(massima n. 1)
In tema di diffamazione a mezzo stampa, non costituisce reato la riproduzione, nell'ambito di un'inchiesta giornalistica, di affermazioni e ricostruzioni, in passato già diffuse da altri, che rechino frasi offensive della reputazione dei soggetti coinvolti nella detta inchiesta, quando il precedente storico assuma una funzione meramente documentale per supportare un giudizio critico di contenuto diverso e riferibile alla situazione attuale; l'attualità della notizia deve, infatti, essere riguardata non con riferimento al fatto ma all'interesse pubblico alla conoscenza del fatto e, quindi, alla attitudine della notizia a contribuire alla formazione della pubblica opinione, di guisa che ognuno possa liberamente fare le proprie scelte, con la conseguenza che solo una notizia dotata di utilità sociale può perdere rilevanza penale, ancorché capace di ledere l'altrui reputazione, e tale utilità è necessariamente connotata dall'attualità dell'interesse alla pubblicazione. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di merito ha escluso la scriminante del diritto di cronaca e, quindi, affermato la responsabilità, in ordine ai reati di cui agli artt. 595 e 57 c.p., rispettivamente del giornalista e del direttore - relativamente ad un articolo pubblicato su un quotidiano e dedicato ad una inchiesta sui concorsi universitari a cattedra, alcuni annullati dal Tar e all'origine di indagini avviate dalla locale Procura - per difetto di attualità dei fatti narrati, perché le espressioni incriminate riguardavano eventi risalenti a tre anni prima, ritenuti "tout court" privi di interesse sociale).