(massima n. 1)
In tema di diffamazione a mezzo stampa, non ricorre l'esimente di cui all'art. 51 del c.p., nell'ambito dell'esercizio specifico del diritto di cronaca giudiziaria, quando il giornalista si discosti dalla verità obiettiva dei fatti riferiti, alterando e modificando in senso diffamatorio le notizie riferite dalle fonti ufficiali, posto che, in tale ambito, il limite costituito dalla verità del fatto narrato — fermo restando il rispetto dei canoni della pertinenza e della continenza — deve avere un riscontro fenomenologico nella realtà obiettiva, in quanto nei confronti di tali accadimenti il giornalista si pone come semplice intermediario tra il fatto e l'opinione pubblica, nel senso che insieme al diritto — dovere di informare vi è quello dei cittadini ad essere correttamente informati. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto integrato il reato di cui all'art. 595 c.p. nella pubblicazione di un articolo che addebitava al soggetto passivo specifiche condotte costituenti reato, nonché il coinvolgimento in una organizzazione criminale legata a mafia e camorra, mentre le fonti ufficiali non avevano precisato le imputazioni addebitate a ciascuno degli imputati, attenendosi a informazioni del tutto generali e generiche).