(massima n. 1)
In tema di diffamazione il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca essenzialmente in quanto il primo non si concretizza, come l'altro, nella narrazione di fatti, bensì nell'espressione di un giudizio o, più genericamente, di un'opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su un'interpretazione, necessariamente soggettiva, di fatti e di comportamenti. Non si tratta dunque di valutare la veridicità di proposizioni assertive, per le quali possa configurarsi un onere di previo riscontro della loro rispondenza al vero, quanto piuttosto di stimare la correttezza delle espressioni usate. (Nella fattispecie, relativa ad una polemica tra alcuni lavoratori e un dirigente di azienda, la Corte ha ritenuto che le espressioni «intimidatorio» e «mascalzonata» riferite ad un preteso comportamento discriminatorio nei confronti di un lavoratore, perdessero, una volta contestualizzate e filtrate attraverso i moduli espressivi nel linguaggio sindacale, l'impatto diffamatorio oggettivo rimanendo invece, sotto il profilo dei contenuti polemici cui davano espressione, all'interno dei confini del diritto di critica).