(massima n. 1)
In tema di reato di diffamazione a mezzo stampa, l'attribuzione a taluno, in termini di certezza, di un fatto che è invece rimasto non accertato, non perde il connotato della illiceità sol perché sia inserita all'interno di una determinata analisi socio-politica: ed invero, costituisce causa di giustificazione soltanto la critica che rispetti la verità dei fatti e non anche quella che si sviluppi attraverso l'arbitrario inserimento di circostanze non vere, dato che, in questo caso, la critica diviene un mero pretesto per offendere l'altrui reputazione. (Nella fattispecie, l'imputato, in un articolo giornalistico — in cui aveva inteso tracciare un'analisi socio-politica del fenomeno eversivo — aveva rappresentato il contributo offerto da una persona a gravissimi fatti oggetto di un procedimento penale, indicando anche gli atti attraverso i quali si sarebbe concretizzato il detto contributo, ed omettendo di riferire che tali circostanze non erano state ritenute certe all'esito del procedimento conclusosi con sentenza passata in giudicato. La Suprema Corte ha ritenuto la sussistenza del reato di diffamazione a mezzo stampa ed ha enunciato il principio di cui in massima).