pagando un mutuo, la legge non vieta che essa possa richiedere ad un istituto bancario un ulteriore mutuo per l'acquisto di un secondo immobile.

Tuttavia, la banca cui ci si rivolgerà per il secondo mutuo (che può essere sia quella presso cui si è già acceso il primo mutuo come anche un’altra) non è obbligata a concederlo: prima di farlo, analizzerà una serie di elementi.

In primo luogo, dovrà vagliare lo stipendio del richiedente il secondo mutuo, verificando se questi ha un contratto a tempo indeterminato, se la somma delle due rate non supera il terzo del suo stipendio e se non sussistono altri debiti. Per contrarre un secondo mutuo è infatti necessario che vi siano redditi sufficienti a coprire la rata, una volta detratte tutte le ulteriori esposizioni in corso (quindi l'altro mutuo ed eventuali rate di finanziamenti a qualsiasi titolo).

In secondo luogo, verificherà che il richiedente non risulti "cattivo pagatore". Infatti, se in passato il richiedente non ha pagato le rate di un altro debito ed è stato segnalato come cattivo pagatore, la banca non concederà un nuovo mutuo. I controlli saranno ovviamente severi e l'impatto di un comportamento anche solo semplicemente irregolare, che potrebbe, per lo più, essere considerato di scarsa importanza (come ad esempio un ritardo sul pagamento di qualche rate sul mutuo già in essere), quasi sicuramente porterà ad un rifiuto da parte dell'istituto bancario.

Nel caso di specie lo scrivente afferma di avere un contratto a tempo indeterminato e di avere sempre pagato puntualmente le rate del primo mutuo: nulla gli impedisce, quindi, di provare a chiedere all'istituto bancario un ulteriore mutuo per l'immobile che desidera acquistare.

Quanto alle motivazioni da addurre, considerando il corretto comportamento dello scrivente nulla vieta (e, anzi, sarebbe preferibile) illustrare alla banca le proprie reali motivazioni, spiegando il decesso del parente e l'esigenza di dividersi un'eredità.

Se il secondo mutuo verrà concesso dalla stessa banca dove già c'è il primo mutuo, questa tenderà a non fare un nuovo mutuo in addizione a quello già esistente, preferendo invece emettere un secondo mutuo, di importo complessivo superiore, e cancellare il primo. Si avrà così una sola rata, di importo ovviamente maggiore rispetto a quella che si pagava con il primo mutuo.

Un aspetto cruciale, peraltro, resta quello della garanzia che si può offrire all'istituto di credito: è praticamente impossibile che venga concesso un mutuo per un importo così consistente (100.000 euro) senza che la banca iscriva ipoteca su un bene immobile del mutuatario. Se la casa in cui quest'ultimo risiede è "capiente" (ossia, il suo valore è tale da garantire alla banca che se il mutuo non venisse onorato, essa potrebbe rifarsi vendendo l'immobile), il mutuo potrà essere concesso: si torna a ribadire, però, che è una decisione di opportunità lasciata alla banca mutuante.
In questo caso la casa è già ipotecata a garanzia di un mutuo con capitale residuo di euro 25.000. Chiedendo alla banca ulteriori euro 100.000 occorrerebbe che l'immobile data a garanzia (ipoteca) avesse un valore commerciale (reale) pari almeno ad euro 150.000. In questo modo il problema della garanzia sarebbe risolto.
Riguardo l'aspetto che potrebbe apparire più problematico, ovvero il reddito del richiedente, valgano le seguenti considerazioni (da esporre alla banca): disponendo Ella di euro 1.500 al mese, teoricamente potrebbe destinare a pagamento di mutuo solo euro 500 (ovvero un terzo del suo reddito). Ad oggi, euro 500 al mese, per un mutuo di durata di anni 25 a tasso variabile, coprono giusto un capitale di circa euro 125.000.

Fernando G. chiede
mercoledì 20/01/2016 - Lombardia
“Ho prestato una somma di denaro pari a € 6.000,00 a mio cognato tramite bonifico bancario, di cui ho la ricevuta, in data 15 marzo 2010, senza la sottoscrizione di un accordo scritto per la restituzione. Ad oggi non ho ancora avuto indietro neanche una minima parte della somma, anzi, mi è stato detto dalla persona a cui li ho prestati che quei soldi non mi verranno mai restituiti.
Ho diritto di avere indietro i miei soldi? Se si, cosa devo fare?”
Consulenza legale i 28/01/2016
Il quesito attiene ad un contratto di prestito tra privati, che più precisamente dovrebbe qualificarsi come contratto di mutuo, ai sensi dell'art.1813 del c.c.
Nel caso di specie, come spesso accade nell'ambito dei rapporti familiari, vi è stata una dazione di denaro, evidentemente con la promessa orale del ricevente di restituire la medesima somma entro una determinata data - o entro una data da concordarsi - che purtroppo non è stata formalizzata con la forma scritta.
Tale forma scritta, contenente determinati requisiti essenziali, avrebbe consentito infatti di tutelarsi maggiormente nell'ipotesi, che si è verificata, di mancata restituzione della somma prestata.
L'elemento di fatto rilevante è che il prestito è stato effettuato tramite un bonifico bancario a favore della persona richiedente e che, pertanto, risulterà agevole provare l'effettiva transazione tramite una attestazione dello stesso accredito effettuato (cedolino del bonifico o movimento del conto corrente).
Tuttavia, con riferimento ai prestiti di denaro nell'ambito dei rapporti familiari, la Giurisprudenza, nel caso in cui si proponga un giudizio in cui si chieda la restituzione della somma di denaro asseritamente concessa a mutuo, richiede che l'attore fornisca "la prova rigorosa della pattuizione del diritto alla restituzione dell'importo" (cfr. a titolo meramente esemplificativo, Cass. Civ., Sez. III, 28 luglio 2014, n. 17050).
Nello stesso senso si richiama altresì la sentenza della Cass. Civ., Sez. III, 13 marzo 2013, n. 6295, la quale ribadisce che: "qualora l'attore fondi la sua domanda su un contratto di mutuo, la circostanza che il convenuto ammetta di avere ricevuto una somma di denaro dall'attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo, non costituisce una eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l'onere della prova, giacché negare l'esistenza di un contratto di mutuo non significa eccepirne l'inefficacia, la modificazione o l'estinzione, ma significa negare il titolo posto a base della domanda, ancorché il convenuto riconosca di aver ricevuto una somma di denaro ed indichi la ragione per la quale tale somma sarebbe stata versata, con la conseguenza, pertanto, che rimane fermo l'onere probatorio a carico dell'attore".
Pertanto, chi agisca in giudizio chiedendo il pagamento di una somma di denaro che asserisce di avere dato a mutuo è tenuto a dimostrare non solo l'effettiva dazione - prova facilmente reperibile nel caso di specie - ma anche la sussistenza della causa dell'erogazione (contratto di mutuo), quindi dell'obbligo di restituzione.
D'altra parte, la Giurisprudenza ora richiamata, precisa che il rigetto della domanda di restituzione deve essere necessariamente argomentato con cautela "tenendo conto della natura del rapporto e delle circostanze del caso, idonee a giustificare che una parte trattenga senza causa il denaro indiscutibilmente ricevuto dall'altra". In sostanza, il convenuto è tenuto quanto meno ad allegare il titolo in forza del quale si ritiene a sua volta legittimato a trattenere la somma ricevuta. Pertanto, nel caso di specie, il cognato eventualmente convenuto in giudizio, dovrebbe giustificare "il rifiuto" a trattenere quella medesima cifra ricevuta.
In realtà, al fine di aumentare le possibilità di ottenere la restituzione della somma prestata si potrebbe ipotizzare di proporre, in subordine alla domanda di restituzione sulla base dell'esistenza del contratto di mutuo - difficilmente dimostrabile nel caso di specie, in assenza di prova scritta - le ulteriori domande di accertamento del carattere ingiustificato del pagamento, o di ripetizione di indebito o di arricchimento senza causa, in modo da porre contemporaneamente in questione il diritto della controparte di trattenere la somma ricevuta.
Alla luce di quanto evidenziato, si ritiene che la scelta più opportuna potrebbe essere quella di formalizzare, in una lettera di sollecito, la richiesta della somma, evidenziando - al fine di indurre la controparte al pagamento - che in caso di proposizione del giudizio civile, il convenuto dovrebbe comunque fornire una motivazione valida per trattenerla se non intende restituirla.

Daniela R. chiede
mercoledì 29/07/2015 - Friuli-Venezia
“Nel 2011 ho prestato a mio cugino la somma di 3.000€ che come da scrittura privata, mi avrebbe restituito quando sua madre anziana sarebbe defunta lasciandogli in eredità un appartamento che sarebbe stato venduto. Detto appartamento è in comproprietà con un fratello unilaterale, in quanto avevano in comune il padre, morto nel 2003. Mio cugino, dopo la morte della madre ha occupato l'immobile ed attualmente ci abita. Io ho qualche speranza di riuscire a farmi restituire la somma che gli ho prestato?”
Consulenza legale i 03/08/2015
Se la dazione di denaro a titolo di prestito è comprovata da una scrittura privata firmata da chi ha ricevuto la somma, la restituzione può essere ottenuta.

Il contratto di mutuo, quale quello che si è concluso nel caso di specie, è quell'accordo in base al quale una parte consegna all'altra una determinata quantità di danaro (o di altre cose fungibili) e l'altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità (cioè, l'identica somma di denaro ricevuta).

Il termine per la restituzione è di regola fissato dalle parti, e consiste solitamente in una data precisa. Tuttavia, viene pacificamente ammesso che la restituzione possa essere condizionata ad un avvenimento futuro certo, ma di cui non si conosce ancora il preciso momento di verificazione (i latini dicevano certus an, sed incertus quando), come nel caso tipico di previsione della restituzione alla morte di una certa persona. La morte della persona fisica è un evento che si verificherà con certezza, anche se non è dato sapere quando avverrà.

Nel caso di specie abbiamo un contratto di mutuo stipulato per iscritto, in cui l'obbligazione di restituzione è condizionata al verificarsi dell'evento "morte della madre del mutuatario".
Poiché l'evento dedotto quale termine per restituire la somma ricevuta a mutuo si è verificato, la parte mutuante (la cugina) ha tutto il diritto di agire per far eseguire l'accordo.

Atteso che il contratto è datato 2011, non si ravvisa alcuna ipotesi di prescrizione del diritto all'adempimento, che spira solo decorsi 10 anni dalla stipulazione del mutuo.

La cugina può innanzitutto intimare per iscritto l'adempimento dell'accordo: in tal modo ella può precostituirsi una prova scritta del fatto che il cugino non ha spontaneamente eseguito l'obbligo di restituzione (oppure, meno probabilmente, potrà raggiungere direttamente il suo obiettivo, se il cugino si "spaventa" e decide di pagare).
Va ricordato che, nel caso in esame, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1182 e 1219, il mutuatario è già costituito in mora - cioè in ritardo nel pagamento - dal momento in cui si è realizzato l'evento dedotto in termine, cioè la morte di sua madre e la conseguente eredità dell'immobile.
Si potranno, quindi, chiedere gli interessi legali sulla somma prestata.

Se il cugino, come prevedibile, non adempie spontaneamente, la cugina-mutuante può ottenere velocemente un titolo esecutivo senza dover instaurare un giudizio ordinario: in presenza di un documento sottoscritto dal debitore, infatti, si può presentare ricorso immediato per l'emissione di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (artt. 633 e seguenti c.p.c., in particolare l'art. 642 dove si statuisce che "L'esecuzione provvisoria può essere concessa anche se [...] il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere").
Una volta che il Giudice ha emesso il decreto (di regola, entro 30 giorni), il creditore entra in possesso di un titolo esecutivo idoneo a procedere direttamente al pignoramento dei beni del debitore, onde ottenere soddisfazione del proprio credito.

Resta aperta la possibilità che il cugino si opponga al decreto ingiuntivo affermando che in realtà la restituzione della somma prestata sarebbe dovuta avvenire - per accordo delle parti - solo una volta che l'appartamento fosse stato venduto, procurandogli la liquidità necessaria al pagamento. In tal caso, la cugina dovrà difendersi affermando, in prima battuta, che in realtà l'evento voluto dalle parti era solo la morte della madre del mutuatario, posto che non può essere ammissibile collegare l'adempimento del mutuo ad un fatto di incerta verificazione e, perlopiù, direttamente connesso alla mera volontà del debitore.
Se tale difesa non avesse successo, e il giudice stabilisse che le parti in realtà avevano deciso che il mutuatario doveva pagare "quando potrà", si applicherà il secondo comma dell'art. 1817 c.c. e il termine per il pagamento verrà semplicemente fissato dal giudice, su richiesta della cugina.
E' opportuno, in ogni caso, che un avvocato capace valuti attentamente il testo della scrittura privata per comprendere quale sia stata la reale volontà della parti.

In conclusione, nella vicenda descritta, vista la modesta entità della somma, che consente di depositare il ricorso per decreto ingiuntivo innanzi al Giudice di pace, con costi tutto sommato contenuti, è consigliabile procedere in tal modo, con l'assistenza di un legale per la presentazione degli atti agli uffici giudiziari.
Vi è sempre la possibilità che il cugino si opponga, ma non si tratterebbe di una strategia difensiva particolarmente efficace, visto che la cugina potrà sempre chiedere che sia il Giudice a fissare un congruo termine per la restituzione: prima o poi, se il debito è certo e provato documentalmente, la somma di euro 3.000 dovrà essere restituita.

Anonimo chiede
lunedì 01/04/2024
“Buongiorno, nel 2008 ho acquistato una casa con mio marito durante il matrimonio, attualmente è casa familiare. Io sono l'unica intestataria della casa, ma entrambi siamo cointestatari del mutuo della suddetta casa, acquistata in regime di separazione dei beni. Nel 2023 c'è stata la sentenza di separazione giudiziale dove il giudice dice:" Essendo come detto dalla donna il mutuo cointestato ed avendo entrambe le parti sostanze per provvedere al pagamento non si ritiene che debba essere resa dal giudice della separazione alcuna pronuncia in merito, trovando applicazione le regole ordinarie ". Nel 2020, c'è stata l'ordinanza presidenziale della separazione dove il giudice non si è espresso dicendo che non era di sua competenza determinare relativamente al mutuo. Da quel momento in poi il mio ex marito ha smesso di pagare il suo 50% del mutuo. La mia domanda è se esiste qualche articolo il quale afferma che gli tocca pagare la metà del mutuo e se posso richiedere le rate pregresse non pagate. Grazie mille.”
Consulenza legale i 05/04/2024
La risposta al quesito è netta: il marito deve pagare alla banca la propria quota del 50% del mutuo cointestato, stipulato insieme alla moglie, e rimborsare a quest’ultima le quote pregresse da lei anticipate.
Con il contratto di mutuo, infatti, e a prescindere dal fatto che l’immobile in questo caso sia intestato solo alla moglie, egli ha assunto precisi obblighi sia nei confronti della banca mutuante (restituzione della somma mutuata, art. 1813 c.c, nonché degli interessi), sia nei confronti della moglie coobbligata.
Infatti di regola in questi casi l’obbligazione delle parti è solidale, il che significa che la banca creditrice può pretendere da ogni mutuatario l’intera somma dovuta, ma nei rapporti interni tra debitori quello che ha pagato l’intero ha diritto di vedersi restituire la quota di competenza dell’altro (art. 1299 c.c.); in mancanza di diversa previsione, le quote si presumono uguali (art. 1298 c.c.).
Nel nostro caso non è intervenuto alcun titolo tale da modificare la situazione appena descritta: non vi è stata alcuna pronuncia di un Giudice che abbia posto il pagamento delle rate a carico della sola moglie, e neppure vi è stato - come peraltro spesso avviene in circostanze simili - un accordo tra le parti con accollo del debito residuo da parte dell’unica intestataria dell’immobile.
L'interruzione dei pagamenti da parte dell'ex coniuge è, pertanto, priva di giustificazione e legittima la ex moglie ad agire per ottenere la restituzione di quanto versato per "coprire" anche la parte di debito del marito.

G. F. chiede
venerdì 08/09/2023
“Buongiorno, posso mettere in mora mio fratello facendomi cedere il credito di mio padre ha nei suoi confronti per un prestito di 4 anni fa' e non è stato restituito neanche un centesimo? Racconto i fatti: Mio padre ha accantonato una somma di denaro per noi tre fratelli nel corso degli anni, uno dei fratelli ha sempre cercato di prenderla in prestito, ma mio padre si è sempre rifiutato, dicendo che era di tutti e tre e che non ci doveva pensare.Nel 2019 sia mia madre che mio padre si sono ammalati di tumore mia madre purtroppo è morta mio padre fortunatamente si è salvato, ma era molto debilitato e affranto dalla morte della moglie, in quel periodo il solito fratello è riuscito a farsi prestare quasi tutti i soldi in contanti, senza dirci nulla, con una sorta di scrittura privata da lui firmata, senza un termine per la consegna. Mio padre nel frattempo ci ha detto che nostro fratello aveva questi soldi e che, senza nessuna carta scritta vantiamo questo credito. Nell'agosto 2022 chiamo il debitore per avere la mia parte, ma mi dice che al momento non può e che mi salderà il tutto nell'agosto 2023,cosa non avvenuta, e mi ha proposto una dilazione di 1 anno con quote mensili, inoltre il fratello debitore ha grosse disponibilità economiche.
grazie”
Consulenza legale i 14/09/2023
E’ certamente possibile avvalersi della cessione del credito per recuperare quel medesimo credito nei confronti del debitore ceduto.
Il codice civile, infatti, ammette che agli originari soggetti del rapporto obbligatorio, creditore e debitore, possano, nel corso della vita del rapporto stesso, sostituirsi od aggiungersi altri soggetti.
Ciò può verificarsi:
a) nell’ambito di una successione a titolo universale (è tale la successione ereditaria, così come la fusione tra società), nel qual caso la modificazione coinvolge tutti i rapporti facenti parte del patrimonio del dante causa, salvo quelli per loro natura intrasmissibili;
b) per effetto di una successione a titolo particolare, nel credito o nel debito (in questo caso la modificazione riguarda il singolo rapporto).

Nel caso di specie si verrebbe a configurare una modificazione del soggetto attivo del rapporto obbligatorio, la quale può realizzarsi per atto inter vivos, a titolo particolare, facendo ricorso ai seguenti strumenti giuridici:
a) la cessione del credito, a cui sopra si è fatto cenno, disciplinata in particolare dagli artt. 1260-1267 c.c.)
b) la delegazione attiva di pagamento, istituto di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, che non trova specifico riscontro nel codice civile;
c) il pagamento con surrogazione, disciplinato dagli artt. 1201-1205 c.c.

Lo strumento che meglio si adatta a raggiungere il fine qui desiderato è quello dello cessione del credito, ovvero quel contratto in forza del quale il creditore (cedente) conviene con un terzo (cessionario) il trasferimento in capo a quest’ultimo del suo diritto verso il debitore (ceduto).
L’effetto che ne consegue è appunto il trasferimento del credito in capo al cessionario ed il contratto si perfeziona in forza del solo accordo tra creditore-cedente e terzo-cessionario, non essendo richiesta l’accettazione da parte del debitore ceduto, il quale rimane del tutto estraneo all’accordo di cessione (per quest’ultimo, infatti, è indifferente il fatto di dover pagare al creditore originario ovvero al terzo cessionario).

Tuttavia, seppure il consenso del debitore non sia richiesto per il perfezionamento del contratto, per far sì che la cessione abbia effetto nei confronti del debitore ceduto, occorre che a quest’ultimo la stessa venga notificata, ad istanza del cedente o del cessionario, ovvero che sia da lui accettata (così espressamente dispone il primo comma dell’art. 1264 c.c.).
Ciò significa che fino a quel momento, il debitore, ritenendo di essere obbligato nei confronti del creditore originario, ben potrebbe effettuare il pagamento di quanto dovuto al creditore originario, liberandosi da ogni obbligazione.
Inoltre, è bene segnalare che il debitore ceduto è legittimato ad opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente (ad esempio, se il contratto in forza del quale è sorto il credito fosse annullabile per violenza, dolo o errore, tale vizio potrà essere fatto valere anche nei confronti del cessionario).

Una volta posto in essere tale contratto e adempiute le condizioni appena viste, il cessionario potrà liberamente agire per la riscossione del credito, tenuto conto che la scrittura privata sottoscritta dal padre e dal figlio debitore si configura nei riguardi di quest’ultimo quale riconoscimento di debito.
Il primo passo da compiere, dunque, è quello di inviare una raccomandata al domicilio del debitore, con la quale chiedere la restituzione della somma; in caso di mancato riscontro a tale richiesta, sarà necessario rivolgersi ad un legale per intimargli formale diffida ad adempiere.
A quel punto, tuttavia, potrebbe porsi il problema della mancanza della data (nel quesito si dice che la scrittura privata non prevede un termine per la consegna), in quanto per tali casi l’art. 1817 del c.c. dispone che, qualora non sia stato fissato dalle parti un termine per la restituzione, questo dovrà essere stabilito dal giudice avuto riguardo alle circostanze.
Sarà, dunque, necessario rivolgersi all’autorità giudiziaria, chiedendo la fissazione di un termine per la restituzione del prestito; nel medesimo ricorso potrà essere richiesta anche la condanna al pagamento entro la data che il giudice vorrà fissare, con la conseguenza che quella medesima pronuncia fungerà da vero e proprio titolo esecutivo, azionabile successivamente nei confronti del debitore.

C. C. chiede
martedì 22/02/2022 - Lombardia
“Vorrei regalare a mio nipote, figlio di mia sorella, 30.000 euro (anche per un debito “morale” di riconoscenza nei confronti di mia sorella). Questa somma rappresenta una frazione non rilevante della mia liquidità.
Da quanto mi pare di aver capito, la modalità formale sarebbe quella della donazione con atto presso un notaio. Ciò comporterebbe il pagamento di un tributo pari al 6% oltre alle spese notarili (quantificate in circa 1000 euro!).
Ora mi chiedo se è possibile evitare di ridurre di quasi il 10% la cifra che elargirei a mio nipote.
Vorrei conoscere la fattibilità e le conseguenze delle seguenti procedure alternative.
1) Versare direttamente tramite bonifico bancario (causale: regalo o …?) i 30.000 euro a mio nipote.
Ho letto che in questo caso la “donazione” sarebbe considerata nulla e che terzi aventi diritto potrebbero chiederne la restituzione (ma nel mio caso il problema non sussiste). Si porrebbero però anche problemi fiscali da parte dell'A. d. Entrate? Forse con eventuali sanzioni nei confronti del donatore o del destinatario?
2) Potrei regalare i 30.000 euro a mia sorella (in questo caso varrebbe la franchigia fino a 100.000 euro) sempre tramite bonifico senza atto di donazione. Poi lei potrebbe in tempi successivi “girarli al figlio”. E' praticamente possibile?
3) Potrei fare un bonifico di 30.000 euro a mio nipote indicando come causale “ prestito senza interessi” e senza indicazione sui modi/tempi della restituzione. E' possibile o ci sono conseguenze che mi sfuggono (oltre ovviamente alla teorica richiesta di restituzione da parte mia o degli eventuali eredi)?
Grazie.”
Consulenza legale i 28/02/2022
Secondo quanto espressamente affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 18725 del 27 luglio 2017, integra una donazione nulla, per mancanza di atto pubblico, il bonifico di una somma di denaro effettuato per spirito di liberalità, e cioè senza che l’operazione bancaria sia motivata dal fatto di essere il pagamento di un prezzo di un bene acquistato o di un servizio ricevuto dal beneficiario del bonifico.
In tale sentenza la S.C. effettua una netta linea di demarcazione tra la c.d. donazione diretta (per la quale trova applicazione l’art. 782 del c.c., norma che richiede, sotto pena di nullità, il rispetto della forma dell’atto pubblico, al fine di costringere il donante a riflettere sull’atto che sta compiendo alla presenza del pubblico ufficiale), e quella che si definisce “donazione indiretta”, per effetto della quale il patrimonio del donatario viene arricchito senza necessità che si rispettino particolari formalismi (l’esempio classico che va fatto è quello dei genitori che pagano il prezzo dovuto dal figlio per comprare un appartamento).

Sotto il profilo civilistico, la conseguenza più evidente della nullità di una siffatta forma di donazione è quella che se il donante muore, i sui eredi potranno vantare nei confronti del donatario il diritto di richiedere la restituzione della somma donata perché si considera come mai uscita dal patrimonio del donante, e ciò a prescindere dal fatto che la medesima donazione abbia comportato o meno una lesione di legittima.

Sotto il profilo fiscale, invece, tale forma di trasferimento di denaro integrerebbe una chiara ipotesi di evasione fiscale, in quanto verrebbe omesso il pagamento di quanto dovuto a titolo di imposta di registro (determinata in misura fissa e pari ad euro 200,00) e di imposta sulle donazioni.
Si tenga presente, infatti, che la donazione costituisce pur sempre un reddito per chi la riceve, il quale, proprio per tale ragione, è tenuto a pagare la tasse.
Come già viene anticipato nel quesito, a seconda del rapporto esistente tra i soggetti coinvolti nel contratto di donazione, sono previste aliquote diverse ed eventuali franchigie, che rendono tassabili le donazioni per la parte eccedente il loro valore.

Aliquote e franchigie sono determinate dal rapporto di parentela tra beneficiario e donante, e sono pari al:
- 4% per il coniuge e i parenti in linea retta, da calcolare sul valore eccedente 1 milione di euro, per ciascun beneficiario;
- 6% per fratelli e sorelle, da calcolare sul valore eccedente 100mila euro, per ciascun beneficiario;
- 6% da calcolare sul valore totale (cioè senza alcuna franchigia), per gli altri parenti fino al quarto grado, affini in linea retta, affini in linea collaterale fino al terzo grado;
- 8% da calcolare sul valore totale (cioè senza alcuna franchigia), per le altre persone.
In questo caso, dunque, trattandosi di un nipote (parente in linea collaterale di terzo grado) non ci si può avvantaggiare di alcuna franchigia e l’aliquota applicabile è pari al 6%.

La seconda soluzione proposta risolve i problemi di natura fiscale, ma non quelli che si pongono dal punto di vista civilistico, in quanto si tratterebbe pur sempre di una donazione nulla, con la conseguenza che il donatario, in qualunque momento e per qualsiasi ragione, potrebbe trovarsi costretto a dover restituire la somma ricevuta.
Per ciò che concerne la modicità del valore della somma donata, ipotesi a cui si accenna nella parte inziale del quesito, all’evidente fine di far ricadere la stessa nel campo di applicazione dell’art. 783 c.c., deve osservarsi che la legge, purtroppo, non fornisce una chiara definizione del concetto di “modico valore”.
L’art. 783 c.c., infatti, non detta criteri rigidi a cui ancorare la relativa valutazione, dovendosi questa apprezzare alla stregua di due elementi di valutazione, e precisamente:
1. un elemento obiettivo, correlato al valore del bene che costituisce oggetto di donazione;
2. un elemento soggettivo, per il quale si tiene conto delle condizioni economiche del donante.
La ricorrenza di entrambi gli elementi, involgendo un giudizio di fatto ed imponendo il contemperamento di dati analitici, è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, se non ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.
In generale vale il principio secondo cui l’atto di liberalità, per essere considerato di modico valore, non deve mai incidere in modo apprezzabile sul patrimonio del donante; per tale ragione è necessario effettuare una valutazione caso per caso, tenendo in considerazione il fatto che una donazione è di modico valore se non porta ad un eccessivo impoverimento del donante e ad un eccessivo arricchimento del donatario.

La soluzione migliore per raggiungere il fine desiderato, dunque, resta quella a cui si fa riferimento al punto 3 del quesito, ovvero quella del prestito.
Si tratta di una fattispecie del tutto lecita, la cui ammissibilità può farsi discendere sia dall’art. 1813 del c.c. (disciplinante il mutuo, a cui questa forma di prestito va necessariamente ricondotta) sia dagli artt. 106 e 132 T.U. bancario.
In particolare, queste ultime due norme configurano come illecita l’attività di finanziamento esercitata in via sistematica ed in assenza di autorizzazione della banca d’Italia o di iscrizione nell’apposito albo tenuto dalla stessa Banca d’Italia.
Pertanto, nessun divieto opera in ordine ai prestiti tra privati allorquando essi siano effettuati in via occasionale e per motivi di esclusiva solidarietà familiare, amicale o comunque affettiva, soprattutto se trattasi di prestito infruttifero, come si presume, con la quasi certezza, che nel caso in esame si intende realizzare.

Per ciò che concerne la forma che tale prestito deve assumere, va precisato che sarà sufficiente la scrittura privata, in tal senso potendosi argomentare dal citato art. 1813 c.c., il quale non richiede il rispetto di alcuna forma particolare (si tratta di un contratto c.d. a forma libera).
Ciò significa che potrebbe anche essere concluso oralmente, ma chiaramente è sempre consigliabile che sia documentato in forma scritta con una scrittura privata di prestito, anche ai fini di possibili accertamenti fiscali.
E’ anche importante dare una data certa a tale scrittura, finalità che si potrà raggiungere o mediante apposizione di una marca temporale sulla stessa o inviandola all’indirizzo di uno dei contraenti mediante raccomandata a/r (per un maggiore approfondimento su questo aspetto si rimanda ad un articolo pubblicato da questa Redazione al seguente link:
https://www.brocardi.it/notizie-giuridiche/cosa-come-ottiene-data-certa-documento/1807.html).

Qualora si scelga tale soluzione, si ricordi che il bonifico con il quale verrà trasferita la somma data in prestito dovrà recare la causale “prestito infruttifero per…”.
Per quanto concerne la restituzione della somma, le parti saranno libere di scegliere le modalità che ritengono più opportune, in base a quelle che sono le esigenze che si vogliono soddisfare con quel prestito.


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