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Articolo 67 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie

Dispositivo dell'art. 67 Legge fallimentare

(1) Sono revocati, salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato d'insolvenza del debitore (2):

  1. 1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso (3);
  2. 2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento (4), se compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;
  3. 3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti;
  4. 4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.

Sono altresì revocati, se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento (5).

Non sono soggetti all'azione revocatoria:

  1. a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso (6);
  2. b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario (7), purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;
  3. c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell'articolo 2645 bis del codice civile (8), i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo (9) ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio (10);
  4. d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all'impresa e a coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore (11);
  5. e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata (12), nonché dell'accordo omologato ai sensi dell'articolo 182 bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all'articolo 161 (13);
  6. f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;
  7. g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all'accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata e (12) di concordato preventivo.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano all'istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali.

Note

(1) Articolo così modificato con D.L. 14 marzo 2005 n. 35, convertito con legge 14 maggio 2005 n. 80.
La nuova normativa si applica alle procedure concorsuali iniziate dopo il 17 marzo 2005.
(2) La norma pone una presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza, che deve invece essere esclusa dal convenuto (terzo contraente o suoi aventi causa).
La legittimazione attiva compete al curatore, che deve essere previamente autorizzato a stare in giudizio dal giudice delegato (art. 25 n. 6).
(3) Si nota qui la differenza tra gli atti a titolo oneroso, che per essere revocati devono essere sottoposti al vaglio del giudice, e quelli a titolo gratuito, che sono inefficaci ex lege (art. 66 della l. fall.).
La novella legislativa ha quantificato con esattezza la soglia di sproporzione che giustifica l'azione revocatoria fallimentare (in precedenza, si richiedeva solo una "notevole sproporzione").
(4) Ad esempio, i pagamenti eseguiti mediante cessione di crediti.
(5) Il comma in esame prevede, a differenza del primo, che la conoscenza dello stato di insolvenza da parte di chi abbia posto in essere l'atto debba essere provata dal curatore. Deve trattarsi di conoscenza effettiva e non potenziale.
(6) Si tratta degli atti che è normale siano svolti nell'ambito dell'esercizio di un'impresa.
(7) Poiché la norma parla in modo preciso solo del contratto di conto corrente, vanno esclusi gli altri contratti bancari.
(8) Secondo un orientamento giurisprudenziale, solo il momento della vendita, che coincide con quello della fuoriuscita del bene dal patrimonio, è quello a cui si deve avere riguardo per stabilire se sussistono i presupposti temporali dell'azione revocatoria fallimentare.
(9) Se la vendita è avvenuta a giusto prezzo, non v'è ragione per sottrarre all'acquirente il suo acquisto.
(10) La lettera in commento è stata così sostituita con il decreto correttivo 169/2007.
L'espressione "ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio" è stata introdotta dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con legge 7 agosto 2012 n. 134.
(11) La lettera in commento è stata così modificata dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con legge 7 agosto 2012 n. 134.
(12) Il d.lgs. 5/2006 ha soppresso l'amministrazione controllata.
(13) L'espressione "nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all'articolo 161" è stata introdotta dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con legge 7 agosto 2012 n. 134.
La ratio della norma consiste nell'incentivare la continuazione dell'impresa.

Ratio Legis

L'azione revocatoria fallimentare è lo strumento principe dato al curatore, unico legittimato attivo, per ricostruire il patrimonio del fallito.

Rel. ill. riforma fall. 2007

(Relazione Illustrativa al decreto legislativo 12 Settembre 2007, n. 169)

4 L’articolo 4 del decreto legislativo, reca disposizioni correttive del Titolo II, Capo III della legge fallimentare.
Il comma 4 reca modifiche all'articolo 67 del rl.d.
All’articolo 67, terzo comma, lett. c) vengono aggiunti, tra gli atti esentati dall’azione revocatoria fallimentare, oltre ed alle stesse condizioni delle vendite, anche i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645 bis del cod. civ., i cui effetti non siano cessati ai sensi del terzo comma della predetta disposizione.
La modifica all’articolo 67, terzo comma, lett. d) ha la funzione di ribadire, in coerenza con le previsioni di cui al novellati articoli 161, terzo comma e 182 bis primo comma, che il professionista abilitato a redigere il piano attestato di risanamento previsto dalla disposizione in esame deve avere i requisiti previsti dall’articolo 24, lettere a) e b) del r.d.

Massime relative all'art. 67 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 14260/2015

La cessione dei crediti d'impresa, a norma degli artt. 5 e 7 della legge 21 febbraio 1991, n. 52, è opponibile al fallimento del cedente non già dal momento del perfezionamento dell'atto contrattuale ma dalla data del pagamento del corrispettivo della cessione da parte del cessionario, sempre che il pagamento abbia data certa, sia stato eseguito nell'anno anteriore al fallimento e prima della scadenza del credito ceduto e che il curatore, agendo ex art. 67 legge fall., dimostri la conoscenza da parte del cessionario dello stato di insolvenza del cedente a quella data.

Cass. civ. n. 13881/2015

In tema di revocatoria fallimentare, la valutazione sulla "notevole sproporzione" tra le prestazioni eseguite e le obbligazioni assunte dal fallito e ciò che a lui è stato dato o promesso, necessaria per la dichiarazione di inefficacia del negozio ai sensi dell'art. 67, primo comma, n. 1), legge fall. (nella versione anteriore alla modifica di cui al d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif. dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, applicabile "ratione temporis"), deve essere effettuata "ex ante", ossia al momento della conclusione del contratto, dovendosi prescindere da una misura fissa o parametro da cui desumere il depauperamento patrimoniale del debitore (analoga alla lesione "ultra dimidium" propria della rescissione), poiché è sufficiente, per la sua configurabilità, che tale depauperamento sia consistente. Il relativo giudizio costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto non rientrante nella normale alea dei contratti commutativi l'acquisto, da parte del fallito, di un appartamento per un prezzo superiore di oltre il trentadue per cento rispetto al suo valore di mercato).

Cass. civ. n. 13767/2015

L'azione revocatoria fallimentare avente ad oggetto un pagamento, ai sensi dell'art. 67 della legge fall., mira ad ottenere la reintegrazione della garanzia patrimoniale del debitore fallito, che si realizza qualora il corrispondente importo sia recuperato attraverso la sua restituzione; ne consegue che, per la produzione di tale effetto, non è necessaria un'esplicita domanda, perché il suo perseguimento è compreso necessariamente nel "petitum" originario, sorgendo, infatti, il debito di restituzione con la sentenza costitutiva che, pronunciando la revoca, attualizza, al momento del suo passaggio in giudicato, il diritto potestativo esercitato dalla massa con l'azione del curatore e volto proprio ad ottenere il recupero delle somme versate dal debitore in violazione della "par condicio".

Nell'azione revocatoria fallimentare, avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia di più rimesse bancarie solutorie, non viene proposta una sola domanda, ma tante domande quante sono le rimesse ritenute revocabili, trattandosi di domande fondate su fatti costitutivi diversi, sicché, ove in sede di precisazione delle conclusioni sia richiesta la revoca di un maggior numero di rimesse, rispetto a quelle indicate nell'atto di citazione, deve ritenersi che sia stata proposta una inammissibile domanda nuova, poiché l'estensione della revoca comporta il riferimento a fatti costitutivi nuovi e non allegati con l'originario atto di citazione.

Cass. civ. n. 13510/2015

In tema di revocatoria fallimentare, in caso di "castelletto di sconto" o fido per smobilizzo crediti non sussiste la cd. copertura di un conto corrente bancario in quanto, a differenza del contratto di apertura di credito, non attribuiscono al cliente della banca la facoltà di disporre con immediatezza di una determinata somma di danaro, ma sono solo fonte, per l'istituto di credito, dell'obbligo di accettazione per lo sconto, entro un predeterminato ammontare, dei titoli che l'affidato presenterà, sicché, ai fini dell'esercizio dell'azione predetta, le rimesse effettuate su tale conto dal cliente, poi fallito, hanno carattere solutorio ove, nel corso del rapporto, il correntista abbia sconfinato dal limite di affidamento concessogli con il diverso contratto di apertura di credito. Né tale distinzione viene meno se tra le due linee di credito sia stabilito un collegamento di fatto, nel senso che i ricavi conseguiti attraverso sconti e anticipazioni siano destinati a confluire nel conto corrente di corrispondenza, trattandosi di meccanismo interno di alimentazione del conto attraverso le rimesse provenienti dalle singole operazioni di smobilizzo crediti, alla stregua di qualunque altra rimessa di diversa provenienza.

Cass. civ. n. 13508/2015

Il patto di rotatività del pegno costituisce fattispecie a formazione progressiva che trae origine dall'accordo scritto e di data certa delle parti, cui segue la sostituzione dell'oggetto del pegno, senza necessità di ulteriori stipulazioni e con effetti ancora risalenti alla consegna dei beni originariamente dati in pegno, a condizione che nella convenzione costitutiva tale possibilità di sostituzione sia prevista espressamente, e purché il bene offerto in sostituzione non abbia un valore superiore a quello sostituito; ne consegue, ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria fallimentare, che la continuità dei rinnovi fissa la genesi del diritto reale di garanzia al momento della stipulazione originaria e non a quello successivo della sostituzione.

Cass. civ. n. 6998/2015

Anche in presenza di una società di fatto o irregolare, l'acquirente convenuto in revocatoria fallimentare ex art. 67, primo comma, legge fall., ha l'onere di provare la sua ignoranza circa la qualità di socio del disponente e l'insolvenza della società partecipata, il cui fallimento sia stato esteso al socio illimitatamente responsabile, senza che possa giovarsi, in contrario, dell'omessa iscrizione della società nel registro delle imprese.

Cass. civ. n. 16828/2013

La cessione dei crediti, a norma degli artt. 5 e 7 della legge 21 febbraio 1991, n. 52, è revocabile ai sensi dell'art. 67 legge fall. ove ricorrano i presupposti dell'esecuzione del pagamento nell'anno anteriore al fallimento e prima della scadenza del credito ceduto, nonché della conoscenza dello stato di insolvenza del cedente, della cui dimostrazione è onerato il curatore.

Cass. civ. n. 1807/2013

Qualora venga dichiarato il fallimento dell'obbligato, è revocabile ex art. 67 legge fall. l'ipoteca, accessoria ad un mutuo, che integri in concreto una garanzia costituita per un debito chirografario preesistente, ma la revoca di detta ipoteca non comporta necessariamente l'esclusione dall'ammissione al passivo di quanto erogato per il suddetto mutuo, essendo l'ammissione incompatibile con le sole fattispecie della simulazione e della novazione, e non anche con quella del negozio indiretto, poiché, in tal caso, la stessa revoca dell'intera operazione - e, quindi, anche del mutuo - comporterebbe pur sempre la necessità di ammettere al passivo la somma (realmente) erogata in virtù del mutuo revocato, e ciò in quanto all'inefficacia del contratto conseguirebbe pur sempre la necessità di restituzione, sia pur in moneta fallimentare.

Cass. civ. n. 1528/2013

In tema di revocatoria ex art. 67, primo comma, n. 2, legge fall. del mandato rilasciato dal correntista alla banca per l'incasso di un credito, attraverso il quale l'istituto abbia inteso garantirsi il rientro anche di futuri finanziamenti, l'effetto solutorio derivante dalla riscossione del credito si realizza comunque entro il limite dello scoperto di conto (eventualmente comprensivo dei crediti della banca per i finanziamenti "medio tempore" erogati) esistente alla data di accredito della relativa rimessa, mentre non può estendersi ai crediti aventi titolo in finanziamenti successivi, posto che, una volta ripianato lo scoperto, non esiste più alcun debito del correntista da estinguere e la parte della somma riscossa eccedente lo scoperto non viene trattenuta dalla banca ad imputazione dei futuri crediti (da finanziamento) non ancora sorti, ma viene posta nella piena disponibilità del correntista.

Cass. civ. n. 7158/2012

In tema di revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario effettuate da un imprenditore poi dichiarato fallito, nel caso di plurime operazioni di segno opposto nella stessa giornata in cui appaia uno scoperto di conto, il fallimento che chieda la revoca di rimesse aventi carattere solutorio in relazione al saldo infragiornaliero e non al saldo della giornata, ha l'onere di dimostrare la cronologia dei singoli movimenti, cronologia che non può essere desunta dall'ordine delle operazioni risultante dall'estratto conto ovvero dalla scheda di registrazione contabile, in quanto tale ordine non corrisponde necessariamente alla realtà e sconta i diversi momenti in cui, secondo le tipologie delle operazioni, vengono effettuate le registrazioni sul conto. Di conseguenza, è onere del curatore provare la cronologia dei singoli movimenti, quale circostanza che incide sulla prova dell'esistenza di uno degli elementi costitutivi della domanda, vale a dire l'esistenza di un atto avente carattere solutorio, sicché in mancanza di prova devono intendersi effettuati prima gli accrediti e poi gli addebiti. (Nella specie, la S.C. ha giudicato erronea la decisione di merito che aveva anteposto le operazioni di segno negativo a quelle di segno positivo).

Cass. civ. n. 5106/2012

Il presupposto soggettivo dell' azione revocatoria promossa nei confronti di società di capitali non conosce criteri differenziati di valutazione dello stato di "scienza" o di "ignoranza" dello stato d'insolvenza, che, pertanto, nel caso delle persone giuridiche, si identificano normalmente in quelli delle persone fisiche che ne hanno la rappresentanza in virtù del nesso organico; ne discende che il mutamento della persona dell'amministratore non incide sulla riferibilità all'ente della volontà negoziale espressa da quello precedente, nè comporta che debba aversi riguardo alla "scientia" o "inscientia" del nuovo amministratore, anzichè di quello che ha concluso il contratto.

Cass. civ. n. 3232/2012

L'iscrizione di ipoteca ai sensi dell'art. 77 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602 sugli immobili del debitore e dei coobbligati al pagamento dell'imposta, non è riconducibile all'ipoteca legale prevista dall'art. 2817 c.c., né è ad essa assimilabile, mancando un preesistente atto negoziale, il cui adempimento il legislatore abbia inteso garantire; essa, peraltro, neppure può accostarsi all'ipoteca giudiziale, prevista dall'art. 2818 c.c. con lo scopo di rafforzare l'adempimento di una generica obbligazione pecuniaria ed avente titolo in un provvedimento del giudice, in quanto quella in esame si fonda su di un provvedimento amministrativo. Ne deriva che, non rientrando nel disposto dell'art. 67, primo comma, n. 4 legge fall., l'ipoteca in questione non è suscettibile di revocatoria fallimentare, limitata a quelle volontarie e giudiziali.

Cass. civ. n. 2335/2012

Anche dopo la riforma della legge fallimentare, nel caso in cui, dopo l'ammissione di una società di persone al concordato preventivo, segua la dichiarazione di fallimento della medesima società e dei soci illimitatamente responsabili, ai sensi dell'art. 147 legge fall., il termine di cui all'art. 67 legge fall. per l'esercizio dell'azione revocatoria dell'atto personale posto in essere dal socio decorre dal decreto di ammissione della società alla prima procedura concorsuale, e non dalla data della sentenza di fallimento del socio, atteso che il carattere meramente consequenziale e dipendente del fallimento del socio rispetto a quello della società comporta che, ai fini della dichiarazione di fallimento, abbia rilevanza unicamente lo stato d'insolvenza della società, indipendentemente dalla sussistenza o meno dello stato d'insolvenza personale del socio, dovendosi escludere un "vulnus" all'affidamento dei terzi, cui sono noti sin dalla data di apertura della prima procedura i soggetti potenzialmente soggetti al fallimento in esito alla stessa.

Cass. civ. n. 27084/2011

In tema di azione revocatoria fallimentare, senza distinzioni tra le ipotesi di cui al primo comma dell'art. 67 legge fall. (cui si riferisce la fattispecie) ovvero del secondo comma, la conseguente obbligazione restitutoria, a contenuto pecuniario, in capo all'"accipiens" soccombente ha natura di debito di valuta e non di valore, poichè l'atto posto in essere dal fallito è originariamente valido, sopravvenendo la sua inefficacia, a prescindere dall'originaria consapevolezza dei soggetti, solo in esito alla sentenza di accoglimento della domanda, che ha natura costitutiva, avendo ad oggetto l'esercizio di un diritto potestativo e non di un diritto di credito; ne consegue che anche gli interessi sulla somma da restituire decorrono dalla data della domanda giudiziale. (Confermando tale principio, la S.C., ha statuito che l'importo del predetto debito, relativo ad una vendita di immobile a prezzo sproporzionato, è pari alla differenza tra il prezzo pagato dal terzo per l'acquisto del bene ed il valore reale del medesimo alla data della stipula del contratto controverso, con gli interessi legali dalla domanda e salvo il risarcimento del maggior danno, se provato dall'attrice curatela).

Cass. civ. n. 21927/2011

In tema di revocatoria fallimentare di compravendita stipulata in adempimento di contratto preliminare, l'accertamento dei relativi presupposti va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo, in quanto l'art. 67 legge fall. ricollega la consapevolezza dell'insolvenza al momento in cui il bene, uscendo dal patrimonio, viene sottratto alla garanzia dei creditori, rendendo irrilevante lo stato soggettivo con cui è assunta l'obbligazione, di cui l'atto finale comporta esecuzione, salvo che ne sia provato il carattere fraudolento; inoltre, qualora nel momento fissato per la stipulazione del contratto definitivo, sussista pericolo di revoca dell'acquisto per la sopravvenuta insolvenza del promittente venditore, il promissario acquirente ha la facoltà di non addivenire alla stipulazione, invocando la tutela dell'art. 1461 c.c..

Cass. civ. n. 5333/2011

In materia di revocatoria fallimentare ex art. 67, primo comma, legge fall., le eccezioni del convenuto dirette a contestare la determinazione del periodo sospetto non configurano eccezioni in senso proprio, costituendo semplici difese volte a contestare la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda e, conseguentemente, sono rilevabili d'ufficio e, quindi, proponibili per la prima volta anche in sede di appello, sempre che i relativi fatti costitutivi siano stati tempestivamente allegati dalla parte nel giudizio di primo grado, entro il termine dell'art. 183 c.p.c..

Cass. civ. n. 4559/2011

Il convenuto con l'azione revocatoria fallimentare non è ammesso a provare che il debitore, nel cosiddetto periodo sospetto anteriore alla dichiarazione di fallimento, non versava in stato di insolvenza, ma solo in una situazione di temporanea difficoltà ad adempiere, atteso che detto stato di insolvenza è oggetto di presunzione "iuris et de iure" derivante dalla stessa apertura della procedura concorsuale; né, a maggior ragione, siffatto accertamento può essere compiuto d'ufficio dal giudice del merito, il quale deve invece verificare, ai fini della prova dell'elemento soggettivo dell'azione, se, nel medesimo periodo e con riguardo al tempo degli atti revocandi, si siano manifestati all'esterno i sintomi del dissesto e come tali siano stati percepiti dall'"accipiens".

Cass. civ. n. 4553/2011

In tema di azione revocatoria fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo sul conto corrente dell'imprenditore, poi fallito, non sono revocabili ai sensi dell'art. 67, secondo comma, legge fall., quando risulti che il relativo pagamento non sia stato eseguito con danaro del fallito e che il terzo, utilizzatore di somme proprie, non ha proposto azione di rivalsa verso l'imprenditore prima della dichiarazione di fallimento; a tali condizioni impeditive deve aggiungersi quella che il terzo non abbia effettuato il pagamento per adempiere un'obbligazione relativa ad un debito proprio.

Cass. civ. n. 3920/2011

La motivazione della sentenza "per relationem" è ammissibile, ben potendo il giudice far riferimento ad altri documenti acquisiti agli atti, purchè dalla giustapposizione del testo redatto dal giudice e di quello cui quest'ultimo fa rinvio risulti con sufficiente chiarezza e precisione il suo ragionamento. (Nella specie la S.C. ha ritenuto viziata la motivazione della sentenza di merito che, in tema di revocatoria fallimentare, aveva affermato l'esistenza della prova della "scientia decoctionis" in capo all'"accipiens", con ragionamento presuntivo di mero richiamo al bilancio della società debitrice dell'anno anteriore a quello degli atti revocandi, da cui il predetto stato di difficoltà economico-finanziaria sarebbe risultato come «eclatante», nonchè ai dati contabili esposti nella c.t.u., espletata in altro giudizio, senza però che nella medesima sentenza fossero specificati quali dati di bilancio ovvero quali elementi obiettivi della relazione del consulente fossero in grado di permettere tale inferenza).

Cass. civ. n. 3583/2011

In tema di azione revocatoria fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo fideiussore sul conto corrente dell'imprenditore, poi fallito, non sono revocabili ai sensi dell'art. 67, secondo comma, legge fall., quando risulti che, attraverso tali atti, il terzo non ha posto la somma nella disponibilità giuridica e materiale del debitore, ma - senza utilizzare una provvista del debitore e senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento - ha adempiuto, in qualità di terzo fideiussore, l'obbligazione di garanzia nei confronti della banca creditrice.

Cass. civ. n. 3581/2011

In tema di azione revocatoria fallimentare, l'estinzione di un'obbligazione da parte del debitore mediante cessione di merce costituisce, in quanto prestazione diversa dal denaro, una "datio in solutum", qualificabile come mezzo anormale di pagamento e quindi revocabile ai sensi dell'art. 67, primo comma, n. 2, legge fall., né rileva l'accertamento di una clausola contrattuale in tal senso, poiché il creditore, in tal modo, realizza la compensazione del credito originario con il debito del pagamento del prezzo.

Cass. civ. n. 3471/2011

L'assegno post-datato, inteso nella sua obbiettiva idoneità strumentale a costituire mezzo di pagamento equivalente al denaro, non perde le sue caratteristiche di titolo di credito, per cui gli atti estintivi di debiti effettuati con assegni post-datati non costituiscono mezzi anormali di pagamento e non sono, pertanto, assoggettati all'azione revocatoria fallimentare prevista dall'art. 67, primo comma, n. 2, legge fall..

Cass. civ. n. 3280/2011

In tema di revocatoria fallimentare, al fine di vincere la presunzione di conoscenza dello stato d'insolvenza, posta dall'art. 67, primo comma, n. 1, legge fall. (nel testo "ratione temporis" vigente), grava sul convenuto l'onere della prova di un fatto negativo - il non sapere che la parte fosse insolvente - che può essere dimostrato con l'allegazione, da parte del convenuto, di una serie concatenata di indizi deponenti nel senso indicato. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva, con motivazione insufficiente, ritenuto inidoneo a vincere la presunzione in questione il fatto in sé della mancanza di protesti cambiari e la lontananza dall'Italia degli acquirenti, senza tener conto, nel complesso, degli ulteriori elementi indiziari raccolti, quali l'assenza di procedimenti penali per assegni a vuoto, la titolarità in capo al fallito di una piccola attività commerciale, il lavoro pubblico del coniuge (comproprietario di quota del bene compravenduto), la scarsa istruzione degli acquirenti, ostativa ad indagini patrimoniali più accurate).

Cass. civ. n. 1834/2011

In tema di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario affluite su un conto scoperto, per potersene escludere la dichiarazione di inefficacia, in quanto dipendenti da operazioni bilanciate, è necessario il venir meno della funzione solutoria delle stesse, in virtù di accordi intercorsi tra il "solvens" e l'"accipiens", che le abbiano destinate a costituire la provvista di coeve o prossime operazioni di pagamenti o prelievi mirati in favore di terzi o del cliente stesso, in modo tale da poter negare che la banca abbia beneficiato dell'operazione sia prima, all'atto della rimessa, sia dopo, all'atto del suo impiego; la prova dell'esistenza dei predetti accordi, che giovino a caratterizzare la rimessa, piuttosto che come operazione di rientro, come una specifica provvista per una operazione speculare a debito, in relazione ad un ordine ricevuto ed accettato o ad una incontestata manifestazione di volontà, ove non derivi da un atto scritto, può anche essere desunta da "facta concludentia", purchè la specularità tra le operazioni ne evidenzi con certezza lo stretto collegamento negoziale.

Cass. civ. n. 25571/2010

Nella revocatoria fallimentare di debiti liquidi ed esigibili, prevista dall'art. 67, secondo comma, legge fall., l'"eventus damni" è "in re ipsa" e consiste nel fatto stesso della lesione della "par condicio creditorum", ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all'atto di disposizione patrimoniale posto in essere dal fallito, con la conseguenza che sul curatore grava soltanto l'onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell'"accipiens", mentre la circostanza che il pagamento (come nella specie) sia stato effettuato per soddisfare un credito assistito da privilegio generale non esclude tale possibile lesione, né fa venir meno l'interesse all'azione da parte del curatore, poiché è solo in seguito alla ripartizione dell'attivo che può verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che potrebbero insinuarsi anche successivamente all'esercizio dell'azione revocatoria.

Cass. civ. n. 22544/2010

La risoluzione del conflitto positivo di competenza (territoriale) tra due tribunali fallimentari e la conseguente individuazione, quale giudice competente, di un tribunale diverso da quello che per primo ha dichiarato il fallimento, non comporta la cassazione della relativa sentenza e la caducazione degli effetti sostanziali della prima dichiarazione di fallimento, ma solo la prosecuzione del procedimento avanti al tribunale ritenuto competente, presso il quale la procedura prosegue con le sole modifiche necessarie (sostituzione del giudice delegato) o ritenute opportune (sostituzione del curatore), avuto riguardo al principio dell'unitarietà del procedimento fallimentare a far tempo dalla pronuncia del giudice incompetente, enunciato dall'art. 9 bis della legge fall. (introdotto dall'art. 8 del d.l.vo n. 5 del 2006), ma desumibile anche dal sistema e dai principi informatori della legge fallimentare, nel testo anteriormente vigente. Ne consegue che anche il periodo sospetto cui si riferisce l'azione revocatoria fallimentare, ai sensi dell'art. 67 legge fall., decorre a ritroso dalla prima dichiarazione di fallimento.

Cass. civ. n. 20268/2010

In tema di prova civile, la contestazione sulla mancanza di data certa nella scrittura privata si configura come eccezione in senso stretto che, in quanto tale, può essere proposta solo dalla parte. Pertanto, in ipotesi di revocatoria fallimentare, al curatore - che è parte in tale giudizio e che dal complesso dei dati sottoposti al suo esame può correttamente identificare il momento genetico dell'atto (e, quindi, la sua antecedenza o meno alla dichiarazione di fallimento) - compete proporre l'eccezione di mancanza data certa nella scrittura privata contestata.

Cass. civ. n. 19043/2010

In tema di revocatoria fallimentare delle rimesse su conto corrente bancario, non è applicabile in via retroattiva il criterio del c.d. massimo scoperto (il quale consiste nella differenza tra il massimo del saldo passivo raggiunto dal conto nell'anno antecedente il fallimento ed il saldo finale alla data della sentenza di fallimento), introdotto nel terzo comma dell'art. 70 della l. fall. dall'art. 2 del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. nella legge 14 maggio 2005, n. 80: ne deriva che, nel regime anteriore alla nuova disciplina, le rimesse devono essere revocate, ricorrendone le condizioni, nella loro sommatoria.

Cass. civ. n. 18438/2010

In tema di revocatoria fallimentare, nel regime antevigente applicabile "ratione temporis", la prescrizione del diritto potestativo all'azione revocatoria, può essere interrotto unicamente con l'esercizio dell'azione giudiziale e non con un semplice atto di messa in mora ma l'effetto interruttivo rimane fermo ai sensi dell'art. 2945 c.c. anche nell'ipotesi di estinzione del giudizio, non rilevando a tale specifico fine la rilevata natura costitutiva dell'azione. (Fattispecie relativa ad azione revocatoria formulata come domanda riconvenzionale in un giudizio, successivamente estintosi, di opposizione allo stato passivo).

Cass. civ. n. 17668/2010

In tema di azione revocatoria fallimentare, avente ad oggetto le rimesse su conto corrente a favore di una banca, la cui azienda sia poi stata ceduta ad altra banca, la legittimazione passiva sussiste in capo alla cessionaria ove risulti, come nella fattispecie, che con l'azienda bancaria siano state trasferite tutte le attività e passività aziendali, dunque anche i debiti futuri derivanti dall'azione revocatoria, in quanto obbligazioni ad oggetto determinabile, perchè all'atto della convenzione erano identificabili gli eventuali debiti, risultanti dalla contabilità, in relazione ai pagamenti eseguiti dai debitori poi falliti.

Cass. civ. n. 15781/2010

In tema di azione revocatoria fallimentare di rimesse bancarie in conto corrente, il modulo operativo detto "point of sale" (POS), consentendo al correntista di far affluire sul proprio conto corrente pagamenti effettuati da clienti con carta di credito, determina il verificarsi di un pagamento, che, in quanto tale, è potenzialmente oggetto di revocatoria, ai sensi dell'art. 67 della legge fall..

Cass. civ. n. 5505/2010

Ai sensi dell'art. 67, secondo comma, della legge fallimentare, la revoca dell'atto oneroso compiuto nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento non è subordinata alla ricorrenza di un danno concreto per la massa, poiché il danno è "in re ipsa" e presunto in via assoluta, consistendo nella pura e semplice lesione della "par condicio creditorum", ricollegabile all'uscita in sé del bene dalla massa, conseguente all'atto di disposizione.

Cass. civ. n. 5256/2010

In tema di revocatoria fallimentare, il presupposto soggettivo, ai sensi dell'art. 67 della legge fall., è costituito dalla conoscenza effettiva da parte del terzo dello stato d'insolvenza del debitore e non dalla semplice conoscibilità, sebbene la relativa dimostrazione possa fondarsi anche su elementi indiziari purchè caratterizzati dagli ordinari requisiti della gravità, precisione e concordanza prescritti dagli artt. 2727 e 2729 c.c.. Tuttavia, tali condizioni non possono essere riscontrate nella mera esistenza di esecuzioni individuali, in quanto non soggette a forme pubblicitarie, o nelle iscrizioni ipotecarie a carico del debitore, quando non si sia dato conto di circostanze, quali la contiguità territoriale tra creditore e luogo delle procedure e l'esistenza di rapporti professionali tra creditore e debitore, che, in virtù di concreti collegamenti, permettano di ritenere effettivamente conosciuta e non solo conoscibile la "scientia decoctionis".

Cass. civ. n. 4785/2010

In tema di revocatoria fallimentare, la rimessa in conto corrente bancario effettuata con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno ormai consolidatosi in favore della stessa banca è revocabile, ai sensi dell'art. 67 della legge fall., non assumendo alcun rilievo la circostanza che il ricavato della vendita sia destinato a soddisfare un credito privilegiato, in quanto l'"eventus damni" deve considerarsi "in re ipsa", consistendo nella lesione della "par condicio creditorum" ricollegabile all'uscita del bene dalla massa in forza dell'atto dispositivo, e non potendosi escludere "a priori" il pregiudizio delle ragioni di altri creditori privilegiati, insinuatisi in seguito al passivo.

Cass. civ. n. 3990/2010

In tema di revocatoria fallimentare, l'art. 11, terzo comma, del d.l.vo 9 ottobre 2002, n. 231 (emanato in attuazione della direttiva n. 2000/35/CE del 29 giugno 2000), il quale stabilisce che la riserva di proprietà, preventivamente concordata per iscritto tra l'acquirente ed il venditore, è opponibile ai creditori del primo se confermata nelle singole fatture delle successive forniture, aventi data certa anteriore al pignoramento e regolarmente registrate nelle scritture contabili, non ha carattere interpretativo, come si desume dal primo comma, ai sensi del quale la norma non si applica ai contratti conclusi prima dell'8 agosto 2002, e dal fatto che nel testo del terzo comma manca ogni elemento in grado di evidenziare che la norma interpretante si sia saldata con la norma interpretata.

Cass. civ. n. 2610/2010

Il principio stabilito per l'azione revocatoria ordinaria dall'art. 2901, secondo comma, c.c., secondo il quale le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al sorgere del credito garantito, è applicabile anche al sistema revocatorio fallimentare, rispondendo tale disciplina a criteri di razionalità ed equità, che hanno portata generale e che sarebbero infirmati ove si privasse il creditore di una garanzia, senza la quale non avrebbe affatto erogato il credito, ed essendo tale interpretazione confermata dall'art. 2, primo comma, del d.l. n. 35 del 2005, che, modificando l'art. 67, secondo comma, legge fall., ha reso esplicito tale precetto.

Cass. civ. n. 2517/2010

In tema di revocatoria fallimentare, la funzione di garanzia, programmata dalle parti con riguardo ad una cessione di credito, non viene meno qualora la modalità pratica attraverso cui l'operazione viene realizzata consista nel versamento sul conto corrente del cedente, al momento della riscossione del credito ceduto, delle somme incassate dalla banca cessionaria in veste di titolare di quel credito, in misura pari alla passività ivi maturata, non essendo tale modalità sufficiente ad attribuire "causa solutionis" alla cessione, con la conseguenza che trova applicazione l'art. 67, comma 2, e non l'art. 67, comma 1, n. 2 della legge fall. (Fattispecie anteriore al d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in legge 14 maggio 2005, n. 80).

Cass. civ. n. 19989/2009

L'azione revocatoria fallimentare avente ad oggetto un pagamento, ai sensi dell'art. 67 della legge fall., mira ad ottenere la reintegrazione della garanzia patrimoniale del debitore fallito, che intanto si realizza in quanto il corrispondente importo sia recuperato attraverso la sua restituzione; ne consegue che per la produzione di tale effetto non è necessaria un'esplicita domanda, perché il suo perseguimento è compreso necessariamente nel "petitum" originario; il debito di restituzione sorge infatti con la sentenza costitutiva che, pronunciando la revoca, attualizza, al momento del suo passaggio in giudicato, il diritto potestativo esercitato dalla massa con l'azione del curatore e volto proprio ad ottenere il recupero delle somme versate dal debitore in violazione della "par condicio". (Nella specie, la domanda di restituzione delle rimesse revocate era stata formulata solo in sede di precisazione delle conclusioni).

Cass. civ. n. 17747/2009

In tema di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario, l'allegazione per la prima volta in appello da parte del curatore della revoca del fido concesso dalla banca non costituisce un'inammissibile "mutatio libelli", restando inalterati sia i fatti costitutivi della domanda, consistenti nel versamento confluito sul conto corrente di corrispondenza della società fallita nel periodo sospetto, sia il "petitum immediato", avente ad oggetto fin dall'inizio l'intero importo della rimessa qualificata solutoria.

Cass. civ. n. 17683/2009

La cessione di credito si caratterizza come anomala, rispetto al pagamento effettuato in danaro o con titoli di credito considerati equivalenti e come tale è assoggettabile a revocatoria fallimentare, a norma dell'art. 67, primo comma, n. 2, legge fall., se compiuta in funzione solutoria, cioè per estinguere un debito pecuniario scaduto ed esigibile; ne consegue che, qualora la cessione abbia avuto luogo contestualmente alla concessione di un'apertura di credito, alla data della quale il conto corrente del cedente successivamente fallito presentava un saldo attivo, deve essere escluso il predetto carattere solutorio, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che una parte delle somme riscosse per effetto dell'incasso dei crediti ceduti sia stata in prosieguo destinata al ripianamento della scopertura del conto corrente, qualora la relativa esposizione sia sorta successivamente alla predetta cessione, effettuata in funzione di garanzia.

Cass. civ. n. 16971/2009

In tema di azione revocatoria fallimentare, gli estratti conto comunicati dalla banca al cliente e non impugnati, se utilizzati in giudizio dal curatore del fallimento, hanno efficacia di prova tra le parti, non già quali scritture contabili dell'impresa, a norma dell'art. 2709 c.c., bensì a norma dell'art. 1832 c.c., richiamato dall'art. 1857 c.c., cioè con riguardo all'effettività e alla completezza delle operazioni annotate; ne consegue che, non trattandosi di scritture contabili ex art. 2214-2217 c.c. e non trovando dunque applicazione il principio della inscindibilità del loro contenuto, essi non sono idonei a provare in modo diretto i contratti, diversi da quello di conto corrente di corrispondenza, in forza dei quali le operazioni sono state eseguite.

Cass. civ. n. 14896/2009

In tema di azione revocatoria fallimentare (nella specie, avente per oggetto la dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell'art. 67 della legge fall., di una cessione di credito, ritenuta di carattere solutorio), la natura costitutiva della predetta azione implica che gli interessi sulla somma dovuta in restituzione - cui va condannata la parte "accipiens" - decorrono dalla correlativa costituzione in mora, che, in difetto di atti anteriori di tale contenuto, va individuata nella domanda giudiziale.

Cass. civ. n. 13762/2009

In tema di azione revocatoria fallimentare, propone un'eccezione in senso proprio, non una mera difesa, la banca che, convenuta in giudizio per la dichiarazione d'inefficacia dei pagamenti ricevuti, deduca di averli ottenuti non dal fallito, bensì da terzi, in ragione di una preesistente cessione o costituzione in pegno dei crediti di cui quei pagamenti costituivano adempimento: con tale deduzione, infatti, la convenuta fa valere un fatto modificativo dell'effetto giuridico postulato dall'attore, il quale, tuttavia, può essere rilevato anche d'ufficio dal giudice, ove il fatto modificativo risulti allegato, atteso il principio della rilevabilità d'ufficio di tutte le eccezioni, salvo espressa previsione della rilevabilità solo ad iniziativa di parte.

Cass. civ. n. 13759/2009

In tema di revocatoria fallimentare, l'art. 11 del D.L.vo 9 ottobre 2002, n. 231, emanato in attuazione della direttiva 2000/35/CE, il quale stabilisce che la riserva di proprietà, preventivametne concordata per iscritto tra l'acquirente ed il venditore, è opponibile ai creditori del compratore se è confermata nelle singole fatture delle successive forniture aventi data certa anteriore al pignoramento e regolarmente registrate nelle scritture contabili, non si applica ai contratti conclusi prima dell'8 agosto 2002; pertanto, con riguardo a tali contratti, il terzo che invochi in proprio favore il patto di riservato dominio deve provare che tale patto abbia data certa anteriore ai sensi dell'art. 1524 c.c., anche nel caso in cui i beni, oggetto dell'azione revocatoria abbiano cessato di essere nel possesso del fallito anteriormente alla dichiarazione di fallimento, in quanto il carattere recuperatorio dell'attivo proprio di questa azione comporta che gli effetti della dichiarazione di fallimento siano anticipati al momento in cui è stato compiuto l'atto revocato, purchè nei limiti del periodo sospetto.

Cass. civ. n. 9660/2009

Qualora uno dei coniugi, in regime di comunione legale dei beni, abbia da solo acquistato o venduto un bene immobile da ritenersi oggetto della comunione, il coniuge rimasto estraneo alla formazione dell'atto è litisconsorte necessario in tutte le controversie in cui si chieda al giudice una pronuncia che incida direttamente e immediatamente sul diritto, mentre non può ritenersi tale in quelle controversie in cui si chieda una decisione che incide direttamente e immediatamente sulla validità ed efficacia del contratto. Pertanto, in riferimento all'azione revocatoria esperita, ai sensi sia dell'art. 66 che dell'art. 67 legge fall., in favore del disponente fallito, non sussiste un ipotesi di litisconsorzio necessario, poiché detta azione non determina alcun effetto restitutorio né traslativo, ma comporta l'inefficacia relativa dell'atto rispetto alla massa, senza caducare, ad ogni altro effetto, l'atto di alienazione.

Cass. civ. n. 4831/2009

La curatela fallimentare non ha l'interesse ad agire in ordine alla domanda di revoca dell'ipoteca che il creditore non abbia fatto valere in sede di ammissione al passivo, sia perchè non è ravvisabile un interesse concreto ed attuale a prevenire il rischio di una rivalsa, meramente eventuale, relativa alle spese di cancellazione, sia perchè la dichiarazione d'inefficacia dell'ipoteca determina l'annotazione ex art. 2655 cod. civ., ma non la sua cancellazione.

Cass. civ. n. 819/2009

In tema di azione revocatoria fallimentare di rimesse bancarie, la riferibilità del pagamento al fallito ovvero ad un terzo (debitore di quest'ultimo) integra un elemento costitutivo della domanda e dunque la questione non costituisce un'eccezione in senso proprio bensì una mera difesa, su cui il giudice ha l'obbligo di pronunciare "ex officio" anche quando, come nella specie, in primo grado la banca convenuta sia rimasta contumace e senza che sia possibile invocare il divieto dei "nova" in appello, ai sensi dell'art. 345 cod. proc. civ., in quanto la parte, contestando l'imputabilità dell'atto solutorio al fallito, non invoca un fatto estintivo o impeditivo della pretesa bensì l'assenza di uno degli elementi costitutivi della domanda.

Cass. civ. n. 26898/2008

In tema di pegno avente per oggetto titoli del debito pubblico, gli atti di incasso del controvalore dei titoli stessi venduti dalla banca creditrice e accreditati sul conto corrente del cliente poi fallito, con corrispondente parziale riduzione della sua esposizione debitoria nel periodo sospetto, non sono revocabili ai sensi dell'art. 67 legge fall., rivestendo natura di atti di escussione delle garanzie pignoratizie e non di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili.

Cass. civ. n. 18833/2008

In tema di revocatoria fallimentare dei pagamenti ricevuti dal grossista farmaceutico a titolo di corrispettivo per le forniture di medicinali effettuate in favore di un farmacista poi fallito, non pub essere invocata, quale causa di esenzione, la qualificazione dell"'accipiens" quale monopolista legale (ai sensi dell'art. 2597 cod. civ tenuto a contrattare con chiunque richieda le prestazioni), non essendo idoneo in proposito il richiamo al r.d. n. 1706 del 1938, che all'art. 38 pone l'obbligo in capo al farmacista (e non al fornitore) di procurare le specialità medicinali nazionali "nel più breve tempo possibile" e all'art. 46 precisa le caratteristiche soggettive degli interessati a tali forniture, trattandosi di norme che non configurano affatto una posizione di monopolio legale, ma solo accentuano gli ordinari parametri di diligenza nell'adempimento.

Cass. civ. n. 17946/2008

Le anticipazioni all'appaltatore di opere pubbliche, previste dalla dall'art. 12 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 (come modificato dall'art. 2 del D.P.R. 30 giugno 1972, n. 627 ) e successivamente dall'art. 3 della legge 10 dicembre 1981, n. 741, non attribuiscono all'appaltatore medesimo la posizione di debitore, costituendo una parte del compenso spettante per consentirgli di far fronte ai costi iniziali ; conseguentemente le ritenute successivamente operate dall'amministrazione committente, all'atto del pagamento delle rate dovute in occasione di ogni stato di avanzamento, non determinano l'estinzione, parziale o totale, di un'obbligazione e dunque, difettando ogni funzione solutoria, non risultano assoggettabili a revocazione ai sensi degli artt. 67 e 167-188 legge fall.

Cass. civ. n. 17090/2008

Nell'azione revocatoria fallimentare, avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia di più rimesse bancarie solutorie, non viene proposta una sola domanda, ma tante domande quante sono le rimesse ritenute revocabili, trattandosi di domande fondate su fatti costitutivi diversi, sicché, ove in sede di precisazione delle conclusioni sia richiesta la revoca di un maggior numero di rimesse, rispetto a quelle indicate nell'atto di citazione, deve ritenersi che sia stata proposta una inammissibile domanda nuova, poiché l'estensione della revoca comporta il riferimento a fatti costitutivi nuovi e non allegati con l'originario atto di citazione.

Cass. civ. n. 14552/2008

Non è affetta da nullità per indeterminatezza dell'oggetto o della causa petendi ai sensi del combinato disposto degli artt. 163, terzo comma, nn. 3 e 4, e 164, quarto comma, c.p.c. (nel testo novellato dalla legge n. 353 del 1990 ), la citazione contenente la domanda di revocatoria fallimentare di pagamenti costituiti da rimesse di conto corrente bancario, seppure manchi l'indicazione dei singoli versamenti solutori, qualora (come nella specie ) siano specificamente indicati i conti correnti e la domanda si riferisca a tutte le rimesse operate su quei conti in un determinato periodo di tempo (ed indichi anche l'importo globale delle stesse ), essendo sufficientemente specificati gli elementi (di cui al citato art. 163, terzo comma, nn. 3 e 4 ) idonei a consentire alla banca l'individuazione delle domande contro di essa proposte.

Cass. civ. n. 14065/2008

In tema di revocatoria fallimentare, il periodo sospetto di cui all'art. 67 legge fall., nell'ipotesi di dichiarazione di fallimento pronunciata da tribunale incompetente cui segua altra dichiarazione resa, nei confronti del medesimo imprenditore, da tribunale poi ritenuto competente dalla Corte di Cassazione, si computa a ritroso dalla data della prima sentenza ; anche se emessa da giudice incompetente, risultano invalidati infatti solo gli effetti regolativi della prima pronuncia, restando assorbiti, perché ribaditi, gli effetti di accertamento dei presupposti soggettivi ed oggettivi del fallimento, in applicazione dell'art. 50 c.p.c. (che prevede la prosecuzione del procedimento avanti al giudice individuato come competente dalla Corte di Cassazione ) e del principio di unitarietà della procedura concorsuale, con un effetto di stabilità già implicito nel sistema anche prima della sua espressa enunciazione ad opera dell'art. 9 bis della legge fall. introdotto dal D.L.vo n. 5 del 2006.

Cass. civ. n. 13996/2008

Nel caso in cui un immobile di proprietà del fallito, ipotecato a garanzia di un mutuo fondiario, sia stato oggetto di vendita a favore di un terzo, il potere, riconosciuto all'istituto di credito fondiario dall'art. 42 del R.D. n. 645 del 1905 (sostituito dall'art. 41 del D.L.vo n. 385 del 1993, ma applicabile nella specie ratione temporis ), di iniziare o proseguire l'azione esecutiva individuale anche in costanza di fallimento, ovvero d'intervenire nell'esecuzione forzata promossa da altri, e di conseguire l'assegnazione della somma ricavata dalla vendita forzata, senza obbligo di rimetterla al curatore, con il solo onere di insinuarsi al passivo della procedura fallimentare per consentire la graduazione dei crediti, esclude l'esperibilità dell'azione revocatoria fallimentare al fine di ottenere la dichiarazione d'inefficacia della compravendita nei confronti della massa dei creditori, venendo in tal caso meno uno dei presupposti dell'azione, costituito dall'impossibilità di assoggettare direttamente il bene all'esecuzione concorsuale, in quanto, ponendosi la vendita del bene nell'ambito dell'esecuzione individuale come alternativa a quella nell'ambito della procedura fallimentare, il curatore deve limitarsi a chiedere il versamento della somma assegnata all'istituto, qualora quest'ultimo non abbia chiesto l'ammissione al passivo o il suo credito risulti incapiente, e non può neppure pretendere dal terzo acquirente la differenza tra il valore del bene e l'importo eventualmente inferiore ricavato dalla vendita forzata.

Cass. civ. n. 10573/2008

In tema di revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie in conto corrente, proposta ai sensi dell'art. 67, secondo comma, della legge fall., l'elemento psicologico dell'accipiens va riferito alle date delle singole rimesse effettuate nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, ed implica la prova, posta a carico della curatela, della sopravvenuta conoscenza di un mutamento in peius delle condizioni economiche dell'imprenditore, ridondante in vera e propria insolvenza: pertanto, ai fini della prova presuntiva della scientia decoctionis non può riconoscersi valore sintomatico a protesti levati in epoca anteriore all'instaurazione del rapporto di conto corrente, non trattandosi di fatti che, in quanto sopravvenuti rispetto al momento genetico del rapporto, risultino idonei a modificare l'affidamento riposto dalla banca nella solvibilità del correntista.

Cass. civ. n. 6192/2008

In tema di revocatoria fallimentare, ai sensi dell'art. 67, primo comma, n. 2, legge fall. (nel testo, applicabile ratione temporis anteriore al D.L. 14 marzo 2005, n. 35 del 2005), degli atti solutori anomali connessi all'esecuzione di un contratto di factoring stipulato prima dell'entrata in vigore della legge 21 febbraio 1991, n. 52, la qualificazione della fattispecie — consistente in una convenzione atipica attuata mediante la cessione, pro solvendo o pro soluto della titolarità dei crediti di un imprenditore, derivanti dall'esercizio della sua impresa, ad un altro imprenditore (factor), con effetto traslativo al momento dello scambio dei consensi tra i medesimi, se la cessione è globale e i crediti sono esistenti, ovvero differito al momento in cui vengano ad esistenza, se i crediti sono futuri o se, per adempiere all'obbligo assunto con la convenzione, è necessario trasmettere i crediti stessi con distinti negozi di cessione — esige la ricostruzione degli effetti giuridici voluti dalle parti con il predetto contratto, e non già di quelli pratico-economici, al fine di accertare se esse hanno optato per la causa vendendi o per la causa mandati o per altra ancora, e se la cessione del credito abbia funzione di garanzia o funzione solutoria, ovvero se le parti abbiano voluto soltanto il conferimento di un mandato in rem propriam potendo coesistere una pluralità di operazioni economiche, ed essendo assoggettabile alla revocabilità la cessione del credito se prevista come mezzo di estinzione non contestuale al sorgere del credito.

Cass. civ. n. 5962/2008

È manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità dell'art. 2, comma 2, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, in materia di nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, laddove, prevedendo che le disposizioni del comma 1, lettere a) e b), si applicano soltanto alle azioni proposte nell'ambito di procedure iniziate dopo l'entrata in vigore del decreto stesso, cioè aperte dopo il 17 marzo 2005, introduce una disciplina diversa per situazioni identiche; tale identità va invero considerata non solo in relazione alla contemporaneità degli atti revocandi ma anche in relazione alle rispettive procedure di insolvenza che invero si aprono in base a regole diverse vigenti all'atto di ciascuna dichiarazione, ciò giustificando la disciplina della procedura concorsuale successiva sulla base di una mutata normativa, in coerenza con la successione delle leggi e la conseguente irretroattività della nuova norma; ne deriva l'inesistenza di dubbi con riguardo sia agli artt. 3, 24 e 41 Cost., sia all'art. 77 Cost., il cui presupposto di necessità ed urgenza ha trovato, nell'apprezzamento discrezionale del legislatore, fondamento nel proposito di assicurare migliori condizioni di competitività alle imprese, attraverso una tutela rafforzata delle posizioni giuridiche dei finanziatori, specie bancari, relativamente alle aspettative di recupero o restituzione delle risorse erogate alle imprese insolventi.

Non contrasta con l'art. 81 del Trattato CE, sulla concorrenza tra imprese appartenenti a diversi Stati membri, la disciplina della revocatoria fallimentare della rimessa bancaria dettata dall'art. 67 legge fall., nel testo (applicabile ratione temporis) anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (convertito nella legge n. 80), nel presupposto che essa, accollando alle banche operanti in Italia oneri altrove non previsti, limiti la libertà di stabilimento posta dalla norma: infatti, non è l'azione predetta a costituire ostacolo all'investimento di capitali o alla prestazione di servizi o all'assunzione di partecipazioni, ma semmai il fenomeno che essa tende a correggere, così regolando gli interessi coinvolti, cioè l'insolvenza; rappresenta invero un freno alla libera circolazione l'assenza di misure repressive, anche nei termini civilistici e patrimoniali, delle condotte causative del dissesto, riguardate come atti preferenziali lesivi della par condicio creditorum ne consegue l'inammissibilità del rinvio alla Corte di Giustizia, ai sensi dell'art. 234 Trattato CE, per una pronuncia pregiudiziale interpretativa delle norme del Trattato, essendo la disciplina anteriore alla citata riforma del 2005 addirittura di maggiore garanzia per gli investitori comunitari in materia di insolvenza dei propri debitori, in quanto consente un maggior recupero di attivo di quanto reso possibile dalla predetta novella.

Cass. civ. n. 4528/2008

In tema di revocatoria fallimentare, l'eccezione con cui la parte deduce l'inapplicabilità della disposizione di cui all'art. 67, comma 1, n. 1, legge fall., in luogo dei successivi n. 2 e 3, al caso in cui sia stato costituito un pegno a garanzia di un'apertura di credito, senza che sia stata disposta anche la revoca contestuale dell'apertura di credito medesima, non costituisce un'eccezione in senso proprio, ma investe una condizione di mera fondatezza della domanda, il cui esame deve essere condotto d'ufficio, anche se la parte abbia omesso del tutto di formulare deduzioni al riguardo.

Cass. civ. n. 2456/2008

Il patto di rotatività del pegno si attua mediante una fattispecie a formazione progressiva che trae origine dall'accordo scritto e di data certa delle parti, cui segue la sostituzione dell'oggetto del pegno, senza necessità di ulteriori stipulazioni e con effetti ancora risalenti alla consegna dei beni originariamente dati in pegno, a condizione che nella convenzione costitutiva tale possibilità di sostituzione sia prevista espressamente, e purchè il bene offerto in sostituzione non abbia un valore superiore a quello sostituito; ne consegue, ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria fallimentare, che la continuità dei rinnovi fissa la genesi del diritto reale di garanzia al momento della stipulazione originaria e non a quello successivo della sostituzione.

La natura giuridica del pegno irregolare comporta che le somme di danaro o i titoli depositati presso il creditore diventano — diversamente che nell'ipotesi di pegno regolare — di proprietà del creditore stesso, che ha diritto di soddisfarsi, pertanto, non secondo il meccanismo di cui agli artt. 2796 — 2798 c.c. (che postula l'altruità delle cose ricevute in pegno), bensì direttamente sulla cosa, al di fuori del concorso con gli altri creditori, per effetto di un'operazione contabile, parimenti estranea all'ambito di operatività della compensazione.

Cass. civ. n. 1745/2008

In tema di revocatoria fallimentare del pegno, costituito a garanzia dei debiti nascenti su conto corrente, la sussistenza, all'epoca dell'atto costitutivo, di un ammontare dell'esposizione inferiore al valore del bene dato in garanzia (nella specie, un certificato di deposito) e rientrante nei limiti dell'apertura di credito, non preclude la riferibilità dell'azione all'intero atto, ai sensi dell'art. 67, primo comma, n. 3 legge fall., in quanto stipulato in favore della banca non solo a garanzia del debito per la parte di fido utilizzato, dunque da valutarsi alla stregua di debito non scaduto, ma anche per i debiti futuri; ne consegue l'obbligo per la banca di restituire l'intero pegno o il suo equivalente monetario.

Cass. civ. n. 893/2008

Nel caso di contestuale proposizione da parte del curatore fallimentare di azione revocatoria ex art. 67 legge fall. avente ad oggetto la concessione di ipoteca iscritta contro il debitore prima della sua ammissione alla procedura di concordato preventivo e, come conseguenza della dedotta inefficacia delle ipoteche, di domanda di inefficacia dei pagamenti eseguiti al creditore ipotecario nel corso del concordato poi risolto, alla dichiarazione di inefficacia dell'ipoteca segue l'accoglimento della domanda di restituzione dei pagamenti, ancorché questi siano stati autorizzati dal giudice delegato, poiché tale domanda non rientra nella previsione di cui all'art. 67 legge fall., ma va ricondotta all'art. 2033 c.c. (Sulla base di tale distinzione la S.C. ha escluso che, nella specie, si ponessero sia la questione dell'applicazione analogica al concordato preventivo dell'art. 140, comma 3, legge fall., il quale esonera i creditori dall'obbligo di restituire quanto hanno già riscosso in adempimento del concordato fallimentare risolto, sia della assoggettabilità a revocatoria degli atti compiuti nel corso della procedura di concordato preventivo).

Cass. civ. n. 26664/2007

In tema di cessione di credito futuro derivante da contratto di appalto non ancora eseguito, perfezionata prima della data della dichiarazione di fallimento, il debitore ceduto non è legittimato a far valere le ragioni del fallimento, mentre compete esclusivamente agli organi di quella procedura l'esperimento dell'eventuale revocatoria della cessione di credito.

Cass. civ. n. 23107/2007

In tema di revocatoria fallimentare, per stabilire se le rimesse su conto corrente bancario assistito da apertura di credito abbiano natura solutoria, occorre verificare se i versamenti siano confluiti su un conto passivo in corso di ordinario svolgimento del rapporto in funzione ripristinatoria o siano intervenuti in una situazione caratterizzata dalla mancanza o dal superamento della concessione del credito; tale valutazione deve operarsi con riferimento al momento dell'effettuazione dei singoli versamenti e non ex post, in relazione alla mancata riutilizzazione del credito da parte del cliente, salvo che risulti provata dopo l'esecuzione delle rimesse, la chiusura anticipata del conto o il blocco nella concessione dei blocchetti degli assegni ovvero condotte negoziali sintomatiche in modo univoco della natura solutoria dei versamenti. (La Corte ha escluso nella fattispecie la natura solutoria di alcune delle rimesse formanti oggetto dell'azione revocatoria, promossa dal curatore di Cooperativa in liquidazione coatta amministrativa, ritenendo insufficiente a tal fine la mera circostanza della mancata riutilizzazione della provvista).

Cass. civ. n. 20622/2007

L'inopponibilità al fallimento del mutuo fondiario per nullità, simulazione ovvero revoca esclude il cosiddetto beneficio del consolidamento, previsto dall'art. 39 comma 4, D.L.vo n. 385 del 1993; ne consegue che, laddove la fattispecie sia ricostruita come procedimento indiretto anormalmente solutorio (costituito dal mutuo e dall'utilizzazione della somma accreditata a quel titolo ad estinzione di preesistente credito del mutuante verso il mutuatario) e quindi il contratto di mutuo venga revocato, anche l'ipoteca perde la qualificazione, che deriva dal contratto, di ipoteca iscritta a garanzia del mutuo fondiario.

Cass. civ. n. 19088/2007

La rimessa effettuata da un terzo sul conto corrente del debitore, poi fallito, è, ai fini della revocatoria fallimentare, un atto neutro, poichè può trovare giustificazione tanto nell'adempimento di una propria obbligazione, se chi effettua la rimessa ha garantito l'esposizione del correntista, quanto ancora nell'adempimento di terzo dell'obbligazione del correntista; pertanto, la predetta rimessa non può essere valutata prescindendo dalle ragioni che hanno determinato il terzo ad effettuarla.

Cass. civ. n. 16994/2007

Proposta, nel quadro di un'azione revocatoria fallimentare, domanda di restituzione di effetti cambiari o in subordine di pagamento di somma corrispondente all'importo dei titoli, spetta alla banca, che eccepisca di non essere stata soddisfatta dai terzi obbligati cambiari, fornire la prova del mancato buon fine dell'operazione mediante la produzione dei titoli; in mancanza di tale prova, o di quella dell'impossibilità sopravvenuta della restituzione per cause diverse dal pagamento, la mancata restituzione, in considerazione dell'incorporazione del credito nei titoli, comporta l'obbligo di restituire le relative somme.

Cass. civ. n. 16383/2007

In tema di procedimento concorsuale di liquidazione coatta amministrativa, il termine di prescrizione dell'azione revocatoria decorre dalla data della dichiarazione giudiziale dello stato d'insolvenza quando tale pronuncia segua il decreto di liquidazione e nomina del commissario liquidatore, o dalla data di nomina di detto commissario, l'unico soggetto comunque legittimato all'esercizio della suddetta azione, se la dichiarazione dello stato d'insolvenza è precedente. (Nella fattispecie la S.C. ha pertanto cassato con rinvio la sentenza di appello, che aveva fatto decorrere il termine di prescrizione dalla data del decreto di ammissione alla liquidazione coatta amministrativa).

Cass. civ. n. 16381/2007

L'azione revocatoria fallimentare prevista dall'art. 67 legge fall. non viola la previsione, protetta dalle norme costituzionali di cui agli artt. 1,4, 35 e 36 Cost., del diritto del lavoratore nei confronti del datore di lavoro al pagamento degli emolumenti dovuti, in quanto si limita a collocarne il soddisfacimento nell'ambito di un sistema improntato al principio della par condicio creditorum al cui rispetto è finalizzata la stessa azione (come già affermato da Corte costituzionale 27 luglio 2000, n. 379).

Cass. civ. n. 16213/2007

In tema di azione revocatoria fallimentare, il requisito temporale del compimento dell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, previsto dall'art. 67, secondo comma, della legge fall., va accertato, nel caso di pagamento eseguito in adempimento di cambiali, in riferimento non già all'emissione o alla girata del titolo, che in quanto promessa di pagamento non ha l'effetto di soddisfare immediatamente il prenditore, ma alla riscossione del credito, che comporta la lesione della par condicio creditorum.

Cass. civ. n. 15960/2007

In tema di liquidazione coatta amministrativa, l'art. 203 legge fall. è deputato a identificare il periodo sospetto per l'esercizio dell'azione revocatoria ma non anche a dettare il regime dell'esercizio di tale azione, del termine della prescrizione — rectius di decadenza, alla luce di quanto dispone l'art. 69 bis, introdotto dall'art. 55 D.L.vo n. 5/2006 inapplicabile alla specie ratione temporis — e della sua decorrenza. Ne consegue che il termine per l'esercizio dell'azione revocatoria — secondo la disciplina anteriforma — va desunto dalla legge generale (art. 2903 c.c.) e, poiché per l'esercizio dell'azione in parola sono indispensabili la nomina del liquidatore, e la dichiarazione giudiziale di insolvenza, per la identificazione del dies a quo del corso della prescrizione occorre far riferimento ai due eventi congiunti dell'accertamento giudiziale predetto e del provvedimento che ordina la liquidazione.

Cass. civ. n. 15677/2007

La legittimazione all'esercizio dell'azione revocatoria di atti di disposizione patrimoniale compiuti a titolo personale dal socio illimitatamente responsabile compete anche al curatore della società, poichè l'effetto recuperatorio utilmente perseguito va a vantaggio dell'intero ceto creditorio e non dei soli creditori personali.

Cass. civ. n. 14676/2007

In tema di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario, l'indicazione dei conti correnti su cui sono stati effettuati i versamenti, del periodo sospetto da prendersi in considerazione e dell'importo complessivo delle rimesse suscettibili di revoca è sufficiente ad escludere la nullità dell'atto di citazione per indeterminatezza dell'oggetto, non risultando necessaria, ai fini dell'individuazione del petitum e della causa petendi anche la specificazione delle singole rimesse da prendere in considerazione, che la banca è in grado di individuare agevolmente, essendo in possesso di tutta la documentazione relativa alle operazioni effettuate dal correntista

Cass. civ. n. 11850/2007

In tema di azione revocatoria fallimentare, al fine di escludere che l'estinzione di un'obbligazione da parte del debitore mediante una prestazione diversa dal denaro costituisca una datio in solutum qualificabile come mezzo anormale di pagamento e quindi revocabile ai sensi dell'art. 67, secondo comma, della legge fall., non è sufficiente l'accertamento che tale possibilità sia stata prevista dalle parti all'atto della stipulazione del contratto, con la conseguente configurabilità della fattispecie come obbligazione alternativa o con facoltà alternativa; occorre infatti considerare anche la funzione della clausola contrattuale, e cioè verificare, in base al comportamento delle parti anche successivo alla stipulazione, se tale pattuizione sia stata da esse voluta a tutela dell'interesse del debitore, che non può normalmente liberarsi se non effettuando il pagamento, ovvero di un apprezzabile interesse del creditore, indipendente dal soddisfacimento del credito vantato, dovendo altrimenti ritenersi che essa costituisca uno strumento contrattuale preordinato ad assicurare al creditore la possibilità di sottrarsi alla legge del concorso. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale, in riferimento ad una concessione di vendita di autovetture, aveva escluso la revocabilità della restituzione dei veicoli venduti e non pagati, effettuata dal concessionario fallito al concedente a seguito dello scioglimento del contratto, limitandosi a rilevare che la possibilità di tale restituzione in luogo del pagamento era prevista dal contratto di concessione).

Cass. civ. n. 9143/2007

La revocatoria fallimentare del pagamento di debiti del fallito ex art. 67 legge fall. è esperibile anche quando il pagamento sia stato effettuato da un terzo, purché questi abbia pagato il debito con danaro dell'imprenditore poi fallito, ovvero con danaro proprio, sempre che, dopo aver pagato, abbia esercitato azione di rivalsa prima dell'apertura del fallimento. (Nella specie, è stata affermata la revocabilità del pagamento effettuato nei confronti della banca creditrice dal compratore di azioni — già costituite in pegno a favore della banca e liberate dal vincolo contestualmente alla vendita — detenute dalle consociate della società fallita, su istruzioni della fallita e con provvista fornita dalla stessa, che si era avvalsa del potere di direzione e coordinamento che poteva esercitare in virtù della sua qualità di holding nei confronti delle consociate ed aveva alienato la propria partecipazione di controllo delle consociate medesime, espressamente definite come società di portage allo scopo di consentire al compratore di acquisire, indirettamente, la piena disponibilità delle azioni).

Cass. civ. n. 5346/2007

Le esenzioni dalla revocatoria fallimentare previste dal terzo comma dell'art. 67 legge fall., come modificato dall'art. 2, comma 1, D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (conv., con modif., nella legge 14 maggio 2005, n. 80), non si applicano, ai sensi del comma 2 dell'art. 2 D.L. cit., alle azioni revocatorie proposte nell'ambito di procedure iniziate prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto, e ciò manifestamente non contrasta con il principio costituzionale di uguaglianza, trattandosi di scelta legislativa che incide in modo identico per tutti i rapporti sorti dopo la riforma, quale voluta dal legislatore alla stregua di una diversa valutazione pur sempre consentita dalla Costituzione.

Cass. civ. n. 5270/2007

In tema di revocatoria fallimentare di compravendita immobiliare, qualora risulti che l'atto pubblico trascritto, ricadente nell'ambito del «periodo sospetto» stabilito dall'art. 67 legge fall., ha la mera funzione di rendere il trasferimento della proprietà opponibile ai terzi (mediante la trascrizione), essendosi l'effetto traslativo del medesimo diritto verificato in virtù di una precedente scrittura privata avente data certa anteriore al periodo predetto, ai fini della collocazione cronologica dell'atto è alla data di tale scrittura che deve farsi riferimento, essendo questa la data in cui è stato compiuto l'atto e si è verificato il trasferimento della proprietà.

Cass. civ. n. 5265/2007

In tema di revocatoria fallimentare, l'efficacia della sentenza penale di assoluzione è disciplinata dall'art. 652 c.p.p. - sull'efficacia del giudicato penale nel giudizio civile di danno, cui è equiparabile l'azione revocatoria - secondo il quale la sentenza di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento e divenuta definitiva ha efficacia di giudicato nei confronti del danneggiato che si sia costituito o sia stato posto in condizioni di costituirsi P.C. nel processo penale, salvo che abbia esercitato l'azione in sede civile a norma dell'art. 75, secondo comma, c.p.p. (Nella fattispecie, la S.C. ha pertanto escluso l'efficacia, nel giudizio di revoca di pagamenti intrapreso dal curatore fallimentare nei confronti di una banca, del giudicato penale di assoluzione di un dipendente della stessa banca per esclusione del carattere fraudolento dell'operazione - giudicato allegato dalla convenuta a dimostrazione della sua inscientia decoctionis - non essendosi il curatore costituito P.C. nel giudizio penale).

Cass. civ. n. 5264/2007

Posta la diversità tra l'azione di inefficacia degli atti a titolo gratuito, ai sensi dell'art. 64 legge fall., e l'azione revocatoria ai sensi dell'art. 67 della stessa legge, incorre in extrapetizione il giudice di merito che accolga la prima azione quando, anche indipendentemente dalla qualificazione data dall'attore, sia stata, invece, in concreto proposta la seconda, non avendo l'attore allegato, a fondamento della domanda, la gratuità dell'atto: allegazione che può ritenersi non necessaria solo allorché l'atto impugnato abbia natura essenzialmente gratuita.

Cass. civ. n. 5058/2007

Nell'ipotesi di revocatoria ai sensi dell'art. 67, primo comma, n. 1, legge fallim. la proporzionalità tra le prestazioni delle parti deve essere verificata considerando le obbligazioni dedotte nel contratto, senza tener conto di successivi inadempimenti e del danno che ne sia eventualmente derivato, atteso che l'inadempimento di talune di dette obbligazioni è accadimento successivo all'accordo delle parti ed estraneo all'assetto dato, con il negozio concluso, ai loro interessi. (Nella fattispecie, relativa a compravendita immobiliare, la S.C. ha ritenuto irrilevante il ritardo nella consegna dell'immobile da parte del venditore e l'avvenuto pagamento dell'INVIM da parte del compratore quanto all'inadempimento, da parte del venditore, dell'obbligazione tributaria, che non era stata posta contrattualmente a carico del compratore).

Cass. civ. n. 5057/2007

In tema di azione revocatoria fallimentare, la cessione di un credito costituisce un mezzo anormale di pagamento, in quanto, sostituendo (o aggiungendo) un debitore ad un altro, lascia il credito almeno temporaneamente insoddisfatto, traducendosi quindi in un modo di estinzione dell'obbligazione solo potenziale, e comunque non di pronta soluzione, rispetto al quale risulta irrilevante l'eventuale conseguimento degli effetti sperati, trattandosi in ogni caso di un atto solutorio che non è considerato dalla legge né dalla prassi come un mezzo ordinario di pagamento. Natura eccezionale va infatti riconosciuta all'opponibilità delle cessioni al fallimento, prevista dall'art. 7 della legge 21 febbraio 1991, n. 52 e dall'art. 1, comma nono, del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 668, convertito in legge 31 gennaio 1986, n. 11, trattandosi di norme volte a favorire rispettivamente le operazioni di cessione in massa dei crediti d'impresa e l'assolvimento degli oneri previdenziali delle imprese. Nessun rilievo, infine, può assumere in proposito la certezza del realizzo del credito ceduto (nella specie, in quanto vantato nei confronti dello Stato), dal momento che l'anomalia dell'atto non va valutata soggettivamente, in relazione alla solvibilità maggiore o minore del debitore ceduto, ma oggettivamente, in ragione della non corrispondenza dello stesso alla tipologia degli atti che ordinariamente, per previsione normativa o alla stregua della comune prassi commerciale, si compiono per estinguere le obbligazioni, ove manchino pattuizioni coeve alla loro insorgenza che prevedano forme di adempimento diverse da quelle conosciute dalla legge.

Cass. civ. n. 4766/2007

In tema di azione revocatoria fallimentare, la prova della disponibilità da parte del fallito di un consistente patrimonio azionario ed immobiliare non è sufficiente ad escludere la sussistenza dello stato d'insolvenza, né la conoscenza dello stesso da parte del terzo contraente: l'esistenza di un cospicuo attivo, ancorchè in ipotesi sufficiente ad assicurare l'integrale soddisfacimento dei creditori, non esclude infatti di per sè la sussistenza dello stato di insolvenza, consistendo quest'ultimo in una situazione di impotenza economica che si realizza allorquando l'imprenditore non è più in grado di adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, in quanto sono venute meno le necessarie condizioni di liquidità e di credito; lo stato d'insolvenza del fallito costituisce d'altronde un requisito oggettivo della domanda soltanto dal punto di vista logico, in quanto dal punto di vista giuridico esso rimane assorbito nel requisito soggettivo della conoscenza dei relativi segni esteriori, la cui mancanza o insufficienza rileva non come prova della mancanza dello stato d'insolvenza (che potrebbe anche non sussistere), ma come prova della mancanza della relativa conoscenza.

Cass. civ. n. 4762/2007

In tema di contratti bancari, il «bonifico» (ossia l'incarico del terzo dato alla banca di accreditare al cliente correntista la somma oggetto della provvista) costituisce un ordine (delegazione) di pagamento che la banca delegata, se accetta, si impegna (verso il delegante) ad eseguire; da tale accettazione non discende, dunque, un'autonoma obbligazione della banca verso il correntista delegatario, trovando lo sviluppo ulteriore dell'operazione la sua causa nel contratto di conto corrente di corrispondenza che implica un mandato generale conferito alla banca dal correntista ad eseguire e ricevere pagamenti per conto del cliente, con autorizzazione a far affluire nel conto le somme così acquisite in esecuzione del mandato. Ne deriva che, secondo il meccanismo proprio del conto corrente, la banca, facendo affluire nel conto passivo il pagamento ricevuto dall'ordinante, non esaurisce il proprio ruolo in quello di mero strumento di pagamento del terzo, ma diventa l'effettiva beneficiaria della rimessa, con l'effetto ad essa imputabile (se l'accredito intervenga nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento, ricorrendo il requisito soggettivo della revocatoria fallimentare) di avere alterato la condicio creditorum.

Cass. civ. n. 2718/2007

In tema di revocatoria fallimentare, è opponibile alla massa dei creditori l'acquisizione al patrimonio dello Stato a titolo originario, per effetto della sopravvenuta confisca del bene disposta in un procedimento di prevenzione antimafia, ove il sequestro di prevenzione, che necessariamente precede la confisca, sia stato trascritto in data anteriore alla dichiarazione di fallimento. In tale ipotesi, infatti, gli effetti della confisca retroagiscono al momento del sequestro, secondo la ratio dell'art. 2906 c.c., che estende al creditore sequestrante la tutela riservata al creditore pignorante.

Cass. civ. n. 2692/2007

Con riferimento ad un'azione revocatoria fallimentare, promossa dal curatore di un fallimento aperto in Italia nei confronti di una banca straniera (nella specie, avente sede nella Repubblica di San Marino) in relazione alla avvenuta costituzione di garanzia in favore di quest'ultima, sussiste la giurisdizione del giudice italiano; infatti, a norma dell'art. 3, secondo comma, ultima parte, della legge 31 maggio 1995, n. 218, nelle materie escluse dall'ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, resa esecutiva con la legge 21 giugno 1971, n. 804, e successive modificazioni, tra le quali ricade la materia fallimentare, la giurisdizione del giudice italiano sussiste in base ai criteri di collegamento stabiliti per la competenza per territorio, e con specifico riferimento all'azione revocatoria fallimentare si determina in relazione al luogo di apertura del fallimento.

È applicabile la legge italiana con riferimento all'azione revocatoria promossa dalla curatela di un fallimento, dichiarato in Italia, nei confronti di un soggetto residente (o avente sede) in un paese extracomunitario (nella specie, la Repubblica di San Marino), giacché il rapporto inscindibile di questo tipo di azione, quantunque disciplinata anche da norme di diritto sostanziale, con la procedura fallimentare — rapporto che si manifesta sia nella genesi stessa di tale azione, sia nella funzione che essa è chiamata ad assolvere — comporta che la legge da cui è retta quella procedura debba essere la stessa da applicare all'azione che da essa promana (lex fori concursus), altrimenti rischiandosi di determinare disparità di trattamento tra creditori diversi e, pertanto, di compromettere una delle finalità salienti del procedimento esecutivo concorsuale.

Cass. civ. n. 1740/2007

In tema di sospensione necessaria del processo, non ricorrono i presupposti di cui all'art. 295 c.p.c. nel rapporto tra il giudizio avente ad oggetto la revocatoria fallimentare proposta contro l'acquirente di un immobile già di proprietà del fallito e l'opposizione all'esecuzione promossa da un terzo che abbia iscritto ipoteca sul medesimo bene; infatti, non solo non ricorre l'identità tra i soggetti, ma, per aversi pregiudizialità-dipendenza, l'azione pregiudiziale dovrebbe avere effetti restitutori, mentre il soggetto nei cui confronti è stata promossa l'esecuzione da parte del terzo non perde, a seguito di accoglimento dell'azione revocatoria, la titolarità del bene in se, ne il terzo il titolo per agire su tale bene.

Cass. civ. n. 574/2007

I pagamenti eseguiti in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 52 del 1991 sulla cessione dei crediti di impresa restano assoggettati, quanto al regime dell'azione revocatoria fallimentare, alla disciplina vigente anteriormente alla data di entrata in vigore di detta legge, ancorché il fallimento sia stato dichiarato in data successiva; pertanto non trova applicazione, riguardo ad essi, l'art. 6 legge cit. - che esclude la revocabilità dei pagamenti eseguiti in favore del cessionario del credito dal debitore ceduto, ammettendo invece l'esperibilità dell'azione (in presenza delle condizioni stabilite) nei confronti del creditore cedente - anche perché, diversamente opinando, verrebbe inciso il diritto acquisito dal cedente, in base al regime del tempo dell'avvenuto pagamento, di essere e di restare esente dalla revocatoria.

Cass. civ. n. 267/2007

L'applicazione retroattiva della nuova formulazione dell'art. 67 legge fallim., introdotta dal D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5, è esclusa in base all'art. 150 del medesimo decreto, e ciò manifestamente non contrasta con l'art. 3 Cost., atteso che rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire, rispetto a tutti i destinatari che versino in una certa situazione, la decorrenza della data di applicazione di una nuova disposizione di legge ed anche differirne l'entrata in vigore per esigenze di ordine generale.

Cass. civ. n. 26171/2006

In tema di revocatoria fallimentare di rimesse del fallito in un conto corrente bancario assistito da apertura di credito — in relazione alla quale, per determinare il carattere solutorio e quindi la revocabilità di una rimessa ex art. 67, secondo comma, legge fall., occorre stabilire se la rimessa stessa sia stata effettuata quando il saldo passivo del conto superava i limiti dell'affidamento —, l'effettiva disponibilità per il correntista degli assegni circolari, emessi da altre banche, versati sul conto si realizza, non alla data del versamento, ma soltanto nel momento in cui l'ammontare degli assegni entra in concreto sul conto, e quindi dopo che la banca emittente abbia effettivamente reso disponibile la somma relativa. Né — ad anticipare il computo ai fini del calcolo del saldo disponibile alla data del versamento — rileva la circostanza che la banca emittente abbia rilasciato il «beneemissione» vale a dire un attestato in ordine alla bontà dell'assegno circolare, dato che il «beneemissione» costituisce una garanzia immediata in ordine all'affidabilità dell'assegno rilasciata, anche telefonicamente, da parte della banca emittente, ma non influisce sulla materiale disponibilità della somma portata dall'assegno, la quale richiede pur sempre che l'assegno venga presentato alla banca emittente per l'incasso, per il tramite della stanza di compensazione.

Cass. civ. n. 26154/2006

Agli effetti dell'esercizio della revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67, primo comma, numero 2), del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, la cessione di credito non può ritenersi mezzo anormale di pagamento, ove non sia stipulata per estinguere un debito preesistente e scaduto, ma sia funzionalmente contestuale al sorgere del credito garantito, dovendo il concetto di contestualità essere inteso non in senso formale o semplicemente cronologico, bensì in senso preminentemente sostanziale e causale. (Fattispecie in tema di mandato all'incasso conferito contestualmente alla richiesta e al riconoscimento di un nuovo affidamento).

Cass. civ. n. 24051/2006

Nell'azione proposta ex art. 67, primo comma, legge fall., dal curatore fallimentare per la revoca della vendita di un appartamento di proprietà della società poi fallita, è escluso il litisconsorzio necessario in causa del coniuge dell'acquirente, divenuto comproprietario del bene, acquistato in regime di comunione legale. Detta azione, che mira alla declaratoria di inefficacia dell'atto di disposizione che ha depauperato la garanzia patrimoniale nella sua unitarietà, e non solo per la parte attribuita ex lege in proprietà all'acquirente, ha funzione conservativa, strumentale al ripristino del patrimonio del fallito, allo scopo di consentire che il bene in questione sia sottoposto alla esecuzione concorsuale. Ne consegue che il coniuge dell'acquirente che sia rimasto estraneo all'atto di trasferimento stipulato separatamente dall'altro, e che perciò non sia intestatario del bene, ma ne abbia acquistato la comproprietà ope legis in ragione del regime patrimoniale che assiste il suo rapporto coniugale, non ha legittimazione a resistere all'azione, poiché il suddetto effetto acquisitivo, prescindendo dalla volontà dei contraenti, non gli attribuisce per ciò solo la veste di parte del negozio. Nè, in caso di accoglimento della domanda, costui potrebbe impedirne gli effetti, poiché la pronuncia sarebbe destinata a travolgere l'atto nella sua interezza, e non solo per la porzione spettante in proprietà all'effettivo contraente, unico intestatario del bene, e parte in giudizio.

Cass. civ. n. 24046/2006

Nel contratto d'opera, l'anticipazione delle spese occorrenti per il compimento dell'opera e la corresponsione degli acconti dovuti secondo gli usi, previste dall'art. 2234 c.c., costituiscono manifestazione dell'obbligo di collaborazione che grava sul cliente al fine di mettere la controparte in grado di dare inizio all'opera e proseguirla, e rispondono alla finalità di mitigare la regola della postnumerazione, in virtù della quale il diritto al compenso matura solo a seguito dell'effettuazione di una prestazione tecnicamente idonea a conseguire il risultato cui è destinata: i relativi importi, pertanto, costituiscono oggetto di un debito liquido, in quanto determinato o determinabile in base ad accordi tra le parti o facendo ricorso agli usi, ed esigibile, in quanto il professionista ne può pretendere il pagamento, con la conseguenza che, se effettuato dal debitore fallito nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, il pagamento resta esposto alla revocatoria fallimentare, ai sensi dell'art. 67, secondo comma, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto assoggettabili a revocatoria fallimentare i pagamenti eseguiti dal fallito in favore di un avvocato a titolo di fondo spese ed acconto sul compenso dovuto per l'assistenza professionale fornita nella procedura di concordato preventivo).

Nella revocatoria fallimentare di debiti liquidi ed esigibili, prevista dall'art. 67, secondo comma, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, l'eventus damni è in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all'atto di disposizione patrimoniale posto in essere dal fallito, con la conseguenza che sul curatore grava soltanto l'onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell'accipiens mentre la circostanza che il pagamento sia stato effettuato per soddisfare un credito assistito da privilegio non esclude la possibile lesione della par condicio né fa venir meno l'interesse all'azione da parte del curatore, poiché è solo in seguito alla ripartizione dell'attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che potrebbero insinuarsi anche successivamente all'esercizio dell'azione revocatoria

Cass. civ. n. 23022/2006

In tema di opzione per l'acquisto di titoli azionari, anche nel caso in cui il patto di opzione relativo alla vendita sia associato ad un pactum de compensando tra il prezzo della vendita e il credito del titolare del diritto di opzione per altro titolo, il momento traslativo della vendita si determina per effetto dell'esercizio della opzione. Ne consegue che, ai fini della sussistenza dei presupposti dell'azione revocatoria fallimentare e della ricorrenza del periodo sospetto, occorre considerare il momento in cui è stata esercitata l'opzione e non il precedente negozio con il quale sono state regolate le modalità di esercizio della compensazione ed è stata concessa la opzione.

Cass. civ. n. 18945/2006

Nell'azione revocatoria fallimentare avente ad oggetto, quale mezzo anormale di pagamento, il mandato irrevocabile all'incasso di crediti verso terzi, rilasciato dall'imprenditore insolvente alla banca sua creditrice, non costituisce domanda nuova, bensì mera emendatio libelli ammissibile in grado di appello ai sensi dell'art. 345 c.p.c. (come novellato dalla legge n. 353 del 1990), la prospettazione di modalità diverse di rientro del credito della banca, atteso che ciò non dà luogo ad un mutamento del contenuto della domanda iniziale, costituita pur sempre dalla richiesta di revoca dei versamenti giustificata dalla loro natura solutoria e dal carattere non normale del mezzo di pagamento adottato. (La S.C. ha pertanto escluso che configurasse domanda nuova la deduzione, in appello, che le somme riscosse dalla banca in forza del mandato erano confluite inizialmente in un conto attivo ed erano state poi girocontate in atri conti del medesimo imprenditore, ad eliminazione della loro scopertura, mentre in primo grado era stato dedotto che il primo conto era esso stesso scoperto, senza fare riferimento ai giroconti).

Cass. civ. n. 17706/2006

L'azione revocatoria fallimentare esercitata dal curatore nei confronti di uno straniero (nella specie società di nazionalità tedesca ed avente sede in Germania) è disciplinata dalla legge che regola la procedura concorsuale, e non da quella che regola le azioni contrattuali, atteso che il giudizio si svolge non già fra le parti contraenti, ma fra una sola di esse - quella che si pretende favorita - ed il curatore fallimentare, il quale agisce in qualità di terzo e non già come successore del contraente fallito; che l'azione trova causa ed origine nella procedura fallimentare, come espressione del principio di concorsualità; che, rispetto alla decisiva rilevanza della finalità restitutoria dell'azione, non ha alcuna influenza la regolamentazione del negozio che ne è oggetto, i cui effetti vengono presi in considerazione solo nella prospettiva, interna alla procedura fallimentare, della difesa della par condicio creditorum. (La S.C. ha quindi statuito, in fattispecie di azione revocatoria di pagamento esercitata dal curatore fallimentare nei confronti di società di nazionalità tedesca ed avente sede in Germania, che era applicabile la legge italiana, precisando che a ciò non ostava il disposto degli artt. 4, par. 2, e 13 Reg. CE 29 maggio 2000, n. 1346/2000, peraltro nella specie inapplicabile ratione temporis).

Cass. civ. n. 16973/2006

L'accollo c.d. non allo scoperto — quando, cioè, l'accollante è obbligato verso il debitore e il suo pagamento vale ad estinguere, perciò, entrambi i debiti — rientra tra i possibili modi di pagamento del terzo soggetti a revocatoria fallimentare, e in tal caso l'effetto estintivo di entrambe le obbligazioni si verifica automaticamente con l'unico pagamento eseguito dal terzo accollante al creditore del suo creditore.

Cass. civ. n. 14831/2006

In tema di revocatoria fallimentare, il giudice può trarre elementi di prova in ordine alla scientia decoctionis del convenuto dalla relazione del curatore, la quale, per la finalità assegnatagli dalla legge di fornire ogni più ampio elemento di valutazione su tutto ciò che possa interessare la procedura concorsuale, costituisce una legittima fonte di informazione, che, ove non sia validamente contraddetta, ben può concorrere alla formazione del convincimento del giudice. Questi peraltro, se può ammettere le prove che le altre parti deducono per contrastare le risultanze di detta relazione, non è tenuto ad acquisirne d'ufficio per controllare la rispondenza al vero degli elementi di valutazione offerti dal curatore.

Cass. civ. n. 14279/2006

L'art. 203 della legge fallim. deve essere interpretato nel senso che il periodo sospetto per l'esercizio dell'azione revocatoria decorre in ogni caso (a ritroso) dal decreto di liquidazione, sia quando tale decreto precede sia quando segua la dichiarazione dello stato di insolvenza, perché, secondo quanto il comma primo dello stesso art. 203 dispone nella sua prima parte, l'azione revocatoria fallimentare non può essere esercitata prima dell'accertamento, pur non ancora definitivo, dello stato di insolvenza; sicché è dalla dichiarazione dello stato di insolvenza che decorre in ogni caso il termine di prescrizione. (Nella fattispecie la S.C. ha pertanto cassato con rinvio la sentenza di appello, che aveva fatto decorrere il termine di prescrizione dalla data del decreto di messa in liquidazione coatta amministrativa, precedente alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza).

Cass. civ. n. 13405/2006

Ai sensi degli artt. 17 e 18 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di rivalsa I.V.A., il cedente o chi presta servizi è tenuto a soddisfare una propria obbligazione e la circostanza che di riflesso acquisisca il diritto a rivalersi verso il cessionario o il committente determina in capo allo stesso l'insorgere di una pretesa di credito, che esercita in proprio, con la garanzia dei privilegi che la assistono e che è di natura e grado diversi, in sede concorsuale, rispetto a quella dell'erario. Ne consegue che se il cedente ha riscosso il credito, il pagamento ben può essere sottoposto all'azione revocatoria di cui all'art. 67, secondo comma, legge fall., avendo quella operazione rilevanza interna al rapporto tra soggetto passivo dell'imposta e il suo debitore in via di rivalsa, al quale è estraneo l'erario.

Cass. civ. n. 10117/2006

In tema di revocatoria fallimentare degli atti a titolo oneroso posti in essere nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, l'onere di provare la notevole sproporzione tra le prestazioni, che legittima la revoca dell'atto ai sensi dell'art. 67, primo comma, n. 1 della legge fallimentare, incombe sulla curatela, la quale è pertanto tenuta a fornire, in riferimento agli atti di alienazione, elementi idonei a dimostrare che il prezzo pattuito era notevolmente inferiore al valore reale del bene; all'inadempimento di detto onere non può sopperirsi attraverso la consulenza tecnica d'ufficio, la quale, costituendo uno strumento di controllo tecnico di elementi già acquisiti al processo e non altrimenti accertabili, non consente di alterare il regime probatorio del giudizio civile, con la conseguenza che, qualora dalla relazione del consulente non emergano elementi di fatto sufficienti per la determinazione del valore reale del bene, deve ritenersi giustificato il rifiuto del giudice di disporre la rinnovazione delle indagini, che in detto contesto verrebbero ad assumere una funzione meramente esplorativa e suppletiva.

Cass. civ. n. 9306/2006

In tema di revocatoria fallimentare, nel caso di costituzione in pegno di un certificato di credito, avente natura di titolo al portatore, a garanzia di un'apertura di credito, con riconoscimento alla banca garantita del potere di disporre del titolo, si configura una ipotesi di pegno irregolare, a fronte della quale, ove la banca abbia alienato il titolo soddisfacendosi sul ricavato per quanto dovutole a seguito della revoca dell'affidamento concesso al debitore, poi fallito, l'estinzione del credito vantato dalla banca si sottrae alla revocatoria fallimentare, giacché nel pegno irregolare — il quale implica che il creditore garantito acquisisca la somma portata dal titolo o dal documento, che dovrà restituire, in caso di inadempimento, solo nella parte eccedente l'ammontare del credito garantito — la compensazione costituisce la modalità tipica di esercizio della prelazione.

Cass. civ. n. 8874/2006

L'azione revocatoria fallimentare dei pagamenti attribuisce al curatore un diritto potestativo alla restituzione delle somme pagate in violazione della regola del concorso, che non muta la sua natura per il fatto di realizzarsi attraverso una sentenza costitutiva del tribunale fallimentare, o attraverso il riconoscimento del diritto medesimo, incondizionato o transattivo che sia, da parte dell'accipiente. Ne consegue che — a fronte di un contratto di fideiussione che preveda la sopravvivenza dell'obbligazione del fideiussore, nonostante il pagamento del debito da parte del debitore garantito, nel caso di revoca del pagamento stesso — il principio dell'interpretazione del contratto in base alla comune volontà delle parti, desumibile dal contenuto letterale delle loro dichiarazioni, non è violato dal giudice di merito che riferisca la previsione contrattuale, dell'eventuale revoca del pagamento, anche all'ipotesi di revoca accettata dal creditore accipiente, il quale restituisca agli organi del fallimento il pagamento ricevuto a seguito della conclusione di una transazione.

Cass. civ. n. 8516/2006

L'accordo con il quale i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, stabiliscano il trasferimento di beni immobili o la costituzione di diritti reali minori sui medesimi, rientra nel novero degli atti suscettibili di revocatoria fallimentare ai sensi degli artt. 67 e 69 legge fall., non trovando tale azione ostacolo né nell'avvenuta omologazione dell'accordo stesso, cui resta estranea la funzione di tutela dei terzi creditori e che, comunque, lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione; né nella pretesa inscindibilità di tale pattuizione dal complesso delle altre condizioni della separazione; né, infine, nella circostanza che il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore siano stati pattuiti in funzione solutoria dell'obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in contestazione, non già la sussistenza dell'obbligo in sé, di fonte legale, ma le concrete modalità di assolvimento del medesimo, convenzionalmente stabilite dalle parti. Tale conclusione si impone a fortiori allorché il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore non facciano parte delle originarie condizioni della separazione consensuale omologata, ma formino invece oggetto di un accordo modificativo intervenuto successivamente fra i coniugi, del quale esauriscano i contenuti. (Nella specie, con l'accordo impugnato, il coniuge poi fallito — assegnatario della casa coniugale alla stregua delle condizioni della separazione consensuale omologata —, a modifica di tali condizioni, aveva costituito a favore dell'altro coniuge, per tutta la durata della sua vita, il diritto di abitazione sulla predetta casa coniugale, ottenendo in cambio l'esonero dal versamento di una somma mensile, precedentemente pattuito a titolo di contributo alle spese per il reperimento di altro alloggio da parte del coniuge beneficiario).

Cass. civ. n. 7667/2006

Non è affetta da nullità per indeterminatezza dell'oggetto o della causa petendi, ai sensi del combinato disposto degli artt. 163, comma terzo, nn. 3 e 4, e 164, comma quarto, c.p.c. (nel testo novellato dalla legge n. 353 del 1990), la domanda di revocatoria fallimentare di pagamenti eseguiti in un periodo determinato, costituiti da rimesse di conto corrente bancario risultanti da estratto conto, del quale sia richiesta contestualmente al giudice di ordinare all'istituto di credito convenuto l'esibizione, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., essendo in tal caso — considerato anche l'implicito richiamo, da parte dell'attore, dei principi che regolano la revocatoria delle rimesse di conto corrente di natura solutoria — sufficientemente specificati gli elementi di cui al citato art. 163, comma terzo, nn. 3 e 4.

Cass. civ. n. 7028/2006

Ai fini della revoca della vendita di propri beni effettuata dall'imprenditore, poi fallito entro un anno, ai sensi dell'art. 67, comma secondo, legge fall. (nel testo originario, applicabile ratione temporis), l'eventus damni è in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum, ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all'uscita del bene dalla massa conseguente all'atto di disposizione; pertanto, grava sul curatore il solo onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell'acquirente, mentre la circostanza che il prezzo ricavato dalla vendita sia stato utilizzato dall'imprenditore, poi fallito, per pagare un suo creditore privilegiato (eventualmente anche garantito, come nella specie, da ipoteca gravante sull'immobile compravenduto) non esclude la possibile lesione della par condicio, né, fa venir meno l'interesse all'azione da parte del curatore, poiché è solo in seguito alla ripartizione dell'attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che successivamente all'esercizio dell'azione revocatoria potrebbero in tesi insinuarsi. (Nell'enunciare il principio in massima, la S.C. ha altresì precisato che la natura distributiva, e non indennitaria, dell'azione prevista dal comma secondo dell'art. 67 è rimasta ferma anche dopo la riforma della disciplina della revocatoria fallimentare operata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge 14 maggio 2005, n. 80, il cui art. 2 si è limitato a dimezzare il «periodo sospetto» con l'introduzione di talune eccezioni alla regola, implicitamente confermative quindi della stessa).

Cass. civ. n. 4705/2006

Ai fini della revocatoria fallimentare degli atti compiuti dal socio illimitatamente responsabile di una società di persone, dichiarato fallito per effetto del fallimento sociale, la scientia decoctionis va riscontrata con riferimento all'insolvenza della società, considerato che è quest'ultima insolvenza a determinare il fallimento del socio come conseguenza automatica della sua illimitata responsabilità per i debiti sociali, indipendentemente dalla sussistenza, o meno, di un suo stato di insolvenza personale. Ne consegue che anche l'onere della prova della inscientia decoctionis, che grava sul convenuto nel caso di domanda di revocatoria fallimentare proposta a norma dell'art. 67, comma primo, legge fall., ha come termine di riferimento, non già lo stato di insolvenza del socio suddetto, bensì quello della società alla quale l'autore dell'atto di disposizione partecipi in regime di responsabilità illimitata. (Fattispecie in tema di domanda di revoca, ex art. 67, comma primo, n. 4, legge fall., di ipoteca giudiziale iscritta su beni immobili appartenenti a soci di una società di fatto, successivamente dichiarata fallita).

Cass. civ. n. 2990/2006

L'esenzione dall'azione revocatoria ai sensi dell'art. 67 legge fall. prevista, per i pagamenti effettuati dal debitore ceduto al cessionario, dall'articolo 6 della legge n. 52 del 1991 (recante disciplina della cessione dei crediti d'impresa) è inapplicabile esclusivamente allorché la fattispecie legale che dà origine all'azione — comprensiva tanto del pagamento reputato inefficace quanto della sentenza dichiarativa del fallimento — si sia completata anteriormente alla data dell'entrata in vigore della norma esonerativa, in ossequio al generale canone secondo cui lo ius superveniens, in difetto di espressa previsione di retroattività (o di naturale retroattività, come per le norme di interpretazione autentica), non è idoneo a travolgere diritti sostanziali già insorti nel vigore della precedente disciplina, incidendo, ora per allora, sui relativi elementi genetici; per le fattispecie completatesi, invece, successivamente a tale data, l'esenzione si applica con riguardo ai pagamenti sia spontanei che coattivi, non essendovi alcun argomento, letterale, logico o sistematico, che induca a ritenere che il sostantivo «pagamento» sia stato utilizzato, nell'art. 6 della legge n. 52 del 1991, in un senso diverso e più ristretto rispetto a quello che il medesimo vocabolo assume nella cornice della previsione dell'art. 67 legge fall., peraltro testualmente richiamata.

Cass. civ. n. 1187/2006

Qualora l'apertura di credito bancario risulti in concreto pattuita, per effetto di collegamento fra più negozi - in ipotesi, in forza di contestuale cessione pro solvendo di crediti verso terzi, e rimessa sul conto corrente della somma riscossa dal debitore ceduto - tendenti non già ad assicurare liquidità al cliente, ma a coprire una sua pregressa esposizione debitoria, il versamento rappresenta ex se mezzo anomalo di pagamento, suscettibile di revocatoria in base all'art. 67, comma 1, n. 2, della legge fall., quale atto di disposizione idoneo ad incidere negativamente sulla garanzia patrimoniale del debitore, siccome teso a perseguire il risultato satisfattivo per il creditore.

Cass. civ. n. 1060/2006

L'inclusione da parte di una banca nel conto corrente del cliente di somme ad essa rimesse da terzi, per effetto di mandato all'incasso (sia esso o non in rem propriam) conferitole dal cliente medesimo, non realizza un'obbligazione autonoma della banca, ex mandato di rimettere al mandante le somme riscosse, ma, determinando, nell'ambito dell'unitario complesso rapporto di conto corrente, una variazione quantitativa del debito del correntista, non inquadrabile nello schema della compensazione legale che presuppone l'autonomia delle reciproche obbligazioni, configura secondo l'intento pratico perseguito dalle parti, o un atto ripristinatorio della disponibilità del correntista, ovvero un atto direttamente solutorio delle somme mutuate dalla banca al cliente ed addebitate nel conto, con la conseguenza, in questa seconda ipotesi, che, sopravvenuto il fallimento del correntista, quelle rimesse, in quanto atti estintivi di debiti, sono assoggettabili a revocatoria, ai sensi dell'art. 67, secondo comma, legge fall.

Cass. civ. n. 889/2006

L'adempimento del terzo, di cui all'art. 1180 c.c., non è inquadrabile nella previsione dell'art. 67, primo comma, legge fall., in quanto rientrano nella categoria di atti revocabili contemplati dalla predetta norma i contratti commutativi stipulati dall'imprenditore poi dichiarato fallito, qualora ricorra il requisito della notevole sproporzione tra le reciproche prestazioni, mentre, nel caso dell'adempimento del terzo, sussiste un contratto commutativo stipulato tra altri soggetti, in cui il terzo, poi dichiarato fallito, interviene solo come soggetto legittimato ad adempiere, e, quindi, non nella fase genetica, ma solo in quella di attuazione del negozio giuridico.

Cass. civ. n. 20101/2005

Qualora, tramite un'operazione di giroconto, la somma erogata in via di anticipazione da una banca su un conto corrente di corrispondenza, a fronte della rimessa di effetti salvo buon fine da parte del cliente, venga riaccreditata su altro conto corrente scoperto del medesimo cliente, l'operazione non assume natura puramente contabile, ma funzione satisfattoria, venendo l'accredimento utilizzato ad estinzione dello scoperto, con la conseguenza che la rimessa è soggetta a revocatoria fallimentare, senza che possa sostenersi, in senso contrario, che l'estinzione del pregresso debito è frutto di lecita compensazione tra i saldi attivi e passivi di più conti — sottratta come tale alla revocatoria — non essendosi al cospetto di una compensazione in senso tecnico giuridico, ma di mera operazione di conguaglio, e non potendo comunque la compensazione avvenire tramite utilizzazione di introiti da anticipazioni bancarie concesse al medesimo debitore, ossia costituendo corrispondente passività su altro conto.

Cass. civ. n. 19894/2005

In tema di revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente, effettuate entro l'anno anteriore all'apertura della procedura concorsuale, deve ritenersi che il sistema informativo della Centrale dei rischi consente agli istituti di credito di conoscere elementi indicativi della situazione di insolvenza dei soggetti finanziati, quali la revoca degli affidamenti e l'emissione di decreti ingiuntivi. Tale sistema è, infatti, regolato da norme di legge e da disposizioni emanate dal Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio e dalla Banca d'Italia e si fonda sull'obbligo posto a carico degli intermediari partecipanti — a pena di sanzioni amministrative pecuniarie previste dall'art. 144 del D.L.vo 1° settembre 1993 n. 385 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) — di segnalare mensilmente i rapporti di credito superiori a un certo importo in essere con la propria clientela. Da siffatta disciplina, deve quindi dedursi che la segnalazione dei crediti appostati a sofferenza, quali quelli rivenienti da conti affidati revocati o oggetto di iniziative giudiziarie di recupero, è usualmente praticata da tutti gli intermediari creditizi e che un banchiere, anche solo minimamente avveduto, sia solito compulsare tale fonte di informazione prima di concedere o rinnovare l'affidamento a un proprio cliente. (In base a detto principio, la Suprema Corte ha censurato l'affermazione del giudice del merito secondo cui l'assunto della curatela circa la conoscenza, acquisita dalla banca convenuta in revocatoria attraverso la Centrale dei rischi, della revoca degli affidi e della emanazione di decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi nei confronti dello stesso soggetto finanziato, era basata su una praesumptio de praesumpto ossia sulla doppia presunzione che gli istituti bancari avessero effettivamente segnalato alla Centrale dei rischi il passaggio dei loro crediti a sofferenza e che la banca interessata ne fosse venuta a conoscenza debitamente utilizzando tale strumento informativo).

Cass. civ. n. 19215/2005

Il pagamento dei compensi ed i versamenti a titolo di fondo spese eseguiti dal debitore, poi fallito, in favore del proprio difensore nel procedimento per la dichiarazione del fallimento non sono sottratti alla revocatoria fallimentare, ed è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tale regola, per violazione del diritto di difesa sotto il profilo della dissuasione di qualsiasi difensore dall'assumere l'incarico difensivo, atteso che le difficoltà cui potrebbe di fatto andare incontro l'imprenditore nella ricerca di un avvocato disposto a difenderlo nella fase prefallimentare, oltre ad essere meramente ipotetiche ed eventuali, non dipendono dal contesto normativo (nel quale, del resto, il legislatore non ha mancato di riconoscere un grado di privilegio ai crediti dei professionisti), bensì dalle oggettive difficoltà economiche in cui lo stesso imprenditore si sia venuto a trovare, e che, qualora, in determinate e specifiche situazioni, tali difficoltà risultino davvero tali da non consentire al debitore di rinvenire un avvocato disposto a farsi carico della necessaria assistenza legale, il diritto di difesa troverebbe comunque tutela nell'istituto del patrocinio a spese dello Stato.

Cass. civ. n. 17590/2005

La natura consensuale del contratto di cessione di credito comporta che esso si perfeziona per effetto del solo consenso dei contraenti, cedente e cessionario, ma non anche che dal perfezionamento del contratto consegua sempre il trasferimento del credito dal cedente al cessionario, in quanto, nel caso di cessione di un credito futuro, il trasferimento si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza e, anteriormente, il contratto, pur essendo perfetto, esplica efficacia meramente obbligatoria; pertanto, nel caso di cessione di crediti futuri e di sopravvenuto fallimento del cedente, la cessione, anche se sia stata tempestivamente notificata o accettata ex art. 2914 n. 2 c.c., non è opponibile al fallimento se, alla data della dichiarazione di fallimento, il credito non era ancora sorto e non si era verificato l'effetto traslativo della cessione.

Cass. civ. n. 16874/2005

In tema di azione revocatoria fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo fideiussore sul conto corrente dell'imprenditore, poi fallito, non sono revocabili ai sensi dell'art. 67, secondo comma, della legge fallimentare, quando risulti che attraverso la rimessa il terzo non ha posto la somma nella disponibilità giuridica e materiale del debitore, ma — senza utilizzare una provvista del debitore e senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento — ha adempiuto in qualità di terzo fideiussore l'obbligazione di garanzia nei confronti della banca creditrice. Infatti, in questa ipotesi il pagamento è effettuato dal garante allo scopo di adempiere l'obbligazione di garanzia, autonoma, ancorché accessoria e di contenuto identico rispetto all'obbligazione principale, per evitare le conseguenze cui resterebbe esposto per effetto dell'inadempimento, mentre la modalità del pagamento non determina, di per sè, l'acquisizione della disponibilità della somma da parte del titolare del conto corrente — perchè essa è soltanto contabile ed è priva di autonomia rispetto all'estinzione del debito da parte del terzo —, non incide sulla provenienza della somma dal terzo e sulla causa del pagamento (estinzione dell'obbligazione fideiussoria, in difetto di una diversa imputazione) e perciò non viola la par condicio creditorum.

Cass. civ. n. 14376/2005

Con riguardo agli atti costitutivi di garanzia per debito altrui (nella specie, costituzione di pegno su titoli da parte di una società a garanzia delle obbligazioni contestualmente assunte da altra società del medesimo gruppo in dipendenza di contratti di leasing), la presunzione di onerosità prevista per l'azione revocatoria ordinaria dall'art. 2901, secondo comma, c.c. — in forza del quale le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso quando sono contestuali al sorgere del credito garantito — si applica anche alla revocatoria fallimentare, considerate, da un lato, l'identità della natura e del fondamento giuridico delle due azioni; e, dall'altro, la circostanza che il carattere oneroso della prestazione di garanzia va apprezzato, non nella sola prospettiva del fallito garante, ma anche in quella del creditore, rispetto al quale la costituzione della garanzia, ove contestuale all'erogazione del credito, si pone in naturale relazione di corrispettività con quest'ultima. Né la presunzione in parola può ritenersi logicamente incompatibile con l'inclusione fra gli atti soggetti a revocatoria fallimentare, in base all'art. 67 legge fall., sia di prestazioni di garanzia non contestuali (primo comma, nn. 3 e 4) che contestuali (secondo comma), e la separata previsione nell'art. 64 legge fallim. dell'inefficacia degli atti a titolo gratuito: l'art. 2901, secondo comma, c.c. fissa, infatti, una presunzione di onerosità per le prestazioni di garanzia contestuali, ma non stabilisce affatto una presunzione di gratuità per le prestazioni non contestuali, la cui onerosità o meno va dunque apprezzata caso per caso. (In applicazione dell'enunciato principio, la Corte di cassazione ha quindi escluso che atti del genere di quello impugnato possano ritenersi inefficaci a norma dell'art. 64 legge fall., quali atti a titolo gratuito, salva la loro eventuale revocabilità a norma dell'art. 67, secondo comma, della stessa legge: conclusione resa esplicita dalla modifica di quest'ultima disposizione operata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35). *

Cass. civ. n. 11224/2005

In materia di azione revocatoria fallimentare di un contratto di compravendita stipulato da una società di capitali, successivamente assoggettata ad una procedura concorsuale (nella specie, alla amministrazione straordinaria), con altra società di capitali, la circostanza che i soci di quest'ultima siano i figli del legale rappresentante della società venditrice e che uno di essi faccia anche parte del consiglio di amministrazione di quest'ultima costituisce un elemento ragionevolmente indicativo di una gestione unitaria e familiare delle due società, con la conseguenza che può ritenersi che il contratto, nonostante la diversità formale dei soggetti stipulanti, sia stato deciso da un unico centro di interessi. (Nella specie, la S.C. ha cassato per vizio della motivazione la sentenza impugnata, che non aveva ritenuto la succitata circostanza elemento sufficiente a provare la scientia decoctionis da parte della società acquirente).

Cass. civ. n. 10432/2005

Al fine di vincere la presunzione semplice di conoscenza dello stato d'insolvenza posta dal primo comma dell'art. 67 della legge fallimentare a favore del curatore, l'onere della prova contraria gravante sul convenuto in revocatoria non ha contenuto meramente negativo, equivalente alla mancanza della prova positiva della conoscenza, e non può quindi essere assolto con la mera dimostrazione dell'assenza di circostanze idonee ad evidenziare lo stato d'insolvenza, occorrendo invece la positiva dimostrazione che, nel momento in cui è stato posto in essere l'atto revocabile, sussistessero circostanze tali da fare ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l'imprenditore si trovava in una situazione normale di esercizio dell'impresa, e tale prova deve essere ancora più rigorosa quando le circostanze rivelino una accentuata «anormalità» dell'atto di disposizione patrimoniale oggetto della revocatoria. Ne consegue che, come la presenza di protesti cambiari e di procedure esecutive individuali può in concreto non assurgere a decisiva rilevanza ai fini della prova positiva della scientia decoctionis, così la certezza della esclusione di quest'ultima non può essere affidata esclusivamente all'assenza di tali elementi, che, pur essendo indizi rivelatori di insolvenza, non ne sono tuttavia gli unici sintomi.

Cass. civ. n. 7074/2005

Le rimesse effettuate sul conto corrente scoperto del fallito, nel periodo in cui questi era in bonis, da parte di terzi debitori del medesimo sono revocabili anche qualora siano inerenti ad anticipazioni su fatture esibite dal fallito in quanto, in mancanza della cessione di detti crediti alla banca e dell'assunzione da parte del terzo di obbligazioni nei confronti della medesima, le rimesse hanno funzione satisfattoria, in quanto riducono l'esposizione debitoria del cliente nei confronti della banca.

Cass. civ. n. 351/2005

L'azione revocatoria fallimentare dei pagamenti effettuati dal fallito nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (art. 67, secondo comma, legge fall.) e l'azione diretta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia dei pagamenti eseguiti successivamente alla apertura della procedura concorsuale (art. 44, primo comma, legge fall.), costituiscono due azioni diverse in riferimento all'elemento soggettivo - in quanto soltanto nella prima è richiesta la scientia decoctionis da parte dello accipiens - ed al tempo in cui è stato eseguito il pagamento con riguardo alla data della dichiazione di fallimento, e pertanto stabilire quale delle due azioni sia stata proposta, ovvero se siano state proposte entrambe, costituisce una questione di interpretazione della domanda, incensurabile in sede di legittimità se sorretta da una motivazione congrua, coerente ed immune da vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 24084/2004

Le operazioni bilanciate suppongono l'esistenza di accordi tra banca e cliente, che giovino a caratterizzare la rimessa, piuttosto che come operazione di rientro, come una specifica provvista per una operazione speculare a debito, sia essa di pagamento a favore di terzi, ovvero di prelievo da parte del cliente, in relazione ad un ordine ricevuto ed accettato o ad una incontestata manifestazione di volontà, sicché il versamento su conto scoperto conserva in linea generale la natura solutoria, anche alla luce delle norme sui conti correnti di corrispondenza, salvo che non sia intervenuta una pattuizione di segno contrario la quale impedisca al credito della banca di essere esigibile e alla rimessa di assumere la funzione di pagamento, specie là dove (come nel caso in specie esaminato) le operazioni a debito per il cliente (assegni tratti su quel conto), abbiano preceduto il versamento, al punto da conferire ad esso l'ordinario valore solutorio che ha ogni rimessa a fronte di conti privi di affidamento o in quel momento scoperti.

Cass. civ. n. 23714/2004

Qualora un debito pecuniario, scaduto ed esigibile, venga estinto dall'obbligato mediante una prestazione diversa, consistente nel trasferimento di una res pro pecunia la ricorrenza di una datio in solutum ed il suo conseguente assoggettamento, in considerazione della non normalità del mezzo di pagamento, ad azione revocatoria fallimentare a norma dell'art. 67, primo comma, numero 2), legge fall., va riconosciuta indipendentemente dallo strumento negoziale adottato dalle parti per attuare il suddetto trasferimento, e, quindi, anche quando il trasferimento medesimo sia effetto di un valido contratto di compravendita, che evidenzi l'indicato intento dei contraenti per la mancata corresponsione del prezzo di vendita. (Nella specie la società fallita, conduttrice di un magazzino ad essa concesso in leasing, dopo avere esercitato il diritto di riscatto, reso possibile dall'avvenuto pagamento dei canoni di locazione e del prezzo di riscatto da parte di un terzo avallante, aveva venduto a detto terzo, di cui essa era divenuta debitrice, il bene acquistato per un controvalore pari al prezzo di riscatto e all'importo dei canoni; enunciando il principio di cui in massima, la Corte Cass. osserva che la vendita del bene al terzo garante per un controvalore pari al prezzo di riscatto e all'importo dei canoni costituiva pagamento di un debito scaduto ed esigibile, effettuato non con denaro, ma con il trasferimento della res avendo il terzo creditore acquistato la proprietà dell'immobile a fronte della contestuale estinzione del debito maturato dalla fallita per il pagamento del canone e del prezzo di riscatto, restando in tal modo integrata la fattispecie prevista dall'art. 67, primo comma, numero 2, legge fall.).

Cass. civ. n. 23016/2004

Gli atti a titolo oneroso che possono costituire oggetto di revocatoria fallimentare, ai sensi dell'art. 67, secondo comma, legge fall. sono tutti quelli che incidono sul patrimonio del fallito e sono idonei a recare pregiudizio alla massa dei creditori, anche se non determinano l'immediato trasferimento di un bene di proprietà del fallito e, quindi, è revocabile il contratto preliminare di compravendita di un immobile, in quanto la norma che attribuisce al curatore fallimentare la facoltà di sciogliersi dal medesimo opera su un diverso piano e prescinde dall'esistenza delle condizioni stabilite per l'esercizio dell'azione revocatoria, sicché, nel caso di accoglimento della domanda, il contraente in bonis è tenuto a restituire le somme eventualmente ricevute, indipendentemente dalla data in cui sono stati effettuati i pagamenti, in quanto la revoca del contratto determina il venire meno della causa dell'attribuzione patrimoniale. (Nella specie, la sentenza impugnata aveva ritenuto irrilevante la circostanza che le somme fossero state versate a titolo di caparra, in occasione della stipula di un precedente contratto preliminare di vendita, in seguito risolto consensualmente, nel confermare tale decisione, la Corte Cass. ha sottolineato la rilevanza esclusiva della data di stipula del preliminare, non occorrendo avere riguardo, invece, alla data del versamento della caparra in favore del promittente venditore).

Cass. civ. n. 21237/2004

In tema di revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario, ove il titolo giuridico della rimessa (il quale è determinante per la individuazione degli effetti e della disciplina applicabile, non avendo l'inclusione nel conto carattere novativo) sia rappresentato dal realizzo di un pegno irregolare, costituito a garanzia dell'obbligazione restitutoria derivante da un finanziamento concesso dalla banca, non si configura un'ipotesi di pagamento (come tale revocabile ai sensi dell'art. 67, secondo comma, legge fall.), bensì un'ipotesi di compensazione (consentita ai sensi dell'art. 56 legge fall.), perchè nel pegno irregolare il creditore garantito acquista non la mera disponibilità, bensì la proprietà delle cose fungibili che ne sono oggetto ed assume l'obbligo di restituire, alla scadenza dell'obbligazione principale, una somma equivalente al valore delle cose costituite in pegno, se il debitore adempie l'obbligazione principale, ovvero una somma pari all'eventuale eccedenza del loro valore rispetto a quello della prestazione dovuta, se tale obbligazione rimane inadempiuta; sicché l'inadempimento del debitore determina la coesistenza di debiti reciproci tra il debitore stesso e il creditore garantito, che vengono ad estinguersi «per le quantità corrispondenti» (art. 1241 c.c.) secondo i principi, appunto, della compensazione, la cui applicazione non può trovare ostacolo nella circostanza che le due obbligazioni reciproche siano riconducibili ad un medesimo titolo o a titoli collegati, poiché esse non si pongono in una relazione di corrispettività.

Cass. civ. n. 18998/2004

In tema di revocatoria fallimentare di rimesse di conto corrente eseguite da un terzo — nella dedotta (dall'accipiens) veste di fideiussore — sul conto del fallito, se pure deve ammettersi che il principio di autonomia contrattuale consente che il fideiussore di uno scoperto di conto corrente estingua la propria obbligazione in modo indiretto, ossia mediante accreditamento della somma sul conto del debitore, anziché in modo diretto, è cioè mediante versamento alla banca creditrice, è altresì vero che l'esistenza del suddetto rapporto di garanzia, costituente la prospettata causale del versamento del terzo, sul conto corrente del debitore poi fallito e nel periodo sospetto, non può essere presunta, ma dev'essere fatta oggetto di una prova che non soltanto è a carico del creditore destinatario finale del pagamento, ma dev'essere data nei modi di cui all'art. 2704 c.c. (prova documentale munita di data certa), atteso che il curatore fallimentare deve ritenersi terzo portatore degli interessi della massa; e la presunzione che il versamento sia stato effettuato dal terzo nell'adempimento dell'obbligo di garanzia può fondarsi soltanto sulla certezza dell'esistenza di un tale obbligo, oltre che sull'inesistenza di debiti del terzo nei confronti del fallito.

Cass. civ. n. 18573/2004

L'accoglimento dell'azione revocatoria fallimentare (nella specie, relativa al trasferimento di partecipazioni sociali) non determina alcun effetto restitutorio in favore del disponente fallito né, tantomeno, alcun effetto traslativo in favore della massa dei creditori, ma comporta, viceversa, la (sola) inefficacia (relativa) dell'atto rispetto alla massa dei creditori, rendendo il bene trasferito assoggettabile all'esecuzione concorsuale, senza peraltro caducare, ad ogni altro effetto, l'atto di alienazione nei confronti dell'acquirente.

Cass. civ. n. 18570/2004

Ove l'azione revocatoria venga proposta ai sensi dell'art. 67, primo comma, n. 1, legge fall., con riferimento ad un atto traslativo il cui effetto si sia interamente prodotto, pur se le prestazioni ulteriori a carico del venditore fallito siano state solo in parte adempiute, il giudizio di proporzionalità del prezzo contrattuale va compiuto con riferimento alle prestazioni eseguite. (Nella fattispecie, relativa a vendita di un immobile in cui il venditore, poi fallito, aveva ceduto il bene assumendo l'ulteriore obbligazione di eseguire opere di completamento e rifinitura, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva determinato la sproporzione tra le reciproche prestazioni delle parti comparando il valore dell'immobile come completato e rifinito dall'acquirente — nell'inadempimento della relativa obbligazione da parte del venditore — e il prezzo dal lui corrisposto)

Cass. civ. n. 18439/2004

Non è revocabile, ai sensi dell'art. 67, primo comma n. 2, legge fall., il pagamento eseguito, nel periodo sospetto, in base ad apposita convenzione trilaterale, mediante versamento diretto al creditore pignoratizio, da parte dell'acquirente del bene dato dal debitore in pegno non revocabile perché consolidato, del prezzo dello stesso, atteso che in tal modo il creditore esercita il proprio diritto alla realizzazione del pegno, la cui costituzione non è più attaccabile con l'azione revocatoria fallimentare, e la revoca del pagamento produrrebbe l'effetto di una indiretta revoca della garanzia.

Cass. civ. n. 17892/2004

In tema di revocatoria fallimentare di rimesse su conto corrente (nel quale sia stata regolata l'apertura di credito bancario), mentre è revocabile il pagamento (accreditato su conto scoperto) pur se la somma relativa provenga da separato negozio di finanziamento concluso con la stessa banca proprio al fine del ripianamento dello scoperto di quel conto, non lo è invece, non rivestendo natura di rimessa solutoria, la mera operazione di rinnovo di pagherò cambiario scaduto (con il solo effetto, apprezzabile sotto il profilo economico-patrimoniale, dell'addebito degli interessi in rapporto al termine prorogato), atteso che detta operazione non implica un distinto finanziamento operato dalla stessa banca e non comporta erogazione alcuna di danaro diretta a confluire nel conto scoperto, indipendentemente dalla tecnica di annotazione contabile della operazione che sia stata adottata (nella specie, addebito dell'importo della cambiale scaduta e accredito della minor somma pari alla differenza tra lo stesso importo e gli interessi calcolati in deduzione). (Principio espresso in fattispecie di cambiale agraria diretta).

Cass. civ. n. 17691/2004

In tema di prova civile, la contestazione sulla mancanza di data certa nella scrittura privata si configura come eccezione in senso stretto che, in quanto tale, può essere proposta solo dalla parte. Pertanto, in ipotesi di revocatoria fallimentare, compete al curatore — che è parte in tale giudizio e che dal complesso dei dati sottoposti al suo esame può correttamente identificare il momento genetico dell'atto (e quindi la sua antecedenza o meno alla dichiarazione di fallimento) — proporre l'eccezione dell'assenza di data certa nella scrittura privata contestata.

Cass. civ. n. 17524/2004

In tema di revocatoria fallimentare, la legge in nessun caso richiede l'accertamento di un'effettiva incidenza dell'atto che ne è oggetto sulla par condicio creditorum sicché è evidente che la funzione dell'azione revocatoria fallimentare è esclusivamente quella di ricondurre al concorso chi se ne sia sottratto, e ciò esclude anche che un'effettiva lesione della par condicio creditorum possa assumere rilevanza sotto il profilo dell'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), essendo evidente che l'interesse del curatore ad agire ha natura procedimentale, in quanto inteso ad attuare il pari concorso dei creditori, e va accertato con riferimento al momento della proposizione della domanda, perché si fonda sul già dichiarato stato di insolvenza del debitore, non sui prevedibili esiti della procedura concorsuale, mentre potrebbe assumere rilevanza solo l'eventuale impossibilità di qualificare come «bene» la cosa oggetto dell'azione. (Nella fattispecie, relativa a donazione di azioni e quote di società di capitali dichiarata inefficace dal giudice di merito, la S.C., affermando il principio di cui alla massima, ha respinto il ricorso del donatario che deduceva il difetto di interesse del curatore, attesa la mancanza di valore dei cespiti donati).

Cass. civ. n. 17213/2004

In tema di revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67, secondo comma, legge fall., l'elemento soggettivo — da provare — della conoscenza, da parte dell'accipiens dello stato di insolvenza in cui versava il tradens al momento dell'atto da revocare è costituito dalla conoscenza effettiva di tale stato, ed in tale ambito deve svolgersi l'indagine del giudice di merito, sia pure utilizzando elementi che attengono alle mera conoscibilità, ma, in tal caso, attraverso il necessario collegamento costituito da circostanze concrete che consentano di affermare l'avvenuta percezione, da parte dell'accipiens dei sintomi conoscibili dello stato di insolvenza, e non già con il riferimento ad un comportamento omissivo colposo che abbia dato luogo a tale mancata percezione.

Cass. civ. n. 14964/2004

Poiché la legge 29 febbraio 1988, n. 48, nel convertire il D.L. 30 dicembre 1987, n. 536, ha, all'art. 1, comma secondo, fatto salvi, ai sensi dell'art. 77, ultimo comma, Cost., non solo gli atti, i provvedimenti e i rapporti sorti sulla base dei D.L. 28 aprile 1987, n. 156, 27 giugno 1987, n. 244, 28 agosto 1987, n. 358 e 30 ottobre 1987, n. 442, non convertiti, ma anche gli effetti prodotti dai medesimi decreti, devono ritenersi non assoggettabili all'azione revocatoria di cui all'art. 67 legge fallimentare i pagamenti effettuati per contributi sociali a favore degli enti gestori effettuati nella vigenza dei D.L. non convertiti, che detta previsione contenevano.

Cass. civ. n. 13646/2004

In tema di revocatoria fallimentare proposta a norma dell'art. 67, secondo comma, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, l'onere del curatore di provare che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore non esclude che il giudice possa desumere il proprio convincimento in proposito da ogni elemento acquisito al processo, pur se non specificamente e direttamente fornito dal curatore, avvalendosi quindi di presunzioni ricavate da elementi indiziari caratterizzati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, idonei in quanto tali ad operare un concreto collegamento del creditore con i sintomi conoscibili dallo stato di insolvenza.

Cass. civ. n. 13116/2004

Nella revocatoria fallimentare ai sensi del primo comma dell'art. 67 legge fall. di atti compiuti dal socio illimitatamente responsabile di società di persone dichiarato fallito assieme alla società, l'onere della prova della inscientia decoctionis, gravante sull'accipiens attiene — come nel caso rovesciato di cui al secondo comma dello stesso articolo, nel quale incombe al curatore l'onere di provare la scientia decoctionis — al duplice profilo della qualità di socio del disponente e della insolvenza della società da lui partecipata e dichiarata fallita; è, invece, arbitrario ritenere che debba essere, in tale fattispecie, il curatore a provare la qualità di socio e che incomba sull'accipiens solo la prova della ignoranza dello stato di insolvenza della società, atteso che, come la conoscenza dello stato di decozione, nelle ipotesi di atti dispositivi o solutori normali del socio illimitatamente responsabile di società di persone, comprende la qualità di socio e la situazione di insolvenza della società, in quelle di atti anormali l'onere si trasferisce integralmente al terzo convenuto in revocatoria, per la circostanza che — una volta stabilita, sul piano oggettivo, la revocabilità dell'atto posto in essere — la dimostrazione dell'esistenza del dato soggettivo, che va pur sempre riferito alla società (essa essendo l'imprenditore fallito, considerato dalla norma in esame, e il fallimento dei soci essendo mera ripercussione di quello sociale, tant'è che prescinde dalla loro insolvenza e dalla qualità di imprenditori commerciali), suppone che sia stato provato che il soggetto disponente ne fosse stato socio, tale elemento costituendo il presupposto logicamente imprescindibile della indagine sulla scientia (o inscientia) decoctionis dell'imprenditore collettivo, secondo gli oneri processuali rispettivamente fissati dal primo e dal secondo comma dell'art. 67 cit.

Cass. civ. n. 12558/2004

In tema di revocatoria fallimentare di pagamenti, la circostanza che il credito soddisfatto sia privilegiato (nella specie perchè assistito da pegno) non rende la revocatoria inammissibile, ma rileva sotto il diverso profilo dell'interesse alla relativa azione, il quale può essere riconosciuto solo se e nei limiti in cui il curatore dimostri che il creditore, senza quel pagamento, non avrebbe trovato capienza, in tutto o in parte, sul ricavato del bene cui il privilegio si riferisce, in ragione della sua insufficienza ovvero della concorrenza su di esso di crediti privilegiati poziori.

Cass. civ. n. 12556/2004

In tema di revocatoria fallimentare di atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, ai sensi dell'art. 67, primo comma, numero 2), legge fall., allorché il conto corrente affidato, intrattenuto dal debitore con l'istituto di credito, presenti un saldo negativo, la funzione solutoria di una cessione non può essere esclusa in virtù della mera contestuale concessione di un ulteriore credito.

Cass. civ. n. 11097/2004

Il carattere costitutivo della sentenza di revoca di pagamenti, ai sensi dell'art. 67 legge fall., comporta che soltanto la sentenza stessa produce — dalla data del passaggio in giudicato — l'effetto caducatorio dell'atto giuridico impugnato e che soltanto a seguito di essa sorge il conseguente credito del fallimento alla restituzione di quanto pagato dal fallito, e finché non è sorto il credito (restitutorio) per capitale, neppure sorge il credito accessorio per interessi; ne deriva che, sino alla sentenza di revoca del pagamento passata in giudicato, non può parlarsi di interessi scaduti e che non può, pertanto, farsi luogo all'anatocismo (nella fattispecie richiesto dal curatore anche sugli interessi primari maturati nel corso del giudizio di primo grado, ai sensi dell'art. 345, primo comma, seconda parte, c.p.c.), perché l'art. 1283 c.c. presuppone l'intervenuta scadenza (e dunque esistenza del credito) degli interessi primari. Né rileva, in contrario, che gli interessi sul credito riconosciuto al fallimento rientrano tra gli effetti restitutori rispetto ai quali la sentenza di revoca retroagisce alla data della domanda, perché la decorrenza degli interessi (dalla data della domanda) non va confusa con la scadenza, la quale, nell'ipotesi di credito derivante da pronuncia giudiziale costitutiva, non può che coincidere con la data della pronuncia stessa, ossia con il passaggio in giudicato, giacché solo in tale data, perfezionatosi l'accertamento giudiziale ed il suo effetto costitutivo, sorge la conseguente obbligazione restitutoria.

Cass. civ. n. 11090/2004

In tema di consecuzione di procedure concorsuali, la domanda con cui il commissario straordinario, dopo aver chiesto con l'atto introduttivo del giudizio la revoca, ai sensi dell'art. 67, secondo comma, legge fall., di rimesse di conto corrente di natura solutoria anteriori alla data di ammissione del debitore alla procedura di amministrazione controllata, chieda anche la revoca delle rimesse avvenute tra detta data e la successiva apertura della procedura di amministrazione straordinaria, si deve ritenere nuova (oltre che infondata), essendo le due domande distinte per il fatto, qualitativamente rilevante, di essere le prime rimesse anteriori e le seconde successive al decreto di ammissione all'amministrazione controllata e, dunque, soggette ai diversi regimi di cui, rispettivamente, all'art. 67 e all'art. 167 legge fall., giacché non è ipotizzabile che in caso di consecuzione di procedure si possa avere una duplice e contraddittoria decorrenza del periodo sospetto tanto dal decreto di ammissione alla prima procedura quanto dall'apertura della seconda. (Nella fattispecie, in presenza di domanda in primo grado che specificamente indicava le rimesse anteriori all'ammissione alla procedura di amministrazione controllata e genericamente invocava la revoca, altresì, di tutti gli accrediti effettuati sul conto corrente, il tribunale aveva accolto la domanda reputando che il periodo sospetto andasse computato dalla instaurazione della seconda procedura e la corte di appello, invece, aveva ritenuto che tale periodo decorresse, invece, dall'instaurazione della prima e aveva proceduto, quindi, alla revoca di tutte le rimesse risultanti nel giudizio; la S.C. ha cassato la sentenza di appello affermando che la domanda relativa alle rimesse successive all'ammissione del debitore all'amministrazione controllata era nuova, oltre che infondata).

Cass. civ. n. 11083/2004

L'azione revocatoria fallimentare prevista dall'art. 67 legge fall. non viola la previsione, protetta dalle norme costituzionali di cui agli artt. 1,4, 35 e 36 Cost., del diritto del lavoratore nei confronti del datore di lavoro al pagamento degli emolumenti dovuti, in quanto si limita a collocarne il soddisfacimento nell'ambito di un sistema improntato al principio della par condicio creditorum al cui rispetto è finalizzata la stessa azione (come già affermato da Corte costituzionale 27 luglio 2000, n. 379).

Cass. civ. n. 10012/2004

Nel fallimento del debitore non può aversi la revocatoria ex art. 67 legge fall. dell'atto del terzo costituente il pegno in favore del creditore.

Cass. civ. n. 9698/2004

Ove si accerti che la banca ripetutamente riceva, su di un conto del cliente (non rileva se ed in che misura scoperto), assegni circolari emessi da altri istituti, li registri e consenta al cliente una successiva operazione di prelievo per importo non superiore, quindi registrando detta operazione e successivamente (in termini cronologici o anche solo contabili) annotando la valuta dei versamenti, è configurabile un rapporto nel quale la banca non concede credito ma soltanto adempie — con ripetuta «contestualità» (sintomatica di un consenso implicito alla reiterazione di operazioni consimili) — ad ordini di operazioni di cassa e quindi ad un rapporto esattamente riconducibile nell'ambito delle cosiddette operazioni bilanciate, con conseguente non revocabilità, ai sensi dell'art. 67 L. Fall., dei versamenti così effettuati, non riconducibili ad un pagamento di somme ad estinzione di un debito del cliente.

Cass. civ. n. 8096/2004

In tema di revocatoria fallimentare, nel caso di pagamento di un credito, effettuato tramite la liquidazione di un pegno regolarmente costituito e non più revocabile, l'azione revocatoria deve ritenersi ammissibile, ma il curatore deve dimostrare l'interesse della procedura alla proposizione dell'azione stessa, cioè la sussistenza di un pregiudizio per la massa creditoria, in ragione della circostanza che il credito soddisfatto tramite la garanzia non avrebbe trovato capienza, totale o parziale, per la concorrenza di crediti privilegiati poziori.

Cass. civ. n. 3379/2004

Non è configurabile come datio in solutum, qualificabile come mezzo anormale di pagamento revocabile a norma dell'art. 67, primo comma, n. 2, della legge fallimentare, l'ipotesi in cui la possibilità di una prestazione diversa dal danaro sia stata prevista originariamente, all'atto di stipulazione del contratto, versandosi in tal caso nella diversa fattispecie dell'obbligazione alternativa, nella quale entrambe le prestazioni sono dedotte in obbligazione, ed al debitore è lasciata la scelta dell'una o dell'altra. In simili ipotesi non si può infatti presupporre che la prestazione diversa sia dipesa dalle difficoltà economiche del debitore, ma si deve invece ritenere che sia stata il frutto di una scelta nell'ambito di quanto già stabilito in origine.

Cass. civ. n. 2702/2004

La cessione dei crediti, a norma degli artt. 5 e 7 della L. 21 febbraio 1991, n. 52, non è opponibile al fallimento ove ricorrano i presupposti della conoscenza dello stato di insolvenza del cedente, dell'esecuzione del pagamento suscettibile di revoca nell'anno anteriore al fallimento, e della verificazione del detto pagamento prima della scadenza del credito ceduto.

Cass. civ. n. 1232/2004

In favore dell'imprenditore che somministri beni o presti servizi in regime di monopolio legale, trovano applicazione, in assenza di espressa deroga, non solo l'art. 1460 c.c., sull'eccezione di inadempimento, ma anche l'art. 1461 c.c., sulla facoltà di sospendere l'esecuzione della prestazione dovuta quando sussista un evidente pericolo di non ricevere il corrispettivo in ragione delle condizioni patrimoniali dell'altro contraente, trattandosi di previsioni compatibili con l'obbligo, posto dall'art. 2597 c.c., di contrattare e di osservare parità di trattamento. L'applicabilità di detto art. 1461 c.c., come delle altre disposizioni dettate a presidio del nesso di sinallagmaticità nella fase di esecuzione dei contratti a prestazioni corrispettive, comporta che il pagamento del debito liquido ed esigibile, ricevuto dal monopolista nell'anno che precede la dichiarazione di fallimento del somministrato o dell'utente, con la consapevolezza del suo stato d'insolvenza, resta soggetto alla revocatoria di cui all'art. 67, secondo comma, della legge fallimentare, non trovandosi il monopolista in una situazione differenziata rispetto agli altri creditori, e difettando di conseguenza i presupposti per cogliere nell'art. 2597 c.c. una implicita previsione di esenzione dalla revocatoria stessa. (Fattispecie relativa a pagamenti effettuati in favore dell'Enel, prima del fallimento, per consumi di energia elettrica).

Cass. civ. n. 1079/2004

In materia di azione revocatoria fallimentare, le diverse previsioni contenute nei due commi dell'art. 67, l. fall. configurano ipotesi differenti di revoca, cui corrispondono azioni autonome, sicché il passaggio dall'una all'altra ipotesi (nella fattispecie, relative a revoca di atto di compravendita, da quella di cui al primo comma, n. 1, a quella di cui al secondo comma) implica il mutamento della causa petendi e perciò la prospettazione di una domanda nuova, non ammissibile in appello.

Cass. civ. n. 12/2004

Ai fini della revocatoria fallimentare di cui all'art. 67, primo comma, numero 3, l. fall., qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire, attraverso l'acquisto di titoli dati poi in pegno al mutuante, una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi, è configurabile fra i due negozi — mutuo ipotecario e costituzione di pegno — un collegamento funzionale, ed è individuabile il motivo illecito perseguito, rappresentato dalla costituzione di un'ipoteca per debiti preesistenti non scaduti.

Cass. civ. n. 18360/2003

Nel caso di assoggettamento dell'imprenditore alla procedura di amministrazione controllata, alla quale sia seguita l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, il pagamento dei debiti preesistenti alla data del decreto di ammissione alla prima procedura per scoperto di conto corrente bancario - contratto che non è sciolto dall'apertura di detta procedura concorsuale, non essendo a questa applicabile l'art. 72, l. fall. - non può costituire oggetto di azione revocatoria fallimentare (art. 67, l. fall.), in quanto detto pagamento deve ritenersi inefficace nei confronti della massa dei creditori, in virtù dei principi ricavabili dall'art. 188, l. fall., nel caso in cui sia effettuato nel corso della prima procedura, e, in forza dell'art. 44, l. fall., applicabile ex art. 1, D.L. n. 26 del 1979, e degli artt. 200 e 201, l. fall., qualora avvenga nel corso della seconda procedura. (Nell'enunciare siffatto principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, a fronte della domanda diretta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia delle rimesse aventi carattere solutorio effettuate nel corso della seconda procedura, aveva limitato il proprio esame alle rimesse anteriori all'apertura della procedura, ritenendole peraltro revocabili ex art. 67, l. fall., anziché inefficaci).

Cass. civ. n. 17597/2003

La sostituzione di un precedente credito chirografario con altro credito ipotecariamente garantito, se attuata per un accordo tra le parti avente appunto tale scopo ed indipendentemente dalla forma esteriore che esso assuma, dà vita ad una situazione corrispondente a quella contemplata dall'art. 67, primo comma, numero 3 o numero 4, l. fall.: quindi, in caso di successivo fallimento del debitore, ove ricorrano anche le ulteriori condizioni al riguardo previste dalle citate norme, è suscettibile di determinare la revoca della garanzia ipotecaria.

Cass. civ. n. 17189/2003

Nella revocatoria fallimentare avente ad oggetto gli atti a titolo oneroso compiuti entro l'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento ex art. 67, secondo comma, l. fall. (nella specie, una compravendita), il danno è configurato diversamente rispetto alla fattispecie disciplinata dall'art. 67, primo comma, n. 2, l. fall., in quanto, la norma, allo scopo di realizzare una più intensa tutela dei creditori in riferimento agli atti compiuti nell'imminenza della dichiarazione di fallimento, stabilisce una presunzione assoluta e legale di danno, consistente nella lesione della par condicio creditorum derivante dal compimento dell'atto, che è conseguentemente revocabile se il curatore abbia dimostrato la conoscenza dello stato di insolvenza, essendo quindi irrilevante l'inesistenza di una sproporzione tra le prestazioni.

Cass. civ. n. 16905/2003

Il curatore del fallimento non ha facoltà di sciogliersi da un contratto di locazione in corso alla data del fallimento stesso — subentrando, per converso, nella posizione del fallito nel rapporto contrattuale pendente —, ma ha facoltà di esercitare l'azione revocatoria di cui all'art. 67 l. fall., ove ne sussistano le condizioni previste da tale norma per far dichiarare inopponibile alla massa il contratto stipulato in epoca anteriore al fallimento, nel qual caso, peraltro, egli sarà tenuto al rispetto degli obblighi contrattuali fin quando essi non vengano paralizzati dalla sentenza che accoglie la domanda di revoca (senza che l'effetto costitutivo tipico di tale sentenza metta in questione il fondamento giuridico delle prestazioni precedentemente eseguite in corso di contratto).

Il vittorioso esperimento dell'azione revocatoria da parte del curatore fallimentare rispetto ad un contratto di locazione stipulato in epoca antecedente al fallimento non incide sulle prestazioni effettuate anteriormente alla data della domanda di revoca, ma legittima soltanto il curatore stesso a pretendere la libera disponibilità del bene locato ed il risarcimento dei danni per l'occupazione del bene in epoca successiva alla predetta data, danni da determinarsi avendo riguardo ai valori correnti del mercato delle locazioni, indipendentemente dall'ammontare del canone originariamente pattuito.

Cass. civ. n. 15142/2003

Il patto di opzione è un negozio giuridico bilaterale che dà luogo ad una proposta irrevocabile cui corrisponde la facoltà di una delle parti di accettarla, configurando uno degli elementi di una fattispecie a formazione successiva, costituita inizialmente dall' accordo avente ad oggetto l'irrevocabilità della proposta e, successivamente, dall'accettazione definitiva del promissario che, saldandosi con la proposta, perfeziona il contratto; pertanto nel caso di revocatoria fallimentare ex art. 67, primo comma, legge fall., di un contratto stipulato in virtù di un patto di opzione (nella specie di compravendita di azioni), l'accertamento dei presupposti della revocatoria — quindi, della sproporzione tra le prestazioni e della scientia decoctionis — deve essere compiuto facendo riferimento alla data di accettazione della proposta irrevocabile.

Cass. civ. n. 13443/2003

L'atto di alienazione, da parte della società costruttrice poi dichiarata fallita, del diritto di proprietà superficiaria su un immobile, realizzato in base ad un piano di edilizia popolare ai sensi della legge 22 ottobre 1971, n. 865, non è sottratto al regime dell'azione revocatoria fallimentare, ove ricorrano le condizioni a tal fine richieste dalla legge. Né ciò suscita alcun dubbio di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 42 e 47 Cost., atteso che, per un verso, la proprietà privata è tutelata dalla Costituzione, ma non a scapito dei creditori dell'alienante, e, per altro verso, il favore verso l'accesso del risparmio popolare all'abitazione va coordinato con la tutela del credito, pur esso riflettentesi sul risparmio diffuso.

Cass. civ. n. 11948/2003

In tema di revocatoria fallimentare, l'art. 67, primo comma, n. 1, legge fall. pone a favore del fallimento una presunzione iuris tantum di conoscenza, da parte del terzo, dello stato di insolvenza del debitore nel momento in cui fu posto in essere l'atto, presunzione che impone al terzo convenuto in revocatoria di dare la prova, con ogni mezzo, dell'ignoranza di tale stato. L'accertamento espresso dal giudice di merito sull'esistenza della inscientia decotionis nonché sulla concludenza della prova offerta a tal fine dal terzo, involgendo un apprezzamento di fatto, è incensurabile in cassazione, quando il giudizio sia giustificato da motivazione congrua ed esente da vizi logici ed errori di diritto.

Cass. civ. n. 8544/2003

In tema di azione revocatoria fallimentare, l'espressione, adoperata dall'art. 67, secondo comma, della legge fallimentare, secondo cui sono revocabili, fra l'altro, gli atti «costitutivi di un diritto di prelazione per debiti contestualmente creati», si riferisce al caso in cui il diritto di prelazione sorga come effetto giuridico di un atto negoziale diretto a crearlo e, quindi, esclusivamente come effetto di una dichiarazione di volontà delle parti e non per diretta volontà della legge, come avviene per le ipoteche ed i privilegi legali. Ne consegue che non è revocabile il privilegio speciale del venditore di cui all'art. 2762 c.c., atteso che il creditore ha diritto alla prelazione sin dal momento in cui sorge il suo credito ed in virtù di una valutazione legale relativa alla causa, mentre l'attività del creditore diretta alla trascrizione del titolo ha il solo scopo di rendere opponibile il privilegio agli altri creditori.

Cass. civ. n. 4126/2003

In tema di fallimento, l'autonomia e reciproca distinzione delle singole ipotesi di revocatoria di cui, rispettivamente, al primo e al secondo comma dell'art. 67 legge fall. si fonda sulla peculiare individualità dell'atto revocando e sulla sua specifica causa petendi, da intendersi come mutata e diversamente prospettata (tanto da dar luogo a novità di domanda, inammissibile) nel caso di passaggio, in sede di giudizio di appello, dalle ipotesi ex art. 67 primo comma a quelle ex art. 67 secondo comma della legge fall. e viceversa. Tale principio, va peraltro coordinato ed adeguato con quello della «riqualificazione officiosa della domanda da parte del giudice», secondo il quale, dedotto in causa, nei suoi estremi materiali, l'atto di cui si chiede la revocazione, pur se erroneamente sussunto dalla parte di una delle ipotesi previste dall'art. 67 comma cit., anziché in un'altra, diversa da quella che nella specie gli è propria, non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, d'ufficio, ne rilevi l'esatta qualificazione e decida la causa secondo la regula iuris a questa corrispondente, atteso che, una volta chiaramente ed univocamente indicato, da parte della curatela, l'atto giuridico i cui effetti si intendano neutralizzare, il problema dell'esatta individuazione sub specie iuris della domanda a tal fine proposta diviene una questione di mera qualificazione giuridica del petitum attoreo, correlata a quella dell'esatta denominazione dell'atto, dall'attore pur sempre puntualmente indicato nella sua materialità e nei suoi effetti.

Cass. civ. n. 4069/2003

In tema di revocatoria fallimentare, l'erogazione di un mutuo fondiario ipotecario non destinato a creare un'effettiva disponibilità nel mutuatario già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale può astrattamente integrare le fattispecie del procedimento negoziale indiretto, della simulazione e della novazione. Premessa, in tutti i casi predetti, l'azionabilità del meccanismo revocatorio ex art. 67, primo e secondo comma legge fall., l'ammissione al passivo della somma mutuata deve ritenersi, peraltro, incompatibile con le sole fattispecie della simulazione e della novazione, e non anche con quella del negozio indiretto, poiché, in tal caso, la revoca dell'intera operazione - e, quindi, anche del mutuo - comporterebbe pur sempre la necessità di ammettere al passivo la somma (realmente) erogata in virtù del mutuo revocato, atteso che, all'inefficacia del contratto, conseguirebbe pur sempre la necessità di restituzione, sia pur in moneta fallimentare.

Cass. civ. n. 3727/2003

In tema di azione revocatoria fallimentare diretta a sentir dichiarare l'inefficacia di un contratto di vendita di beni aziendali ed in ipotesi di domanda incidentale di accertamento della simulazione per interposizione fittizia di persona, deve escludersi la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti del terzo interposto, in quanto la domanda stessa implica una pronuncia che non incide direttamente sul suo patrimonio, ma che rappresenta soltanto il presupposto logico giuridico di una statuizione recuperatoria nel rapporto esclusivo tra la massa e l'effettivo acquirente dei beni oggetto di revocatoria.

Cass. civ. n. 649/2003

Al fine della esperibilità dell'azione revocatoria prevista dall'art. 67, primo comma, n. 2 della legge fallimentare, mezzi normali di pagamento, diversi dal denaro, sono soltanto quelli comunemente accettati nella pratica commerciale in sostituzione del denaro, come gli assegni circolari e bancari ed i vaglia cambiari. Ne consegue che, ai sensi della suddetta disposizione di legge, va affermata la revocabilità, quale mezzo anormale di pagamento idonea a ledere la par condicio creditorum, di una delegazione che il debitore abbia posto in essere allo scopo di estinguere la preesistente obbligazione pecuniaria, già scaduta ed esigibile.

Cass. civ. n. 58/2003

In tema di revocatoria fallimentare, la situazione giuridica vantata dalla massa ed esercitata dal curatore non integra un diritto di credito (alla restituzione della somma o dei beni) esistente prima del fallimento indipendentemente dall'esercizio dell'azione giudiziale, rappresentando, per converso, un vero e proprio diritto potestativo all'esercizio dell'azione revocatoria, rispetto al quale, se non è configurabile l'interruzione della prescrizione a mezzo di semplice atto di costituzione in mora (art. 2943, comma quarto c.c.), è peraltro ammissibile l'interruzione derivante dalla notificazione dell'atto di citazione (nella specie, notificata prima del rilascio della procura alle liti), ex art. 2943, comma primo c.c.

Cass. civ. n. 18147/2002

Il principio secondo cui, dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, la legittimazione a proporre le azioni a tutela della massa - tra cui la revocatoria fallimentare - spetta, in via esclusiva, al curatore, se esclude, per un verso, la legittimazione del singolo creditore ad esperire le azioni predette e ad intervenire in via principale nel giudizio all'uopo promosso dal curatore, non impedisce, tuttavia, per altro verso, l'intervento adesivo dipendente del creditore nello stesso giudizio, atteso che con tale tipo di intervento il soggetto non fa valere un autonomo diritto, ma si limita a sostenere le ragioni di una delle parti, fonda la sua legittimazione su un rapporto giuridico dipendente da quello oggetto del processo e potrebbe subire l'efficacia riflessa della sentenza: il che si verifica, appunto, per il creditore del fallito, il cui credito è soddisfatto, nell'ambito del concorso proprio della procedura fallimentare, in misura che dipende anche dall'esito delle azioni di massa proposte dal curatore.

Cass. civ. n. 14012/2002

Ai sensi dell'art. 48, secondo comma, dell'ordinamento giudiziario approvato con R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, nel testo modificato dall'art. 88 della legge 26 novembre 1990, n. 353 ed in vigore sino al 1° giugno 1999 (operando dal giorno successivo l'ulteriore modifica apportata dall'art. 14 D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51), nei giudizi relativi all'azione revocatoria fallimentare il tribunale giudica in composizione monocratica, e non collegiale, non essendo detti giudizi menzionati tra quelli che il secondo comma della norma, eccezionalmente (in deroga al principio generale della monocraticità, stabilita dall'ultimo comma) e dunque senza possibilità di interpretazione analogica o estensiva, riserva al tribunale in composizione collegiale. In particolare essi non rientrano tra i giudizi di revocazione, menzionati al n. 5 del citato secondo comma, identificabili in quelli disciplinati dall'art. 102 legge fall., né tra i giudizi devoluti alle sezioni specializzate, menzionati al n. 3 dello stesso comma, non costituendo la sezione fallimentare un organo giurisdizionale specializzato, bensì una semplice ripartizione interna del tribunale.

Cass. civ. n. 13479/2002

In tema di azione revocatoria fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo non fideiussore sul conto corrente dell'imprenditore, poi fallito, non sono revocabili ai sensi dell'art. 67, secondo comma, legge fall., quando risulti che, attraverso la rimessa, il terzo non ha posto la somma nella disponibilità giuridica e materiale del debitore, ma, senza — perciò — utilizzare una provvista dello stesso debitore e senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento, ha adempiuto, in qualità di terzo, l'obbligazione del debitore principale o quella dell'eventuale fideiussore.

Cass. civ. n. 8257/2002

In tema di procedure concorsuali, qualora, dopo la dichiarazione di fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata, si accerti l'esistenza di altro socio illimitatamente responsabile (ovvero, dopo la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore individuale, risulti l'esistenza di una società di fatto tra lo stesso imprenditore ed altro od altri soci), la successiva dichiarazione di fallimento “in estensione” del socio occulto ha effetto soltanto ex nunc, in virtù del carattere autonomo che (pur in seno al simultaneus processus) va ad essa riconosciuta (nell'affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha per l'effetto ritenuto che, ai fini della revocabilità di un'ipoteca costituita dal socio occulto, il termine “dell'anno anteriore al fallimento”, ai sensi dell'art. 67, primo comma, n. 4 della legge fallimentare, andasse legittimamente computato con riferimento alla data del fallimento del socio occulto e non anche a quella della prima procedura concorsuale instaurata a carico degli altri soci).

Cass. civ. n. 15821/2001

Nella revocatoria fallimentare l'inefficacia non costituisce una forma di tutela di una parte del negozio contro l'altra e prescinde dalle situazioni di validità ed efficacia del rapporto tra le parti originarie (salvo che l'atto, per nullità e inefficacia, non comporti alcuna modificazione della situazione giuridica del disponente); la medesima opera, bensì, nei confronti dei terzi estranei al rapporto, i quali non sono aventi causa dei contraenti ed esercitano un diritto loro conferito dalla legge autonomamente in virtù della loro posizione di creditori insoddisfatti; conseguentemente la disciplina dei contratti agrari non interferisce con il campo di azione della revocatoria e non incide su di essa né sul piano della competenza né sul piano dei presupposti della inefficacia rispetto ai terzi.

Cass. civ. n. 15412/2001

In tema di revocatoria fallimentare, è onere della curatela provare la notevole sproporzione tra prezzo contrattato e valore di mercato del bene alienato nel periodo sospetto dal fallito a titolo oneroso. Ne consegue che nel caso di compravendita di un bene gravato da ipoteca, non menzionata nel contratto, l'acquirente dell'immobile non è tenuto, qualora permanga la iscrizione ipotecaria, a dare la prova, al fine di consentire la valutazione della incidenza della ipoteca stessa sul prezzo di mercato dell'immobile, di aver raggiunto un accordo con il creditore ipotecario, ovvero di essersi accollato il pagamento delle obbligazioni garantite da dette iscrizioni ipotecarie, o che l'ipoteca iscritta garantisce obbligazioni ancora in essere ed esigibili, potendo l'acquirente del bene ipotecato essere richiesto del credito ipotecario o essere assoggettato ad espropriazione in virtù della sola iscrizione, costitutiva di detto diritto di prelazione.

Cass. civ. n. 11289/2001

In tema di azione revocatoria fallimentare, la sussistenza del requisito della scientia decotionis non può essere desunto dalla mera conoscibilità dello stato di insolvenza, e, pur giovando al fine del suo accertamento le presunzioni evincibili da circostanze esterne obiettive, tali da indurre ragionevolmente una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza a ritenere che la controparte del rapporto si sia trovata in stato di dissesto, la effettiva conoscenza, da parte del creditore dello stato di insolvenza del debitore, in quanto elemento positivo dell'azione revocatoria, non può essere ravvisata per il fatto che la ignoranza di tale insolvenza sia colpevole. (Omissis).

Cass. civ. n. 9523/2001

In materia di valutazione di quote o azioni societarie, il sovrapprezzo imposto in sede di aumento di capitale trova giustificazione nella differenza tra consistenza patrimoniale e capitale della società; il relativo bilanciamento riguarda fatti compiuti e non anche il risultato finale di tutta l'operazione, di modo che non può tenersi conto, nel determinare il valore delle azioni, dei conferimenti poiché l'incremento del patrimonio che ne deriva potrà avere riflessi su eventuali future emissioni, ma non ha effetti su quelle deliberate anteriormente. (Sulla base di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, in sede di revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67, primo comma L. fall., aveva ritenuto sussistere la sproporzione tra prestazioni nel caso di conferimento di un bene immobile in cambio di azioni con sovrapprezzo determinato tenendo conto del valore del conferimento, necessariamente successivo all'emissione delle azioni).

Cass. civ. n. 4085/2001

Ove l'apertura di credito già concessa al cliente sia stata revocata, gli accreditamenti sul conto effettuati dall'imprenditore poi fallito, dai quali consegua la riduzione o l'elisione del saldo negativo, hanno natura solutoria e, in quanto tali, sono revocabili ai sensi dell'art. 67, secondo comma, L. fall. come pagamenti di crediti liquidi ed esigibili.

Cass. civ. n. 403/2001

In tema di fallimento, il legislatore, nel dettare le norme di cui all'art. 67, primo e secondo comma L. fall., non soltanto ha inteso differenziare le ipotesi di azione revocatoria fallimentare da quella di revocatoria ordinaria sub specie del differente presupposto del danno per i creditori, ma ha altresì ipotizzato, all'interno della stessa revocatoria fallimentare, due diverse fattispecie, sul presupposto che il concetto di danno possa assumere, rispetto agli atti a titolo oneroso, una portata diversa, sancendo così, con l'art. 67 secondo comma, il principio di una più incisiva indisponibilità (relativa) del patrimonio nell'imminenza della dichiarazione del fallimento del suo titolare, sicché il concetto di eventus damni va, in tal caso, ravvisato nell'assoluta (e legale) presunzione di pregiudizio dei creditori conseguente all'atto di disposizione del patrimonio, vietato nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.

Cass. civ. n. 15177/2000

Le due ipotesi revocatorie previste dall'art. 67 L. fall. sono poste tra loro in via alternativa, nel senso che l'accertata prova dei presupposti di una sola delle due è sufficiente per la revoca dell'atto. Ne consegue che, avendo il giudice accertato l'esistenza dei presupposti sia del primo, che del secondo comma della menzionata disposizione, in fase d'impugnazione si verifica che, allorquando è respinto il gravame relativo ad uno dei due accertamenti, il ricorrente è privo d'interesse all'impugnazione relativa all'altro accertamento, poiché, anche se quell'impugnazione fosse accolta, nessun esito favorevole deriverebbe alla sua posizione. (Nella specie la sentenza impugnata aveva dichiarato revocato l'atto dispositivo in considerazione della notevole discrepanza esistente tra il valore del bene dichiarato in compravendita e quello reale, come riconosciuto in altro coevo atto posto in essere dal fallito. La stessa sentenza s'era poi diffusa nel ritenere accertata la consapevolezza dello stato d'insolvenza del fallito. La S.C., respinto il motivo d'impugnazione proposto relativamente al primo accertamento, ha dichiarato inammissibile il motivo relativo al secondo, rilevando la mancanza d'interesse del ricorrente all'impugnazione, conseguente al menzionato rigetto).

Nella comunione legale dei beni, ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni stessi, ed il consenso dell'altro (richiesto dal modulo dell'amministrazione congiuntiva adottato dall'art. 180, comma secondo, c.c. per gli atti di straordinaria amministrazione) non è un negozio (unilaterale) autorizzativo, nel senso di atto attributivo di un potere, ma è piuttosto un atto che rimuove un limite all'esercizio di un potere; sicché, esso è un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell'atto dispositivo, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio (cfr. Corte cost. 10 marzo 1988, n. 311). Da tale premessa consegue che l'atto di disposizione del bene in comunione, posto in essere da uno solo dei coniugi, esplica i suoi effetti anche in relazione alla «quota» di comunione spettante al coniuge che sia eventualmente fallito, successivamente al compimento del menzionato atto, senza avere proposto l'azione d'annullamento prevista dal comma secondo dell'art. 184 c.c.; con l'ulteriore conseguenza che è ammissibile l'azione revocatoria fallimentare, quale unico rimedio esperibile dalla curatela per ottenere la declaratoria d'inefficacia dell'atto in relazione alla quota di bene spettante al fallito. All'ammissibilità di tale azione non osta, infatti, la circostanza che il coniuge fallito non abbia partecipato all'atto, in quanto egli, non avendo proposto la menzionata azione d'annullamento, ha assunto, attraverso l'implicita convalida, la posizione di contraente occulto in relazione alla propria quota.

Cass. civ. n. 14153/2000

La disciplina di cui all'art. 4 della legge n. 713 del 1974, che ha modificato l'art. 40 della legge 25 luglio 1952, n. 949, prevede che “ai prestiti accordati alle imprese artigiane dagli istituti ed aziende di credito di cui all'art. 35 non si applicano le disposizioni di cui all'art. 67 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, dopo che siano trascorsi dieci giorni dalla stipulazione del contratto di finanziamento, nonché dispone aggiuntivamente che i prestiti in questione abbiano privilegio sulle macchine del debitore e sulle somme a lui dovute per i contratti di fornitura. Un tale regime di disapplicazione della azione revocatoria fallimentare, mentre si estende ai “privilegi” (che, rappresentando una qualificazione del credito attribuita ope legis ed essendo con esso connaturati, non possono ricevere un diverso trattamento rispetto al credito cui accedono), non si estende alle operazioni di rimborso dei finanziamenti in questione, e perciò agli atti estintivi della obbligazione, e ciò in ragione sia del difetto di una specifica norma, sia della tassatività delle previsioni di cui all'art. 67, ultimo comma della legge fallimentare, che, costituendo una deroga alle regole generali stabilite nei commi precedenti tese ad assicurare la par condicio creditorum, non è suscettibile di applicazione analogica capace di estenderne la portata sino ai momenti successivi alla regolazione del finanziamento.

Cass. civ. n. 12925/2000

In tema di azione revocatoria fallimentare, ove essa abbia ad oggetto l'estinzione di un credito assistito da garanzia reale o da privilegio, la presunzione di pregiudizio alla massa dei creditori assume un'intensità minore, potendo il convenuto in revocatoria addurre la priorità satisfattoria del suo credito e dovendo, per contro, il curatore agente in revocatoria provare la lesione della par condicio; tuttavia, nell'ipotesi in cui l'atto solutorio si concreti in una cessione di crediti che si inserisce nel quadro di un complesso rapporto tra cedente e cessionario, comprendente crediti privilegiati e non, nessuna rilevanza può più assumere, ai fini della presunzione del pregiudizio arrecato alla massa dei creditori, la distinzione tra crediti privilegiati e chirografi, ove tali crediti risultino estinti non per effetto di una imputazione operata a priori dal cedente, bensì in conseguenza della destinazione attribuita a posteriori dal cessionario al pagamento eseguito dal debitore ceduto.

Cass. civ. n. 8980/2000

Il vittorioso esperimento dell'azione revocatoria ex art. 67 comma primo L. fall. postula il solo accertamento dello squilibrio economico tra le prestazioni contrattuali (che, ove escluso, impedisce l'accoglimento dell'azione stessa), non rilevando, all'uopo, la conoscenza o meno, da parte dell'accipiens, dello stato di insolvenza del venditore.

Cass. civ. n. 437/2000

In ipotesi di vittorioso esperimento della revocatoria fallimentare relativa ad un pagamento eseguito dal fallito nel «periodo sospetto», l'obbligazione restitutoria dell'accipiens soccombente in revocatoria ha natura di debito di valuta e non di valore, atteso che l'atto posto in essere dal fallito è originariamente lecito e la sua inefficacia sopravviene solo in esito alla sentenza di accoglimento della revocatoria, dovendosi ritenere la natura costitutiva di tale sentenza e perciò qualificare come diritto potestativo (e non come diritto di credito) la situazione giuridica facente capo al curatore fallimentare che agisce in revocatoria; ne consegue che gli interessi sulla somma da restituirsi da parte del soccombente decorrono dalla data della domanda giudiziale e che il risarcimento del maggior danno conseguente al ritardo con cui sia stata restituita la somma di denaro oggetto della revocatoria spetta solo ove l'attore alleghi specificamente tale danno e dimostri di averlo subito.

Cass. civ. n. 9212/2000

Il debito del soggetto che, a seguito di revocatoria fallimentare, sia tenuto alla restituzione di una somma oggetto di pagamento effettuato dal fallito sorge con la sentenza di accoglimento della domanda di revoca e nei confronti della massa dei creditori, con la conseguenza che detto debito non può essere opposto in compensazione con crediti vantati verso il fallito, ancorché ammessi al passivo, perché la compensazione è consentita solo tra i debiti ed i crediti verso il fallito medesimo.

Cass. civ. n. 584/1999

Con riferimento ad un'azione revocatoria fallimentare, promossa dal curatore in relazione ad un pagamento effettuato in favore di società straniera (nella specie, società avente sede nella Repubblica di San Marino), sussiste la giurisdizione del giudice italiano; infatti, a norma del'art. 3, secondo comma, ultima parte della legge n. 218 del 1995, nelle materie esclude dall'ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 resa esecutiva con legge 21 giugno 1971, n. 804 e successive modificazioni, tra le quali ricade la materia fallimentare, la giurisdizione del giudice italiano sussiste in base ai criteri di collegamento stabiliti per la competenza per territorio e con specifico riferimento all'azione revocatoria fallimentare si determina in relazione al luogo di apertura del fallimento.

Cass. civ. n. 3462/1999

La cd. «ipoteca cautelare fiscale», prevista dall'art. 26 della legge n. 4 del 1929, ha natura «legale» e non è parificabile all'ipoteca giudiziale, sicché essa resta espressamente sottratta alla revocatoria di cui all'art. 67, n. 4, legge fallimentare.

Cass. civ. n. 5443/1996

La sentenza che accoglie la domanda revocatoria fallimentare ha natura costitutiva, in quanto modifica ex post una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, nei confronti della massa fallimentare, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale (art. 2740 c.c.) ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell'atto; con la conseguenza che la situazione giuridica vantata dalla massa ed esercitata dal curatore non integra un diritto di credito (alla restituzione della somma o dei beni) esistente prima del fallimento (né nascente all'atto della dichiarazione dello stesso) e indipendentemente dall'esercizio dell'azione giudiziale, ma rappresenta un vero e proprio diritto potestativo all'esercizio dell'azione revocatoria, rispetto al quale non è configurabile l'interruzione della prescrizione a mezzo di semplice atto di costituzione in mora (art. 2943, ultimo comma, c.c.).

Cass. civ. n. 4040/1996

In tema di revocatoria fallimentare, qualora un terzo abbia pagato nel «periodo sospetto» un debito del fallito, impiegando danaro di costui, tale pagamento resta assoggettato a revocatoria nei confronti del creditore che risulti consapevole dello stato di insolvenza dell'obbligato, non rilevando la sua eventuale convinzione in ordine alla utilizzazione da parte del solvens di danaro proprio, dal momento che l'atto medesimo viene ad incidere direttamente sul patrimonio del fallito in violazione della regola della par condicio, la quale non subisce limitazioni od eccezioni per gli stati soggettivi di buona fede diversi da quelli attinenti alla situazione di dissesto del debitore.

Cass. civ. n. 252/1995

L'esenzione dalla revocatoria fallimentare stabilita dall'art. 20 della L. 30 luglio 1959 n. 623 per gli istituti autorizzati ad esercitare il credito a medio termine risponde a finalità di incentivazione di tale forma di credito, sicché non è ad essa applicabile la limitazione — prevista dall'art. citato per gli altri istituti di credito — alle operazioni effettuate con fondi statali o con l'assistenza dello Stato: l'esenzione della revocatoria fallimentare per gli istituti esercenti il credito a medio termine non è venuta meno con l'abrogazione delle disposizioni della L. n. 623 del 1959 effettuata dall'art. 28, ultimo comma, del D.P.R. 9 novembre 1976 n. 902, riguardando tale abrogazione solo le disposizioni sul credito agevolato.

Cass. civ. n. 2912/1994

Con riguardo a compravendita di beni mobili, che sia stata integralmente eseguita dal venditore, ma non anche dal compratore, rimasto debitore di una parte del prezzo, il successivo accordo fra i contraenti, il quale contempli la restituzione di alcuni di quei beni, con effetto estintivo di detto residuo debito, configura pagamento di obbligazione pecuniaria con mezzi diversi da quelli normali, ai sensi dell'art. 67, primo comma, n. 2, L. fall., indipendentemente dalla qualificabilità dell'accordo stesso come datio in solutum, ovvero come patto di risoluzione parziale dell'originario contratto.

Cass. civ. n. 1411/1993

L'art. 4 del d.l. 30 dicembre 1987 n. 536, convertito, con modificazioni, in L. 29 febbraio 1988, n. 48, ai sensi del quale i pagamenti effettuati per contributi ed accessori in favore degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza non sono soggetti all'azione revocatoria di cui all'art. 67 della legge fallimentare, configura un'innovazione di tipo anche sostanziale, perché, escludendo l'azione, nega al contempo il diritto della massa ad un determinato risultato economico (perseguibile, vertendosi in tema di diritto potestativo, esclusivamente mediante l'azione). Detta disposizione, pertanto, in difetto di espressa previsione di retroattività, non osta alla revocabilità, nel concorso dei requisiti posti dal citato art. 67, di versamenti contributivi effettuati prima della sua entrata in vigore, non potendo travolgere, toccandone gli elementi genetici, il diritto al recupero dei versamenti stessi all'attivo fallimentare, già insorto in base alla previgente normativa (senza che rilevi il carattere costitutivo della sentenza che accoglie la domanda revocatoria, non autorizzando ciò a qualificare il suddetto diritto come ancora in fieri fino alla pronuncia della sentenza medesima).

Cass. civ. n. 11608/1990

Nel caso in cui il creditore abbia ottenuto il soddisfacimento del proprio credito nell'ambito di una procedura esecutiva mobiliare, a seguito della vendita di beni del debitore, poi fallito, l'azione revocatoria fallimentare, ai sensi dell'art. 67, secondo comma, L. fall. — con la quale possono essere impugnati anche i pagamenti coattivi, atteso che tale norma non condiziona l'esercizio della revocatoria alla volontarietà del pagamento stesso — ha per oggetto non il provvedimento giudiziale di assegnazione della somma di denaro al creditore, ma il successivo e distinto pagamento che l'ente depositario giudiziale della somma di denaro, fino ad allora ancora in proprietà del venditore, esegue in favore del creditore assegnatario e percipiente.

Cass. civ. n. 1396/1990

Con riguardo ad azione revocatoria fallimentare, che il curatore promuova avverso pagamento effettuato in favore di una società straniera, deve essere affermata la giurisdizione del giudice italiano (con la competenza del foro del fallimento), atteso che la suddetta azione, mirando ad acquisire alla massa una somma corrispondente alla solutio revocanda, fa valere un'obbligazione da adempiere presso il domicilio del curatore medesimo (art. 1182, terzo comma, c.c.), e, che, pertanto, trova applicazione, ai fini della giurisdizione, il criterio di collegamento di cui all'art. 4, n. 2, c.p.c., mentre resta esclusa l'invocabilità delle regole in proposito dettate dalla convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, le quali non operano nella materia fallimentare (comprendente la revocatoria), ai sensi dell'art. 1, secondo comma, n. 2, della convenzione stessa.

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Consulenze legali
relative all'articolo 67 Legge fallimentare

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

P. S. chiede
martedì 28/05/2024
“Buonasera, sono curatore del fallimento della società A la quale, quando ancora era in bonis, aveva ceduto un ramo d'azienda consistente in un punto vendita di prodotti di panificazione alla società B ad un prezzo evidentemente simbolico di euro 3.000 tra l'altro non rilevato sulle scritture contabili di A (lo stesso punto vendita circa 2 anni prima era stato venduto ad euro 50.000). Il sottoscritto provvedeva pertanto ad esperire azione giudiziaria nei confronti di B sia ai sensi dell'art. 64 che dell' art. 67 comma 1 l.f. in quanto il ramo di azienda ceduto dalla fallita aveva un valore effettivo superiore ad un quarto del prezzo ricevuto dalla società convenuta B e la società convenuta B conosceva lo stato di insolvenza di A.
La causa aveva esito positivo per la curatela di A con recente sentenza del 16/05/2024 per cui il contratto di cessione del ramo d'azienda a B veniva revocato ai sensi dell’art. 64 l.f..
Ad oggi lo stesso punto vendita è condotto dalla ditta individuale C estranea alla procedura che ha presentato SCIA per l'esercizio dell'attività di panificazione ma senza tuttavia reperire sulla banca dati del Registro Imprese alcun trasferimento d'azienda da B (società revocata) e l'attuale conduttore C.
In qualità di curatore di A, quali azioni devo porre in essere per poter rientrare in possesso del ramo d'azienda ed eventualmente venderlo al fine di soddisfare, con il ricavato, i creditori sociali? La società revocata B è inoltre contumace.
Ringrazio anticipatamente per la preziosa consulenza che vorrete rilasciarmi.
Cordiali saluti

Consulenza legale i 05/06/2024
Nel caso concreto, sembra che l’atto di cessione di ramo d’azienda tra la società B e la società C non sia stato registrato.

Da un punto di vista civilistico, come dispone l’art. 2556 del c.c., la cessione d’azienda non necessità della forma scritta ad substantiam (cioè ai fini della validità dell’atto), ma soltanto ad probationem (ai fini della prova dell’avvenuto trasferimento), salvo che per i beni che la compongono non sia richiesta la forma scritta.
Di conseguenza, per la cessione del ramo di azienda non è prevista la forma scritta a pena di nullità, ma solo ai fini della prova; vieppiù, la forma prescritta è quella dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata ai fini della pubblicità e della opponibilità ai terzi.

Nell’eventualità in cui il contratto di cessione di ramo d’azienda non fosse stato effettivamente registrato (quindi non redatto nelle forme dell'atto pubblico o della scrittura priva autenticata), non sarebbe opponibile al fallimento, così che il curatore potrebbe agire mediante azione di rivendicazione nei confronti della società C per la restituzione del compendio aziendale ceduto.
In primo luogo, tuttavia, si dovrà inviare una diffida stragiudiziale alla società C, al fine di presentare la situazione da un punto di vista fattuale e giuridico e chiedere la restituzione del compendio aziendale.

Se, invece, l’azione revocatoria fosse stata proposta anche nei confronti degli aventi causa del contraente immediato ai sensi dell’art. 66, comma 2, della l. fall., allora potrebbe essere sufficiente procedere mediante l’invio di un atto di precetto per consegna o rilascio ai sensi dell’art. 605 del c.p.c.; per vagliare tale opportunità sarebbe opportuno conoscere tutti gli atti di causa e la sentenza a definizione del giudizio.

Infine, nel caso in cui l’atto di cessione di ramo d’azienda tra B e C fosse stato redatto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, ma non fosse ancora stato registrato (il termine per la registrazione dell’atto a cura del notaio è di 30 giorni), in quel caso si dovrà promuovere nei confronti della società C un’azione revocatoria ordinaria ai sensi dell’art. 2901 del c.c..

L’art. 67 della l. fall., infatti, non riporta alcun riferimento alla sorte dei diritti di coloro che abbiano sub acquistato dal primo acquirente dal debitore fallito; la norma, pertanto, non potrà applicarsi agli atti di acquisto di tali sub acquirenti.
La posizione dei terzi in buona fede resta regolata dalla disciplina dell'azione revocatoria ordinaria e, quindi, dall'ultimo comma dell'art. 2901 del c.c., che fa salvi i diritti sub acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede; di conseguenza, i sub acquirenti a titolo oneroso dal primo acquirente dal debitore fallito restano esposti all'esercizio da parte del curatore di detta azione ove abbiano acquistato in mala fede e subiscono l'effetto pregiudizievole dell'inefficacia dell'atto intervenuto fra il debitore fallito ed il suo avente causa diretto e loro dante causa.

Dal punto di vista dell’onere probatorio, la prova della malafede del sub acquirente, non trovando applicazione l'art. 67 della l. fall. (ed in particolare la presunzione di cui al comma 1 di tale norma e la correlata inversione dell'onere della prova), segue le regole della revocatoria ordinaria, con conseguente onere incombente sul curatore di fornire la dimostrazione della mala fede, da individuarsi nella consapevolezza, da parte del sub acquirente, della circostanza che l'atto di acquisto intervenuto fra il suo dante causa (primo acquirente dal debitore fallito) ed il debitore fallito era revocabile ai sensi dell'art. 67 della l. fall. (ex multis: Cass. civ., n. 40862/21).

Sono fatti salvi, in ogni caso, gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione; pertanto, se detta domanda fosse stata registrata (certamente anteriormente alla cessione del ramo d’azienda tra B e C, che potrebbe essere ancora in attesa di registrazione), l’atto di trasferimento d’azienda non sarebbe opponibile alla procedura, la quale potrebbe chiedere la semplice restituzione del ramo d’azienda, mediante azione di rivendicazione.
In ogni caso, si consiglia di promuovere contestualmente altresì la domanda di revocatoria, seppur in via subordinata alla domanda di rivendicazione.

V. D. S. chiede
martedì 10/05/2022 - Puglia
“Nel mio caso i contratti preliminari di acquisto di due immobili diversi nello stesso stabile sono stati risolti in momenti diversi per notevoli ritardi sulla consegna prevista da contratto. Sono state restituite le caparre e, su uno dei due, pagata la penale prevista. Il tutto regolato da scritture private.
Due anni dopo questa ultima transazione l'impresa edile è fallita.
Mi domando se, e in quale caso, il curatore fallimentare può bloccare o chiedere la restituzione di tali somme in attesa di una sentenza e cosa può essere deliberato a riguardo.
Inoltre, se questo dovesse mai accadere e le somme non sono disponibili cosa accade?

Grazie”
Consulenza legale i 17/05/2022
In seguito alla dichiarazione di fallimento dell’impresa, il Curatore Fallimentare non può autonomamente “bloccare” alcuna somma già versata a terzi; tuttavia, ha in astratto la possibilità di chiedere la restituzione delle somme versate dalla fallita, preannunciando, così, l’eventuale avvio di un’azione revocatoria ordinaria ex art. 66 della l. fall., ovvero di una revocatoria fallimentare.

In relazione alla revocatoria fallimentare, la legge fallimentare distingue gli atti posti in essere dal fallito dettando regimi diversi a seconda che la revoca riguardi gli atti a titolo gratuito (art. 64 della l. fall.), i pagamenti (art. 65 della l. fall.) o gli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie (art. 67 della l. fall.).

Nel caso di specie si tratta di atti a titolo oneroso di cui all’art. 67 della l. fall., pertanto il curatore potrà esperire un’azione revocatoria fallimentare solo nei seguenti casi: per gli atti compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso; oppure per quelli compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento, purché dimostri che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore.

La transazione che ci riferisce è stata sottoscritta e adempiuta (così sembra dalle informazioni ricevute) oltre i termini previsti quali presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, la quale, pertanto, non potrà essere esperita.

Resta in astratto possibile per il Curatore esperire l’azione revocatoria ordinaria ai sensi del combinato disposto dell’art. 66 della l. fall. e dell’art. 2901 del c.c., ma ad una duplice condizione: che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore; inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, che il terzo fosse consapevole del pregiudizio.
Dalla norma si ricava che i presupposti affinché si possa parlare di una azione revocatoria ordinaria sono:
- il c.d. “Consilium Fraudis”, cioè la frode del debitore, che consiste nella conoscenza del pregiudizio che l’atto di disposizione può arrecare alle ragioni del creditore;
- il c.d. “Eventus Damni”, cioè l’atto di disposizione posto in essere dal debitore deve essere di natura tale da poter danneggiare gli interessi del creditore;
- la c.d. “Scientia Damni“, cioè la ricorrenza in capo al debitore e, per atti a titolo oneroso, in capo al terzo, della consapevolezza che, con l’atto di disposizione, il debitore diminuisca la consistenza della garanzia patrimoniale.
Tale azione si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto, come disposto dall’art. 2903 del c.c..

Nel caso di specie, si può affermare che non sussistono i presupposti neppure per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria; infatti, al di là degli aspetti soggettivi che non possiamo valutare in questa sede, la transazione non costituiva un pregiudizio per le ragioni dei creditori, bensì un vantaggio, posto che soltanto una delle due penali dovute sono state versate, oltre alla dovuta restituzione delle caparre versate.

Nell’eventualità in cui l’atto dovesse effettivamente essere revocato (circostanza improbabile considerato quanto esposto) e le somme non dovessero essere più disponibili, il Curatore potrebbe, comunque, soddisfarsi sul Suo patrimonio, fino alla concorrenza di quanto riconosciuto dalla sentenza che dichiara la revocatoria stessa.

Nell’eventualità in cui la transazione prevedesse anche il pagamento della seconda penale (non pagata), l’art. 72 della l. fall. dispone che l’esecuzione rimarrebbe sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiari di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo; in caso di scioglimento, Lei avrebbe diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento (cioè il versamento della penale ancora da corrispondere), senza che sia dovuto risarcimento del danno.

P. S. chiede
giovedì 31/03/2022 - Toscana
“Buongiorno,
fallimento dichiarato il 30/11/2021. In data 06/05/2021 un ramo d’azienda (panificio), per il quale a suo tempo fu corrisposto un prezzo di €. 50.000, è ritornato nella disponibilità della società FALLITA con ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. per inadempimento. In data 02/09/2021 lo stesso ramo d'azienda veniva nuovamente ceduto ad una SRLS il cui amministratore Unico è l'ex socio accomandante della società FALLITA receduto dalla FALLITA in data 23/12/2019 per un prezzo di €. 2.990. Per voi esistono gli estremi per un'azione revocatoria fallimentare? Come posso giustificarla al Giudice? Posso richiedere il fallimento dell'ex socio accomandante quale socio occulto dell'operazione visto che è uscito dalla compagine sociale oltre l'anno precedente al fallimento (art. 10 l.f.)? Grazie”
Consulenza legale i 08/04/2022
In relazione alla revocatoria fallimentare, la legge fallimentare distingue gli atti posti in essere dal fallito dettando regimi diversi a seconda che la revoca riguardi gli atti a titolo gratuito (art. 64 della l. fall.), i pagamenti (art. 65 della l. fall.) o gli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie (art. 67 della l. fall.).

Presupponendo la cessione d’azienda come un atto a titolo oneroso, il caso esposto pare rientrare nella previsione di cui all’art. 67 della l. fall., il quale, per tali categorie di atti, al comma 1, distingue quattro categorie di atti compiuti dal fallito nell'anno o nei sei mesi anteriori al fallimento, per le quali può esercitarsi azione revocatoria, a meno che l'altra parte provi di non essere a conoscenza dello stato d'insolvenza del debitore: gli atti a titolo oneroso compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso; gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento; i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti; nonché i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.

Il comma 2 dell'art. 67 della l. fall. indica, invece, come revocati, “se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato di insolvenza del debitore”, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.

Secondo la Suprema Corte, peraltro, se un’azienda dichiarata fallita, nei sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento effettua una cessione d’azienda o ramo d’azienda, il curatore può esperire un’azione revocatoria in relazione alla vendita e ottenere la retrocessione del ramo venduto; ai fini della revocabilità, è necessario che l’azienda abbia venduto il ramo ad un prezzo incongruo e in tempi sospetti (Cass. Civ., Sez. I, n. 803/2016).

Tanto premesso, si ritengono sussistenti i presupposti per esperire un’azione revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67 della l. fall., la cui fondatezza può rinvenirsi tanto nel comma 1, n. 1, quanto nel comma 2.

In relazione al comma 1, n. 1, la cessione di ramo d’azienda attuata in data 02/09/2021 potrebbe essere considerato un atto a titolo oneroso eseguito nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui l’obbligazione del fallito (la cessione del ramo d’azienda) supera di oltre un quarto il prezzo pagato; sarà necessario dimostrare proprio questa sproporzione di valore, questione non particolarmente complessa se il medesimo ramo era stato alienato in precedenza per € 50.000,00.
L’altra parte potrà sempre dimostrare che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore; anche tale questione, tuttavia, sembra ampiamente superabile, considerando che il terzo, in questo caso, è un ex socio accomandante della società fallita, receduto meno di due anni prima della dichiarazione di fallimento.

In via subordinata, potrebbe ritenersi integrata, altresì, la fattispecie di cui al comma 2 della medesima norma; la cessione d’azienda, infatti, è un atto a titolo oneroso compiuto nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
In questo caso, tuttavia, sarà il curatore a dover dimostrare che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore; prova, si ritiene, raggiungibile, proprio in quanto il terzo acquirente è un ex socio accomandante della società fallita, receduto meno di due anni prima.

Gli acquirenti che si vedono espropriati del ramo di azienda diventeranno creditori dell’azienda fallita, quindi potranno insinuarsi al passivo fallimentare.

In relazione alla seconda questione posta con il quesito, la possibile estensione del fallimento all’ex socio accomandante, si rendono necessarie alcune considerazioni.
Ai sensi dell’art. 2320 del c.c., “I soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso a norma dell'art. 2286.”
Pertanto, ove il socio accomandante sia decaduto dalla limitazione di responsabilità di cui al citato articolo 2320 c.c., risulta applicabile la disciplina di cui all'art. 147 della l. fall. e il fallimento della società in accomandita semplice va esteso anche all'accomandante che, appunto, si sia ingerito nell'amministrazione della società.

In estrema sintesi si potrebbe mutuare un concetto espresso da una attenta pronuncia della Suprema Corte, la quale statuisce che "... per aversi ingerenza dell'accomandante nell'amministrazione della società in accomandita semplice [...] non è sufficiente il compimento, da parte dell'accomandante, di atti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società, ma è necessario che l'accomandante svolga un'attività gestoria che si concreti nella direzione degli affari sociali, implicante una scelta che è propria del titolare della impresa ...". (Cass. Civ., n. 13468/2010)

Ai sensi dell’art. 147 della l. fall., in caso di fallimento della società, il fallimento dei soci illimitatamente responsabili non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata.
Il termine annuale di fallibilità, ex art. 147 della l. fall., non decorre dalla dichiarazione di fallimento, bensì dal momento in cui il socio occulto rende i creditori edotti, con idonee forme di pubblicità, dello scioglimento del suo rapporto sociale.
Tale principio può essere fatto valere anche nel caso di specie, poiché si tratta di socio illimitatamente responsabile che, tuttavia, assume la qualità di socio a responsabilità limitata ed è, dunque, comparabile alla posizione del socio occulto.

Nel caso di specie, oltre all’ingerenza dell’ex socio accomandante nella gestione della società fallita, che causerebbe la perdita del beneficio della responsabilità limitata, dovrà valutarsi anche il limite temporale di un anno dallo scioglimento del rapporto sociale; ciò significa che se l’ex socio accomandate ha attuato le idonee forme di pubblicità per il suo recesso del 23.12.2019, il termine annuale per la dichiarazione di fallimento dell’ex socio dallo scioglimento del rapporto sociale sarebbe già decorso, con conseguente impossibilità di estensione di fallimento nei suoi confronti.


FRANCESCO L. chiede
domenica 08/12/2019 - Liguria
“Buongiorno,
facendo riferimento alle vicende d’affitto d’azienda già da voi conosciute, l’affittante ha escusso parte della fideiussione bancaria 8 mesi prima della dichiarazione di fallimento dell’affittuario (a seguito della mora dell’affittuario nel pagamento dei canoni).
La restante parte è stata escussa 1 mese dopo la dichiarazione di fallimento. La banca ne prima ne dopo ha sollevato obiezioni.
La fideiussione (in realtà appare come un’obbligazione autonoma di garanzia) è stata emessa 15 anni fa col nascere del contratto d’affitto (direi quindi in tempi non sospetti).
Il curatore può chiedere la revoca del pagamento del fideiussore prima del fallimento adducendo ad esempio, l’alterazione della parità di condizioni nella massa creditizia?
Oppure, al contrario, la massa ha beneficiato dell’estinzione dell’obbligazione verso il creditore, con corrispondente riduzione del passivo concorrente, in più non ha prodotto alcun altro effetto che il curatore fallimentare sia legittimato (oltre che interessato) a contrastare, avendo comportato, tutt’al più, la surrogazione della banca (cosa che non è avvenuta, in base all’analisi dello stato passivo) nelle ragioni di credito dell’affittante, né più né meno che se il creditore avesse ceduto il credito vantato verso il fallito ad un terzo, e ne avesse ricevuto il pagamento in corrispettivo, negozio questo insindacabile da parte del curatore fallimentare.
Saluti.”
Consulenza legale i 18/12/2019
Per dare risposta al quesito formulato, sia per quanto concerne l’escussione ante che post dichiarazione di fallimento del debitore principale, pare opportuno soffermarsi sull’indirizzo espresso dalla Suprema Corte chiamata a decidere sulla sorte dei pagamenti derivanti dall’escussione di fideiussioni prestate da terzi a garanzie di debiti del fallito: “La consolidata giurisprudenza di questa Corte ritiene che il principio di autonomia contrattuale consenta al fideiussore di uno scoperto di conto corrente bancario di poter estinguere il proprio debito fideiussorio, oltre che in modo diretto (ossia mediante versamento alla banca personalmente), altresì in modo indiretto (cioè mediante accreditamento della somma sul conto del garantito, perché la banca se ne giovi), di modo che, quando un terzo versi sul conto corrente del debitore, e dopo il fallimento di costui, una somma a riduzione dello scoperto del conto stesso per il quale esso terzo aveva prestato fideiussione, e non risulti la sussistenza di debiti verso il fallito da parte del terzo, deve ritenersi che questi abbia adempiuto il proprio debito fideiussorio, restando pertanto il relativo accreditamento sottratto alla dichiarazione di inefficacia di cui alla L. fall., art. 44, ovvero all’azione revocatoria di cui al successivo art. 67 della medesima legge (Cass. 10004/2011, Cass. 7695/1998)”(Cass. Civ. sent. n. 13458 del 17 maggio 2019);
Dall’analisi della massima sopra esposta, si possono evincere due elementi fondamentali su cui basarsi per giungere a ritenere che l’escussione della garanzia, e il conseguente pagamento del fideiussore al soggetto garantito, come nel caso di specie, non possano ritenersi soggetti né a dichiarazione di inefficacia ai sensi dell’art. 44 della L.F. né alla revocatoria fallimentare da parte del curatore ai sensi dell’art. 67 della L.F:

1) Il principio di autonomia contrattuale che attribuisce all’obbligato in forza di una garanzia
fideiussoria di poter adempiere alla propria obbligazione nei confronti del proprio creditore, ovvero il beneficiario della garanzia, al fine di estinguere la propria obbligazione;
2) L’assenza di debiti del terzo, nel caso di specie la banca, verso il fallito (che, dai fatti prospettati, non sembrava avere rapporti debitori nei confronti del fallito);

La ratio di tale conclusione viene lucidamente espressa dalla Suprema Corte nella sentenza citata: “ll senso di simili principi è evidente: se la dichiarazione di fallimento provoca la cristallizzazione dei rapporti facenti capo al fallito sia dal lato attivo che dal lato passivo, sicché nessun pagamento del fallito può avere efficacia nei confronti dei creditori così come nessun pagamento dei creditori effettuato a mani del fallito può avere effetto liberatorio per la parte obbligata, non rimane regolato dalla disciplina della L. fall., art. 44 il pagamento che esuli da queste finalità e sia volto invece, secondo il principio di autonomia contrattuale, a estinguere un debito verso un soggetto diverso dal fallito, seppur in maniera indiretta, vale a dire mediante accreditamento della somma sul conto del garantito dichiarato fallito perché la banca se ne giovi”.

In conclusione, nel caso di specie, l’escussione della fideiussione, avendo avuto come finalità l’estinzione del debito proprio che il fideiussore aveva nei confronti dell’affittante in forza della garanzia prestata, desumendosi tale finalità anche dall’ulteriore, e non meno importante, circostanza in base alla quale la banca non risulta avere, prima della dichiarazione di fallimento, proposta una azione di rivalsa nei confronti della società affittuaria fallita, non pare possa essere oggetto di revocatoria fallimentare da parte del curatore.

In tal senso, la Suprema Corte ha così statuito: “in tema di azione revocatoria fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo sul conto corrente dell’imprenditore, poi fallito, non sono revocabili quando risulti che il relativo pagamento non sia stato eseguito con danaro del fallito e che il terzo, utilizzatore di somme proprie, non abbia proposto azione di rivalsa verso l’imprenditore prima della dichiarazione di fallimento, né che abbia così adempiuto un’obbligazione relativa ad un debito proprio” (Cass. civ., 9 gennaio 2019, n. 277).

Giancarlo Z. chiede
lunedì 08/07/2019 - Marche
“Ho donato a mia moglie l'unico immobile di mia proprietà, il 15 settembre 2014. L'avvocato di un fallimento apertosi nel 2017, mi ha inviato a febbraio di quest'anno, un atto di citazione in cui mi chiede, in solido con gli amministratori, la refusione delle sanzioni tributarie inflitta alla società fallita dall'AdE, a seguito di una dichiarazione IVA infedele relativa all'esercizio 2013.
Nell'atto di citazione, viene fissata la prima udienza per il 13 settembre c.a.
Si chiede, se l'atto di citazione pervenutomi in febbraio 2019, sospende il decorso del quinquennio, necessario affinché la donazione diventi opponibile a terzi.”
Consulenza legale i 15/07/2019
Va in primo luogo chiarita la domanda.
Chi ha posto il quesito ha probabilmente confuso i concetti: il periodo di 5 anni cui si accenna non è il periodo necessario affinché la donazione divenga “opponibile ai terzi”. La donazione è efficace, e sin da subito opponibile ai terzi, purché sia fatta nel rispetto delle forme prescritte dalla legge (atto notarile, presenza di testimoni, ecc., secondo le indicazioni del codice civile).

I 5 anni cui si accenna nel testo sono invece il periodo di tempo massimo che il creditore ha a disposizione per “revocare” – ovvero per rendere inefficace nei confronti dei terzi – l’atto di donazione,
A volte, come si presume possa essere avvenuto nel caso in esame, si dona un bene a qualcuno (parente o terzo) con l’intenzione di farlo uscire dal proprio patrimonio ed evitare, così, che i creditori possano aggredirlo.
L’unico modo infatti, com’è noto, attraverso il quale i creditori possono recuperare (almeno in parte) i propri crediti quando il debitore rimane inadempiente è pignorare i beni di quest’ultimo e metterli in vendita, soddisfandosi così sul ricavato in denaro.

Ebbene la revocatoria, azione esercitabile anche in sede di fallimento, dev’essere appunto promossa entro 5 anni dall’atto che si intende revocare (nel caso in esame, atto notarile) e richiede, per essere accolta, una prova particolare.

Il giudice deve infatti accertare – caso per caso - se la donazione abbia avuto un fine fraudolento, se cioè sia stata espressamente finalizzata a sottrarre i beni dal patrimonio del debitore per evitarne il pignoramento da parte dei creditori. Se la revocatoria viene accolta, se cioè il fine fraudolento viene dimostrato, la donazione diventa inefficace ma – attenzione - solo nei confronti ed a beneficio di quel determinato creditore che ha agito in giudizio e non per gli altri eventuali creditori.
L’effetto concreto è che il creditorie vittorioso in revocatoria potrà pignorare il bene e metterlo in vendita nonostante il precedente passaggio di proprietà.
Il creditore, lo si ripete, deve agire entro massimo cinque anni dall'atto notarile, anche se ha saputo in ritardo ed incolpevolmente della donazione.
E’ evidente che è molto difficile, in certi casi, riuscire ad “indovinare” cosa passasse per la testa al debitore quando ha donato e se realmente le sue intenzioni fossero fraudolente.

Secondo la Corte di Cassazione (Cass. ord. n. 17336/18 del 3/7/2018) vi sono alcuni elementi in base ai quali queste intenzioni si possono presumere.
Ad esempio, secondo i giudici, la prova si può ricavare dal fatto che, a seguito della donazione, il patrimonio del donante si è ridotto in modo tale da impedire ogni possibile e utile pignoramento. Si può prescindere, quindi, dalla dimostrazione dell’intenzione del donante di nuocere al creditore, ma è sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore, del pregiudizio che sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore.
Tale pregiudizio, ad esempio, è implicito e scontato nel fatto di essere rimasto “nullatenente” o quasi.

Così, seguendo il ragionamento della Corte, si può esperire l’azione revocatoria nei confronti di una persona che dona l’unica casa alla moglie e non ha, poi, nessun altro bene del medesimo valore, mentre non si può agire in revocatoria nei confronti di chi ha un debito di centomila euro, dona una casa del valore di trecentomila euro ma rimane proprietario di un’altra del valore di duecentomila euro.

Dal quesito non emergono elementi utili a comprendere lo scopo reale della donazione avvenuta nel 2014, né a ricostruire la situazione patrimoniale di chi ha donato: ciò solo per dire che è impossibile, per chi scrive, avanzare ipotesi sul fondamento dell’azione e sull’esito del giudizio.

Il termine di 5 anni è un termine prescrizionale, ovvero è il periodo di tempo massimo consentito dalla legge per far valere un diritto: decorsi i 5 anni non si potrà più fare nulla.
Ebbene, la prescrizione può essere interrotta e, una volta che ciò sia avvenuto, ricomincia a decorrere da capo.
Una domanda giudiziale – dunque la notifica di un atto di citazione in giudizio – è senz’altro un atto utile ad interrompere la prescrizione.

Nel caso in esame, anche se giunta quasi all’ultimo (la prescrizione infatti, nel caso di specie, sarebbe maturata il prossimo settembre 2019), la promozione del giudizio ha validamente interrotto il quinquennio per l’esperimento dell’azione revocatoria.

Giuseppe G. chiede
martedì 11/06/2019 - Abruzzo
“Salve, la situazione che vi sottopongo è la seguente: Alfa s.r.l., a seguito della fornitura di capi di abbigliamento, avvenuta nel settembre del 2017, risultava creditrice della Ex Beta Srl, per € 104.000,00.
Con scrittura privata del ottobre 2017, di accollo con adesione del creditore ex art. 1273 c.c., tra Alfa Srl (accollatario), Ex Beta Srl (accollato) e Nuova Delta S.r.l. (accollante), quest’ultima si accollava il predetto debito, della Ex Beta Srl, nei confronti di Alfa s.r.l., che ha aderito alla convenzione senza liberare il debitore originario, con conseguente obbligazione solidale dell’accollato e dell’accollante.
La Alfa s.r.l., a parziale soddisfazione del predetto accollo, riceveva dalla Nuova Delta S.r.l., tra il novembre 2017 e il febbraio 2018, €30.000,00.
Con sentenza del Aprile 2018, veniva dichiarato il fallimento della Ex Beta Srl.
Il curatore del fallimento notificava, in data 18 dicembre 2018, alla Alfa s.r.l. ricorso ex art. 702 bis c.p.c., con il quale ha proposto azione revocatoria ai sensi dell’art. 67, c. 1, n. 2 e 67 c. 2 l.f., contro Alfa s.r.l., poiché riferisce che: dall’analisi delle scritture contabili è emerso che la Nuovo Delta S.r.l., amministrata dal Sig. Sempronio, all’apertura dell’esercizio 2017, era debitrice verso la fallita Ex Beta S.r.l., amministrata dallo stesso sig. Sempronio, per l’acquisto di capi di abbigliamento venduti dalla società fallita, per la somma di euro 1.200.000,00, a fronte della quale si è accollata debiti per complessivi euro 500.000,00, e avrebbe effettuato pagamenti per euro 480.000,00, a beneficio della società Ex Beta S.r.l.. Tra la documentazione ricevuta dal curatore, è presente anche quella relativa all’accollo dei debiti assunti dalla società Nuovo Delta Srl, per conto della Ex Beta Srl, verso una pluralità di fornitori, tra i quali la Alfa Srl.
La Alfa Srl, ad oggi non si è attivata in alcun modo: sia per quanto riguarda il fallimento della Ex Beta Srl., con una possibile insinuazione al passivo; che in riferimento alla costituzione in giudizio nei confronti del ricorso ex art. 702 bis c.p.c., diretto alla revocatoria dei pagamenti effettuati in forza dell’accollo.
Qual è l’attività più opportuna da consigliare alla Alfa Srl?
Distinti saluti.”
Consulenza legale i 28/06/2019
A parere di chi scrive, l’azione revocatoria intrapresa dal curatore della fallita Beta nei confronti di Alfa è destituita di fondamento.
Nel caso di specie, sembrano mancare i presupposti per l’applicabilità della normativa di cui all’art. 67 Legge Fallimentare.
Infatti, i pagamenti di cui si è avvantaggiata Alfa per euro 30.000,00 non sono stati eseguiti da Beta, poi, fallita, bensì da Delta, quale accollante del debito. Quindi e, per assurdo, la revoca degli stessi aggraverebbe Beta che, comunque, dovrebbe pagare l’intero debito non essendo stata liberata.
Pertanto, manca il presupposto soggettivo dell’esecuzione - da parte della società poi fallita – di pagamenti assoggettabili alla revocatoria fallimentare.
Manca poi, il presupposto di cui all’art. 67, comma I, n. 2) Legge Fallimentare. poiché, nel caso che ci occupa, il credito di Alfa era (ed è) superiore a quanto versato da Delta. Pertanto, il pagamento effettuato dall’accollante non era estintivo del debito pecuniario scaduto ed esigibile.
Manca, poi, il presupposto di cui all’art. 67, comma II, atteso che la conoscenza dello stato di insolvenza avrebbe potuto sussistere tra Beta e Delta (coincidendo nelle stesse la persona che ricopriva il ruolo di legale rappresentante) ma non certo con Alfa che, a quanto consta, sembra società del tutto estranea alle compagini sociali della debitrice e dell’accollante.
Tra l’altro, ed in ogni caso, se anche fosse stata la stessa Beta a pagare Alfa, tale pagamento avrebbe comunque potuto ritenersi valido, viste le ipotesi di esclusione dell’operatività della revocatoria fallimentare nei casi in cui i pagamenti (lett. a) comma III art. 67 L.F.) siano stati posti in essere nell’esercizio dell’attività d’impresa, nei termini d’uso. Se tra Alfa e Beta le forniture erano avvenute secondo i termini d’uso e Beta avesse comunque provveduto ai pagamenti alle scadenze e secondo le modalità concordate, è lecito ritenere che avrebbe comunque trovato operatività l’ipotesi di esclusione a vantaggio di Alfa.
Pertanto, considerato che nel caso di specie, contrariamente a quanto ritenuto dal curatore fallimentare, mancano i presupposti prima di tutto soggettivi, oltre che oggettivi, per l’operatività della revocatoria fallimentare, si consiglierebbe ad Alfa di agire come segue: in primis, insinuazione di Alfa al passivo di Beta per la somma residua, tuttora dovuta, pari ad euro 76.000,00 (visto che l’accollo era avvenuto senza liberazione da parte del debitore principale Beta), con riserva condizionata di chiedere l’insinuazione anche per la residua somma di euro 30.000,00, in denegata ipotesi di soccombenza di Alfa nella causa promossa dal curatore. In secondo luogo, nei termini indicati nel ricorso 702 bis c.p.c. notificato, costituzione di Alfa in tale procedimento (di cui sarebbe opportuno chiedere, in via preliminare, la conversione in rito ordinario vista la probabile necessità di svolgere un’istruttoria non sommaria), con puntuale contestazione della sussistenza dei presupposti per l’esperimento dell’azione revocatoria e, infine, svolgimento, in sola via di eccezione, di una domanda tesa all’accertamento della debenza, in favore di Alfa, da parte del Fallimento della somma di euro 76.000,00 in caso di rigetto del ricorso e/o, in subordine, di euro 104.000,00 in caso (assai remoto a parere di chi scrive) di accoglimento delle domande. Si precisa, a tale ultimo proposito, come non possa essere svolta da parte di Alfa, nei confronti del Fallimento, domanda riconvenzionale per le somme tuttora o, in ogni caso, dovute e, da qui, quindi, la necessità di svolgere una domanda di mero accertamento della debenza, svolgendo, al contempo, l’istanza di insinuazione al passivo per il credito corrispondente.

Pietro C. chiede
sabato 17/12/2016 - Lazio
“Ho acquistato una porzione di immobile dalla società a r. l. in liquidazione, di cui sono socio qualificato con più del 25% di quote, 356 gg. prima che venisse dichiarata fallita, per farne la sede principale dell'attività che intendo esercitarvi. Il pagamento del saldo è stato fatto, su richiesta del liquidatore, direttamente ai creditori privilegiati (ex dipendenti ) e liberi professionisti che hanno prestato servizi all'impresa, effetuato nei termini d'uso, con assegni circolari e bonifici bancari. Chiedo cortesemente di sapere se l'immobile da me acquistato, nei termini suddetti, può essere soggetto a revocatoria, precisando che la somma da me pagata per l'acquisto è stata superiore, anche se di poco, rispetto al valore dato dalla perizia giurata dell'immobile, inserita nel rogito, che il liquidatore aveva chiesto prima della vendita.”
Consulenza legale i 29/12/2016
Al fine di rispondere correttamente al quesito occorre tenere presente le finalità dell’azione revocatoria fallimentare, che sono quelle di tutelare la fallita e, forse ancor prima, i creditori sociali, contro gli effetti di operazioni economiche che possano essere ulteriormente penalizzanti a fronte di una situazione di già comprovata difficoltà.

Per questo motivo, l’art. 67, 1° comma n. 1 della Legge Fallimentare (Regio Decreto n. 267/1942) stabilisce che possono essere revocati “salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato d'insolvenza del debitore: 1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso”.
La norma, in buona sostanza, recependo l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi negli anni, stabilisce la revocabilità dei soli atti che siano caratterizzati da una sproporzione di valore (indicata ora in misura fissa dalla norma) tra le due prestazioni.

Con riferimento specifico alla compravendita di immobili (o di quote di immobili) ciò si traduce nella revocabilità dei soli atti in cui il prezzo pagato al fallito sia del tutto irrisorio o comunque sproporzionato – appunto – per difetto rispetto al valore di mercato dell’immobile oggetto dell’affare. Nel caso, invece, in cui il prezzo pagato sia giusto, l’atto non sarà mai revocabile.

Nel caso di specie è chiaramente detto che il prezzo pagato per la quota acquistata non solo non è basso o irrisorio, ma è addirittura superiore (anche se di poco) al valore attribuito all’immobile dalla perizia ufficiale di stima. L’atto non è quindi sicuramente pregiudizievole per la fallita e per la massa dei creditori e non sarà soggetto a revocatoria.

Per completezza va aggiunto che nessuna rilevanza può invece assumere l’uso del prezzo ricavato dalla vendita per pagare i creditori sociali: “La circostanza che il prezzo ricavato dalla vendita sia stato utilizzato dall'imprenditore, poi fallito, per pagare un suo creditore privilegiato, eventualmente anche garantito da ipoteca gravante sull’immobile compravenduto, non esclude la possibile lesione della "par condicio" , poiché è solo in seguito alla ripartizione dell'attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che anche successivamente all'esercizio dell’azione revocatoria, potrebbero insinuarsi. (Cassazione civile, sez. un., 28/03/2006, n. 7028)

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