Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello aveva confermato la sentenza di primo grado, la quale aveva condannato due condomini per il reato di diffamazione ed altresì al risarcimento del danno.
I condomini, in particolare, erano stati condannati per aver affisso al portone condominiale una lista dei condomini in ritardo con i pagamenti dei contributi condominiali.
Avverso tale sentenza i condomini proponevano ricorso per Cassazione, eccependo la “manifesta illogicità della motivazione” della pronuncia “in ordine alla riconducibilità agli imputati della commissione del fatto di reato contestato”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dai ricorrenti, rigettando il relativo ricorso.
Secondo la Cassazione, in particolare, la Corte d’appello aveva, del tutto adeguatamente, valutato gli elementi di prova emersi nel corso del giudizio, i quali avevano evidenziato che la comunicazione diffamatoria contestata era stata sottoscritta proprio da uno degli imputati e che un altro imputato era stato visto “mentre affiggeva la comunicazione in questione al portone d’ingresso del condominio”.
Ebbene, secondo la Cassazione, il ragionamento svolto dal giudice di secondo grado doveva considerarsi ineccepibile, “in quanto sostenuto da congrua e logica motivazione”.
Peraltro, la Cassazione rilevava che, nel caso di specie, l’elemento oggettivo del reato di diffamazione doveva ritenersi sussistente, dal momento che “la comunicazione contenente i nominativi dei condomini morosi affissa al portone condominiale, anche in presenza di un effettiva morosità degli stessi condomini, costituiva una condotta diffamante, non sussistendo alcun interesse da parte dei terzi alla conoscenza di quei fatti, anche se veri”.
Allo stesso modo, doveva ritenersi sussistente l’elemento soggettivo, essendo “sufficiente il dolo generico, che può assumere anche la forma del dolo eventuale, ravvisabile laddove l’agente faccia consapevolmente uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive”.
Precisava la Cassazione, inoltre, che non poteva ritenersi applicabile la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di critica e di cronaca, dal momento che “occorre sempre valutare la rilevanza della diffusione della notizia che deve essere funzionale al corretto svolgimento delle relazioni interpersonali e dei rapporti sociali”.
Nel caso di specie, invece, doveva rilevarsi che “la diffusione della comunicazione attraverso la sua affissione al portone d’ingresso, essendo potenzialmente conoscibile da un numero indeterminato di persone, integrava il delitto contestato, per essere carente, al di fuori del ristretto ambito condominiale, un qualsiasi interesse alla conoscenza della circostanza relativa alla morosità di alcuni condomini”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dai ricorrenti, confermando la sentenza di secondo grado e condannando i medesimi al pagamento delle spese processuali.