(massima n. 1)
In tema di diffamazione a mezzo stampa, con riferimento alla pubblicazione di un'intervista, il giornalista non può limitare il suo intervento a riprodurre esattamente e diligentemente quanto riferito dall'intervistato, soltanto perché le eventuali dichiarazioni possono interessare la pubblica opinione, ma deve altresì (a parte la loro falsità), accertare che non difetti il requisito della continenza e, cioè, che esse non consistano in insulti ovvero in espressioni gratuite, non necessarie, volgari, umilianti o dileggianti, ovvero siano affermazioni in sè diffamatorie. In tali casi, il giornalista, sia perché ha creato l'evento «intervista», sia perché ha formulato, d'accordo o meno con il dichiarante, domande allusive, suggestive o provocatorie, che presuppongono determinate risposte assumendo come propria la prospettiva di quest'ultimo, con la loro propalazione diviene o dissimulato coautore delle eventuali dichiarazioni diffamatorie ovvero strumento consapevole di diffamazione altrui. Deve pertanto ritenersi che non sussiste un «dovere» del giornalista di riportare fedelmente le dichiarazioni rese da un soggetto pubblico, anche se le stesse integrino gli estremi della contumelia; al contrario, all'interesse pubblico alla conoscenza sono estranee quelle «notizie» distolte dal fine della formazione della pubblica opinione e volte, invece a soddisfare — attraverso la violazione della sfera morale dei singoli — la curiosità del pubblico anche con il riferire fatti costituenti chiaro pettegolezzo ed offesa in ogni caso inutile, in quanto non pertinente alla notizia.