(massima n. 1)
In tema di diffamazione a mezzo stampa, il significato delle parole dipende dall'uso che se ne fa e dal contesto comunicativo in cui si inseriscono — e ciò soprattutto se esse vanno a comporre espressioni, come «fedina penale», che, pur alludendo a vicende giudiziarie, sono estranee al linguaggio giuridico. Per questa ragione, quando il giudizio penale richiede l'interpretazione di fatti comunicativi, le regole del linguaggio e della comunicazione costituiscono il criterio di inferenza (premessa maggiore) che, muovendo dal testo della comunicazione (premessa minore), consente di pervenire alla conclusione interpretativa. Sicché le valutazioni del giudice del merito sono censurabili solo quando si fondino su criteri interpretativi inaccettabili (difetto della giustificazione esterna) ovvero applichino scorrettamente tali criteri (difetto della giustificazione interna). La stessa individuazione del contesto comunicativo che contribuisce a definire il significato di un'affermazione, invero, comporta una selezione dei fatti e delle situazioni rilevanti, che è propria del giudizio di merito, e quando l'interpretazione del significato di un'affermazione che si assuma falsa e offensiva è sorretta da un'adeguata motivazione, essa è incensurabile nel giudizio di legittimità. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso della parte civile, la S.C. ha ritenuto non censurabile l'interpretazione del testo dell'articolo proposta dai giudici del merito, secondo cui nel contesto di detto articolo non assumeva un significato deliberatamente denigratorio il riferimento alla «fedina penale», né tale espressione individuava il querelante medesimo come persona già condannata).