(massima n. 1)
Costituisce diffamazione l'attribuzione, in uno scritto giornalistico, ad un magistrato inquirente nominativamente individuato, di una condotta qualificata come «gestione disinvolta e politica dei pentiti». Ciò equivale infatti a dire che il magistrato fa un uso distorto, per fini di interesse politico, dei poteri a lui conferiti dalla legge. E non può, al riguardo, neppure invocarsi la scriminante dell'esercizio del diritto di critica, facendo difetto, per un verso, la possibilità di enucleare da un'affermazione come quella anzidetta eventuali aspetti di verità e connotandosi, per altro verso, l'affermazione stessa per l'uso di un tono aggressivo e denigratorio esulante, come tale, dai limiti della correttezza formale entro i quali il diritto anzidetto deve comunque essere esercitato.