Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista alcuni soggetti, che erano stati accusati di aver commesso il reato di “diffamazione” (art. 595 c.p.), in danno del Sindaco del proprio Comune.
Nello specifico, gli imputati erano stati sottoposti a procedimento penale in quanto questi avrebbero affisso lungo le vie del Comune “dei manifesti pubblici in cui al Sindaco (…) venivano rivolte espressioni quali ‘Falso Bugliardo Ipocrita Malvagio’”.
Gli imputati avevano “riconosciuto la paternità del manifesto ma avevano escluso ogni intento denigratorio, sostenendo che era frutto di una decisione politica diretta ad attaccare il Sindaco”, che avrebbe tradito le proprie promesse elettorali.
Il Tribunale di primo grado aveva affermato la penale responsabilità degli imputati in questione ma la sentenza era stata riformata dalla Corte d'Appello, che aveva ravvisato la scriminante del “diritto di critica”, dal momento che le frasi oggetto di contestazione, pur essendo offensive, erano riconducibili “alle critiche di carattere politico”.
Ritenendo la decisione ingiusta, il Sindaco – persona offesa aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, lamentando la non corretta applicazione dell’art. 595 c.p.
Secondo il ricorrente, infatti, le espressioni utilizzate dagli imputati avrebbero superato “i limiti di continenza del diritto di critica, presentandosi come inutilmente umilianti del soggetto criticato”.
Precisava il ricorrente, in proposito, che “il limite dell'esercizio di critica va individuato (…) nel rispetto della dignità altrui e non può costituire l'occasione di gratuiti attacchi alla persona ed alla sua reputazione”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle considerazioni svolte dal Sindaco, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, in primo luogo, che il “diritto di critica” esclude la punibilità di “affermazioni lesive dell'altrui reputazione” a condizione che “le modalità espressive siano proporzionate e funzionali all'opinione o alla protesta espresse, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi”.
Precisava la Cassazione, inoltre, che, ai fini dell’applicazione della suddetta scriminante, si deve valutare, altresì, il “requisito della continenza” e “il complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta”, verificando se “i toni utilizzati dall'agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione”.
Ebbene, nel caso di specie, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva dato corretta applicazione ai suindicati principi, evidenziando come le espressioni rivolte al Sindaco, pur essendo effettivamente offensive, presentassero “una stretta attinenza alle vicende che avevano visto l'opposizione contrapporsi al Sindaco”.
La Cassazione riteneva, dunque, che la Corte d’appello avesse, del tutto correttamente, ritenuto che “gli epiteti ‘falso, bugiardo, ipocrita’” si ricollegassero “al mancato adempimento delle promesse elettorali”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal Sindaco, confermando integralmente la sentenza oggetto di impugnazione.