(massima n. 1)
In tema di diffamazione, l'applicazione della scriminante del diritto di critica, pur nell'ambito della polemica tra avversari di contrapposti schieramenti od orientamenti di per sé improntata ad un maggior grado di virulenza, presuppone che la critica sia espressa con argomentazioni, opinioni, valutazioni, apprezzamenti che non degenerino in attacchi personali o in manifestazioni gratuitamente lesive dell'altrui reputazione, strumentalmente estese anche a terreni estranei allo specifico della contesa politica, e non ricorrano all'uso di espressioni linguistiche oggettivamente offensive ed estranee al metodo e allo stile di una civile contrapposizione di idee, oltre che non necessarie per la rappresentazione delle posizioni sostenute e non funzionali al pubblico interesse. Né il travalicamento di tali limiti può ritenersi lecito in ragione della recente comparsa dei protagonisti sulla scena politica, essendo semmai vero che proprio tale novità e l'estrazione di tali soggetti dalla cosiddetta società civile dovrebbero garantirne un più intenso radicamento ai canoni ordinari della critica e della dialettica ed un maggior rispetto delle convenzioni comportamentali praticate nei contesti di provenienza.