A dirlo è la Corte di Cassazione penale, con la recentissima sentenza n. 2627 del 22 gennaio 2018.
Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha avuto come protagonista un condomino, il quale era stato condannato, sia in primo che in secondo grado, per il reato di “diffamazione” (art. 595 c.p.), commesso in danno del proprio amministratore di condominio.
Nello specifico, il condomino era stato ritenuto responsabile per aver diffuso, durante un’assemblea di condominio, uno scritto nel quale si affermava che sarebbe stato redatto un bilancio condominiale palesemente falso.
Ritenendo la condanna ingiusta, il condomino aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
La Corte di Cassazione non riteneva, tuttavia, di poter aderire alle considerazioni svolte dal condomino, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Secondo la Cassazione, infatti, non poteva essere messa in dubbio “la natura diffamatoria sia dello scritto diffuso nell’assemblea condominiale che delle dichiarazioni poste in essere dall’imputato durante gli incontri con gli altri condomini dopo l’assemblea condominiale”.
Precisava la Corte, in proposito, che “affermare che il bilancio consuntivo condominiale sia falso costituisce un evidente attacco ad personam nei riguardi del soggetto incaricato della redazione del suddetto strumento contabile”.
Secondo la Cassazione, peraltro, appariva del tutto irrilevante che, nel caso di specie, lo scritto oggetto di contestazione non riportasse il nome dell’amministratore di condominio, in quanto, essendo il bilancio un documento che viene predisposto, appunto, dall’amministratore, “è evidente come l’accusa di una sua falsificazione sia diretta allo stesso e, comunque, a soggetto facilmente identificabile”.
A sostegno delle proprie ragioni, la Corte ricordava come, ai fini della configurabilità del reato di diffamazione, è sufficiente che “l’espressione lesiva dell’altrui reputazione sia riferibile, ancorché in assenza di indicazioni nominative, a persone individuabili e individuate per la loro attività”.
In tal senso, del resto, si era già espressa la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2784 del 2014.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal condomino, confermando integralmente la sentenza impugnata.