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Articolo 2901 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Condizioni

Dispositivo dell'art. 2901 Codice Civile

Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare [2652 n. 5] che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni [524, 1113], quando concorrono le seguenti condizioni:

  1. 1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento(1);
  2. 2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.

Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito(2).

Non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto [1183, 1186; 67 l. fall.](3).

L'inefficacia dell'atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione [2652 n. 5, 2690; 64 l. fall. ss.](4).

Note

(1) Per il fruttuoso esperimento dell'azione revocatoria (detta anche actio pauliana) devono concorrere determinati presupposti: in primis deve essere presente un atto di disposizione, cioè un atto negoziale in forza del quale il debitore modifica la sua situazione patrimoniale, trasferendo ad altri un diritto che gli appartiene (ad esempio, vendendo un immobile o cedendo un credito) oppure assumendo un obbligo nuovo verso terzi (ad esempio, accendendo un mutuo) o ancora costituendo sui propri beni diritti a favore di altri (ad esempio diritti di usufrutto, ipoteca, ecc.); poi deve sussistere il cosiddetto eventus damni, ossia un serio pregiudizio per le ragioni creditorie insito nelle conseguenze dell'atto di disposizione compiuto che influisce negativamente sul patrimonio del debitore, non necessariamente in maniera totale; ed infine deve esserci la scientia fraudis (o damni) del debitore, ossia la consapevolezza e la conoscenza del pregiudizio inferto alle ragioni del creditore, anche senza la specifica intenzione di nuocere allo stesso (animus nocendi).
(2) Se l'atto è a titolo oneroso, si ritiene necessario anche un ulteriore presupposto, consistente nella cosiddetta "partecipatio fraudis" del terzo, che deve perciò essere partecipe della consapevolezza del pregiudizio arrecato dall'atto al debitore, non essendo rilevante il momento in cui l'atto viene a compimento, in quanto il debitore potrebbe alienare un bene anche prima della nascita del credito, con l'obiettivo di pregiudicare un ipotetico futuro creditore. In questo caso, qualora il terzo acquirente risulta essere stato in mala fide non meriterà alcun riguardo, essendo assimilato al debitore. Si deve specificare che sono considerati atti a titolo oneroso anche le garanzie, se viene dimostrato che la nascita del credito dipendeva proprio dal futuro sorgere della garanzia che era pertanto prevista sin dalla concessione del credito stesso. Invece, se l'atto è a titolo gratuito, è sufficiente la scientia fraudis in capo al debitore, poiché la legge, tra il terzo acquirente che tenta di realizzare un vantaggio ("qui certat de lucro captando") ed il creditore che vuole evitare un danno ("qui certat de damno vitando"), non può che favorire quest'ultimo.
(3) Nel caso in cui si sia dato luogo a pagamenti per debiti ormai scaduti, questi non possono essere soggetti ad azione di revocazione, anche qualora si potesse dimostrare che il debitore abbia volontariamente posto in atto agevolazioni verso un creditore rispetto agli altri.
(4) L'azione revocatoria non elimina l'atto impugnato, ma lo rende semplicemente inefficace esclusivamente verso il creditore che ha agito, evidenziando quindi una inefficacia relativa (anche detta inopponibilità). Non si produce un effetto restitutorio, poiché il bene non rientra nel patrimonio del debitore, ma il creditore agente potrà promuovere sul bene oggetto di revocatoria azioni sia esecutive che conservative, come se il bene non fosse mai stato soggetto all'atto dispositivo.
Nell'ipotesi in cui sia avvenuta una seconda alienazione ad opera del terzo, che abbia a sua volta alienato ad altri il medesimo bene, la legge tutela alla pari creditore e terzo acquirente, sempre che si sia trattato di un acquisto a titolo oneroso e i terzi abbiano acquistato in buona fede e tenendo presente il momento di trascrizione della domanda.

Ratio Legis

La norma in esame è posta allo scopo di ovviare alla possibilità, da parte del debitore, di porre in essere una cosciente violazione del proprio obbligo di condotta, che gli impone di mantenere il patrimonio in condizioni tali da garantire la soddisfazione delle pretese dei creditori, anche di fronte alla minaccia della procedura esecutiva (v. art. 2910). Spesso invece egli tende a sottrarre determinati beni, attraverso alienazioni, con ricavi anche minimi, o addirittura donazioni, per non lasciarli comunque in mani creditorie.

Brocardi

Actio pauliana
Actio revocatoria
Consilium fraudis
Eventus damni
Participatio fraudis
Qui certant de damno vitando
Qui certant de lucro captando
Scientia fraudis

Spiegazione dell'art. 2901 Codice Civile

Soggetti attivi. Creditori

La formulazione dell’articolo indica anzitutto i soggetti attivi dell’azione. I creditori, cioè, in attuazione diretta di un diritto che loro compete all’osservanza dell’obbligo contrattuale complementare che incombe sul debitore, di non fare atti di disposizione portanti il proprio patrimonio all’impossibilità di soddisfare il credito.

Sotto l’espressione creditori si prescinde da qualsiasi riferimento limitativo alla causale del credito, che può essere la più varia, di natura contrattuale o extra-contrattuale, purché di contenuto patrimoniale: come è proprio, del resto, alla nozione.


Se tuttavia l'azione soccorre normalmente i creditori chirografari, in relazione appunto alla mancanza di un loro diritto di perseguibilità diretta sui beni, non si esclude — e la genericità dell'espressione lo am­mette — che essa possa competere anche ai creditori ipotecari, privi­legiati o pignoratizi. In tal senso era la tendenza già nel diritto romano, ove tuttavia l'esplicazione del mezzo da parte dei creditori ipotecari poteva trovar ostacoli d'indole processuale, in relazione all'esclusione di essi dalla procedura esecutiva della missio in bona nella quale l'azione incideva. Ora il criterio limitativo si fa dipendere solo dalla misura dell'interesse : nel senso dell'inutilità dell'azione entro il limite di ca­pienza dei creditori sui beni assoggettati al vincolo reale, rispetto ai quali soccorre efficacemente il diritto di persecuzione diretta; e della esperibilità invece su altri beni da parte dei creditori incapienti, nella misura - presuntiva - della loro incapienza. Ciò è di partico­lare evidenza in relazione alla funzione semplicemente accertativa e cautelatoria attribuita all'azione nel nuovo codice, senza riferimento ad una esecuzione attuale. Laddove basta a legittimarla un ragio­nevole interesse attuale a tale accertamento e cautela, tenuto conto delle condizioni di maggiore o minore facilita, per il creditore di sod­disfarsi sul bene destinato alla specifica garanzia del suo credito. Questione adunque concreta, da risolversi caso per caso dal giudice di merito.

Non occorre, d'altra parte, che si tratti di crediti certi e liquidi e tanto meno che siano assistiti già da azione esecutiva. Basta che il cre­dito esista nella sua causa, con che esso viene a gravare sul patrimonio del debitore, destinato potenzialmente anche alla sua soddisfazione, salvo in concreto la necessità dell'accertamento e della liquidità ai fini (futuri) della realizzazione.

Si discuteva, invece, sotto il precedente codice, a proposito dei crediti sottoposti a condizione o termine. E la questione aveva interferenze con quella sulla qualificazione e sulla funzione dell’azione, nel senso che, considerata questa nel caso come già afferente alla fase esecutiva, e in stretta aderenza ad essa, mancasse rispetto ai crediti di cui è requisito l’ esigibilità che è condizione per la loro realizzazione ; mentre, d'altra parte, prospetta vasi comunque come ostacolo concettuale al dispiegamento attuale dell'azione la considerazione che, in pendenza del termine o della condizione, l'in­sufficienza del patrimonio al soddisfacimento assumerebbe carattere incerto, potendo avvenire che nell'intervallo il patrimonio abbia altri­menti ad accrescersi, oppure che, per il venir meno della condizione l'interesse alla garanzia abbia a sfumare: La dottrina era solita distinguere il momento sostanziale da quello processuale, nel senso di con­siderare sufficiente alla legittimazione astratta dell'azione la sussistenza, anche condizionata o differita, del credito, purché al momento dello esperimento effettivo il credito fosse divenuto perfetto. La quale soluzione acquistava pratica importanza in relazione all'altro requisito dell'azione — di cui diremo tosto — inerente alla anteriorità del cre­dito rispetto all'atto fraudolento. Laddove, ai fini di tale requisito, si riteneva possibile risalire al momento anteriore, costitutivo del rapporto, quando peraltro l'azione si esercitasse in condizioni di esi­gibilità del credito nel momento posteriore.

Ora l'antica questione è stata risoluta esplicitamente in senso affermativo dal nuovo codice, senza distinzione di momenti. E la soluzione si presenta particolarmente coerente alla posizione anche di questa azione nel sistema. Laddove, trattandosi di provvedere solo in via pre­paratoria ad un accertamento giudiziale, al fine di rendere suscettibili determinati beni distratti di futura esecuzione, non può non, riconoscersi anche ai creditori condizionati o a termine un giuridico interesse a cautelarsi per la futura efficace realizzazione dei loro crediti, alla quale procederanno tuttavia — sul terreno esecutivo — soltanto quando le loro ragioni saranno diventate perfette.


Anteriorità del credito

Il requisito dell'anteriorità si giustifica razionalmente tenuto conto che il patrimonio del debitore, legato alla funzione di garanzia e sul quali i creditori possono fare assegnamento, è quello presente, attraverso il quale viene valutata la solvibilità e commisurato il fido. Il creditore non può invero dolersi di distrazioni anteriori quando già avevano operato il loro effetto al momento della costituzione del cre­dito ed egli avrebbe potuto rendersene conto e regolarsi prudentemente per non correre l'alea di restare insoddisfatto.

Occorre pertanto un rapporto di connessione, teleologico e temporale, perché l'una entità possa entrare in funzione dell'altra ai fini della le­gittimazione dell'azione.

Ma appunto per questa interferenza legittimatrice, la regola non può considerarsi materialisticamente e con carattere assoluto. Già in diritto romano si faceva eccezione a favore di quei creditori posteriori il cui denaro fosse servito al debitore per tacitare i creditori anteriori fro­dati ; nel qual caso si manifestava un intreccio di rapporti e di fina­lità che si giustificava come una trasposizione funzionale.

In base ad un analogo concetto teleologico — di destinazione pre­supposta — altra importante eccezione è stata introdotta dall'art. 194 del nuovo codice penate a proposito delle distrazioni patrimoniali con­sumate dall'agente prima del reato, ma con previsione di questo ed allo scopo di precostituirsi uno stato di insolvenza atto a frustrare le ragioni dei creditori che avrebbero avuto titolo dal reato.

Ed il nuovo codice, sanzionando un orientamento evolutivo già delineatosi nella giurisprudenza del Supremo Collegio ha ora ge­neralizzato il principio ad ogni distrazione preordinata al fine di pre­giudicare il soddisfacimento dei crediti che si va ano ad incontrare. Ricorre in questi casi un particolare più malizioso atteggiamento della frode di cui diremo trattando di tale essenziale condizione (soggettiva) dell’azione. Qui si vuole porre piuttosto in evidenza il nesso che lega la distrazione al credito : legame ideale che rende le due entità come in­terdipendenti e contemporanee sul piano giuridico, onde il rimedio re­stauratore può giustamente esplicare la sua funzione.

Del resto, ai fini dell'anteriorità, è sufficiente il riferimento alla causa del credito, da cui sorge la sua vita giuridica, ancorché indefinita ne sia ancorala misura e protratto l'accertamento.

E parimenti — come già si è visto — è irrilevante che il credito sia sottoposto a condizione o termine, la cui perfezione diventa necessaria solo nel momento dell'esecuzione.


Soggetti passivi. Debitore e terzi

Soggetti passivi dell’azione sono il debitore e i terzi nel cui patrimonio, per effetto dell’atto di disposizione, sono venuti a spostarsi determinati beni che prima appartenevano al debitore ed assolvevano alla funzione di garanzia.

E se per terzo acquirente si intende normalmente il primo destinatario dei beni, colui che è entrato in diretto rapporto col debitore, la legge consente talvolta di perseguire anche l'acquirente mediato, e via via se­condo la catena dei trapassi, sempre quando si mantenga col possessore un nesso etiologico che lo riconduca idealmente alla posizione del primo contraente. Di questa possibilità e delle relative condizioni si dirà più oltre (art. 2902). Qui basta indicare come il rapporti processuale possa avere anche questa soggettivazione.

Si deve poi anche rilevare che la nozione di terzo contraente va intesa in senso ampio, oltre l'ambito rigoroso della materia contrattuale e nel senso della possibile estensione anche ai destinatari di negozi a titolo gratuito, od altrimenti a col oro che siano venuti in possesso dei beni a seguito di atti omissivi o di derelizione, a prescindere quindi dalla bilateralità di un contratto. Onde la nozione generale dei convenuti in revocatoria è piuttosto quella di coloro nei cui confronti si sia verificato lo spostamento patrimoniale che l'azione tende ad eliminare. Né, d'altra parte, è necessaria l'attualità di tale spostamento e del possesso dei beni, ma piuttosto l’aver acquistato, laddove anche l'acquirente che si sia spossessato del bene può essere, perseguito per il conferimento del valore del bene alienato, che valga a soddisfare l’interesse del creditore.

Ed infine è appena il caso di ricordare che per terzi, possibili soggetti del rapporto processuale, debbono intendersi gli eredi a titolo universale dell’acquirente.


Oggetto. Atti di disposizione

Ma se questi sono i soggetti del rapporto, oggetto vero e proprio dell'azione e centro del giudizio è l'atto di disposizione, attraverso iI quale si è verificato lo spostamento, e di cui si domanda la declaratoria di inefficacia, a rimuovere l'ostacolo per l'azione realizzativa del cre­ditore.

Atti di disposizione del patrimonio, specifica la formula dell'articolo in esame, a luogo di quella apparentemente più comprensiva dell'art. 1235 del cessato codice : atti fatti in frode alle ragioni dei creditori. La nozione ne è ancora la identica e trattasi 'solo di una maggiore precisazione.

Atti di alienazione, anzitutto, in quanto direttamente operanti uno spostamento patrimoniale, a titolo gratuito od oneroso, dal proprio nel patrimonio altrui. Occorre peraltro che questo spostamento abbia portato una diminuzione apprezzabile nel patrimonio del debitore, con riguardo alla funzione di garanzia ed all'interesse del creditore. La qual cosa, se avviene sempre nelle alienazioni gratuite per cui non entra alcun corrispettivo restauratore nel patrimonio del debitore, può sembrare in contraddizione, o quantomeno non normale, nel concetto di atti a titolo oneroso, i quali importano soltanto uno scambio di valori. Perché la condizione verifichi occorre qui uno squilibrio fra i corrispettivi a detrimento dell'alienante ; od altrimenti un. peggioramento qualita­tivo, nel senso che il bene acquistato non sia suscettibile di esecuzione forzata o tale da sfuggire all'azione del creditore per la sua non ostensibilità e trafugabilità, come è in genere dei corrispettivi in denaro. Non è indispensabile, d'altra parte, che l'alienazione sia attuale, potendo equivalervi anche l'assunzione fraudolenta di una obbligazione di ca­rattere patrimoniale, o di una garanzia, specie se di natura ipotecaria o pignoratizia, a favore altrui, con impegno generico o specifico del proprio patrimonio per il soddisfacimento, in caso che non vi ottemperi il vero titolare.

Ci si chiedeva invece relativamente al pagamento di debiti, visto che che la diminuzione patrimoniale già sussisterebbe, al­meno virtualmente, per effetto della assunzione dell'obbligo, rispetto alla quale il pagamento non rappresenta che l’adempimento. Ora il nuovo codice è intervenuto con una chiarificazione esplicita, che — conformemente al prevalente insegnamento della giurisprudenza e della dottrina — fra debiti pendenti e scaduti. Laddove solo nel primo caso il pagamento è volontario e veramente lesivo del patrimonio, per l'anticipazione arbitraria nella distrazione satisfattoria, che può frustrare l'analoga pretesa di soddisfacimento degli altri creditori, mentre in caso di scadenza l'azione del debitore è necessitata e non viola alcun suo obbligo, non ricorrendo il principio della par condicio creditorum che egli sia tenuto ad osservare.

Nel qual caso, peraltro, deve ancora guardarsi all’equivalenza della prestazione satisfattoria e alle qualità del bene corri-posto,- con riguardo alla maggiore perseguibilità che avrebbe avuto in favore del creditore. In entrambe le ipotesi, poi, la prevalente dot­trina considera come integratore di diminuzione patrimoniale l'atto in sé stesso, e non soltanto l'interusurium, per la destinazione esclusiva del cespite al soddisfacimento di un solo creditore a detrimento defi­nitivo degli altri. Onde l'intero atto si ritiene revocabile e non soltanto l'equivalente della mancata utilizzabilità prima della scadenza.

D'altra parte l'atto di diminuzione può anche non essere negoziale, come una delictio, cui segua: l'altrui impossessamento.

Ci si chiedeva piuttosto per gli atti omissivi o di rinuncia agli ac­quisti ; a proposito dei quali anche il novo codice non, esprime indi­cativi diretti. Per quanto il diritto romano rispondesse con una regola affermativa apparentemente generica «in fraudem lacere videri etiam eum qui non fecit quod debet lacere », non sembra che il semplice com­portamento passivo del debitore, ancorché foriero di effetti pregiudizie­voli pel suo patrimonio, possa dar luogo a revocatoria. Se a questa inazione del debitore può provvedere tempestivamente il creditore so­stituendosi a lui attraverso la, surrogatoria e così prevenire il danno che potrebbe da quel negativo comportamento derivare, ad effetto ve­rificatosi manca un atto vero e proprio contro cui poter insorgere, un atto o negozio da revocare e rendere inefficace. Non sembra ad esempio poter agire il creditore — a prescrizione verificata contro il debitore per difetto di atti interruttivi — per la revoca degli effetti di tale omissione anche se volontaria.

D'altra parte, quanto ai nuovi acquisti -- che il debitore altrimenti comportandosi avrebbe potuto operare — si obbietta che il loro man­cato avveramento non pub considerarsi come una diminuzione del patrimonio , tale dovendo intendersi quello esistente al momento della costituzione del credito, e sul quale il creditore ha commisurato il fido e può contare, ché se nella funzione di garanzia sono compresi dalla legge anche i beni futuri (art. 2740) ciò deve intendersi rispetto ai beni effettivamente entrati, in tempo futuro, nel patrimonio, e non alle sem­plici possibilità che debitore avrebbe potuto con un dato comporta­mento — rimesso ad un atteggiamento insostituibile di sua volontà —attuare. Il criterio da applicarsi è pertanto quello distintivo fra acquisti veri e propri, che dipendono originariamente dal libero comportamento del debitore onde la non attuazione, non può importare mai diminuzione ed il mancato perfezionamento per atti omissivi e commissivi — di acquisti che siano nel patrimonio del debitore già in germe, potenzialmente compresi' e solo in attesa di realizzazione ; laddove vi fu a favore dei creditori quantomeno già una legittima aspettativa avente base giuridica, la quale ha un suo valore patrimoniale che viene a per­dersi con la mancata realizzazione. Lia questo quadro va intesa la dispo­sizione dell'art. 2939, la quale ammette i creditori ad opporre la pre­scrizione a luogo del debitore ed anche quando questi vi abbia rinunciato (per cui alla disposizione, corrispondente a quella dell'art. 2112 del cessato codice, si attribuisce generalmente funzione sia di surrogatoria che di revocatoria) ; e parimenti quella dell'art. 524 che ammette i cre­ditori ad accettare l'eredità devoluta al debitore e da questi rinunciata (anche qui il principio, può operare in funzione di surrogatoria o di re­vocatoria) : laddove trattasi di diritti i quali, attraverso il compimento della prescrizione o la delazione ereditaria, sono già stati acquistati dal patrimonio del debitore almeno in modo virtuale ; per cui occorre una rinuncia, un atto volitivo implicito od esplicito per non profittarne, ed il non addivenirvi rappresenta effettivamente un danno del quale il creditore si può lamentare.

Infine debbono ritenersi esclusi dalla possibilità di revoca, per ana­logia di ragioni a quanto è prescritto per la surrogatoria, gli atti anche di disposizione che siano in attuazione di facoltà o diritti strettamente personali al debitore ; laddove trattasi di entità che non entrano in funzione della garanzia, restano estranee al patrimonio esecutabile, onde, come i creditori non vi possono far conto, così non possono pretestare, ove siano consumate, una diminuzione.


Presupposti: eventus damni

Come è noto, la classica elaborazione dell'istituto pone due essenziali presupposti, o condizioni, per la sua esperibilità, mantenuti come tali anche nel nuovo ordinamento, e con l'apporto di alcune im­portanti chiarificazioni, aderenti agli indicativi ultimi della dottrina e della giurisprudenza.

L’eventus damni a cui si riferisce la prima parte dell’articolo deve arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore.

Il pregiudizio deve consistere in una apprezzabile diminuzione della garanzia patrimoniale, nel senso della determinazione, o dell'aggravarsi dell'atto, di una situazione di insolvenza, totale o parziaria. mento, Come si deduce dalla voce «recare.... » deve cioè sussistere fra. l'atto e l'insolvenza un nesso di causalità diretta, per cui Possa pre­sumersi venir meno, ormai, per il creditore la possibilità del soddisfacimento, anche in relazione alla concorrenza d'altri crediti.

Ed in proposito si deve avere riguardo — ancorché non viga, giuri­dicamente, in materia civile, il principio della concorsualità e della par conditio non tanto alla corrispondenza immediata fra patrimonio del debitore e la misura del credito per cui si agisce, quanto piuttosto alla situazione economica generale del debitore, come bilancio comples­sivo fra il passivo e attivo ; laddove può verosimilmente presumersi che anche gli altri creditori si renderanno attivi ed interverranno nel giudizio esecutivo, per cui il patrimonio esecutato dovrà di necessità sopperire ad una plurima devoluzione. La quale probabilità già importa di per sé stessa un pregiudizio alle ragioni del creditore.

Per la individuazione del rapporto diretto causale, poi, deve aversi riguardo alla situazione immediatamente conseguente alla operatività dell'atto, e tuttora pregiudizievole al momento di proposizione dell'azione, senza che vi possano influire avvenimenti successivi ; specie d'ordine transeunte.

Così, quando per effetto dell'atto la situazione non fosse ancora tale da compromettere le possibilità di soddisfacimento del creditore, la proponibilità dell'azione dovrebbe senz'altro escludersi, ancorché successivamente, per ulteriori alienazioni, si fosse determinata l'insolvenza ; laddove, sono queste ulteriori alienazioni che dovrebbero revocarsi non le prime. D'altra parte, ulteriori incrementi che avessero rista­bilita una situazione già compromessa dall'atto, non varrebbero ad escludere l'azione quando avessero avuto efficacia transitoria, e la si­tuazione preesistente riaffiorasse nelle primitive condizioni al momento della proposizione.

A qualche incertezza invece ha dato luogo la questione sul modo di accertamento della situazione di danno. In proposito non si possono trarre diretti indicativi dal diritto romano, laddove incidendo l'azione, specie nel periodo classico — nel processo esecutivo e non diventando operativa — per l' emptor bonorum come pei creditori incapienti — che dopo la venditio, era la liquidazione dell'attivo che necessariamente precedeva e manifestava obbiettivamente di per sé stessa la situazione di insolvenza ; la qual cosa si verificava normalmente anche nel periodo giustinianeo. Si trattava peraltro di condizioni essenzialmente proces­suali, le quali non impedivano che già affiorasse il principio teorico, specie nel periodo giustinianeo, della libertà e contingenza della prova all'oggetto. Ora tale principio è quello dominante, e mantiene fermo il suo valore anche alla stregua del nuovo codice, laddove anzi trova ulteriori elementi di conferma nell'accentuazione della funzione meramente con­servativa dell'azione. Non si presenta pertanto la necessità di ricorrere a mezzi specifici di prova che la legge non richiede e non indica ; e tanto-meno non quella di una precisa escussione del debitore. Possibilità in­vece di offrire la piova al giudice coi mezzi ordinari in occasione ed ai fini dello stesso esperimento giudiziale dell'azione, come una delle con­dizioni da accertarsi per raccoglimento della domanda. Ed in proposito il giudizio da emettersi è di stretto merito, insindacabile in Cassazione.


Presupposti: consilium fraudis
Il consilium fraudis, altro dei presupposti dell'azione, come veramente fondamentale e qualificatore — per l'atteggiamento soggettivo di illiceità che imprime alla violazione contrattuale del debitore — appare messo particolarmente in luce, e con chiarificazioni in parte innovative, nella nuova formulazione del codice. Formulazione nella quale si è avuto cura di dare veste normativa agli indicativi ormai con­cordi di una lunga elaborazione che immette le sue radici sin nel diritto romano, ma che aveva assunto ultimamente, già nella giurisprudenza del Supremo Collegio, un assestamento organico, aderente alla realtà dei rapporti e dei fini.

Questo orientamento può riassumersi nella nozione che ad integrare la frode non è necessaria la direzione specifica della volontà del debitore a danneggiare i creditori (animus nocendi), e tanto meno un determinato creditore, mediante la sottrazione maliziosa del bene alla loro apprensione ; ma basta la consapevolezza di quello che vedemmo dianzi corrispondere all' eventus damni: nel senso della determinazione o dell’aggravamento del proprio stato di insolvenza.

Dalla consapevolezza dell’insolvenza alla direzione maliziosa specifica il passo è breve. Tuttavia la distinzione è importante ai fini della prova, che diventa più attuabile, tenuto conto altresì che la consapevolezza — secondo i chiarimenti della cennata elaborazione — non oc. corre sia rigorosamente commisurata alla realtà della situazione, senso della precisa contezza della entità del disquilibrio patrimoniale, e quindi della quantità e delle cifre che risulteranno insoddisfatte, ba­stando una coscienza generica, relativa, della potenzialità di pregiudizio inerente all'atto, desumibile attraverso qualsivoglia mezzo di prova ed anche con presunzioni.

A questi concetti, appunto, ha inteso adeguarsi, il legislatore fascista attraverso l'adottata formula « conoscenza del pregiudizio arrecato dal­l'atto alle ragioni del creditore » formula assai attenuata e più precisa rispetto a quella del cessato codice, ove si parlava semplicemente di frode, onde la giurisprudenza aveva dovuto affaticarsi nell'interpreta­zione chiarificatrice, anche in relazione alle contingenze delle situazioni di fatto.

Questa attenuazione della nozione generale trova deciso risalto anche per virtù di contrasto, tenuto conto del diverso linguaggio ado­perato dal legislatore nell'inciso che segue, per indicare il più malizioso atteggiamento volitivo che deve ricorrere negli atti di disposizione anteriori al sorgere del credito, al fine del possibile perseguimento in deroga alla condizione normale dell’anteriorità di cui si è accennato a suo luogo. Nel quale caso la volontà del debitore, deve essere veramente dolosa, con direzione specifica verso una data oggettività illecita, nel senso della preordinazione al fine di pregiudicare il soddisfacimento di un determinato creditore. Per questa particolare intensità della frode, e per il legame etiologico che, attraverso la preordinazione, si istituisce fra il credito pregiudicato ed i beni distratti — quasi a deviare una destinazione che sarebbe in loro insita, di operare al soddisfacimento del credito che si va ad incontrare – per questa eccezionale qualificazione della volontà.


Condizioni di proponibilità nei confronti dei terzi. Terzi mediati

Si è parlato fin qui della frode del debitore, come del soggetto che sta al centro della norma, quale diretto portatore dell’obbligo in questione. Onde il suo atteggiamento volitivo nel senso di cui sopra deve sempre ricorrere come presupposto fondamentale, indispensabile, dell’azione, qualsiasi sia la natura dell’atto impugnato.

Ma poiché la ragione economica dell'azione sta nell'avvenuto spo­stamento di beni dal patrimonio del debitore in un patrimonio altrui, per cui occorre eliminare, soprattutto rispetto ai terzi, l'efficacia della disposizione, al fine di rendere passibile l'esecuzione anche sui beni distratti, ecco che il legislatore non poteva disinteressarsi di questi terzi, la cui posizione potrebbe essere ingiustamente pregiudicata ove si tenesse conto solamente dei creditori danneggiati dal debitore.

A tal fine anche nel nuovo codice si è ricorso al criterio tradizionale di elevare ad elemento discriminatore della posizione di questi terzi l'atteggiamento volitivo, in relazione alla natura gratuita od onerosa degli atti dai quali sia derivata la distrazione.

Nel senso che quando l'atto sia a titolo gratuito basti a giustificare la revoca la frode del debitore, che colora di illecito l'atto e si proietta di riflesso anche sulla posizione del beneficiario, rimasta sul piano pas­sivo di un approfittamento lucrativo inoperante. Al che suole aggiungersi che nel raffronto fra le due condizioni — quella del creditore qui certat de damno vitando, e quella del terzo qui certat de lucro captando voglia sia anteposta la prima sulla seconda, con che l'ordine giuridico ed i privati interessi risultano anche meno turbati.

E laddove invece, in materia di atti onerosi, per la contrapposizione in cui viene a trovarsi l'interesse del creditore con quello pure oggettivamente apprezzabile del terzo, in relazione al corrispettivo che egli ha sborsato per l'acquisto e, d'altra parte, per la funzione attiva che il medesimo ha assunto nel rapporto attraverso una essenziale partecipa­zione negoziale, si presenta logico, come criterio per risolvere il con­flitto, valutare intimamente il comportamento del detto terzo, per ri­cercarvi l'elemento che lo colorisca in senso deteriore a quello del creditore. Questo elemento è appunto quello soggettivo, attraverso il quale è dato penetrare, oltre alla materialità della partecipazione, nell’intenzione che ebbe ad animarla, dandovi una qualificazione illecita.

È da tenere, poi, ben presente come il carattere del negozio e l'ele­mento soggettivo discriminatore siano propriamente quelli inerenti all'ac­quisto mediato, al quale la legge direttamente si riferisce. Nel senso che ivi ricorrendo le condizioni dell'irrevocabilità (negozio oneroso e buona fede) diventa irrilevante per il terzo. mediato la posizione del primo ac­quisto, se pure In sé stesso revocabile (a titolo gratuito, od. oneroso Con mala fede) salve le' conseguenze risarcitorie a carico del primo acqui­rente. Posizione del primo acquisto della quale, peraltro, potrà sempre profittare derivativamente il terzo mediato in quanto favorevole, di­ventando in, tal caso irrilevante a tutti gli effetti la propria posizione contrattuale di buona o mala fede. Posto pertanto che sia irrevocabile il primo acquisto per la sua onerosità e. la buona fede dell'acquirente, diverrà comunque irrevocabile anche la posizione degli ulteriori, a pre­scindere dal carattere dei successivi trapassi, onerosi o lucrativi, e dal­l'atteggiamento soggettivo dei rispettivi acquirenti.


Negozi lucrativi e onerosi. Qualificazione

La grande importanza della distinzione fra negozi onerosi e gratuiti ai fini della revocabilità e della ricerca soggettiva nel terzo ac­quirente, ha suscitato molteplici questioni in quanto alla qualificazione di negozi particolari nei quali l'elemento corrispettivo non risulti evi­dente, o si trovi intrecciato con finalità di beneficenza, in modo da ri­sultarne un negozio di carattere misto. Ricordiamo le dispute sull'atto di costituzione di dote, specie nei riguardi della posizione del marito, in relazione all'obbligo che egli assumerebbe di impiegarne i frutti ad substinenda onera matrimonii: disputa prevalentemente risoluta, anche in tal caso, nel senso della gratuità, tenuto conto che l'obbligo di cui sopra deriva dal matrimonio. E così pure le incertezza relative ai pagamenti di debiti non scaduti, o sottoposti a condizione tuttora non avverata alle dationes in solutum, alle concessioni di pegno o ipoteca, al pagamento di obbligazioni naturali ecc.

In tutti questi casi la tendenza prevalente era quella di ravvisarvi il carattere oneroso, tenuto conto della sussistenza di una prestazione corrispettiva funzionante da causa, a malgrado della non esigibilità attuale, o giuridica, — o della non equivalenza fra le prestazioni, od infine (per il pegno o l’ipoteca) della mancanza, talvolta, di un riferi­mento diretto fra la contro prestazione e. tale obbligazione particolare Il nuovo codice, fra tante questioni tuttora controverse, ha ritenuto opportuno esprimersi in modo esplicito circa quella più dibattuta, ine­rente alle prestazioni di garanzia ; dichiarando doversi ritenere, a titolo oneroso sol quelle contestuali alla costituzione del credito — siano per obbligazione propria od altrui — : laddove anche l'assunzione di ga­ranzia si intreccia nell'obbligazione principale ed entra nel gioco dei corrispettivi di questa, mentre, se data successivamente — e senza l'im­pegno di un precedente obbligo — appare ispirata al solo spirito di li­beralità, nel senso di 'voler favorire spontaneamente un particolare creditore a danno degli altri.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

109 Quanto alla revocazione, mi è parso indispensabile, per esigenze di coordinamento con quanto dispone l'art. 193 cod. pen., precisare, anzitutto, che sono suscettibili di revocazione gli atti in base ai quali il debitore dispone del patrimonio proprio; il che esclude la possibilità di impugnativa degli atti costituenti normale adempimento dell'obbligazione (e, quindi, di atti che non abbiano il carattere di dazione in pagamento, per la quale la revocatoria è, invece, ammessa già in base ad una quasi costante interpretazione del diritto vigente), e di ogni negozio che rientra nell'orbita della semplice gestione del patrimonio.
Il concetto di atto di disposizione deve intendersi in senso ampio, e deve comprendere anche la costituzione di garanzie reali o l'assunzione di obblighi.
110 Il presupposto della frode è stato sostituito dal presupposto della conoscenza del pregiudizio. Il richiamo alla frode allude necessariamente ad una intenzionalità dolosa mentre, per principio consolidato in dottrina e in giurisprudenza, basta la cosciente rappresentazione del danno perché si concreti il classico consilium fraudis.
112 Si è estesa la legittimazione ad agire consentita dall'art. 107 del progetto del 1936; e, in conformità dell'indirizzo ormai generalmente accolto, si è consentita l'impugnativa non soltanto al creditore che abbia una ragione esigibile e di data certa anteriore all'atto pregiudizievole, ma anche a colui che ha una pretesa di data posteriore all'atto medesimo, se risulti che questo fosse stato preordinato al fine di pregiudicare la realizzazione del credito futuro.
Se non bastassero a giustificare questa innovazione le ragioni addotte da una larga corrente della scienza, e dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, sarebbe sufficiente all'uopo ricordare che il principio è aderente a quello posto all'art. 194 cod. pen.
113 Si sono, infine, espressamente assoggettate al trattamento degli atti a titolo oneroso le prestazioni di garanzie per debiti altrui, solo quando siano contestuali alla nascita del credito garantito.

Massime relative all'art. 2901 Codice Civile

Cass. civ. n. 6795/2023

Qualora sia stata proposta un'azione revocatoria ordinaria per fare dichiarare inopponibile ad un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore e, in pendenza del relativo giudizio sopravvenga il fallimento di quest'ultimo, la prosecuzione del giudizio in corso da parte della curatela, secondo la legittimazione concessa dall'art. 66 l.fall., comporta sul piano probatorio che il curatore costituitosi debba soltanto dimostrare il pregiudizio derivante dall'atto dispositivo, a prescindere dall'insinuazione al passivo fallimentare del credito inizialmente dedotto nel giudizio dall'attore originario.

Cass. civ. n. 5815/2023

In tema di azione revocatoria ordinaria, l'esistenza di un'ipoteca sul bene oggetto dell'atto dispositivo, ancorché di entità tale da assorbirne potenzialmente l'intero valore, non esclude la connotazione dell'atto stesso come "eventus damni" (presupposto per l'esercizio della azione pauliana), atteso che la valutazione tanto della idoneità dell'atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa all'ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell'atto ma attraverso un giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l'eventualità del venir meno o di un ridimensionamento della garanzia ipotecaria.

Cass. civ. n. 5812/2023

In tema di azione revocatoria, quando l'atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito, ad integrare l'"animus nocendi" richiesto dall'art. 2901, comma 1, n. 1, c.c. è sufficiente il mero dolo generico e, cioè, la mera previsione, da parte del debitore, del pregiudizio arrecato ai creditori, non essendo invece necessaria la ricorrenza del dolo specifico, vale a dire la consapevole volontà di pregiudicare le ragioni creditorie.

Cass. civ. n. 5736/2023

L'azione prevista dall'art. 2901 c.c., avente ad oggetto un atto di cessione di crediti a terzi, non deve essere provata necessariamente attraverso la produzione in giudizio dell'atto di cessione, ma in qualsiasi modo, ivi comprese sia la comunicazione che il cedente faccia ai debitori ceduti dell'avvenuta cessione, sia la condotta di non contestazione dell'avvenuta cessione da parte del convenuto nel giudizio revocatorio, atteso che la cessione, pur essendo un "atto negoziale", in relazione alla domanda ex art. 2901 c.c. proposta per la sua declaratoria d'inefficacia, rileva anche come "fatto" costitutivo del diritto azionato in giudizio, rispetto al quale opera il principio di non contestazione.

Cass. civ. n. 2552/2023

È assoggettabile ad azione revocatoria ordinaria, ai sensi dell'art. 2901 c.c., l'alienazione di un bene immobile da parte del debitore, anche se il relativo prezzo sia stato destinato, in parte, al pagamento di debiti scaduti del venditore-debitore, non potendo tale circostanza ex se escludere la sussistenza dell'"eventus damni".

Cass. civ. n. 35529/2022

In tema di azione revocatoria ex art. 2901 c.c., a seguito del fallimento del debitore originariamente "in bonis", il curatore è legittimato a proseguire il giudizio già intrapreso dal singolo creditore, subentrando nella posizione processuale di quest'ultimo, senza che l'iniziativa dell'organo concorsuale - quand'anche si verifichi nelle more della riassunzione del processo dinanzi al giudice di primo grado, a seguito di remissione in suo favore operata ex art. 354 c.p.c. in grado d'appello - dia luogo all'esercizio di una nuova azione e all'instaurazione di un diverso giudizio, non mutando, invero, le condizioni dell'azione e venendo assorbita alla massa l'esigenza di tutela della posizione del creditore individuale. Ne consegue l'insuscettibilità della vicenda a determinare lo spostamento della competenza sul giudizio in corso in capo al giudice fallimentare, operando il principio generale della "perpetuatio jurisdictionis" ex art. 5 c.p.c., non derogato dall'art. 66, comma 2, l. fall., norma riferibile alle sole cause promosse "ex novo" dal curatore.

Cass. civ. n. 33391/2022

Qualora uno solo tra più coobbligati solidali compia atti di disposizione del proprio patrimonio, è facoltà del creditore, ricorrendone i presupposti, di promuovere l'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. nei suoi confronti, a nulla rilevando che i patrimoni degli altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l'adempimento.

Cass. civ. n. 22824/2022

Nella revocatoria dell'atto di compravendita, la malafede del terzo acquirente può desumersi in base ad indici presuntivi, dotati dei requisiti della gravità, precisione e concordanza quali le anomalie delle vicende contrattuali pregresse all'acquisto e le anomalie dell'atto di compravendita.

Cass. civ. n. 15866/2022

Ai fini dell'esercizio dell'azione revocatoria è sufficiente una ragione di credito eventuale, mentre il requisito dell'anteriorità di esso rispetto all'atto impugnato in revocatoria deve essere riscontrato in base al momento in cui il credito stesso insorga e non a quello del suo accertamento giudiziale. In tema di azione revocatoria ordinaria, non è richiesta la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa di esso con la precisazione che rimangono invece, irrilevanti tanto l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo.

Cass. civ. n. 5768/2022

In tema di azione revocatoria del fondo patrimoniale, la natura reale del vincolo di destinazione impresso dalla sua costituzione in vista del soddisfacimento dei bisogni della famiglia e la conseguente necessità che la sentenza faccia stato nei confronti di tutti coloro per i quali il fondo è stato costituito comportano che, nel relativo giudizio per la dichiarazione della sua inefficacia, la legittimazione passiva va riconosciuta ad entrambi i coniugi, anche se l'atto costitutivo sia stato stipulato da uno solo di essi, spettando ad entrambi, ai sensi dell'art. 168 c.c., la proprietà dei beni che costituiscono oggetto della convenzione, salvo che sia diversamente stabilito nell'atto costitutivo, con la precisazione che anche nell'ipotesi in cui la costituzione del fondo non comporti un effetto traslativo, essendosi il coniuge (o il terzo costituente) riservato la proprietà dei beni, è configurabile un interesse del coniuge non proprietario alla partecipazione al giudizio, in quanto beneficiario dei relativi frutti, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia.

Cass. civ. n. 36033/2021

In tema di azione di inefficacia, l'art. 66, comma 1, L. fall. compie un rinvio alla norme civilistiche in materia di azione revocatoria, attestando la natura derivata dell'azione proposta dal curatore ai sensi della richiamata norma, la quale, pur nella peculiarità del suo esercizio nell'ambito di una procedura concorsuale, rimane comunque retta dai requisiti sostanziali previsti dal disposto dell'art. 2901 c.c. Ne deriva che l'esercizio dell'azione pauliana ad opera del curatore comporta una deviazione dallo schema comune unicamente quanto a effetti, legittimazione e competenza, in ragione del contesto concorsuale da cui trae origine, ma non modifica i presupposti a cui è correlato l'accoglimento dell'azione e la sua natura di mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, sicché essa non postula un atto in frode suscettibile di aver determinato o aggravato lo stato di insolvenza.

Cass. civ. n. 29284/2021

Il curatore del fallimento della società di persone è legittimato ad esperire l'azione revocatoria contro gli atti di disposizione del socio illimitatamente responsabile fallito, atteso che, nonostante la massa del fallimento della società sia distinta da quella del socio, l'accrescimento del patrimonio di quest'ultimo in conseguenza dell'accoglimento dell'azione produce risultati positivi anche a favore dei creditori della società, il cui credito si intende dichiarato per intero nel fallimento del socio ed è, pertanto, indifferente che il curatore promuova l'azione spendendo il nome del solo fallimento sociale o, viceversa, del solo fallimento del socio, posto che, in un caso o nell'altro, il passaggio in giudicato della sentenza emessa nel relativo giudizio fa stato nei confronti dei creditori di entrambe le masse.

Cass. civ. n. 28426/2021

La c.d. "revocatoria penale" degli atti a titolo gratuito compiuti dal colpevole dopo il reato, di cui all'art. 192 c.p., non richiede la prova dei presupposti oggettivo e soggettivo della revocatoria ex art. 2901 c.c., in quanto strumento di tutela patrimoniale rafforzata, rispetto a quella ordinaria civilistica, della vittima nel tempo successivo al reato. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 28/02/2019).

Cass. civ. n. 28423/2021

Ai fini dell'azione revocatoria ordinaria è sufficiente la consapevolezza, del debitore alienante e del terzo acquirente, della diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del primo, non essendo necessaria la collusione tra gli stessi, nè occorrendo la conoscenza, da parte del terzo, dello specifico credito per cui è proposta l'azione, invece richiesta qualora quest'ultima abbia ad oggetto un atto, a titolo oneroso, anteriore al sorgere di detto credito. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CAMPOBASSO, 04/09/2018).

Cass. civ. n. 26310/2021

In tema di azione revocatoria ordinaria, l'accertamento dell'"eventus damni" non presuppone una valutazione del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore istante, ma richiede solo la dimostrazione da parte di quest'ultimo della pericolosità dell'atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore. (La S.C. ha cassato la sentenza impugnata che erroneamente aveva affermato l'insussistenza dell'"eventus damni", ritenendo, nella specie, in ragione della modesta entità del credito, che l'azione revocatoria non avrebbe potuto assolvere la sua funzione di garanzia patrimoniale immobiliare a vantaggio del concessionario della riscossione dei tributi, in assenza del necessario importo minimo di Euro 20 mila per procedere all'iscrizione dell'ipoteca, ai sensi degli artt. 76 e 77 del d.P.R. n. 602 del 1973). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANIA, 17/01/2019).

Cass. civ. n. 25855/2021

L'azione revocatoria, non vertendo sulla qualificazione e attribuzione di diritti reali ed avendo solo l'effetto di rendere insensibile, nei confronti dei creditori, l'atto dispositivo a contenuto patrimoniale del debitore, senza incidere sulla validità "inter partes" dell'atto stesso, non rientra fra le controversie assoggettate alla condizione di procedibilità della domanda consistente nel previo esperimento del procedimento di mediazione ex art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TORINO, 27/09/2018).

Cass. civ. n. 24891/2021

In caso di proposizione di azione revocatoria ordinaria mediante ricorso ex art. 702 bis c.p.c., il termine di prescrizione è validamente interrotto dal deposito del ricorso nella cancelleria del giudice adito, atteso, per un verso, che nell'instaurazione del rapporto processuale (rilevante ai fini della individuazione del giudice previamente adìto in caso di litispendenza: art.39, ult. comma, c.p.c.) deve individuarsi l'espressione della volontà dell'attore di interrompere la condizione di inerzia che conduce all'estinzione del diritto per prescrizione, e considerato, per altro verso, che il dato letterale secondo cui, ai fini dell'effetto interruttivo della prescrizione, rileva la "notificazione" dell'atto con cui si inizia il giudizio (art.2943 c.c.), deve essere inteso come corrispondente al binomio proposizione della domanda/pendenza del giudizio, avuto riguardo alla circostanza che nell'impianto originario del codice di rito civile predominava il modello del processo ordinario instaurato con citazione, sicché la notificazione dell'atto con cui esso era introdotto costituiva la modalità "naturale" di proporre la domanda. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 11/09/2018).

Cass. civ. n. 14478/2021

In tema di azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore di una società di capitali fallita, l'atto dispositivo con cui l'amministratore societario ha disposto di un proprio bene per il pagamento di un debito sociale non pregiudica la garanzia patrimoniale generica della società, in quanto l'adempimento del terzo, comunque eseguito col patrimonio personale, non depaupera il patrimonio sociale. (Nella fattispecie, la S.C. ha cassato la decisione del giudice di merito che, su iniziativa del curatore fallimentare, aveva dichiarato inefficace l'alienazione a terzi di un immobile degli amministratori, eseguita, prima del fallimento, "solutionis causa", per estinguere un debito risarcitorio della società di capitali nei confronti degli acquirenti). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANIA, 09/07/2019).

Cass. civ. n. 4694/2021

In tema di fallimento, la stipulazione di un contratto di mutuo con la contestuale concessione d'ipoteca sui beni del mutuatario, ove non risulti destinata a procurare a quest'ultimo un'effettiva disponibilità, essendo egli già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, è revocabile, in presenza dei relativi presupposti, in quanto diretta, per un verso ad estinguere con mezzi anormali la precedente obbligazione, per altro verso a costituire una garanzia per il debito preesistente, dovendosi ravvisare il vantaggio conseguito dalla banca non già nella stipulazione del negozio in sé, ma nell'impiego dello stesso come mezzo per la ristrutturazione di un passivo almeno in parte diverso. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la pronuncia di merito che nel caso di due banche mutuanti, una sola delle quali vantava un un precedente credito nei confronti della mutuataria, non aveva differenziato la posizione dell'altra, la quale effettivamente aveva erogato le somme alla debitrice con contestuale iscrizione dell'ipoteca su suoi immobili, senza tuttavia beneficiare dell'estinzione anticipata del proprio credito). (Cassa con rinvio, TRIBUNALE PERUGIA, 10/12/2014).

Cass. civ. n. 25854/2020

I contratti di locazione ultranovennale sono soggetti all'azione revocatoria, qualora ne ricorrano gli estremi, in quanto, pur non essendo traslativi del bene, ne limitano, anche indirettamente, la possibilità di aggressione in sede esecutiva, pregiudicando le ragioni del creditore. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ANCONA, 08/11/2017).

Cass. civ. n. 24986/2020

In tema di azione revocatoria ordinaria dell'atto con cui una parte dei beni del debitore è stata costituita in un trust autodichiarato, non assume rilievo, ai fini dell'esclusione dell'"eventus damni", che gli scopi del trust siano la costituzione di una garanzia per il ceto creditorio e l'assicurazione della "par condicio creditorum", perché la segregazione nel patrimonio del debitore e il vincolo impresso sui cespiti, impedendo ai creditori il diritto di espropriare direttamente i beni, determinano una lesione della garanzia patrimoniale generica. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 19/09/2018).

Cass. civ. n. 18291/2020

Poiché l'azione revocatoria può essere proposta anche a tutela di una legittima aspettativa di credito, che non si rilevi "prima facie" pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, per quanto non definitivamente accertata, è ammissibile l'esperimento del rimedio ex art. 2901 c.c. in caso di contratto di cessione di cubatura, non già a fini restitutori o risarcitori in forma specifica, bensì per ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ex art. 2740 c.c., se la consistenza di esso, per effetto dell'atto di disposizione, si sia ridotta al punto da pregiudicare l'azione per la realizzazione del credito. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 03/05/2016).

Cass. civ. n. 12901/2020

In tema di azione revocatoria ordinaria, non assume rilievo ai fini dell'esclusione dell' "eventus damni" la presenza, all'interno dell'atto di disposizione del debitore, di una clausola di salvaguardia, con cui il terzo beneficiario assume la responsabilità dei debiti del suo dante causa che siano già sorti al momento dell'atto, perché il pregiudizio alle ragioni creditorie sussiste quando l'atto di disposizione determina anche solo una variazione peggiorativa, in termini quantitativi o qualitativi, del patrimonio del debitore, da valutarsi, nel caso di solidarietà passiva, esclusivamente con riferimento alla sfera patrimoniale di quest'ultimo, a nulla rilevando che i patrimoni degli altri obbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l'adempimento. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 24/01/2018).

Cass. civ. n. 12476/2020

Oggetto della domanda revocatoria, sia essa ordinaria che fallimentare, non è il bene trasferito in sé, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori, mediante il suo assoggettamento ad esecuzione forzata, sicchè quando l'azione sia stata promossa dopo il fallimento dell'accipiens, non potendo essere esperita con la finalità di recuperare il bene ceduto - stante l'intangibilità dell'asse fallimentare -, i creditori del cedente (ovvero il curatore in caso di suo fallimento) potranno insinuarsi al passivo del fallimento del cessionario per il valore del bene oggetto dell'atto di disposizione. (Rigetta, TRIBUNALE PALERMO, 14/03/2014).

Cass. civ. n. 12121/2020

Qualora il soggetto che esercita l'azione revocatoria ordinaria vanti un credito garantito da ipoteca anteriormente iscritta proprio sul bene che è oggetto dell'atto dispositivo revocando (nella specie, costituzione di fondo patrimoniale), la declaratoria di inefficacia si palesa come mezzo eccedente lo scopo in quanto la titolarità del diritto di ipoteca esclude quel pericolo di infruttuosità dell'esecuzione nel quale si identifica l'"eventus damni". (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TORINO, 04/08/2016)

Cass. civ. n. 12120/2020

In caso di esercizio dell'azione revocatoria avente ad oggetto il contratto definitivo di compravendita immobiliare concluso nelle forme di cui all'art. 1401 c.c., qualora l'immobile compravenduto sia stato oggetto di pignoramento trascritto anteriormente alla trascrizione del contratto definitivo ma posteriormente alla trascrizione del preliminare, la verifica della "scientia damni" in capo alla terza nominata (da compiersi solo nell'ipotesi in cui analoga verifica, già effettuata nei riguardi dello stipulante e con riferimento al momento della conclusione del contratto preliminare, abbia dato esito negativo), deve essere diretta ad evidenziare se la colpa della stessa, nel non aver consultato i registri immobiliari, possa assumere i connotati della lievità, idonea a giustificare la tutela del suo affidamento. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 21/10/2014).

Cass. civ. n. 10522/2020

L'azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la semplice esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità, con la conseguenza che, concessa fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse all'apertura di credito regolata in conto corrente, gli atti dispositivi del fideiussore successivi alla detta apertura di credito ed alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti all'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 2901, n. 1, prima parte, c.c., in base al mero requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore ("scientia damni") ed al solo fattore oggettivo dell'avvenuto accreditamento, giacché l'insorgenza del credito deve essere apprezzata con riferimento al momento dell'accreditamento e non a quello, eventualmente successivo, dell'effettivo prelievo da parte del debitore principale della somma messa a sua disposizione. (La S.C., richiamato il principio di cui in massima, ha ritenuto di farne applicazione in fattispecie nella quale il soggetto tenuto alla responsabilità patrimoniale per conto di un'associazione non riconosciuta aveva costituito alcuni immobili di sua proprietà in fondo patrimoniale). (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO ROMA, 25/05/2018)

Cass. civ. n. 9648/2020

Poiché l'estensione del litisconsorzio necessario è proiezione degli elementi costitutivi della fattispecie, nell'azione revocatoria ordinaria avente per oggetto l'atto di dotazione patrimoniale del "trust", il "trustee" è sempre litisconsorte necessario, in quanto titolare dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato e unica persona di riferimento nei rapporti con i terzi, non già quale legale rappresentante, bensì come soggetto che dispone del diritto, sia pure in funzione della realizzazione del programma stabilito nell'atto istitutivo dal disponente a vantaggio dei beneficiari. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 10/07/2018).

Cass. civ. n. 8992/2020

L'esenzione dalla revocatoria ordinaria dell'adempimento di un debito scaduto, alla stregua di quanto sancito dall'art. 2901, comma 3, c.c., traendo giustificazione dalla natura di atto dovuto della prestazione del debitore una volta che si siano verificati gli effetti della mora ex art. 1219 c.c., ricomprende anche l'alienazione di un bene eseguita per reperire la liquidità occorrente all'adempimento di un proprio debito, purché essa rappresenti il solo mezzo per tale scopo, ponendosi, in siffatta ipotesi, la vendita in rapporto di strumentalità necessaria con un atto dovuto, sì da poterne escludere il carattere di atto pregiudizievole per i creditori richiesto per la revoca. (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 31/03/2018).

Cass. civ. n. 4212/2020

In tema di azione revocatoria, rileva una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con la conseguenza che anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l'insorgere della qualità di creditore abilitato all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto dispositivo compiuto dal debitore, a nulla rilevando che sia di fonte contrattuale o derivi da fatto illecito e senza che vi sia necessità della preventiva introduzione di un giudizio di accertamento del medesimo credito o della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, in coerenza con la funzione di tale azione, che non persegue fini restitutori. (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 12/04/2017).

Cass. civ. n. 1414/2020

L'adempimento di un debito scaduto, pur comportando una diminuzione della garanzia patrimoniale generale, non è soggetto a revoca, ai sensi dell'art. 2901, comma 3, c.c., perché, una volta che si siano verificati gli effetti della mora, costituisce atto dovuto. Tale ultima disposizione, invece, non si applica, né in via di interpretazione estensiva né per analogia, nel caso di concessione di ipoteca per debito già scaduto, atteso che si tratta di un negozio di disposizione patrimoniale che, essendo fondato sulla libera determinazione del debitore, è aggredibile con azione revocatoria ex artt. 2901 e 2902 c.c. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO CAMPOBASSO, 10/07/2018).

Cass. civ. n. 22161/2019

In tema di azione revocatoria ordinaria, il requisito dell'anteriorità del credito rispetto all'atto dispositivo del debitore va riscontrato con riferimento al momento di insorgenza del credito stesso e non già rispetto a quello del suo accertamento giudiziale. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 25/01/2017).

Cass. civ. n. 10824/2019

In tema di azione revocatoria promossa dalla banca nei confronti del fideiussore, al fine di verificare l'anteriorità del credito per gli effetti di cui all'art. 2901 c.c., occorre fare riferimento al momento dell'accreditamento a favore del garantito e non a quello successivo dell'effettivo prelievo da parte dell'accreditato, atteso che l'azione revocatoria presuppone la sola esistenza del debito e non anche la concreta esigibilità, essendone consentito l'esperimento - in concorso con gli altri requisiti di legge - anche a garanzia di crediti condizionali, non scaduti o soltanto ed eventuali. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO CATANIA, 06/07/2015).

Cass. civ. n. 10443/2019

L'atto con il quale un coniuge, in esecuzione degli accordi intervenuti in sede di separazione consensuale, trasferisca all'altro il diritto di proprietà (ovvero costituisca diritti reali minori) su un immobile è suscettibile di azione revocatoria ordinaria, non trovando tale azione ostacolo né nell'avvenuta omologazione dell'accordo suddetto - cui resta estranea la funzione di tutela dei terzi creditori e che, comunque, lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione -, né nella circostanza che l'atto sia stato posto in essere in funzione solutoria dell'obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in contestazione non già la sussistenza dell'obbligo in sé, di fonte legale, ma le concrete modalità di assolvimento del medesimo, convenzionalmente stabilite dalle parti. Ai fini dell'applicazione della differenziata disciplina di cui all'art. 2901 c.c., la qualificazione dell'atto come oneroso o gratuito discende dalla verifica, in concreto, se lo stesso si inserisca, o meno, nell'ambito di una più ampia sistemazione "solutorio-compensativa" di tutti i rapporti aventi riflessi patrimoniali, maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, dopo aver qualificato come a titolo oneroso l'atto con il quale un coniuge, modificando gli originari accordi raggiunti in sede di separazione consensuale, aveva ceduto all'altro la propria quota di proprietà su alcuni immobili, ne aveva escluso la revocabilità ai sensi dell'art. 2901 c.c., da un lato, sulla base del fatto che i coniugi, con la suddetta modifica, avevano inteso ristrutturare gli equilibri patrimoniali scaturenti dalla separazione per effetto di circostanze sopravvenute e, dall'altro, in ragione dell'anteriorità della crisi coniugale - e dei correlativi trasferimenti patrimoniali - rispetto all'aggravarsi della situazione debitoria del coniuge alienante). (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO ROMA, 24/06/2016).

Cass. civ. n. 9798/2019

Il richiamo, nell'ambito dell'accordo con il quale i coniugi fissano consensualmente le condizioni della separazione, ad un precedente atto di costituzione di fondo patrimoniale, non determina il venir meno della natura gratuita di quest'ultimo, il quale, pertanto, è suscettibile di revocatoria ordinaria ai sensi dell'art. 2901, comma 1, n. 1, c.c., non trovando tale azione ostacolo né nell'avvenuta omologazione dell'accordo suddetto - cui resta estranea la funzione di tutela dei terzi creditori e che, comunque, lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione -, né nella pretesa inscindibilità di tale pattuizione dal complesso delle altre condizioni della separazione, né, infine, nella circostanza che la costituzione del fondo patrimoniale sia stata pattuita in funzione solutoria dell'obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in contestazione non già la sussistenza dell'obbligo in sé, di fonte legale, ma le concrete modalità di assolvimento del medesimo, convenzionalmente stabilite dalle parti. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 21/01/2016)

Cass. civ. n. 9320/2019

L'istituzione di trust familiare non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura - ai fini della revocatoria ordinaria - un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto esente da critiche la sentenza che, qualificando come gratuito l'atto costitutivo di un trust finalizzato al soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze dello stesso disponente e dei suoi familiari, aveva ritenuto non necessaria, ai fini dell'azione revocatoria, la consapevolezza, da parte dei terzi beneficiari, del pregiudizio che esso arrecava alle ragioni dei creditori). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 03/03/2016).

Cass. civ. n. 2347/2019

Presupposto necessario dell'azione revocatoria di cui all'art. 2901 c.c., oltre all'anteriorità del credito rispetto all'atto dispositivo, è l'esistenza del credito stesso al momento della domanda, trattandosi di condizione dell'azione, la cui inesistenza priverebbe di fondamento l'esigenza di conservazione della garanzia patrimoniale cui l'azione è preordinata. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MILANO, 17/06/2016).

Cass. civ. n. 1286/2019

La prova della "participatio fraudis" del terzo, necessaria ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l'atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore e il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, con riferimento ad una vendita immobiliare posta in essere da due cofideiussori tre mesi dopo l'assunzione dell'obbligazione di garanzia e in favore di altra cofideiubente ad essi legata da vincolo parentale - rispettivamente, sorella e cognata -, aveva ritenuto che il rapporto di parentela avesse valenza soltanto indiziaria e che, quindi, non fosse di per sé idoneo a dimostrare la "scientia damni" del terzo acquirente). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 27/11/2015).

Cass. civ. n. 28802/2018

In tema di azione revocatoria ordinaria, la costituzione di ipoteca successiva al sorgere del credito garantito ha natura di atto a titolo gratuito, con conseguente indifferenza dello stato soggettivo del terzo, senza che abbia rilievo la contestuale pattuizione di una dilazione di pagamento del debito, da ritenersi inerente non alla causa dell'accordo di garanzia, ma ad un motivo di esso.

Cass. civ. n. 23326/2018

In tema di azione revocatoria ordinaria, ove l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l'esistenza di analoga consapevolezza anche da parte del terzo, perché quest'ultimo deve essere a conoscenza che il proprio dante causa è vincolato verso creditori e che l'atto posto in essere arreca pregiudizio alla garanzia patrimoniale del disponente.

Cass. civ. n. 19207/2018

Il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria ordinaria (cd. "eventus damni") ricorre non solo nel caso in cui l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l'onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, nel dichiarare l'inefficacia della donazione posta in essere dal debitore convenuto in revocatoria, aveva ritenuto irrilevanti, al fine di escludere l'"eventus damni", l'offerta, da parte dello stesso debitore, di pagamenti rateali in favore della creditrice, e la concessione, da parte della beneficiaria dell'atto dispositivo, di ipoteca sui beni oggetto di controversia).

Cass. civ. n. 15215/2018

Il contratto preliminare di vendita di un immobile non produce effetti traslativi e, conseguentemente, non è configurabile quale atto di disposizione del patrimonio, assoggettabile all'azione revocatoria ordinaria, che può, invece, avere ad oggetto l'eventuale contratto definitivo di compravendita successivamente stipulato; pertanto, la sussistenza del presupposto dell' "eventus damni" per il creditore va accertata con riferimento alla stipula del contratto definitivo, mentre l'elemento soggettivo richiesto dall'art. 2901 c.c. in capo all'acquirente va valutato con riguardo al momento della conclusione del contratto preliminare, momento in cui si consuma la libera scelta delle parti.

Cass. civ. n. 11755/2018

Ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria ordinaria non è necessario che il creditore sia titolare di un credito certo, liquido ed esigibile, bastando una semplice aspettativa che non si riveli "prima facie" pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata. (Nella specie la S.C. ha ritenuto ravvisabile un credito risarcitorio da fatto illecito tutelabile ai sensi dell'art. 2901 c.c. a fronte della proposizione di denunce querele per i reati di ingiurie, minacce e lesioni personali che avevano dato luogo all'instaurazione di procedimenti penali nei quali la persona offesa non si era costituita parte civile).

Cass. civ. n. 5269/2018

Nell'azione revocatoria ordinaria, il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore consiste nella insufficienza dei beni del debitore ad offrire la garanzia patrimoniale, essendo irrilevante una mera diminuzione di detta garanzia; è invece rilevante ogni aggravamento della già esistente insufficienza dei beni del debitore ad assicurare la garanzia patrimoniale.

Cass. civ. n. 18744/2017

In tema di azione revocatoria, l'ipoteca iscritta dalla banca in occasione dell'apertura di credito concessa ad un cliente, già debitore per il saldo passivo di precedente contratto di conto corrente, costituisce garanzia di tale preesistente obbligazione e non può dunque considerarsi contestuale al sorgere del credito garantito, in funzione della qualificazione della sua costituzione quale atto a titolo oneroso.

Cass. civ. n. 13172/2017

Le condizioni per l'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria consistono nell'esistenza di un valido rapporto di credito tra il creditore che agisce in revocatoria ed il debitore disponente, nell'effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento, da parte del debitore, dell'atto traslativo, e nella ricorrenza, in capo al debitore medesimo, ed eventualmente al terzo, della consapevolezza che, con l'atto di disposizione, venga a diminuire la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori. A tal fine, non vale ad escludere l'"eventus damni" la circostanza che i beni (nella specie oggetto di donazione limitatamente alla nuda proprietà) fossero stati in precedenza ipotecati a favore di un terzo, atteso che l'azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, e non la garanzia specifica, con la conseguenza che sussiste l'interesse del creditore, da valutarsi "ex ante", e non con riguardo al momento dell'effettiva realizzazione, di far dichiarare inefficace un atto che impedisca o renda maggiormente difficile e incerta l'esazione del suo credito.

Cass. civ. n. 1366/2017

In tema di azione revocatoria ordinaria, attesa la natura generale della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., l’insufficienza originaria dei beni del debitore non esclude l’”eventus damni” anche ove l’atto dispositivo non abbia aggravato la stessa, essendo sufficiente - ai fini dell'esercizio dell'azione - che il patrimonio del debitore si fosse da allora incrementato in virtù dell'acquisto di altri e diversi beni.

Cass. civ. n. 23208/2016

In tema di azione revocatoria ordinaria, l'art. 2901 c.c. accoglie una nozione lata di "credito", comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, coerentemente con la funzione propria dell'azione, la quale non persegue scopi restitutori; pertanto, deve ritenersi sufficiente ragione di credito, ai fini dell'esercizio dell'azione in questione, quella dedotta dal portatore di uno o più assegni bancari emessi dal debitore, costituendo detti titoli promesse di pagamento ai sensi dell'art. 1988 c.c., che invertono l'onere della prova a carico del debitore sull'inesistenza della relativa obbligazione.

Cass. civ. n. 22915/2016

In tema di revocatoria ordinaria, l'azione pauliana non è strutturalmente destinata alla tutela dell'esecuzione in forma specifica di obbligazioni diverse da quelle pecuniarie, avendo la sola funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore, ex art. 2740 c.c., ove la sua consistenza si riduca, per uno o più atti dispositivi, così pregiudicando la realizzazione coattiva del diritto del creditore, ed è pertanto correlata all'eventuale esercizio, al suo esito, all'azione esecutiva sul bene trasferito, per soddisfare le ragioni pecuniarie del creditore.

Cass. civ. n. 17766/2016

Nel caso di azione revocatoria avente ad oggetto la vendita di un immobile, incombe sull'acquirente, il quale ne deduca l'irrevocabilità a norma dell'art. 2901, comma 3, c.c., l'onere di provare che l'alienazione sia stata eseguita per reperire la liquidità occorrente all'adempimento di un debito scaduto.

Cass. civ. n. 17029/2016

In tema di revocatoria ordinaria, non ricorre l'"eventus damni" se la riduzione del credito, anche in corso di causa, elimina la lesione della garanzia patrimoniale posta in essere mediante l'atto dispositivo, atteso che l'interesse ad agire deve sussistere sino al momento della decisione.

Cass. civ. n. 11892/2016

In tema di azione revocatoria ordinaria, l'esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell'atto dispositivo, ancorché di entità tale da assorbirne, se fatta valere, l'intero valore, non esclude la connotazione di quell'atto come "eventus damni" (presupposto per l'esercizio della azione pauliana), atteso che la valutazione tanto della idoneità dell'atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa alla ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell'atto, ma con giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l'eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria

Cass. civ. n. 7747/2016

L'esenzione dalla revocatoria ordinaria dell'adempimento di un debito scaduto, alla stregua di quanto sancito dall'art. 2901, comma 3, c.c., traendo giustificazione dalla natura di atto dovuto della prestazione del debitore una volta che si siano verificati gli effetti della mora ex art. 1219 c.c., ricomprende anche l'alienazione di un bene eseguita per reperire la liquidità occorrente all'adempimento di un proprio debito, purché essa rappresenti il solo mezzo per tale scopo, ponendosi in siffatta ipotesi la vendita in rapporto di strumentalità necessaria con un atto dovuto, si da poterne escludere il carattere di atto pregiudizievole per i creditori richiesto per la revoca.

Cass. civ. n. 5619/2016

L'art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore.

Cass. civ. n. 762/2016

L'azione revocatoria ordinaria presuppone per la sua esperibilità la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità, sicché, prestata fideiussione a garanzia delle future obbligazioni del debitore principale nei confronti di un istituto di credito, gli atti dispositivi del fideiussore, successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'art. 2901, n. 1, prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore ("scientia damni"), ed al solo fattore oggettivo dell'avvenuto accreditamento di denaro da parte della banca, senza che rilevi la successiva esigibilità del debito restitutorio o il recesso dal contratto

Cass. civ. n. 19129/2015

Ai fini dell'azione revocatoria ordinaria, è lesivo del credito anteriore anche l'atto che sia collegato ad uno o più atti successivi ove risulti che essi, per il breve periodo di tempo in cui sono stati compiuti o per altre circostanze, siano tutti convergenti al medesimo risultato lesivo, sicché è revocabile, sebbene privo di efficacia dispositiva, l'atto di scioglimento della comunione legale tra i coniugi compiuto contestualmente al trasferimento, da un coniuge all'altro, di una quota del 50 per cento dell'unico bene immobile al primo intestato.

Cass. civ. n. 1902/2015

In tema di revocatoria ordinaria, non essendo richiesta, a fondamento dell'azione, la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito (quale, nella specie, una transazione traslativa di beni ereditari conclusa dall'erede con un terzo), l'onere di provare l'insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza dell'"eventus damni".

Cass. civ. n. 27546/2014

In tema di azione revocatoria ordinaria, quando l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l'esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato.

Cass. civ. n. 26151/2014

In tema di azione revocatoria ordinaria, qualora il pregiudizio arrecato al creditore sia costituito da una variazione qualitativa, e non quantitativa, del patrimonio del debitore, la conoscenza del pregiudizio in capo al terzo deve afferire a tale tipo di variazione. (Nell'affermare tale principio, la S.C. ha ritenuto che il giudicato interno formatosi sulla congruità del prezzo di vendita di un immobile fosse ininfluente sulla sussistenza del presupposto del "consilium fraudis", ove la riduzione delle garanzie patrimoniali del debitore a seguito dell'atto dispositivo trovasse causa nella diversa composizione qualitativa del patrimonio medesimo).

Cass. civ. n. 25614/2014

In tema di azione revocatoria, la consapevolezza dell'evento dannoso da parte del terzo contraente - prevista quale condizione dell'azione dall'art. 2901, primo comma, n. 2, cod. civ. - consiste nella generica conoscenza del pregiudizio che l'atto posto in essere dal debitore può arrecare alle ragioni dei creditori, non essendo necessaria la collusione tra terzo e debitore. Tuttavia, nel caso di contratto preliminare di compravendita a seguito del quale il promittente-venditore abbia alienato il bene oggetto del preliminare ad un diverso soggetto, la prova che l'acquirente dell'immobile fosse a conoscenza del precedente contratto preliminare non è sufficiente, essendo necessaria la prova della sua partecipazione alla dolosa preordinazione dell'alienante, consistente nella specifica intenzione di pregiudicare la garanzia del futuro credito.

Cass. civ. n. 9987/2014

In tema di azione revocatoria ordinaria, la costituzione di ipoteca successiva al sorgere del credito garantito ha natura di atto a titolo gratuito, con conseguente indifferenza dello stato soggettivo del terzo, senza che abbia rilievo la contestuale pattuizione di una dilazione di pagamento del debito, da ritenersi inerente non alla causa dell'accordo di garanzia, ma ad un motivo di esso.

Cass. civ. n. 9855/2014

Ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria, è sufficiente la titolarità di un credito eventuale, quale quello oggetto di un giudizio ancora in corso, fermo restando che l'eventuale sentenza dichiarativa dell'atto revocato non può essere portata ad esecuzione finché l'esistenza di quel credito non sia accertata con efficacia di giudicato.

Cass. civ. n. 23891/2013

L'azione revocatoria avente ad oggetto il negozio di conferimento è ammissibile, non interferendo sulla validità del contratto costitutivo della società e quindi non ostandovi l'art. 2332 c.c. (nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alla riforma apportata dal d.l.vo 17 gennaio 2003, n. 6), riguardante la nullità di quel contratto e non i vizi della singola partecipazione, che restano regolati dalle norme generali, né subendo alcun "vulnus" il principio di separazione del patrimonio societario rispetto a quello dei soci, non determinando l'esito favorevole della stessa alcun ritorno del bene nella disponibilità del debitore, salva l'esposizione ad eventuali azioni esecutive e conservative, né, infine, precludendola la disciplina in tema di trascrizione (art. 2901, ultimo comma, c.c.), che tutela gli aventi causa dell'acquirente diretto - e non, quindi, della società conferitaria, terza ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2901, primo comma, n. 2, c.c. - o l'illiceità penale della restituzione indebita del conferimento (art. 2626 c.c.), evenienza ontologicamente affatto diversa.

In ipotesi di azione ex art. 2901 c.c. avente ad oggetto un negozio di conferimento, l'elemento psicologico della fattispecie revocatoria deve essere accertato con riguardo ai soci quando, nella fase costitutiva della società, la stessa ancora non abbia acquisito la soggettività giuridica, né sia dotata di un rappresentante legale, mentre, laddove l'organo gestorio sia contestualmente nominato, ne è, invece, sufficiente la ravvisabilità in capo a quest'ultimo ex art. 1391 c.c.. (Nella specie, il socio conferente era altresì l'accomandatario della s.a.s.).

Cass. civ. n. 14420/2013

L'esenzione della revocatoria ordinaria dell'adempimento di un debito scaduto, alla stregua di quanto sancito dall'art. 2901, terzo comma, cod. civ., traendo giustificazione dalla natura di atto dovuto della prestazione del debitore una volta che si siano verificati gli effetti della mora ex art. 1219 cod. civ., ricomprende anche l'alienazione di un bene eseguita per reperire la liquidità occorrente all'adempimento di un proprio debito, purché essa rappresenti il solo mezzo per tale scopo, ponendosi in siffatta ipotesi la vendita in rapporto di strumentalità necessaria con un atto dovuto, così, potendosene escludere il carattere di atto pregiudizievole per i creditori richiesto per la revoca.

Cass. civ. n. 8931/2013

In tema di revocatoria ordinaria esercitata dal fallimento, non può trovare applicazione la regola secondo cui, a fronte dell'allegazione, da parte del creditore, delle circostanze che integrano l'"eventus damni", incombe sul debitore l'onere di provare che il patrimonio residuo è sufficiente a soddisfare le ragioni della controparte, in quanto, da un lato, il curatore rappresenta contemporaneamente sia la massa dei creditori sia il debitore fallito e, dall'altro, in ossequio al principio della vicinanza della prova, tale onere non può essere posto a carico del convenuto, beneficiario dell'atto impugnato, che non è tenuto a conoscere l'effettiva situazione patrimoniale del suo dante causa.

Cass. civ. n. 8243/2013

L'esenzione dalla revocatoria ordinaria prevista dall'art. 2901, terzo comma, c.c., per l'adempimento di un debito scaduto non può applicarsi agli atti di assolvimento di oneri contrattualmente previsti per l'esercizio di un diritto (nella specie iscrizione di una ipoteca per ottenere la proroga del termine per l'estinzione di un debito), non trattandosi di atti dovuti, cioè di atti di adempimento di una precedente obbligazione.

Cass. civ. n. 4005/2013

Non è ammissibile l'azione ex art. 2901 c.c. rispetto ad atti che si sostanziano nella rinuncia ad una facoltà, per effetto della quale non resta modificato, né attivamente né passivamente, il patrimonio del debitore e che, pertanto, anche se dichiarati inefficaci nei confronti del creditore, non consentirebbero il conseguimento dello scopo cui è preordinata l'azione stessa secondo la ratio assegnatale dal legislatore. (Nel caso di specie, è stata ritenuta inammissibile l'azione revocatoria rispetto all'atto di adesione al legato in sostituzione di legittima e di rinuncia all'esercizio dell'azione di riduzione per lesione di legittima, atteso che, sostanziandosi l'atto di disposizione nella rinuncia ad una facoltà, l'eventuale accoglimento dell'azione, con la dichiarazione di inefficacia dello stesso, non consentirebbe al creditore di soddisfare le proprie ragioni restando i beni nella proprietà dei soggetti individuati dal de cuius, sino al positivo esperimento dell'azione di riduzione, che presuppone la rinuncia al legato.

Cass. civ. n. 1896/2012

A fondamento dell'azione revocatoria ordinaria non è richiesta la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa di esso. A questo proposito, la sostituzione di un immobile con il denaro derivante dalla compravendita comporta di per sé una rilevante modifica qualitativa della garanzia patrimoniale, in considerazione della maggiore facilità di cessione del denaro.

Cass. civ. n. 1893/2012

L'art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità. Ne consegue che anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore (nella specie, atto di concessione di ipoteca volontaria).

Cass. civ. n. 23743/2011

In tema di revocatoria ordinaria, il momento storico in cui deve essere verificata la sussistenza dell'"eventus damni", inteso come pregiudizio alle ragioni del creditore, tale da determinare l'insufficienza dei beni del debitore ad offrire la necessaria garanzia patrimoniale, è quello in cui viene compiuto l'atto di disposizione dedotto in giudizio ed in cui può apprezzarsi se il patrimonio residuo del debitore sia tale da soddisfare le ragioni del creditore, restando, invece, assolutamente irrilevanti, al fine anzidetto, le successive vicende patrimoniali del debitore, non collegate direttamente all'atto di disposizione.

Cass. civ. n. 21503/2011

In tema di domanda revocatoria ordinaria, la lunga dilazione di pagamento, senza interessi, di oltre la metà del prezzo di una compravendita, nonché l'esenzione del notaio rogante dalle ordinarie visure ipotecarie e catastali, costituiscono elementi da cui ragionevolmente desumere la rappresentazione, da parte del terzo acquirente, dell'idoneità dell'atto traslativo ad arrecare pregiudizio ai creditori del venditore.

Cass. civ. n. 17356/2011

In tema di azione revocatoria ordinaria, il requisito dell'anteriorità del credito rispetto all'atto dispositivo del debitore va riscontrato in riferimento al momento di insorgenza del credito stesso e non già rispetto al momento della sua scadenza.

Cass. civ. n. 17327/2011

In tema di azione revocatoria ordinaria, allorché l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, l'unica condizione per l'esercizio della stessa è che il debitore fosse a conoscenza del pregiudizio delle ragioni del creditore e, trattandosi di atto a titolo oneroso, che di esso fosse consapevole il terzo, la cui posizione - per quanto riguarda i presupposti soggettivi dell'azione - è sostanzialmente analoga a quella del debitore; la prova del predetto atteggiamento soggettivo può essere fornita tramite presunzioni il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato.

Cass. civ. n. 11858/2011

Il terzo subacquirente di un immobile può intervenire nel giudizio promosso ai sensi dell'art. 2901 c.c., nei confronti del suo dante causa e di chi aveva a questi venduto il bene, non solo per far valere l'insensibilità del proprio acquisto rispetto all'eventuale sentenza di accoglimento, ma anche per sostenere le ragioni del proprio dante causa rispetto alla domanda revocatoria. Nel primo caso, il terzo subacquirente assume la veste di interventore autonomo, in quanto fa valere un diritto proprio; nel secondo assume invece la veste di interventore adesivo dipendente, ed è di conseguenza privo di legittimazione ad impugnare la sentenza di accoglimento dell'azione revocatoria, ove il suo dante causa vi abbia prestato acquiescenza.

Cass. civ. n. 6486/2011

Qualora uno solo tra più coobbligati solidali compia atti di disposizione del proprio patrimonio, è facoltà del creditore promuovere l'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 2901 c.c. - ricorrendone i presupposti - nei suoi confronti, a nulla rilevando che i patrimoni degli altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l'adempimento.

Cass. civ. n. 3676/2011

L'azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità. Pertanto. prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale, gli atti dispositivi del fideiussore successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'art. 2901, n. 1, prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore ("scientia damni"); l'acquisto della qualità di debitore del fideiussore nei confronti del creditore procedente risale al momento della nascita del credito, sicché a tale momento occorre far riferimento per stabilire se l'atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito.

Cass. civ. n. 18369/2010

L'interesse del creditore ad agire in revocatoria sussiste anche quando il bene oggetto dell'atto di cui si chiede la revoca non sia più nella disponibilità dell'acquirente, per essere stato da questo alienato a terzi con atto trascritto anteriormente alla trascrizione dell'atto di citazione in revocatoria. Anche in tal caso, infatti, l'eventuale accoglimento dell'azione revocatoria consentirà all'attore di promuovere nei confronti del convenuto le azioni di risarcimento del danno o di restituzione del prezzo dell'acquisto, e ciò quand'anche le relative domande non siano state formulate congiuntamente alla domanda revocatoria, potendo queste ultime essere formulate anche successivamente.

Cass. civ. n. 19234/2009

Nell'azione revocatoria ordinaria il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore consiste nella insufficienza dei beni del debitore ad offrire la garanzia patrimoniale, essendo irrilevante una mera diminuzione di detta garanzia; è invece rilevante ogni aggravamento della già esistente insufficienza dei beni del debitore ad assicurare la garanzia patrimoniale. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo alla costituzione in pegno, da parte di una società già in crisi, delle quote di partecipazione in altra società, a garanzia di preesistenti debiti del gruppo verso il creditore, con conseguente vincolo di indisponibilità pressoché definitivo di parte determinante dell'attivo e contributo causale al proprio fallimento).

Cass. civ. n. 16464/2009

A norma dell'art. 2901, primo comma, c.c., il presupposto dell'azione revocatoria costituito dal pregiudizio alle ragioni del creditore si riferisce anche al pericolo di danno, la cui valutazione è rimessa alla concreta valutazione del giudice; ne consegue che, ove oggetto dell'azione revocatoria sia un atto di compravendita di un bene già ipotecato, se ad agire è un creditore chirografario, il pregiudizio deve essere specificamente valutato - nella sua certezza ed effettività - con riguardo al potenziale conflitto tra il creditore chirografario e il creditore garantito da ipoteca, e quindi in relazione alla concreta possibilità di soddisfazione del primo con riguardo all'entità della garanzia reale del secondo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda, per mancanza del presupposto del danno, sul rilievo che l'immobile oggetto di revocatoria era gravato da due ipoteche, sicché il creditore chirografario che agiva in giudizio, ove anche la vendita non avesse avuto luogo, ben difficilmente avrebbe potuto ottenere su quel bene la soddisfazione del proprio credito).

Cass. civ. n. 5359/2009

La prova della "participatio fraudis" del terzo, necessaria ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l'atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore ed il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente. (In applicazione di tale principio, la Corte ha cassato la decisione di merito, la quale aveva ritenuto non provata la "participatio fraudis" del terzo, in un caso in cui il responsabile di un grave sinistro stradale, dopo la pronuncia della sentenza di condanna in primo grado al risarcimento dei danni e nelle more del giudizio di appello, si era spogliato di tutti i propri beni immobiliari in favore della figlia e delle nuore).

Cass. civ. n. 1968/2009

Sia l'azione revocatoria ordinaria, sia la c.d. "revocatoria risarcitoria" (e cioè la domanda volta ad ottenere la condanna al risarcimento del terzo che, dopo avere acquistato un bene dal debitore altrui, lo abbia rivenduto a terzi, sottraendolo così all'azione revocatoria) possono essere proposte non solo da chi al momento dell'atto dispositivo era già titolare di un credito certo ed esigibile, ma anche dal titolare di un credito contestato o litigioso. Ne consegue che in quest'ultima ipotesi, quand'anche l'accertamento definitivo del credito avvenga in sede giudiziale successivamente alla stipula dell'atto pregiudizievole per il creditore, quest'ultimo per ottenere l'accoglimento della propria domanda revocatoria deve provare unicamente la "scientia fraudis" del terzo (anche mediante presunzioni) e non anche il "consilium fraudis".

Cass. civ. n. 29869/2008

In tema di revocatoria ordinaria, il rilascio di cambiali ipotecarie in favore di un terzo non esime il debitore dall'onere di provare che il rapporto causale ha natura onerosa e che è stato stipulato, contestualmente al rilascio dei titoli, un contratto di mutuo con il prenditore. In difetto di tale prova, trova applicazione il regime giuridico degli atti a titolo gratuito, per cui ai fini del "consilium fraudis" non è necessaria la dimostrazione dell'intenzione di nuocere al creditore, essendo sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore e non anche del terzo beneficiario, del pregiudizio che, mediante l'atto di disposizione, sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore, consapevolezza la cui prova può essere fornita anche mediante presunzioni.

Cass. civ. n. 28988/2008

L'azione revocatoria esercitata dal curatore nei confronti dei terzi aventi causa dal primo acquirente del fallito, pur presupponendo l'esercizio della revocatoria fallimentare nei confronti dell'atto dispositivo posto in essere da quest'ultimo e la sua conseguente dichiarazione d'inefficacia, si atteggia come una revocatoria ordinaria, e come tale può essere qualificata dal giudice sulla base dei fatti rappresentati dal curatore, il quale è tenuto a provare la mala fede del sub-acquirente a titolo oneroso, intesa come consapevolezza che l'atto d'acquisto intervenuto fra il suo dante causa ed il debitore fallito era revocabile ex art. 67 legge fall.; se però l'azione revocatoria ha per oggetto il pagamento eseguito dal debitore, poi fallito, con mezzo normale e per debiti scaduti, la sua stessa esperibilità va negata ai sensi dell'art. 2901, terzo comma, c.c., trattandosi di atto dovuto, privo di contenuto negoziale e non assimilabile all'atto di disposizione patrimoniale revocabile ai sensi del primo comma dell'art. citato; in ogni caso, l'azione revocatoria ordinaria permette di far valere il diritto di sequela e dunque il suo effetto recuperatorio nei confronti dei predetti terzi acquirenti solo se l'oggetto dell'azione sia una cosa determinata che, sebbene trasferita ad un terzo, mantenga la sua individualità, come non può essere il danaro che, una volta incassato, si confonde con la restante parte del patrimonio del creditore.

Cass. civ. n. 28981/2008

La cessione "pro solvendo" al creditore di tutti i crediti presenti e futuri vantati, fino ad un determinato importo, dal debitore verso un terzo, costituisce modalità anomala di estinzione dell'obbligazione, come tale assoggettabile all'azione revocatoria ordinaria promuovibile dal curatore ex art. 66 legge fall.; il principio della non sottoponibilità all'azione revocatoria dell'adempimento di un debito scaduto, fissato dall'art. 2901, terzo comma, cod. civ., trova invero applicazione solo con riguardo all'adempimento in senso tecnico e non con riguardo a negozi, come la predetta cessione, riconducibili ad un atto discrezionale, dunque non dovuto, per il quale l'estinzione dell'obbligazione è l'effetto finale di un negozio, soggettivamente ed oggettivamente diverso da quello in virtù del quale il pagamento è dovuto. Né l'irrevocabilità dell'atto di disposizione può conseguire alla dimostrazione da parte del debitore dell'assenza di alternative per soddisfare il debito scaduto, principio applicabile in relazione a fattispecie disciplinate dall'art. 2901 cod. civ., ma non nell'ambito dell'azione revocatoria di cui all'art. 66 legge fall., posta a tutela della "par condicio creditorum".

Cass. civ. n. 26331/2008

Il curatore fallimentare che intenda promuovere l'azione revocatoria ordinaria, per dimostrare la sussistenza dell'eventus damni ha l'onere di provare tre circostanze: la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell'atto pregiudizievole; il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto. Solo se dalla valutazione complessiva e rigorosa di tutti e tre questi elementi dovesse emergere che per effetto dell'atto pregiudizievole sia divenuta oggettivamente più difficoltosa l'esazione del credito, in misura che ecceda la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori, potrà ritenersi dimostrata la sussistenza dell' eventus damni (nel caso di specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva fondato l'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria ex art. 66 legge fall. solo sulla sproporzione tra prezzo di acquisto e prezzo di mercato in una alienazione immobiliare intervenuta cinque anni prima del fallimento).

Cass. civ. n. 24757/2008

In tema di azione revocatoria, quando l'atto di disposizione é anteriore al sorgere del credito, ad integrare l"'animus nocendi" richiesto dall'art. 2901, comma primo n. 1. cod.civ è sufficiente il mero dolo generico, e cioè la mera previsione, da parte del debitore, del pregiudizio dei creditori, e non é, quindi, necessaria la ricorrenza del dolo specifico, e cioè la consapevole volontà del debitore di pregiudicare le ragioni del creditore. Trattandosi di un atteggiamento soggettivo, tale elemento psicologico va provato dal soggetto che lo allega e può essere accertato anche mediante il ricorso a presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione.

Cass. civ. n. 20002/2008

Ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria ordinaria non è necessario al creditore essere titolare di un credito certo, liquido ed esigibile, bastando una semplice aspettativa che non si riveli "prima facie" pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata. (Nella fattispecie la ragione di credito consisteva nella restituzione di una somma pagata in conto prezzo dal promissario acquirente di una vendita immobiliare non seguita da contratto definitivo per intervenuta cessione a terzi).

Cass. civ. n. 13404/2008

Agli effetti dell'azione revocatoria, deve ritenersi lesivo del credito anteriore anche l'atto oneroso che sia collegato con uno o più atti successivi, in modo da risultare tutti convergenti, per il breve periodo di tempo in cui sono stati compiuti o per altre circostanze, al medesimo risultato lesivo; in tal caso il creditore che agisca in revocatoria non è tenuto ad impugnare l'ultimo o gli ultimi atti con i quali si sia perfezionata la totale distruzione della garanzia del suo credito, ma può rivolgere la propria impugnativa contro quello più significativo da un punto di vista economico o che meglio riveli gli elementi della frode.

Cass. civ. n. 16986/2007

In tema di revocatoria ordinaria, ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo dell'eventus damni la cui sussistenza il curatore deve provare, non è necessario che l'atto abbia reso impossibile la soddisfazione del credito, ma è sufficiente che abbia causato maggiore difficoltà od incertezza nel recupero coattivo, secondo una valutazione operata ex ante con riferimento alla data dell'atto dispositivo e non a quella futura dell'effettiva realizzazione del credito, avendo riguardo anche alla modificazione qualitativa della composizione del patrimonio. (Nella fattispecie la S.C. ha ritenuto conforme a diritto la valutazione della Corte di merito, secondo la quale l'atto di compravendita di immobile, pur provocando una variazione qualitativa del patrimonio, rappresentava, per un'impresa sociale di costruzioni di immobili, lineare espressione dell'attività).

Cass. civ. n. 15880/2007

In tema di azione revocatoria, condizione essenziale della tutela in favore del creditore è il pregiudizio alle ragioni dello stesso, per la cui configurabilità non è necessario che sussista già un danno concreto ed effettivo, essendo, invece, sufficiente un pericolo di danno derivante dall'atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta l'esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità. (Nella specie, la S.C., cassando con rinvio per motivazione insufficiente la sentenza impugnata, ha negato che potesse ravvisarsi tale condizione in un caso di domanda proposta dal coniuge che aveva solo chiesto, in sede di giudizio di separazione, senza però ottenere un corrispondente e definitivo provvedimento del tribunale, di divenire assegnatario della casa coniugale contro l'acquirente dell'immobile venduto dal coniuge, già titolare dello stesso, al fine di inibire all'acquirente di chiederne la consegna, non potendo, oltretutto, il consilium fraudis fondarsi esclusivamente sulla consapevolezza della derivazione del danno dal trattarsi di diritto all'abitazione della casa coniugale sorto con il matrimonio e la nascita di una figlia).

Cass. civ. n. 13972/2007

L'azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostruire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, che si prospetti compromessa dall'atto di disposizione da questi posto in essere; essa, pertanto, in caso di esito vittorioso, non travolge l'atto impugnato, con conseguente effetto restitutorio o recuperatorio del bene al patrimonio del debitore, ma ha l'effetto tipico di determinare l'inefficacia dell'atto stesso nei confronti del solo creditore, al fine di consentirgli di aggredire il bene con l'azione esecutiva qualora il proprio credito rimanga insoddisfatto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza della Corte di appello che, nell'accogliere l'azione revocatoria avverso le donazioni compiute dal debitore in favore dei propri eredi legittimi, aveva ritenuto che i beni donati non fossero mai usciti dal suo patrimonio e che, pertanto, una volta aperta la sua successione, i donatari, mantenendone il possesso senza avvalersi del beneficio dell'inventario, avessero manifestato la volontà di accettare l'eredità).

Cass. civ. n. 7767/2007

In tema di azione revocatoria ordinaria non è richiesta, a fondamento dell'azione, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che pub consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa di esso. Tale rilevanza quantitativa e qualitativa dell'atto di disposizione deve essere provata dal creditore che agisce in revocatoria, mentre è onere del debitore, per sottrarsi agli effetti: di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, rilevandone la logicità e l'adeguatezza della relativa motivazione, con la quale, per un verso, era stato correttamente affermato che gravava sul debitore l'onere della prova della propria possibilità di garantire idoneamente il credito della banca che aveva agito in revocatoria per la declaratoria dell'inefficacia di una cessione di una quota parziale della nuda proprietà di un immobile effettuata dallo stesso debitore al coniuge e, per altro verso, aveva congruamente esposto, a riprova del consilium fraudis, una situazione paradigmatica di intesa tra i contraenti diretta a vanificare la garanzia del credito del terzo).

Cass. civ. n. 7507/2007

In tema di azione revocatoria ordinaria, la consapevolezza dell'evento dannoso da parte del terzo contraente. prevista quale condizione dell'azione dall'art. 2901 primo comma n. 2, prima ipotesi, c.c., consiste nella conoscenza generica del pregiudizio che l'atto di disposizione posto in essere dal debitore, diminuendo la garanzia patrimoniale, può arrecare alle ragioni dei creditori, e la relativa prova può essere fornita anche a mezzo di presunzioni. Nel caso di vendita contestuale in favore di un terzo di una pluralità di beni del debitore, ovvero di vendita dell'unico bene immobile di proprietà del debitore, l'esistenza e la consapevolezza del debitore e del terzo acquirente del pregiudizio patrimoniale che tali atti recano alle ragioni del creditore, ai fini dell'esercizio da parte di questi dell'azione pauliana, possono ritenersi in re ipsa: in questo caso, incombe sul debitore, e non sul creditore, l'onere probatorio di dimostrare che il proprio patrimonio residuo sia sufficiente a soddisfare ampiamente le ragioni del creditore.

Cass. civ. n. 26933/2006

Con riguardo ad atto costitutivo di garanzia prestata dal terzo in favore di altro soggetto, il principio stabilito per l'azione revocatoria ordinaria dall'art. 2901, secondo comma, c.c., secondo il quale le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al sorgere del credito garantito, è applicabile anche al sistema revocatorio fallimentare, essendo tale principio coerente con la natura intrinseca dell'atto (di prestazione di garanzia), il quale, nei confronti del soggetto erogatore del finanziamento, non può essere considerato gratuito — con conseguente inapplicabilità dell'art. 64 legge fall. (salva la revocabilità ex art. 67, secondo comma, della legge stessa) —, perché viene a porsi in relazione di corrispettività con la contestuale erogazione del credito. (Enunciando il principio di cui in massima, la Corte — in fattispecie nella quale i giudici d'appello avevano ritenuto applicabile l'art. 67, primo comma, legge fall. in un caso di pegno concesso a garanzia di un'operazione di finanziamento estero in un'operazione di credito industriale, sul rilievo che tra la concessione della garanzia e la controprestazione non vi era rapporto di corrispettività, ed anzi vi era notevole sproporzione, indice dell'anormalità dell'atto — ha cassato la sentenza impugnata, perché essa non aveva considerato, da un lato, che il pegno era stato concesso a fronte della riattivazione del finanziamento, la cui erogazione era stata in un primo momento sospesa, e, dall'altro, che il rapporto di corrispettività va valutato avendo riguardo non all'utile che il garante ricava dalla concessione della garanzia, ma alla prestazione del creditore garantito a fronte della garanzia stessa).

Cass. civ. n. 1413/2006

In tema di azione revocatoria promossa dalla banca nei confronti del fideiussore, al fine di verificare l'anteriorità del credito per gli effetti di cui all'art. 2901 c.c., occorre fare riferimento al momento dell'accreditamento a favore del garantito e non a quello successivo dell'effettivo prelievo da parte dell'accreditato; infatti, l'azione revocatoria presuppone la sola esistenza del debito e non anche la concreta esigibilità, essendone consentito l'esperimento — in concorso con gli altri requisiti di legge — anche a garanzia di crediti condizionali, non scaduti o soltanto eventuali.

Cass. civ. n. 15265/2006

Ai fini dell'azione revocatoria ordinaria, per l'integrazione del profilo oggettivo dell'eventus damni è sufficiente che l'atto di disposizione del debitore abbia determinato maggiore difficoltà od incertezza nell'esazione coattiva del credito, potendo il detto eventus damni consistere in una variazione non solo quantitativa, ma anche qualitativa del patrimonio del debitore. A tal fine, l'onere probatorio del creditore si restringe alla dimostrazione della variazione patrimoniale, senza che sia necessario provare l'entità e la natura del patrimonio del debitore dopo l'atto di disposizione, non potendo il creditore valutarne compiutamente le caratteristiche. Per contro, il debitore deve provare che, nonostante l'atto di disposizione, il suo patrimonio ha conservato valore e caratteristiche tali da garantire il soddisfacimento delle ragioni del creditore senza difficoltà. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva desunto la prova dell'eventus damni dalla dichiarazione del debitore, avente valore indiziario, «la banca creditrice avrebbe potuto agire prima evitando l'azione di altri»).

Cass. civ. n. 5105/2006

In tema di azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto un atto di compravendita posto in essere dal debitore in epoca successiva al sorgere del credito, è correttamente motivata la sentenza di merito che abbia individuato la prova della scientia fraudis nel comportamento degli acquirenti, i quali, pur consapevoli che sull'immobile acquistato gravavano iscrizioni ipotecarie di rilevante importo, si siano accontentati della mera assicurazione del venditore che i debiti erano estinti e che avrebbe provveduto a cancellare le ipoteche entro un termine di gran lunga successivo alla stipulazione, senza neppure fare riferimento ad un'ipoteca giudiziale iscritta sull'immobile. Infatti, nonostante l'apparente diversità delle locuzioni usate nei nn. 1 e 2 dell'art. 2901 c.c., la posizione del terzo acquirente, per quanto riguarda i presupposti soggettivi dell'azione, è sostanzialmente analoga a quella del debitore, nel senso che l'accoglimento della domanda è subordinato alla prova, che può essere offerta anche a mezzo di presunzioni, della coscienza di ledere la garanzia dei creditori, oltre che della previsione del danno arrecato a questi ultimi dall'atto, richiedendosi a tal fine una conoscenza effettiva di tale pregiudizio, e non essendo invece sufficiente una mera prevedibilità dello stesso.

Poiché l'azione revocatoria ordinaria tutela non solo l'interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale costituita dai beni del debitore, ma anche all'assicurazione di uno stato di maggiore fruttuosità e speditezza dell'azione esecutiva diretta a far valere la detta garanzia, il riconoscimento dell'esistenza dell'eventus damni non presuppone una valutazione sul pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore istante, ma richiede soltanto la dimostrazione da parte di quest'ultimo della pericolosità dell'atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore.

Cass. civ. n. 19963/2005

In tema di azione revocatoria ordinaria, non essendo richiesta, a fondamento dell'azione, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile il soddisfacimento del credito, incombe al convenuto che eccepisca la mancanza dell'eventus damni l'onere di provare l'insussistenza del predetto rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali. In riferimento alla concessione d'ipoteca, che è negozio di disposizione patrimoniale suscettibile di determinare una diminuzione della garanzia patrimoniale generale del debitore, potendo concretamente condurre, seppure in modo mediato, allo stesso risultato finale della alienazione del bene ipotecato, ciò comporta che incombe al beneficiario della garanzia dedurre e provare che il patrimonio residuo del debitore è di dimensioni tali, in rapporto all'entità della sua complessiva debitoria, da non esporre ad apprezzabile rischio il soddisfacimento dei crediti chirografari.

Cass. civ. n. 2748/2005

Ai fini dell'esercizio dell'azione revocatoria, perché sussista il requisito dell'anteriorità del credito rispetto all'atto impugnato è sufficiente l'insorgere della posizione debitoria in capo al debitore, indipendentemente dalla circostanza che il debito sia certo e determinato nel suo ammontare o che sia scaduto ed esigibile.

Cass. civ. n. 19131/2004

L'azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, al fine di permettergli il soddisfacimento coattivo del suo credito e la relativa sentenza ha efficacia retroattiva, in quanto l'atto dispositivo è viziato sin dall'origine; pertanto, qualora sia accolta la domanda, deve ritenersi valida l'ipoteca che il creditore abbia iscritto successivamente al compimento dell'atto dispositivo ed anteriormente alla proposizione dell'azione revocatoria e il grado dell'ipoteca è quello della sua iscrizione.

Cass. civ. n. 11612/2004

In tema di azione revocatoria ordinaria, il rapporto di contestualità richiesto dall'art. 2901 secondo comma c.c., in forza del quale la prestazione di garanzie reali, anche per debiti altrui, è considerata «atto a titolo oneroso» se contestuale alla nascita del credito garantito, sussiste anche nel caso in cui il terzo conceda ipoteca al factor per garantire un credito fattorizzato prima che esso venga ad esistenza, e perciò tanto se l'ipoteca sia concessa contestualmente alla stipula del contratto di factoring, quanto successivamente, qualunque ne sia lo scopo, anche quello di evitare la risoluzione del contratto e la cessazione del rapporto. (Nella specie, stipulato un contratto di factoring ed erogata una somma a fronte della cessione pro solvendo di crediti futuri, il debitore aveva concesso ipoteca a garanzia della regolare esecuzione delle proprie obbligazioni dopo il sorgere di contestazioni relative ai crediti oggetto del contratto; la S.C, in applicazione del suesposto principio ha confermato la sentenza di merito che, in relazione all'azione revocatoria promossa dal creditore aveva negato la gratuità della concessione di ipoteca).

Cass. civ. n. 9440/2004

Poiché anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare — sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito — l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 2901 c.c., avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore, il giudizio promosso con l'indicata azione non è soggetto a sospensione necessaria a norma dell'art. 295 c.p.c. per il caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l'accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta la domanda revocatoria, in quanto la definizione del giudizio sull'accertamento del credito non costituisce l'indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo d'altra parte da escludere l'eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell'allegato credito litigioso, dichiari inefficace l'atto di disposizione e la sentenza negativa sull'esistenza del credito. (Enunciando il principio di cui in massima — in una fattispecie in cui il credito litigioso, allegato quale fatto costitutivo della pretesa revocatoria, era rappresentato dal credito risarcitorio per mala gestio fatto valere in giudizio nei confronti di amministratori di società — le S.U. hanno annullato l'ordinanza con cui il tribunale aveva sospeso il giudizio introdotto per ottenere la dichiarazione di inefficacia dell'atto di disposizione in ragione della pendenza del processo relativo alla domanda avente ad oggetto il credito per risarcimento danni posto a fondamento della domanda revocatoria).

Cass. civ. n. 6511/2004

Necessario presupposto dell'azione revocatoria è l'esistenza di un credito, ancorché sottoposto a termine o condizione, non anche che il credito sia «liquido», ossia determinato nel suo ammontare o facilmente liquidabile, non rilevando tale requisito neppure ai fini della sussistenza del «pregiudizio delle ragioni creditorie», che non richiede un effettivo e attuale depauperamento del patrimonio del debitore, essendo sufficiente il pericolo che l'azione esecutiva possa rivelarsi infruttuosa. Ne consegue che la sentenza del giudice di merito che statuisce sulla domanda revocatoria e rimette la causa in istruttoria per la determinazione del credito ha carattere definitivo e la riserva d'appello formulata dalla parte soccombente nella successiva udienza, deve considerarsi priva di effetto.

Cass. civ. n. 3546/2004

Le condizioni per l'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria consistono nell'esistenza di un valido rapporto di credito tra il creditore che agisce in revocatoria e il debitore disponente, nell'effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento da parte del debitore dell'atto traslativo, e nella ricorrenza in capo al debitore, ed eventualmente in capo al terzo, della consapevolezza che, con l'atto di disposizione, il debitore diminuisca la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori.

Cass. civ. n. 3981/2003

... l'incertezza del credito non costituisce ragione sufficiente per escludere la consapevolezza del terzo in ordine all'eventus damni.

Cass. civ. n. 16570/2002

In materia di mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, è soggetto ad azione revocatoria (art. 2901 c.c.), ove concorrano le altre condizioni previste dalla legge, l'atto di concessione della garanzia ipotecaria a fronte di debito scaduto, atteso che la costituzione della garanzia non ha il connotato della doverosità proprio dell'adempimento (c.d. atto dovuto o atto giuridico in senso stretto) — che giustifica l'esclusione della revocatoria, ai sensi del terzo comma dell'art. cit. — ma si fonda sulla libera determinazione del debitore, il quale, attraverso la prestazione della garanzia, dà luogo alla modifica del suo patrimonio, con rischio di compromissione delle pregresse ragioni degli altri creditori.

Cass. civ. n. 9349/2002

L'azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità, con la conseguenza che, prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse all'apertura di credito regolata in conto corrente, gli atti dispositivi del fideiussore successivi all'apertura di credito ed alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti all'azione revocatoria ai sensi dell'art. 2901, n. 1, prima parte, c.c. in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni), ed al solo fattore oggettivo dell'avvenuto accreditamento giacché l'insorgenza del credito va apprezzata con riferimento al momento dell'accreditamento e non a quello, eventualmente successivo, dell'effettivo prelievo da parte del debitore principale della somma messa a sua disposizione.

Cass. civ. n. 12678/2001

Per l'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria è sufficiente l'esistenza di una semplice ragione di credito e non necessariamente di un credito certo, liquido ed esigibile accertato in sede giudiziale.

Cass. civ. n. 8/2001

Per l'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria è sufficiente l'esistenza di una semplice ragione di credito e non necessariamente di un credito certo, liquido ed esigibile accertato in sede giudiziale.

Cass. civ. n. 11916/2001

In tema di azione revocatoria ordinaria, allorché l'atto di disposizione a titolo oneroso sia anteriore al sorgere del credito, la condizione per l'esercizio dell'azione stessa è, oltre al consilium fraudis del debitore, la partecipatio fraudis del terzo acquirente, ossia la conoscenza da parte del terzo della dolosa preordinazione della vendita ad opera del disponente rispetto al credito futuro; tale elemento psicologico va provato dal soggetto che lo allega e può essere accertato anche mediante il ricorso a presunzioni, il cui apprezzamento, riservato al giudice del merito, è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva escluso la sussistenza di tale elemento psicologico nell'acquisto della nuda proprietà di due immobili, da parte di soggetti legati al debitore da rapporti di affinità collaterale, tra l'altro scevri da particolari frequentazioni e legami, per un prezzo non discostantesi in misura significativa dalla valutazione operata dal Ctu, nonché nell'acquisto, da parte dei due figli del debitore, della piena proprietà di altro immobile, ad un prezzo scontato, il cui scarto, ritenuto, peraltro, fisiologico nella contrattazione tra consanguinei, rispetto alla valutazione peritale non era tale da esorbitare dai parametri di oscillazione tra domanda ed offerta).

Cass. civ. n. 7484/2001

L'azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua legittima esperibilità, la sola esistenza di un debito e non anche la concreta esigibilità di esso, potendo essere esperita in concorso con gli altri requisiti di legge anche per crediti condizionali, non scaduti e/o soltanto eventuali. Pertanto, con riguardo alla posizione del fideiussore i cui atti dispositivi sono soltanto assoggettabili al pari di quelli del debitore principale, al rimedio in questione, l'acquisto della qualità di debitore nei confronti del creditore risale al momento della nascita stessa del credito e non a quello della scadenza dell'obbligazione del debitore principale, per cui è a tale momento che occorre fare riferimento al fine di stabilire se l'atto, pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito, onde affermare, conseguentemente, la necessità o meno della prova della cosiddetta «dolosa preordinazione».

Cass. civ. n. 7127/2001

L'azione revocatoria ordinaria ha solo la funzione di ricostruire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore la cui consistenza, per effetto dell'atto di disposizione posto in essere dal debitore, si sia ridotta in guisa da pregiudicare il diritto del creditore con l'azione espropriativa. In coerenza con tale sua unica funzione l'azione predetta, ove esperita vittoriosamente, non travolge l'atto di disposizione posto in essere dal debitore, ma semplicemente determina l'inefficacia di esso nei soli confronti del creditore che l'abbia esperita per consentire allo stesso di esercitare sul bene oggetto dell'atto, l'azione esecutiva per la realizzazione del credito. Ne consegue che detta azione non può essere esercitata dal promissario acquirente per acquistare, poi, la proprietà della cosa con l'azione intesa ad ottenere ex art. 2932 c.c. esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo, avente ad oggetto il trasferimento della proprietà della cosa stessa alienata a terzi.

Cass. civ. n. 7452/2000

Ai fini dell'azione revocatoria ordinaria, la definizione della controversia sul credito che costituisce il presupposto dell'azione non integra un antecedente logico giuridico indispensabile della pronunzia sulla domanda revocatoria, né è necessario lo stato di insolvenza del debitore, essendo sufficiente che l'atto di disposizione compiuto dal debitore stesso produca pericolo o incertezza per la realizzazione del diritto del creditore, in termini di una possibile o eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva.

In tema di azione revocatoria ordinaria, allorché l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, l'unica condizione per l'esercizio della stessa è che il debitore fosse a conoscenza del pregiudizio per le ragioni del creditore, e, trattandosi di atto a titolo oneroso, che di esso fosse consapevole il terzo. La prova di tale atteggiamento soggettivo ben può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito, ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato ed immune da vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 7262/2000

In tema di condizioni per l'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria, allorché l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, è necessaria e sufficiente la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore (scientia damni), essendo l'elemento soggettivo integrato dalla semplice conoscenza, cui va equiparata la agevole conoscibilità, nel debitore e, in ipotesi di atto a titolo oneroso, nel terzo di tale pregiudizio, a prescindere dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l'azione, e senza che assumano rilevanza l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (consilium fraudis) né la partecipazione o la conoscenza da parte del terzo in ordine alla intenzione fraudolenta del debitore. (Omissis).

Cass. civ. n. 4642/2000

La revocatoria ordinaria di atti a titolo gratuito non postula che il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore sia conosciuto, oltre che dal debitore, anche dal terzo beneficiario, trattandosi di requisito richiesto solo per la diversa ipotesi degli atti a titolo oneroso.

Cass. civ. n. 1804/2000

L'azione revocatoria ha finalità cautelare e conservativa del diritto di credito e consiste nel potere attribuito al creditore di far dichiarare inefficaci nei suoi confronti determinati atti di disposizione sul patrimonio del debitore, che rechino pregiudizio alle sue ragioni, con la conseguenza che il bene non torna nel patrimonio del debitore, conservando l'atto la sua validità, ma resta soggetto all'aggressione del solo creditore istante nella misura necessaria a soddisfare le sue ragioni; anche un bene in comunione, qualora formi oggetto di un atto di disposizione, può dar luogo all'esperimento dell'azione revocatoria, limitatamente alla quota parte spettante al o ai debitori nell'ipotesi che solo uno o alcuno degli (ex) comproprietari rivesta tale qualità; in tal caso non ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra i precedenti comproprietari, essendo l'azione legittimamente esperibile solo contro i debitori e perla quota di loro spettanza.

Cass. civ. n. 14274/1999

In tema di revocatoria ordinaria, ai fini della configurabilità del consilium fraudis per gli atti di disposizione a titolo gratuito compiuti dal debitore successivamente al sorgere del credito, non è necessaria l'intenzione di nuocere ai creditori, ma è sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore stesso (e non anche del terzo beneficiario), del pregiudizio che, mediante l'atto di disposizione, sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore, consapevolezza la cui prova può essere fornita anche mediante presunzioni.

Cass. civ. n. 12144/1999

In tema di , azione revocatoria ordinaria, l'art. 2901 c.c. accoglie una nozione lata di «credito», comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza delle relative fonti di acquisizione, coerentemente con la funzione propria dell'azione, la quale non persegue scopi specificamente restitutori, bensì mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori compresi quelli meramente eventuali.

Cass. civ. n. 1054/1999

La scientia damni dell'alienante e del terzo può esser desunta anche da presunzioni gravi, precise e concordanti diverse dalla sperequazione tra prezzo e valore di mercato del bene, perché l'eventus damni consiste anche nell'incertezza o maggiore difficoltà di realizzazione del credito.

Cass. civ. n. 5264/1998

Si ricava dal testo dall'art. 2901 c.c., che il criterio dettato, dal terzo comma della stessa disposizione per individuare la natura onerosa o gratuita di una prestazione di garanzia, ricollegandosi alla contestualità o meno con il credito garantito, non è applicabile in sede fallimentare, ove, nell'assenza di analoghi criteri negli artt. 64 e 67 della legge fallimentare, la gratuità (od onerosità) va valutata caso per caso, con esclusivo riguardo alla posizione del garante e agli effetti che l'atto, ovvero, eventualmente, altri ad esso funzionalmente collegati, abbiano determinato nel suo patrimonio.

Cass. civ. n. 3113/1997

Nel caso in cui un debitore disponga del suo patrimonio mediante la vendita contestuale di una pluralità di beni, l'esistenza e la consapevolezza, sua e del terzo acquirente, del pregiudizio patrimoniale (art. 2901 nn. 1 e 2 c.c.) che tali atti arrecano alle ragioni del creditore, ai fini dell'esercizio di questi dell'azione pauliana, sono in re ipsa.

Per l'esercizio dell'azione revocatoria è sufficiente l'esistenza di un diritto di credito; perciò è irrilevante che il titolare di esso non abbia proseguito un'esecuzione da egli stesso iniziata nei confronti del medesimo debitore, ovvero non sia intervenuto in procedure esecutive avviate da altri creditori.

Cass. civ. n. 7119/1996

La disposizione contenuta nel terzo comma dell'art. 2901 c.c., in forza della quale non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto, ha la sua ragione nella natura di atto dovuto della prestazione del debitore, una volta che si siano verificati gli effetti della mora, ex art. 1219 c.c., e non nell'assenza di una diminuzione della sua garanzia patrimoniale generale, che è peraltro giuridicamente determinata non dalla prestazione in quanto tale, ma dall'atto che ha dato origine all'obbligazione adempiuta, questo semmai assoggettabile ad azione revocatoria, ed è norma non applicabile, né in via di interpretazione estensiva, né per analogia, alla concessione di ipoteca per debito già scaduto, che è negozio di disposizione patrimoniale, suscettibile di determinare una diminuzione della garanzia patrimoniale generale del debitore comune nei confronti degli altri creditori, potendo concretamente, seppure in modo mediato, condurre allo stesso risultato finale della alienazione del bene assoggettato alla garanzia, ed è quindi aggredibile con azione revocatoria ai sensi degli artt. 2901 e 2902 c.c.

Cass. civ. n. 2303/1996

In tema di azione revocatoria di cui all'art. 2901 c.c., il requisito della consapevolezza, da parte del terzo acquirente, del pregiudizio arrecato dall'atto dispositivo alle ragioni del creditore dell'alienante prescinde dalla specifica conoscenza del credito a tutela del quale l'azione revocatoria viene esperita, investendo invece la riduzione delle garanzie offerte dal debitore, in relazione alla consistenza patrimoniale considerata ed ai vincoli già esistenti nei confronti di altri creditori.

Cass. civ. n. 11518/1995

L'azione revocatoria ordinaria di atto a titolo oneroso successivo al sorgere del credito, ai sensi dell'art. 2901 c.c., richiede la consapevolezza da parte del debitore e del terzo del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, cioè della menomazione della garanzia patrimoniale allo stesso accordata dall'art. 2740 c.c., mentre non esige anche una collusione tra il debitore ed il terzo, né lo stato di insolvenza dell'uno, né la conoscenza di tale stato da parte dell'altro.

Cass. civ. n. 8188/1994

In tema di azione revocatoria, la diminuzione del patrimonio del debitore può realizzarsi anche dando vita ad un negozio complesso — ossia ad un negozio costituito da tanti rapporti (ancorché coinvolgenti altri soggetti oltre all'alienante o al cedente ed all'acquirente o al cessionario), che pur ricollegandosi a schemi negoziali distinti, siano legati da un rapporto di interdipendenza e tutti rivolti al perseguimento di un solo e particolare scopo — oppure ad una serie di negozi collegati (nella specie, si trattava di valutare le seguenti operazioni: a) il recesso di un soggetto da una cooperativa edilizia; b) la rinuncia alla restituzione del credito acquisito nei confronti della cooperativa, a favore della figlia e l'accettazione di quest'ultima; c) l'accettazione della cessione da parte della cooperativa, ai sensi dell'art. 1264 c.c.; d) la richiesta della figlia per l'ammissione alla cooperativa; e) l'accoglimento ditale domanda; f) la compensazione tra il credito della figlia nei confronti della cooperativa ed il debito della prima, quale nuova socia, per i dovuti conferimenti sociali).

Cass. civ. n. 12948/1992

In tema di azione revocatoria, la contestualità tra prestazioni di garanzia e credito garantito, da cui deriva la presunzione di onerosità della garanzia, ex art. 2901, secondo comma, c.c., sussiste anche in mancanza di coincidenza temporale, quando il rischio insito nella funzione creditizia è assunto sul presupposto della concessione della garanzia. La contestualità, pertanto, va esclusa, nel caso in cui la garanzia sopravvenga quando il rischio dell'operazione creditizia sia già in atto (nella specie, trattavasi di una fideiussione concessa dopo che si era dato corso all'erogazione del credito bancario attraverso un'apertura di credito in conto corrente ed un castelletto di sconto).

Cass. civ. n. 11251/1990

Al fine della revocatoria degli atti dispositivi posti in essere dal debitore, l'art. 2901 c.c. richiede che essi si traducano in una menomazione del patrimonio del disponente, sì da pregiudicare la facoltà del creditore di soddisfarsi sul medesimo, mentre non esige, quale ulteriore requisito, anche l'impossibilità o difficoltà del creditore di conseguire aliunde la prestazione, avvalendosi di rapporti con soggetti diversi. Pertanto, in ipotesi di solidarietà passiva, inclusa quella discendente da fideiussione senza beneficio di escussione, il suddetto eventus damni va riscontrato con esclusivo riferimento alla situazione patrimoniale del debitore convenuto con quella azione, non rilevando l'indagine sull'eventuale solvibilità dei coobbligati.

Cass. civ. n. 2400/1990

Con riguardo all'azione revocatoria ordinaria, che è proponibile anche a tutela di posizioni creditorie soggette a condizione od a termine, e che investe l'atto dispositivo compiuto dal debitore, al fine di conseguirne una declaratoria d'inefficacia nei confronti del creditore istante (ovvero, se esperita dal curatore contro l'atto dispositivo del fallito, nei confronti di tutti i creditori del fallito stesso), l'eventus damni è ravvisabile non soltanto quando si determini la perdita, in tutto od in parte, della garanzia patrimoniale offerta dal debitore, ma anche quando si verifichi maggiore difficoltà, incertezza o dispendio nell'esazione coattiva del credito. Pertanto, nel caso di azione revocatoria contro la prestazione di garanzia fideiussoria, il suddetto requisito non resta escluso dalla circostanza che la fideiussione preveda una facoltà di recesso, o che l'obbligato principale non si sia ancora reso inadempiente, ed altresì prescinde da ogni valutazione circa la consistenza della situazione patrimoniale di detto garantito e la sua eventuale solvibilità (anche alla stregua della facoltà del creditore, nella solidarietà passiva, di chiedere l'integrale pagamento a ciascuno dei coobbligati).

Cass. civ. n. 1716/1985

Nell'ipotesi di azione revocatoria di un negozio dispositivo anteriore al sorgere del credito, prevista al n. 1) del primo comma dell'art. 2901 c.c., gli elementi costitutivi della fattispecie che —oltre al carattere lesivo dell'atto di disposizione ed alla esistenza del credito — debbono essere dimostrati dal creditore sono due: che l'autore dell'atto, alla data della sua stipulazione, aveva l'intenzione di contrarre debiti ovvero era consapevole del sorgere della futura obbligazione; che lo stesso soggetto abbia compiuto l'atto dispositivo appunto in funzione del sorgere dell'obbligazione, per porsi in una situazione di totale o parziale impossidenza, in modo da precludere o rendere difficile al creditore l'attuazione coattiva del suo diritto. La valutazione compiuta al riguardo dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da adeguata motivazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2901 Codice Civile

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M. F. chiede
venerdì 23/06/2023
“Buongiorno. Nel 2015 è fallita la mia SNC. Spossessato di tutto. Ho patteggiato bancarotta fraudolenta, pertanto non posso fare l'esdebitazione. Fallimento chiuso pochi mesi fa, pertanto sono attaccabile. Vorrei intestarmi immobile. Mio figlio mi presta soldi ipotecando l'immobile stesso. Domande: può un creditore o più creditori proporre la revocatoria dell'ipoteca? Quali altre opportunità ho, intestandomi immobile di proteggerlo da attacchi di creditori”
Consulenza legale i 29/06/2023
La soluzione a cui si è pensato di fare ricorso, purtroppo, non può garantire in modo pieno gli interessi di chi acquista, se trattasi di soggetto che rischia in qualche modo di poter subire azioni esecutive da parte di potenziali creditori.
Il rischio non sta tanto in ciò che nel quesito viene prospettato, ovvero quello di poter subire un’azione esperita dai creditori e volta a far revocare l’ipoteca volontariamente iscritta sull’immobile acquistato, quanto piuttosto nel fatto che l’esistenza di una precedente iscrizione ipotecaria non impedirà certamente ai potenziali creditori di agire esecutivamente su quel bene.

Il rischio di un’azione revocatoria dell’ipoteca, infatti, può dirsi sussistente nei casi in cui un soggetto, debitore nei confronti di un terzo o di più terzi, conceda ipoteca volontaria sui propri beni a garanzia di un debito altrui, in tal modo pregiudicando senza alcun dubbio il diritto del terzo creditore a rivalersi su quei beni per effetto, appunto, dell’ipoteca iscritta in favore di altri.
In casi come questo, grazie all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria (disciplinata dagli artt. 2901 e ss. c.c.), il creditore, in effetti, avrebbe possibilità di far dichiarare dal giudice l’inefficacia degli atti dispositivi compiuti dal debitore e l’eventuale sentenza di accoglimento avrebbe come conseguenza quella di consentire al creditore di espropriare i beni ipotecati in favore di terzi come se fossero liberi.

Qui la situazione è ben diversa, in quanto l’ipoteca verrebbe concessa non a garanzia di un debito altrui (con palese pregiudizio delle ragioni dei propri creditori), ma a garanzia di un debito proprio, quello che si verrebbe ad assumere nei confronti del figlio, il quale, fornisce il capitale necessario per l’acquisto dell’immobile, assumendo in tal modo la posizione di mutuante (è opportuno, a tal fine, che dallo stesso contratto di acquisto, che si andrebbe a stipulare, si faccia risultare che il pagamento del prezzo viene effettuato con somma di denaro presa in prestito, senza diritto ad interessi, dal figlio).
Tuttavia, come si è prima accennato, seppure l’iscrizione di ipoteca in favore del figlio non sia soggetta a revocatoria, la stessa non impedisce al creditore di agire esecutivamente su quel bene, ovvero di assoggettare lo stesso a pegno immobiliare.
L’unico effetto positivo che si potrà trarre dalla precedente iscrizione ipotecaria, sarà, invece, che, una volta conclusasi la procedura esecutiva con la vendita dell’immobile pignorato, il prezzo ricavato da tale vendita, se inferiore alla somma di tutti i crediti e delle spese sostenute nell’ambito della procedura immobiliare, servirà a soddisfare i diversi creditori in maniera proporzionale, ma con preferenza per il creditore il cui credito sia assistito dalla garanzia reale (ossia il figlio).

Pertanto, se chi acquista ha interesse a non vedersi pignorato l’immobile, la soluzione a cui si fa riferimento nel quesito non è in grado di far conseguire tale risultato.
Viene anche chiesto se vi sono altre “opportunità” o modi per proteggere l’immobile che si andrebbe ad acquistare da potenziali attacchi dei creditori.
Ora, è ben noto che nella prassi sono stati sperimentati diversi strumenti e meccanismi negoziali volti proprio a perseguire tale finalità, quali possono essere, solo per citarne i più ricorrenti, il fondo patrimoniale (disciplinato dagli artt. da 167 a 176 c.c.), il trust, l’istituzione sul bene di un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter del c.c., il negozio fiduciario.
Un’altra soluzione a cui si può pensare di fare ricorso, e che si ritiene possa ben adattarsi a casi come questo (in cui vi è un preventivo accordo tra padre e figlio), potrebbe essere quella di far concludere il contratto di acquisto direttamente al figlio, il quale, però acquisterebbe per sé la sola nuda proprietà dell’immobile ed in favore del padre (contratto a favore di terzo) il diritto di abitazione sullo stesso immobile.
Il diritto di abitazione, a differenza di quello di usufrutto, è un diritto che, in quanto volto unicamente a soddisfare i bisogni abitativi di chi ne è titolare e della sua famiglia, non si può né pignorare e neppure ipotecare, risultando così sottratto ad ogni possibile azione esecutiva da parte dei creditori del padre.

Un acquisto così strutturato, inoltre, risulterebbe anche vantaggioso per il figlio, in quanto, per effetto dell’espresso richiamo che l’art. 1026 del c.c. fa alle disposizioni relative all’usufrutto, il nudo proprietario è esonerato dal carico fiscale gravante sull’immobile oggetto di usufrutto, poiché ai sensi dell’art. 1008 del c.c., è l’usufruttuario il soggetto tenuto, per la durata del suo diritto, ai carichi annuali, come le imposte, i canoni, le rendite fondiarie e gli altri pesi che gravano sul reddito.
Ciò significa ad esempio che il pagamento dell’IMU è a carico di chi ha la disponibilità del bene, in quanto titolare di un diritto reale qual è il diritto di abitazione.
Anche le imposte TASI e IRPEF sono a carico del detentore dell’immobile, ossia di pertinenza dell’usufruttuario/habitator, rimanendo a carico del nudo proprietario le imposte indirette secondo aliquote ordinarie e su una base imponibile ridotta per la decurtazione del valore dell’usufrutto secondo le tabelle allegate al Testo Unico in tema di imposta di registro.

Chiaramente la soluzione qui proposta si fonda su quanto concisamente esposto nel quesito, mentre soltanto un approfondimento della situazione concreta e delle esigenze specifiche che si intendono soddisfare potrebbe consentire di riflettere su ulteriori e possibilmente più adeguati meccanismi di tutela del patrimonio.

F. B. chiede
venerdì 19/05/2023
“19/05/2023.
Egregi Avvocati buongiorno!
Cerco di essere breve nella complessità di quanto mi è accaduto.
Nel 2003 mi sono comperata un appartamento che ora vorrei vendere. Ho dovuto denunciare La Società venditrice per aver subito danni, essendo caduta da scale senza corrimano, perchè la stessa Società non aveva provveduto a metterci.
La sentenza emessa nel 2016 dal Tribunale di XXX , E' STATA A MIO FAVORE, ma la Corte di appello di Venezia presso la quale è ricorsa La Società, ha emesso la sentenza nel 2019, A MIO SFAVORE.
Poi nel 2020 siamo passati in Suprema Corte di Cassazione......l'esito non si sa ancora.
Ho pensato per questo di vendere l'appartamento perchè sono una pensionata di 73 anni e ho un cedolino pensione normale di 1050 € e nessun altro reddito. Dovessi perdere?!
Sia l'Avvocato che il Notaio mi hanno detto dovrei farlo, ma non mi hanno parlato della Legge di AZIONE REVOCATORIA della quale ho letto (art. 2902.c.c.), perchè se riguarda me qualcosa potrò fare, ma se reca danno alla persona che mi compera l'appartamento non vorrei proprio.
Aspetto la Vostra risposta sull'azione REVOCATORIA.
Ringrazio e saluto.”
Consulenza legale i 26/05/2023
L'azione revocatoria è prevista dagli articoli 2901 c.c. e seguenti del codice civile.
Vediamo in concreto di cosa si tratta e quali conseguenze comporta sia per il debitore sia per i terzi (nel nostro caso, i terzi sono gli eventuali futuri acquirenti dell'appartamento).
In sostanza, con l'azione revocatoria il creditore (che nel nostro caso sarebbe la società con cui chi pone il quesito è in causa, che diverrebbe appunto creditrice nel caso in cui vincesse anche in Cassazione), chiede che vengano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio compiuti dal debitore.
Cerchiamo di spiegare meglio questo linguaggio molto tecnico.
Atti di disposizione sono quelli che diminuiscono il patrimonio di una persona.
Con l'azione revocatoria il creditore chiede che questi atti (ad esempio una vendita, o una donazione) non abbiano effetto nei suoi confronti, proprio perché il patrimonio del debitore consente al creditore di ottenere il soddisfacimento del proprio credito se il debitore non vuole pagare spontaneamente.
Cosa significa in concreto inefficacia?
Significa che l'atto revocato (se ovviamente la domanda di revocatoria viene accolta) non produce i suoi effetti nei confronti del creditore: quindi il creditore potrà rivalersi su quel bene per ottenere ciò che gli spetta.
Perché l'azione revocatoria venga accolta sono necessari alcuni presupposti: innanzitutto l'atto deve produrre un pregiudizio, quindi un danno, per il creditore, perché gli impedisce di soddisfare il proprio credito; inoltre, questo pregiudizio deve essere conosciuto dal debitore.
Se l'atto è stato compiuto prima della nascita del credito, è necessario che fosse "dolosamente preordinato", cioè, in parole povere, "fatto apposta" per danneggiare il creditore.
Se sì tratta di atto a titolo oneroso, in cui cioè è previsto il versamento di un prezzo (come può essere appunto una vendita), occorre anche che il terzo (nel nostro caso sarebbe il compratore dell'appartamento) fosse consapevole del danno causato al creditore e anzi addirittura "complice" se l'atto è stato compiuto prima del sorgere del credito.

Al di là dei termini tecnici e della complessità delle diverse ipotesi, c'è pur sempre un rischio almeno teorico che venga proposta un'azione revocatoria, fermo restando che, se dovesse succedere, chi propone l'azione dovrà provare in giudizio tutti quei presupposti che abbiamo elencato sopra.
Si consiglia dunque di valutare attentamente la situazione, perché l'accoglimento della revocatoria crea ovviamente un pregiudizio anche al compratore (il che sembra costituire la preoccupazione principale di chi pone il quesito).
L'aspetto più rilevante al quale prestare attenzione è la buona fede del compratore. Bisogna che chi compra nulla sappia del problema. Deve essere completamente ignaro.
A tal fine, per fugare ogni dubbio, la cosa che si suggerisce di fare è incaricare una agenzia immobiliare della vendita. Sarà quest'ultima a trovare un compratore, che per ciò stesso sarà al di sopra di ogni sospetto.
Si ricordi che lei è nel suo pieno diritto di vendere, oggi come oggi.

P. S. chiede
mercoledì 01/03/2023 - Toscana
“Buonasera,
sono stato nominato curatore fallimentare di una società in accomandita semplice e dei relativi soci accomandatari a far data dal 30/11/2021.
In data 21/12/2022 mi veniva notificato dalla Procura l’avviso di fissazione di udienza preliminare ex art. 419 c.p.p. nei confronti dei soci accomandatari nonché dell’ex socio accomandante, receduto dalla società in data 23/12/2019 citato come “amministratore di fatto”.
Atteso che la costituzione di parte civile nei confronti dei soci accomandatari è priva di alcuna utilità per la procedura in quanto, a seguito del fallimento in proprio, tutti i beni e le ragioni di credito sono state acquisite all’attivo, avevo fatto apposita istanza per costituirmi parte civile nell’interesse del fallimento nei confronti dell’ex socio accomandante ma il Giudice ha richiesto, con riferimento al socio accomandante ed amministratore di fatto, di accertare quale sia la sua consistenza patrimoniale e reddituale e riferire sulle realistiche prospettive di soddisfacimento dell’eventuale credito risarcitorio.
Riguardo alla posizione patrimoniale lo stesso ex socio accomandante risulta aver DONATO, con atto del 26/11/2019, il 50% della propria abitazione di residenza ad una APS (Associazioni di Promozione Sociale) detenuta per l’altro 50% da uno dei 2 soci accomandatari falliti (la ex compagna) e già acquisita al fallimento.
In data 02/02/2022, quindi successivamente alla data di dichiarazione del fallimento del 30/11/2021, il suddetto 50% dell’immobile veniva CEDUTO ad una signora di professione “badante” con pagamento tramite accollo di debiti verso Agenzia Entrate Riscossione e verso un istituto bancario.
Atteso che il passivo fallimentare, di circa €. 600.000, era stato accumulato per la quasi totalità antecedentemente al 2019, ritenete che ci siano gli estremi per impugnare la donazione e successivamente la cessione tramite accollo del 50% dell’immobile al fine di ottenere, realisticamente, prospettive di soddisfacimento dell’eventuale credito risarcitorio?
Ringrazio anticipatamente.”
Consulenza legale i 13/03/2023
Ai sensi dell’art. 64 della l. fall., gli atti a titolo gratuito sono privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento; i beni oggetto di tali atti sono acquisiti al patrimonio del fallimento mediante trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento.
Nel caso di specie, posto che la dichiarazione di fallimento (30.11.2021) è intervenuta oltre due anni dalla donazione (26.11.2019) non potrà applicarsi la norma in questione.

Resta in astratto possibile per il Curatore esperire l’azione revocatoria ordinaria ai sensi del combinato disposto dell’art. 66 della l. fall. e dell’art. 2901 del c.c..
I presupposti affinché si possa parlare di una azione revocatoria ordinaria sono:
- il c.d. “consilium fraudis”, cioè la frode del debitore, che consiste nella conoscenza del pregiudizio che l’atto di disposizione può arrecare alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, la preordinazione dolosa dell’atto a pregiudicare il soddisfacimento delle stesse;
- il c.d. “eventus damni”, cioè l’atto di disposizione posto in essere dal debitore deve essere di natura tale da poter danneggiare gli interessi del creditore;
- la c.d. “scientia damni“, cioè la ricorrenza in capo al debitore e, per atti a titolo oneroso, in capo al terzo, della consapevolezza che, con l’atto di disposizione, il debitore diminuisca la consistenza della garanzia patrimoniale.
Tale azione si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto, come disposto dall’art. 2903 del c.c., pertanto il termine di prescrizione non è ancora decorso.
Trattandosi, nel caso di specie, di un atto a titolo gratuito, non è richiesta la cosiddetta "participatio fraudis" del terzo, cioè la sua consapevolezza del pregiudizio arrecato dall'atto alle ragioni del creditore.

Considerate le circostanze fattuali esposte, appare possibile esperire un’azione revocatoria ordinaria, previo opportuno e dettagliato approfondimento al fine di valutare la sostenibilità in giudizio dei presupposti per una pronuncia di revocatoria.

Nell’azione così intrapresa, tuttavia, si dovrà preliminarmente chiedere al Giudice l’accertamento in capo al socio accomandante della responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali ai sensi dell’art. 2320 del c.c., nonché l’estensione del fallimento anche ad esso.
A tal fine si dovrà dimostrare l’ingerenza dello stesso nella gestione della società.

L’art. 2902 del c.c. dispone che il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia dell'atto, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell'atto impugnato; vieppiù, il terzo contraente, che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall'esercizio dell'azione revocatoria, non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell'atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto.

Al contempo, nella medesima azione si dovrà altresì chiedere di dichiarare l’inefficacia della successiva cessione (questa a titolo oneroso) al terzo sub-acquirente (badante).
A tal proposito il quarto comma dell’art. 2901 del c.c. dispone che l'inefficacia dell'atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda giudiziale; ciò significa che i diritti del sub-acquirente sono fatti salvi solamente nel caso di trascrizione, anteriore a quella della citazione in revocazione, di un atto di acquisto a titolo oneroso compiuto in buona fede.

Di conseguenza, accertata preliminarmente la responsabilità illimitata e solidale del socio accomandante, nonché sul presupposto della dichiarazione di inefficacia della donazione tra il socio accomandante e l’Associazione di Promozione Sociale, si potrà chiedere di revocare la cessione a titolo oneroso compiuta con il terzo sub-acquirente (badante), dimostrando in giudizio la soggettiva situazione di mala fede di questi riguardo all’atto d’acquisto del suo dante causa (l’Associazione di Promozione Sociale), cioè la consapevolezza dei vizi di revocabilità dell’atto originario e, dunque, delle circostanze che rendono revocabile l’atto compiuto del fallito.

G.P. chiede
martedì 31/08/2021 - Puglia
“Con testamento e relativa successione testamentaria effettuata i nostri defunti genitori hanno disposto:
1) La nuda proprietà a tre eredi di una piccola abitazione ( valore di circa 60mila€ e nuda proprietà del valore di circa 8mila€ ciascuno per erede) al quarto erede spetta solo l’usufrutto per abitarci;
2) Ai titolari della sopra citata nuda proprietà spetta a ciascuno anche un terzo di proprietà dell’intero appezzamento di terreno agricolo di circa un ettaro (valore totale di circa 7mila€)
3) I tre eredi titolari della nuda proprietà e del terreno agricolo sono anche contitolari di libretto di risparmio postale di 6mila€.
4) preciso che Il quarto erede ha solo l’usufrutto della casa di abitazione e null’altro.

Uno dei coeredi della nuda proprietà della casa/del terreno e denaro ha parecchi debiti con terzi( sembra.. banche- finanziarie ) del valore di circa 50mila€ ed il pignoramento sullo stipendio proprio è in fase avanzata con decisione del Giudice a breve.

Quesito:
a) Se il coerede debitore volesse vendere il terreno e la nuda proprietà della casa potrebbe vedere l’atto o di vendita impugnato dal creditore nel termine di 5 anni successivi alla vendita?
b) Se il coerede debitore volesse rinunciare all’eredità (unitamente ai suoi figli) potrebbe incorrere nell’annullamento della rinuncia per ricorso del creditore?- ed ammesso che in questo caso trascorrono i cinque anni successivi alla rinuncia senza ricorso del creditore, si potrebbe vendere un bene di quelli citati al figlio del coerede debitore, anch’esso rinunciante col padre?
Quale è un vostro consiglio per non incappare in ricorsi e blocchi di azioni da parte del creditore? Conviene lasciare tutto immutato!!?
31/08/2021
grazie
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 06/09/2021
Il caso in esame richiede di trattare essenzialmente di due diverse questioni, e precisamente:
  1. quali sono le condizioni ed i termini per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria;
  2. in quali casi e secondo quali forme è consentito ai creditori del chiamato all’eredità di impugnare la rinunzia all’eredità.

La prima questione viene posta in relazione all’ipotesi in cui uno dei chiamati decida di accettare l’eredità per poi trasferire a titolo oneroso ad un terzo i diritti assegnatigli dal de cuius in forza del testamento (e precisamente la quota indivisa della nuda proprietà della casa di abitazione e la quota indivisa in piena proprietà dell’appezzamento di terreno).
Il compimento di tale atto rientra senza alcun dubbio tra quelli avverso i quali è consentito l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria disciplinata dagli artt. art. 2901 del c.c. e ss. c.c.
E’ ben noto che funzione di tale azione è proprio quella di tutelare l'interesse del creditore contro atti di disposizione del debitore che possano incidere in modo pregiudizievole sulla consistenza del suo patrimonio, finalità che si realizza attraverso la dichiarazione di inefficacia dell'atto di disposizione del debitore.
Sotto il profilo soggettivo, presupposti per il suo esercizio sono, dal lato di colui che agisce la posizione di creditore, mentre dal lato di colui che subisce l’azione la posizione di debitore (entrambi i presupposti sono evidentemente presenti nel caso di specie).
Sotto il profilo oggettivo, invece, il presupposto dell’azione revocatoria è rappresentato dal c.d. eventus damni, cioè dal pregiudizio alle ragioni dei creditori che l’atto di disposizione del debitore può arrecare; in particolare è richiesto che si configuri una lesione effettiva dell'interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale, pur se il danno non è attuale ma si profili soltanto un pericolo di danno come conseguenza del comportamento del debitore.

Tra gli atti di disposizione del debitore soggetti a revocatoria vanno ricompresi tutti i negozi giuridici inter vivos aventi contenuto patrimoniale e natura dispositiva, siano essi a titolo oneroso che gratuito (ciò che cambia è soltanto il regime probatorio).
Occorre tuttavia precisare che la locuzione "atti di disposizione" implica che essi siano espressione della decisione arbitraria del debitore; pertanto, ne restano esclusi i c.d. “atti dovuti”, ossia quelli compiuti in adempimento di una obbligazione, come espressamente dispone il terzo comma dell'art. 2901 c.c. riferendosi all'adempimento di un debito scaduto.
In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenze nn. 13435/2004, 16756/2006, 16629/2013 e da ultimo n. 8992/2020, nelle quali viene affermato il principio secondo cui va esclusa la proponibilità dell'azione revocatoria ordinaria nei confronti dell'alienazione di un bene immobile da parte del debitore qualora il prezzo sia stato destinato anche in parte al pagamento di debiti scaduti del venditore/debitore e la vendita, strumentale all'adempimento, abbia rappresentato per il debitore l'unico mezzo per procurarsi il denaro.

Pertanto, rispondendo alla prima delle domande che vengono poste, può affermarsi che, purtroppo, un eventuale atto di alienazione dei beni ricevuti per successione testamentaria del proprio padre non sfuggirebbe all’esercizio dell’azione revocatoria da parte dei creditori, azione che, secondo quanto disposto dall’art. 2903 del c.c. va esercitata entro il termine di prescrizione di cinque anni dalla data di compimento dell’atto.

La seconda questione attiene a quale potrebbe essere la reazione da parte dei creditori in caso di rinunzia all’eredità da parte del chiamato debitore e di coloro che hanno diritto a succedergli in rappresentazione.
Trattasi di questione che trova espressa disciplina all’art. 524 del c.c., norma che legittima i creditori di colui che rinuncia ad un’eredità, benché senza frode, a farsi autorizzare ad accettare l’eredità stessa in nome e per conto del rinunciante.
Anche per l’esercizio di tale diritto è previsto un termine di prescrizione, che il secondo comma dell’art. 524 fissa in cinque anni dalla rinuncia.
Una volta accolta la domanda, i creditori indubbiamente non assumeranno la posizione di eredi, ma saranno legittimati ad aggredire i beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti e nei limiti della quota di pertinenza del debitore rinunziante.

Trascorsi i cinque anni dalla dichiarazione di rinuncia sia da parte del chiamato all’eredità che dei suoi figli discendenti per rappresentazione, senza che i creditori abbiano posto in essere alcun atto di impugnazione, non si correrà alcun rischio nell’alienare al figlio del debitore uno dei beni ereditari a cui il padre (debitore) ha rinunciato (essendo ormai la relativa azione prescritta sia nei confronti del rinunciante che dei chiamati ulteriori).

Altra domanda che viene posta è se anche il coniuge legalmente separato del chiamato all’eredità debitore debba manifestare la volontà di rinunciare.
A tale domanda non può che rispondersi negativamente, e ciò per le seguenti ragioni:
  1. non rientra tra i soggetti chiamati all’eredità, neppure per rappresentazione ex artt. 467 e ss. c.c.;
  2. i beni ereditari eventualmente acquistati per successione o donazione rientrano tra i beni personali del coniuge ex art. 179, lett. b) c.c.

Circa i costi della rinuncia, occorre distinguere tra rinuncia fatta in Tribunale e quella fatta dinanzi al notaio.
Nel primo caso occorrerà pagare € 200,00 per imposta di registro, oltre ad € 16,00 come marca da bollo da apporre sull’atto.
Nel secondo caso alle predette spese occorre aggiungere la parcella del notaio, che varia da professionista a professionista, ma che generalmente si aggira intorno ai 750/800 euro.

Risulta estremante difficile, invece, quantificare le spese per l’eventuale impugnazione della rinuncia da parte dei creditori, in quanto si tratta di ordinaria azione civile, le cui spese iniziali dovranno essere affrontate dai creditori, legittimati attivamente all’esercizio dell’azione, mentre il rinunciante, legittimato passivo, dovrà soltanto sostenere le spese per la sua costituzione in giudizio, spese che anche in questo caso variano da professionista a professionista.


Anonimo chiede
giovedì 15/04/2021 - Lombardia
“in data 14 maggio 2008 sottoscrivo insieme a Tizio una fideiussione a favore di Venetobanca per un operazione specifica (mutuo chirografario di 35m euro rimborsabile in 70 rata mensili). La fideiussione viene sottoscritta sino ad un massimale di rischio di 42m euro. Il debitore principale è la "Tizio and Partners srl".
Tizio, da autentico truffatore, preleva il netto ricavo del finanziamento e lascia anche scoperto di conto e per utilizzo di carte di credito.
Preoccupato per il precipitarsi delle cose, e saputo di taciti accordi tra Venetobanca e Tizio (probabile utilizzo del finanziamento per acquisto azioni o obbligazioni della banca), costituisco in data 7 maggio 2009 un fondo patrimoniale con la moglie per difendere i miei due immobili di proprietà (entrambi gravati da ipoteca volontaria per mutuo tuttora in essere e perfettamente regolare come pagamenti).
In data 22 09 2010 Venetobanca costituisce in mora il debitore principale e il sottoscritto e in data 24 01 2012 il trib. di Montebelluna emette decreto ingiuntivo con provvisoria esecutività in data 10 2 2012.
La banca, attraverso il proprio legale, mi fa causa chiedendo la revoca del fondo patrimoniale. In data 8 agosto 2012 ottiene nei registri immobiliari la annotazione di domanda giudiziale di revoca del fondo patrimoniale per emananda sentenza.
Riesco a contattare l'ufficio legale di Venetobanca, e dopo tanti tentativi, ottengo dall'Istituto di credito l' accettazione in data 30 aprile 2013 di un piano di rimborso per 31m euro da pagarsi in 5 anni a rate.
Il piano di rimborso viene rispettato in parte per difficoltà finanziarie e l' ultima rata pagata risale al 5 maggio 2016.
In data 21 06 2016 giunge la sentenza del Tribunale di Mantova in cui viene revocato il fondo patrimoniale, e ordinata l' annotazione nei registri immobiliari, mai effettuata.
In data 28 07 2016 il trib. Verona dichiara il fallimento della Tizio and Partners srl.
In data 31 03 2017 Venetobanca cede la posizione in sofferenza a Flaminia spv srl che mi comunica la cessione in data 31 03 2017.
Io smetto di proseguire i pagamenti con il nuovo creditore.
Da allora il cessionario Flaminia spv srl e il Credito Fondiario (servicer incaricato al recupero del credito ) non si sono più fatti vivi nè tantomeno mi hanno scritto chiedendo il resto del piano di rimborso sottoscritto.
Vendo a sapere che Venetobanca va in Liquidazione Coatta Amministrativa. Da recenti indagini vengo a sapere che il fallimento del debitore principale "Tizio and Partners srl" è stato definitivamente chiuso il 22 03 2021.
Dalla Centrale dei rischi la mia posizione di garante è ...." in bonis " in quanto, per rischi indiretti (rilascio fideiussione) l' accordato è 42mila euro e l' utilizzo 34m euro). Posizione cristallizzata dal gennaio 2017.
Negli scorsi mesi ho sottoscritto preliminare di vendita di un immobile (ex fondo patrimoniale revocato dalla sentenza del Trib di Mn del 2016).
Ovviamente il notaio incaricato di perfezionare l' atto è ....credo in difficoltà ....poiché l' acquirente si è rivolto ad una banca per un mutuo atto a sostenere l' acquisto della mia casa.
Alla luce di quanto esposto, chiedo il vs parere .....su
1) come mi posso difendere ........non so penso alla prescrizione.......(come computate i termini e che cosa mi consigliate)
2) cosa osservate al riguardo per quanto attiene la vendita dell'immobile
3) .....in poche parole..... tento di lasciare stare il ....can che dorme ?

grazie e cordiali saluti.
Spero tanto nella vostre conclamate competenze in materia giuridica”
Consulenza legale i 22/04/2021
La risposta al quesito richiede di valutare le distinte questioni che emergono dai fatti esposti dal richiedente, che ha rilasciato una fideiussione personale in favore di un istituto di credito, a garanzia delle obbligazioni contratte da una società poi fallita.

La prima questione concerne la sorte del debito, peraltro oggetto di cessione e, attualmente, in gestione ad un servicer.

In prima battuta, il credito della banca si è cristallizzato con il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del debitore principale e del fideiussore e, pertanto, non può essere più oggetto di contestazioni.

Quanto alla prescrizione delle azioni che la società cessionaria può ancora promuovere nei confronti del fideiussore, risulta la sottoscrizione di un piano di rientro nel 2013, solo parzialmente onorato: anche qualora la cessionaria non avesse inviato, in tempi recenti, atti idonei ad interrompere la prescrizione, come una diffida ad adempiere, non risulta decorso il termine decennale per il maturare della prescrizione ordinaria, decorrente dall’emissione (e necessariamente notifica) del decreto ingiuntivo (risalente al 2012) o, comunque, dalle date in cui sono scadute le rate che non sono state onorate.

Si precisa che la chiusura della procedura fallimentare che ha coinvolto la società garantita non libera, necessariamente, il fideiussore, salva l’ipotesi di esdebitazione del fallito (estinzione delle obbligazioni non soddisfatte, fattispecie che non viene richiamata nel caso di specie), atteso che il garante resta obbligato per l’intero credito erogato dalla banca alla società fallita, al netto di quanto l’istituto di credito abbia eventualmente percepito in seno alla procedura concorsuale.

Rimane da esaminare la questione relativa all’immobile che era stato immesso in fondo patrimoniale, revocato dal Tribunale di Mantova con sentenza del 2016.

Dal resoconto dei fatti, risulta la trascrizione della domanda giudiziale, ma nessuna annotazione a seguito della pronuncia di primo grado.

La revocatoria ex art. 2901 c.c. che è stata subita dal fideiussore ha prodotto l’effetto, cristallizzato nella sentenza passata in giudicato, di rendere inefficace il fondo patrimoniale nei confronti del creditore, che potrebbe, dunque, procedere in via esecutiva nei confronti del bene immobile.

L’ipotesi è che il notaio, e, presumibilmente, la potenziale banca mutuante, stanno valutando la possibilità che la futura vendita divenga oggetto di un’altra azione revocatoria. Certo è che molto dipende dal notaio e dalla banca scelte.

Si legga attentamente il disposto dell'art. 290 c.c.
Nel caso in cui l’atto sia a titolo oneroso, è necessario che il terzo fosse consapevole del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori affinché il Giudice possa pronunciare la revocatoria ordinaria: la Corte di Cassazione (sentenza n. 10430/2005) ha ritenuto sufficiente nel terzo acquirente la consapevolezza della diminuzione del patrimonio del debitore causata dall'atto di disposizione, tale da arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore.

La trascrizione della domanda giudiziale proposta davanti al Tribunale di Mantova può essere ritenuta un elemento sufficiente ad integrare detto presupposto normativo e l’atto dispositivo del bene immobile rimarrebbe esposto all’azione revocatoria ex art. 2901 c.c.

Proseguire con le attività di vendita, peraltro, espone il promittente venditore al risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale ove il promissario acquirente, non debitamente informato, decida di interrompere le trattative, oppure al risarcimento del danno per responsabilità contrattuale, oltre alla ripetizione del prezzo, ove il bene subisca, in seguito, azione per revocatoria ex art. 2901 c.c.

Giovanni P. chiede
domenica 24/05/2020 - Puglia
“Mio fratello è debitore con decreto ingiuntivo di circa un anno fa verso una finanziaria. Ha anche dei debiti verso le Agenzia di riscossione per cartelle Equitalia. Lui è impossibilitato a muoversi e mi ha inviato un bonifico 1.500 euro per pagare delle cartelle esattoriali. Ad oggi non ha pignoramento dello stipendio e della carta prepagata e dove arriva lo stipendio. Lui lascia in genere 1300 euro sulla carta prepagata. Potrei io essere oggetto di azione revocatoria da parte dei creditori?”
Consulenza legale i 27/05/2020
L'azione revocatoria disciplinata dall'art. 2901 del c.c., alla cui lettura si rimanda, dispone che taluni atti, a titolo oneroso o gratuito, posti in essere dal debitore per sottrarre la garanzia patrimoniale ai suoi creditori, possono essere dichiarati inefficaci dall'Autorità Giudiziaria.

Nel caso di specie, se le somme di cui al bonifico in oggetto sono state utilizzate poi per pagare effettivamente i debiti tributari, non si può ritenere che l'atto (il bonifico) possa essere oggetto di revocatoria, atteso che le somme oggetto del bonifico erano destinate al pagamento di un creditore.

In merito, invece, all'ulteriore quesito circa la possibilità di utilizzo dello stipendio per pagare affitto e alimenti, non si rinvengono ragioni ostative che possano impedire detto pagamento, atteso che, il primo (l'affitto), risponde ad esigenze minime che devono essere sempre tutelate in relazione alla persona fisica, mentre il secondo (gli alimenti) risponde ad obblighi sanciti per legge a carico di un determinato soggetto e per cui non è possibile sottrarsi dall'adempimento, salvo casi eccezionali.

Giancarlo Z. chiede
martedì 21/01/2020 - Marche
“Il curatore di un fallimento ha citato il professionista che ha asseverato una dichiarazione IVA a rimborso, poi risultata infedele a seguito di una verifica dell'AdE - richiedendogli l'importo delle sanzioni comminate al contribuente. L'Amministrazione finanziaria si è insinuata nel passivo del fallimento del contribuente per le maggiori imposte accertate e le relative sanzioni. Il professionista possiede un appartamento, libero da qualsiasi legame giuridico; può ora venderlo senza incorrere nell'eventuale azione revocatoria fallimentare?
Cordialmente

Consulenza legale i 25/01/2020
L’eventuale atto dispositivo compiuto dal professionista potrà essere assoggettato, non a revocatoria fallimentare, che colpisce gli atti compiuti in pregiudizio dei creditori dal debitore fallito in un determinato arco di tempo prima della dichiarazione di fallimento, così come previsto dagli artt. 64 e 65 della Legge Fallimentare, bensì, eventualmente, alla revocatoria ordinaria ex art. 2901 del c.c. alla cui lettura integrale ed attenta si rimanda.

In forza della disposizione in oggetto, la revocabilità di un atto dispositivo del proprio patrimonio posto in essere da un debitore è condizionata dalla sussistenza di due presupposti: uno oggettivo e uno soggettivo.

Per quanto concerne quello soggettivo, occorre, prima di tutto, verificare la qualità di creditore del fallimento verso il professionista, atteso che si tratterrebbero di un presunto credito da accertare nel giudizio ancora in corso nei confronti del medesimo professionista.

Ebbene, l’art. 2901 c.c. include, tra i crediti legittimanti l’azione revocatoria, anche quelli eventuali e, pertanto, nella nozione di credito deve farsi rientrare anche il credito ancora da accertare giudizialmente (C. 1893/2012; C. 9440/2004), di talché è possibile che il curatore, nel caso di specie, possa ritenersi legittimato ad esperire l’azione revocatoria ordinaria.

Ciò premesso, si deve indagare, poi, sull’elemento psicologico del debitore che ha posto in essere l’atto dispositivo, a seconda che detto atto sia anteriore o posteriore al sorgere del credito ovvero che sia oneroso o gratuito.

Nel caso di specie, in relazione all’anteriorità o meno del credito del fallimento, è evidente che si tratti di credito anteriore rispetto all’atto dispositivo, considerato che il credito eventuale sarebbe sorto in forza di passati comportamenti presuntamente negligenti compiuti dal professionista, e, pertanto, viene richiesto, quale elemento psicologico, la mera consapevolezza da parte del debitore che l'atto di disposizione potrebbe diminuire il proprio patrimonio e quindi la garanzia spettante ai creditori ai sensi dell'art. 2740.

In merito, invece, alla natura dell’atto dispositivo, trattandosi di atto a titolo oneroso (come sembra evincersi dal resoconto dei fatti), viene richiesto, altresì, che anche il terzo acquirente del bene di cui all’atto dispositivo sia, al pari del debitore, consapevole delle conseguenze pregiudizievoli del medesimo atto per le ragioni del creditore di quest’ultimo soggetto.

Peraltro, una certa giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. 10430/2005), ritiene sufficiente, al fine di integrare il predetto requisito soggettivo, la mera consapevolezza nel terzo acquirente della diminuzione del patrimonio del debitore causata dall'atto di disposizione.

In merito, invece, all’elemento oggettivo richiesto dalla norma in oggetto, l’atto dispositivo per poter essere revocato deve causare una lesione attuale ed effettiva dell’interesse del creditore alla conservazione delle garanzie offerte dal patrimonio del debitore su cui esso può e deve contare ai fini del soddisfacimento delle proprie ragioni.

Secondo la Corte di Cassazione, è sufficiente, per l’integrazione di detto elemento, che l'atto di disposizione renda per il creditore più incerto, o meno agevole, il recupero del proprio credito (cfr. Cass.Civ., sentenza n. 19207/2018).

Alla luce dei suesposti requisiti evidenziati, si possono svolgere le seguenti conclusioni in relazione al quesito proposto.

Nel caso di specie, l’anteriorità del credito del fallimento rispetto all’atto dispositivo di tipo oneroso, che andrebbe a compiere il professionista, comporta un concreto rischio che il curatore possa esperire una azione revocatoria ex art. 2901 c.c., fermo restando che detto curatore dovrà provare:
- la consapevolezza del debitore e del terzo circa il pregiudizio potenziale che arrecherebbe l’atto dispositivo alle ragioni del creditore; e
- la lesione dell’interesse del creditore a non vedersi diminuite le garanzie offerte dal patrimonio del debitore in conseguenza dell’atto dispositivo.

Francesco G. chiede
sabato 16/11/2019 - Calabria
“Buongiorno
Premesso che sono in fase di Appello contro la sentenza resa in primo grado.
Preciso che ho già inviato 1° Quesito Consulenza Q201924326 “art 170” in data 15/11/2019.
Il giudice con la sentenza di cui sopra ha accolto la revocatoria ex art 2901 fondo patrimoniale promossa dalla banca nei confronti di G. e M. in ragione delle fideiussioni rilasciate alla società L. S.r.l. Il monito di citazione azionato dalla banca nei confronti dei fideiussori di revocatoria del fondo patrimoniale come si evince dall’istanza si è basato sulle somme dovute dal debitore principale L. S.r.l. di € 488.976,92 derivati da residuo di mutuo da 600.000 concesso con fondo di garanzie M. 80% e di scoperto conto corrente della L. S.r.l. Con la sentenza il giudice oltre l’accoglimento della revocatoria ha inteso addebitare ai fideiussori le relative spese legali ecc. ecc. come si evince dalla sentenza.
II seguito a verifiche documentali ho rilevato che:
Banca atto di citazione 10/06/2014
depositato in cancelleria 13/06/2014
notificatomi il 16/06/2014
Decreto Ingiuntivo del 22/04/2014 emesso dal tribunale di Cosenza
il legale della banca ha ritirato copia del Decreto Ingiuntivo il 02/05/2014
M. invia ai fideiussori con Ar la comunicazione di avere deliberato a seguito di prima richiesta da parte della banca sulla liquidazione delle garanzie in data 11/06/2014 € 345.106,89 erogati 02/07/2014
Le procedure di attivazione delle garanzie prevede che il richiedente “Banca” deve comunicare al Gestore M. quanto previsto dalle disposizioni operative del fondo di garanzia legge 662/1996 art 2 comma 100 lett. A capitolo H par 3 b pag. 41.
Pertanto è pacifico che Banca ha certo inoltrato l’istanza a prima richiesta appena dopo il Decreto ingiuntivo e ottenuto la delibera 11/06/2014.
Sulle valutazioni delle date chiedo un Vs parere se l’importo della citazione e relativa sentenza di € 488.976,92 è lecito o se doveva essere decurtato prima o durante il giudizio “chiuso 17/07/2018” di quanto escusso € 345.106,89. Se esiste un vizio o altro e cosa potrei intraprendere in appello.
Cordiali Saluti
G. Francesco

Consulenza legale i 01/12/2019
La risposta al quesito prospettato, per il suo legame con il quesito n. Q201924326, implica la necessità di richiamare anche le considerazioni svolte in quest’ultimo, al fine di fornire un quadro completo sulle questioni prospettate.

Come ribadito anche in questo quesito, la banca ha ottenuto una sentenza favorevole per mezzo della quale il Tribunale ha revocato l’atto dispositivo del fondo patrimoniale costituito dai fideiussori della società debitrice.

Ora, vengono evidenziate ulteriori circostanze relative ai fatti che hanno preceduto il giudizio che è, infine, sfociato nella sentenza in oggetto.

In particolare, viene messo in evidenza che, prima dell’atto costitutivo del fondo, la banca aveva azionato il credito di cui al finanziamento di euro 600.000, ottenendo un decreto ingiuntivo pari al debito residuo che la società debitrice continuava ad avere nei confronti della medesima banca.

Detto finanziamento risultava, inoltre, assistito da una garanzia a prima richiesta prestata da M. in favore della banca.

Detta banca, successivamente all’emanazione del decreto ingiuntivo, escuteva la garanzia a prima richiesta e incassava parte del debito maturato dalla società (circa il 70-80% del debito totale).

Ciò premesso, si può procedere con la risposta al quesito proposto.

L’escussione della garanzia M., e il successivo incasso da parte della Banca dell’importo garantito da quest’ultima, ha ridotto evidentemente il debito che la società aveva con la medesima Banca (anche se, di riflesso, ha comportato che la società divenisse debitrice verso M. per quella parte di debito incassato per mezzo dell’escussione della garanza).

La riduzione del debito della società verso la Banca, grazie all’escussione della garanzia a prima richiesta, non costituisce una circostanza che, alla luce delle evidenze emerse nella sentenza, possa essere utilizzata per ottenere una riforma di detta sentenza.

Infatti, seppur ridimensionato il debito verso la banca, questo continuava a persistere per oltre 100.000 e, di contro, i fideiussori risultavano, come ammesso durante l’interrogatorio formale dagli stessi, non avere nessun immobile (ad eccezione di quelli conferiti nel fondo patrimoniale), su cui la banca avrebbe, per ipotesi, potuto soddisfarsi in caso di esecuzione forzata.

Tale ultima circostanza rende difficile superare la prova data dal creditore circa l’eventus damni, ovvero la variazione qualitativa del patrimonio del debitore che causa per il creditore un pericolo di “infruttuosità di una futura azione esecutiva”.

Non sembrano, poi, neppure ritrovarsi elementi tali per poter fugare la sussistenza anche dell’altro elemento richiesto dall’art. 2901 del c.c., ovvero quello soggettivo.

Come evidenziato nel quesito collegato (n. Q201924326), infatti, l’anteriorità del credito rispetto all’atto pregiudizievole (la costituzione del fondo patrimoniale) comporta che, ai fini probatori circa la sussistenza di detto elemento, sia sufficiente provare per il creditore la mera consapevolezza da parte del debitore che l'atto di disposizione potesse diminuire il proprio patrimonio e quindi la garanzia spettante ai creditori ai sensi dell'art. 2740 del c.c.

Detta prova pare difficile da sconfessare, atteso che la mera consapevolezza potrebbe desumersi sia dalla qualità delle parti (fideiussori e proprietari per intero delle quote della società debitrice) nonché dalla natura gratuito dell’atto dispositivo.

In conclusione, dalla documentazione fornita, non sembrano potersi evincere elementi tali per poter ottenere una riforma in appello della sentenza in oggetto.

Francesco G. chiede
venerdì 15/11/2019 - Calabria
“Buongiorno
Il sottoscritto vorrei avere un Vs pregiato parere per procedere al seguente ricorso avverso sentenza di revoca ex art 2901 fondo patrimoniale a favore della Banca nei confronti G. e M. in ragione delle fideiussioni rilasciate alla società L. S.r.l.
-Fideiussioni del 23/07/2010 per un muto 600 K€
-Fideiussione 01/10/2012 per affidamento su c/c per 50 K€
-Fondo Patrimoniale 07/08/2012

Banca “IN QUALITÀ DI OPERATORE PROFESSIONALE”, ERA CONSAPEVOLE che il mutuo di € 600.000 concesso alla L. nel 2010 con delibera della stessa Banca ERA ESTRANEO AI BISOGNI DELLA FAMIGLIA “il tutto evincibile dalle movimentazioni bancarie”. Infatti, il mutuo al netto delle spese di € 592.500, è stato accreditato sul conto corrente ordinario della L. Srl n 890329 il 29/07/2010. A seguito dell'accredito la banca ha data esecuzione a quanto previsto dalla delibera del mutuo, cioè alla chiusura anticipata dell’esposizione finanziaria della L. Srl su altri istituti per mutui finanziari. Difatti in data 02/08/2010 è stato eseguito bonifico di € 420.930 dal conto ordinante L. Srl della banca al conto ricevente L. Srl della banca BANCO D. per l’estinzione anticipata del mutuo finanziamento.

CAUSALE INTEGRALE DEL BONIFICO ...bonifico n ..... per estinzione anticipata finanziamento n ..... come previsto da delibera ns. finanziamento assistito da garanzia fondo

vorrei sapere per sostenere quanto sopra se sono sufficienti le movimentazioni bancarie

cordiali Saluti
G. Francesco

Consulenza legale i 01/12/2019
La risposta al quesito richiede il richiamo all’art. 2901 del c.c., alla cui lettura integrale si rimanda.

In forza della disposizione in oggetto, la revocabilità di un atto dispositivo del proprio patrimonio posto in essere da un debitore è condizionata dalla sussistenza di due presupposti: uno oggettivo e uno soggettivo.

Per quanto concerne quello soggettivo, premessa la qualità di creditore della banca, si deve indagare sull’elemento psicologico del debitore che ha posto in essere l’atto dispositivo, a seconda che detto atto sia anteriore o posteriore al sorgere del credito ovvero oneroso o gratuito.

Nel caso di specie, in relazione all’anteriorità o meno del credito della Banca, è evidente che si tratti di credito anteriore rispetto all’atto dispositivo e, pertanto, viene richiesto, quale elemento psicologico, la mera consapevolezza da parte del debitore che l'atto di disposizione possa diminuire il proprio patrimonio e quindi la garanzia spettante ai creditori ai sensi dell'art. 2740 del c.c..

In merito, invece, alla natura dell’atto dispositivo, per pacifica giurisprudenza, l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale rientra tra i negozi a titolo gratuito, e ciò comporta che l’indagine sulla sussistenza dell’elemento psicologico, richiesto dalla norma in oggetto, involge solamente il debitore, senza estendersi alla stato psicologico di eventuali terzi coinvolti nell’atto di disposizione.

Ciò detto in punto di elemento soggettivo, si può analizzare l’altro elemento richiesto dalla disposizione in oggetto: l’elemento oggettivo.

L’elemento oggettivo di cui accenna la norma è la cosiddetta lesione attuale ed effettiva dell’interesse del creditore alla conservazione delle garanzie offerte dal patrimonio del debitore, su cui esso può contare ai fini del soddisfacimento delle proprie ragioni creditorie.

Secondo la Corte di Cassazione, è sufficiente, per l’integrazione di detto elemento, che l'atto di disposizione renda per il creditore più incerto, o meno agevole, il recupero del proprio credito (cfr. Cass.Civ., sentenza n. 19207/2018).

Alla luce di tale inquadramento della disciplina entro cui deve essere ricondotto il caso di specie, si possono svolgere le seguenti considerazioni in relazione al quesito proposto.

L’eventuale consapevolezza della Banca relativamente ai fini della concessione del mutuo di euro 600.000 e, in particolare, la sua conoscenza o conoscibilità che detto finanziamento fosse “estraneo ai bisogni della famiglia” non rileva ai fini della valutazione circa la sussistenza degli elementi dell’azione revocatoria.

Detta circostanza non ha alcun impatto sull’azione revocatoria che, da quanto emerge dall’analisi dei fatti e della documentazione, è stata positivamente portata a termine dalla Banca.

Seppur, astrattamente, si potesse sostenere la consapevolezza dell’estraneità ai bisogni della famiglia da parte della banca erogatrice circa lo scopo del finanziamento concesso, ciò non avrebbe alcun effetto sull’eventuale impugnazione della sentenza che ha disposto la revoca dell’atto dispositivo.

Giorgio M.M. chiede
giovedì 10/10/2019 - Piemonte
“Buongiorno.
Una società mia cliente ha contratto debiti con lo Stato e rischia una procedura di liquidazione giudiziale, si tratta di una S.a.S. - Il socio accomandatario ha come bene di proprietà una civile abitazione, acquistata in regime di comunione dei beni alcuni anni or sono. Nel mese di novembre 2018 con atto notarile è entrata in regime di separazione. La paura è che, nel caso eventi sfavorevoli colpissero la società, la casa possa essere posta all'asta. La domanda è : se il marito acquista e paga veramente il 50% del valore della casa, stabilito da almeno una perizia asseverata,divenendo completamente proprietario della casa stessa e la venditrice,socio accomandatario dell'azienda in pericolo lascia il denaro su un conto bancario in chiaro, la casa si salverebbe dal pignoramento?”
Consulenza legale i 22/10/2019
La questione è purtroppo sempre quella del rischio revocatoria.
Che l’immobile sia di proprietà al 50% del socio accomandatario oppure al 100% qualsiasi atto di vendita dell'immobile stesso oppure di una sua quota sarà aggredibile dal creditore attraverso un’azione che ha come effetto quello di rendere inefficace l’atto in questione.

E’ principio generale ed importante del nostro ordinamento quello per cui il debitore non può sottrarre o diminuire a danno del creditore le garanzie del credito: non può dunque compiere atti di disposizione dei propri beni che possano avere come conseguenza l’incapienza del proprio patrimonio oppure una rilevante diminuzione della sua consistenza, perché ciò significherebbe la perdita per il creditore della possibilità di aggredire i beni del debitore ponendoli in vendita e soddisfandosi sul ricavato della stessa.

Ebbene quando questo accade, ovvero quando il debitore compie un atto che comporta un depauperamento notevole del suo patrimonio a danno dei creditori questi possono rivolgersi al Giudice con un’azione detta “revocatoria”.
I presupposti di quest’azione sono:
- l’atto di disposizione del patrimonio;
- il cosiddetto “consilium fraudis”, ovvero la consapevolezza da parte del debitore di ledere le ragioni del creditore (e quindi l’intenzione di procedere con l’atto nonostante questo);
- l’”eventus damni” ovvero la “lesione” intesa come depauperamento significativo del patrimonio del debitore.

L’onere di provare l’esistenza dei presupposti dell’azione spetta, evidentemente, al creditore che agisce in giudizio e non è semplice: tuttavia, il fatto che l’atto – come nel caso di specie – sia posto in essere in un momento di difficoltà in cui si teme un’azione di recupero del credito da un momento all’altro perché già la situazione è già compromessa (presenza di debiti) rende quasi presuntivo il “consilium fraudis”, nel senso che il Giudice può ragionevolmente presumere in base a questi elementi che l’intenzione fosse proprio quella di “frodare” il creditore.

L’effetto della revocatoria, in caso di vittoria del creditore che ha agito in giudizio, è che l’atto diviene inefficace per quest'ultimo, nel senso che concretamente egli potrà comunque procedere con il pignoramento del bene veduto e soddisfarsi sul ricavato della vendita.

La revocatoria tuttavia, attenzione, come si diceva all’inizio, avrà ragion d’essere solo se l’atto di disposizione (nel nostro caso, la vendita) avrà come risultato l’impossibilità o la notevole difficoltà per il creditore di recuperare il credito. Viceversa – è forse opportuno sottolinearlo – se il patrimonio del debitore rimane ampiamente capiente nonostante l’atto di disposizione, non si potrà rendere inefficace la vendita e la revocatoria sarà inammissibile.

Se si apre la liquidazione giudiziale, esiste una disciplina specifica ed articolata in tema di revocatoria all'interno di questa procedura.
Lo Stato in tal caso, in quanto creditore, avrà le stesse facoltà di un creditore privato, ovvero potrà agire in revocatoria in forza delle norme (Titolo V, Capo I, Sezione IV, artt. 163-171) del "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza" (Decreto Legislativo n. 14/2019) che riguardano gli “Effetti della liquidazione giudiziale sugli atti pregiudizievoli ai creditori” ed in forza delle quali il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile (quelle sopra ricordate nel contenuto, quando si sono illustrati i presupposti dell’azione revocatoria).

Il codice specifica, in particolare, che sono revocati, salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore, tra gli altri:

a) gli atti a titolo oneroso (come la vendita) in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal debitore sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui e' stato dato o promesso, se compiuti dopo il deposito della domanda cui è seguita l'apertura della liquidazione giudiziale o nell'anno anteriore;

b) se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili e gli atti a titolo oneroso, se compiuti dal debitore dopo il deposito della domanda cui e' seguita l'apertura della liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori.

Non sono invece soggetti all'azione revocatoria, tra gli altri:

- le rimesse effettuate su un conto corrente bancario che non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione del debitore nei confronti della banca;

- le vendite e i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell'articolo 2645 bis del codice civile conclusi a giusto prezzo e aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente, purché alla data dell'apertura della liquidazione giudiziale tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio;

Infine, il citato Codice specifica, all'art. 169, che gli atti compiuti tra coniugi, nel tempo in cui il debitore esercitava un'impresa e quelli a titolo gratuito compiuti tra le stesse persone più di due anni prima della data di deposito della domanda cui è seguita l'apertura della liquidazione giudiziale, ma nel tempo in cui il debitore esercitava un'impresa, sono revocati se il coniuge non prova che ignorava lo stato d'insolvenza del debitore.

Come si vede, dunque, per tornare al quesito, la casa non si salverebbe dal rischio pignoramento ponendo in essere la vendita, sia nel caso in cui la liquidazione giudiziale non venisse disposta sia nel caso in cui quest’ultima dovesse aprirsi (salvi i casi di esclusione dalla revocatoria di cui alla norma poc'anzi elencate).
L’intervenuta modifica del regime patrimoniale dei coniugi non incide, purtroppo, in alcun modo sulla aggredibilità o meno dei beni del socio accomandatario.

Va infine osservato che - con riferimento a quanto è scritto nel quesito, ovvero che verrebbero lasciate sul conto "in chiaro" delle somme di denaro da parte della venditrice/socia accomandataria, quindi facilmente individuabili ed aggredibili - il rischio pignoramento non è comunque azzerato.
Il creditore, infatti, rimane libero di scegliere il mezzo di espropriazione (nel nostro caso, dunque, pignoramento immobiliare o presso terzi sul conto corrente) che ritiene possa meglio soddisfare il suo credito ed anche cumularne più d'uno, salva ovviamente la richiesta di riduzione del pignoramento. Infatti, nelle ipotesi in cui il valore dei beni pignorati sia superiore rispetto a quanto necessario per assicurare la garanzia del credito e all'importo delle spese e dei crediti per cui si procede, il debitore può richiedere al giudice la riduzione del pignoramento (art. 496 c.p.c..

Da ultimo, va tenuta sempre presente l'ipotesi della conversione del pignoramento, di cui all'art. 495 c.p.c., in forza del quale - una volta che il pignoramento sia stato eseguito, ma prima che siano disposte la vendita forzata oppure l'assegnazione del bene - il debitore può chiedere di sostituire all'immobile pignorato una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione, all'importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese.
Questa sarebbe l'ultima spiaggia non tanto per evitare il pignoramento ma - qualora quest'ultimo dovesse già essere intervenuto - per salvare la casa dalla vendita/assegnazione a terzi e farla rientrare nel patrimonio della socia.


Novella P. chiede
giovedì 07/03/2019 - Lombardia
“Buon giorno, mi è stato fatta una donazione da un amico di una cospicua somma. Tutto attraverso una pratica notarile, pertanto pagando quanto dovuto per la donazione. Questo mio amico non ha moglie ne figli. Ha solo una madre molto molto anziana e malata e dei fratelli con il quale non va d’accordo. La donazione mi è stata fatta perché non vuole che in caso di sua morte i parenti usufruiscano dei suoi soldi.
Questo mio amico ha parecchi debiti con le banche.
Al momento risulta nullatenente. Non ha un lavoro e non ha una casa.
Questo e’ il secondo motivo della donazione.
La mia domanda è se le banche con cui ha un debito e i fratelli possano mai avvalersi su di me nel chiedere la restituzione di tale donazione e se, passati anni questi soldi fossero tutti stati usati se possono chiedere il risarcimento toccando i miei risparmi o la mia casa.
Preciso che questi soldi erano tutti custoditi in una finanziaria.
In sostanza vorrei capire se una volta che mi sono stati legalmente donati posso considerarli miei e se rimangano tali.”
Consulenza legale i 14/03/2019
Con riferimento al quesito proposto si rileva che la donazione da Lei ricevuta:
a) rientra perfettamente nell'ambito del principio della libera disponibilità da parte di un soggetto dei propri diritti e pertanto è valida ed efficacie;
b) non potrà essere aggredita ai fini successori dai fratelli del suo amico perché i fratelli non rientrano nella categoria dei cosiddetti eredi legittimari, unici soggetti aventi diritto ad una quota predeterminata e tutelata ex lege, come previsto ai sensi degli art. 536 del c.c. e art. 557 del c.c. ss.

c) potrà essere aggredita ai fini successori dalla madre, unico erede legittimario, la quale, certamente, potrebbe esercitare la cosiddetta azione di riduzione qualora sopravvivesse al figlio, sempre che la sua quota di riserva risulti lesa. La quota di legittima della madre è pari a 1/3 del patrimonio del figlio (art. 538 del c.c.).
Quindi, in mancanza di altri beni da lasciare alla madre per soddisfare la quota che le spetta per legge, quest'ultima potrà aggredire la donazione stipulata in vita in Suo favore per recuperare quanto riservatole per legge (art. 555 del c.c. e art. 559 del c.c.).
Dunque, in tale eventualità Lei sarebbe tenuto a restituire 1/3 della somma ricevuta in donazione.

c) potrà essere aggredita dai creditori del donante con azione revocatoria ex art. 2901 del c.c. ss entro 5 anni dalla stipulazione della donazione e sempre che si riesca a dimostrare la malafede del donante, ossia che la donazione è stata eseguita con l'unico fine di sottrarre i beni alla garanzia patrimoniale, e che l'atto di disposizione ha effettivamente comportato un danno alla garanzia patrimoniale dei creditori.
Circostanze che allo stato parrebbero essere di facile dimostrazione da parte dei creditori, considerato che il suo amico è nullatenente e che in pendenza di situazioni debitorie ha comunque donato tutti i suoi soldi ad un amico.
Qualora dovesse essere proposta l'azione revocatoria e ci fosse una sentenza del Tribunale territorialmente competente che l'accoglie, Lei sarà tenuto alla restituzione della somma ricevuta, anche se l'avesse già adoperata, e quindi spesa.
Per essere sicuri che la donazione non venga impugnata occorrerà attendere il decorso del termine di prescrizione di anni cinque dalla stipulazione della donazione.

Anonimo chiede
lunedì 25/02/2019 - Marche
“buongiorno
sono socio unico e amministratore di una società s.r.l. semplificata, in passato ho avuto una ditta individuale a mio nome e ho debiti non pagati con banche e agenzia delle entrate riscossioni.
attualmente quindi potrei essere a rischio di pignoramento della quota da me detenuti sulla s.r.l.s.
Se ora volessi trasformare la mia società da s.r.l.s. a s.a.s., sapendo che le quote delle società di persone non possono essere pignorate, potrei avere la tranquillità di non essere soggetto a pignoramenti della mia quota? i miei creditori potrebbero chiedere una revocatoria sulla trasformazione da s.r.l.s. a s.a.s.?
resto in attesa di vs. gradito risconto.
cordiali saluti.”
Consulenza legale i 04/03/2019
E’ opportuno, in primo luogo, chiarire bene le ragioni dell’impignorabilità delle quote di società di persone, al fine poi di comprendere come la trasformazione della s.r.l. in s.a.s. sia un’operazione non esente da rischi.

Nelle società di persone la modifica della compagine sociale richiede il consenso dell’unanimità dei soci: non possono dunque essere introdotti nuovi soci, così come non possono essere sostituiti i soci esistenti, se non con il consenso di tutti.
Questa è la ragione per la quale le quote delle società di persone non possono essere oggetto di esecuzione forzata durante la vita della società: la vendita forzata della quota, infatti, determina la sostituzione nella titolarità della quota stessa e l’ingresso di un nuovo socio nella compagine societaria, evento che, come si diceva poc’anzi, non è accettabile in una società di persone.

Secondo la Corte di Cassazione: “l’espropriazione della quota, comportando l’inserimento nella compagine sociale di un nuovo soggetto, prescindendo dalla volontà degli altri soci, introdurrebbe un elemento di “novità” incompatibile con il carattere di tale tipo di società” (Cassazione 07.11.2002 n. 15605).
Questa è una regola generale, ma – si noti bene – il legislatore ha lasciato ampia autonomia ai soci i quali, nei rapporti interni alla società, hanno la possibilità, nell’atto costitutivo, di stabilire al contrario la libera trasferibilità delle quote.
Tornando al quesito, dunque, la prima cosa da fare se si volesse effettivamente passare alla s.a.s. sarebbe quella di non inserire nell’atto costitutivo una clausola di libera trasferibilità delle quote.

In ogni caso, attenzione perché l’operazione in questione presenta alcuni rischi.

Partiamo dal presupposto che il patrimonio personale del socio della s.r.l. in questione sia costituito principalmente dalla sua partecipazione sociale e che il residuo sia di poco valore o comunque non sufficiente a soddisfare, neppure parzialmente, il credito di banche ed ente di riscossione.
In caso contrario, infatti, il problema della revocabilità dell'atto non si porrebbe.

In questa eventualità, il primo rischio da considerare è quello già intuito dal debitore, ovvero la revocabilità dell’atto di trasformazione societaria. Si tratta, infatti, di un negozio giuridico di contenuto patrimoniale che, indubbiamente, determina una sorta di “sottrazione” del bene “quota” alla disponibilità del creditore, con indubbio pregiudizio alle sue ragioni.
Per pregiudizio, si noti bene, si intende un impoverimento del patrimonio tale per cui i creditori non abbiano la possibilità di aggredire, in alternativa, altri beni del debitore che possano soddisfarli adeguatamente.
Se quindi, per ipotesi, il socio di cui al quesito possedesse una serie di immobili di valore pari alla quota sociale, non si dovrebbe preoccupare della revocatoria, che non sarebbe possibile esperire.

Altro rischio, sempre in presenza del medesimo presupposto (patrimonio che si sostanzia, per lo più, nella quota sociale), è quello di subire atti conservativi sulla quota stessa. Infatti, se i creditori non possono pignorare le quote di una società di persone, possono però procedere al sequestro conservativo delle quote stesse in attesa della liquidazione della società. Il che, com’è intuibile, renderebbe di fatto inutile l’operazione di trasformazione della s.r.l. in s.a.s..

Da ultimo, si rileva come nel caso di specie l’attenzione sia concentrata sui debiti personali del socio antecedenti la costituzione della s.r.l.: va tenuto in debita considerazione, tuttavia, che il passaggio dalla società di capitali alla società di persone aggraverebbe la responsabilità patrimoniale del socio in ordine ai debiti sociali.

Infatti mentre, com’è noto, la società di capitali funge da “schermo”, per cui delle obbligazioni contratte in nome della stessa risponde solo e solamente quest’ultima con il suo patrimonio, viceversa in una società di persone la responsabilità dei soci è personale (con una debita distinzione, nel caso della s.a.s., tra soci accomandatari ed accomandanti), nel senso che i soci rispondono anche il proprio patrimonio personale delle obbligazioni assunte in nome e per conto della società.

In definitiva, si sconsiglia un’operazione come quella ipotizzata. Così come si dovranno escludere la donazione di quote o un atto costitutivo di trust, perché anch’essi, purtroppo, sono soggetti a revocatoria.


Antonio G. chiede
venerdì 22/02/2019 - Marche
“Buongiorno,
il mio quesito è il seguente.
Un soggetto socio unico di una s.r.l., potrebbe fare una donazione delle proprie quote della società alla madre ?
Il soggetto che dona le quote, risulta avere dei debiti con Equitalia e banche derivanti da una ditta individuale a suo nome chiusa anni fa.
La domanda è se l'operazione di donazione potrebbe essere a rischio revocatoria ?
Se si, ci sono possibili soluzioni affinché si possa fare la donazione senza rischio revocatoria?
Consulenza legale i 01/03/2019
Purtroppo l’atto di donazione effettuato in presenza dei presupposti descritti potrebbe essere senza dubbio soggetto a revocatoria.

Va innanzitutto premesso (il quesito infatti non lo dice) che si presume che l’atto di donazione recherebbe “pregiudizio” alle ragioni dei creditori, laddove per pregiudizio si intende un impoverimento tale che non ci sarebbero margini per i creditori stessi di aggredire alcunché per ottenere quanto loro dovuto; se viceversa vi fossero altri beni nel patrimonio del debitore che potessero essere venduti in modo da soddisfare adeguatamente i creditori la revocatoria non sarebbe possibile.
Facciamo un esempio: si può esperire l’azione revocatoria nei confronti di una persona che dona l’unica casa al figlio e non ha altri beni, nè un conto corrente con una capienza di analogo valore; non si può invece agire in revocatoria nei confronti di chi ha un debito di cento e dona una casa del valore di trecento, rimanendo tuttavia proprietario di un altro immobile del valore di duecento.

Se, dunque, la donazione di quote costituisse un notevole e decisivo depauperamento del patrimonio del donante, l’atto in questione potrebbe senz'altro essere reso inefficace nei confronti del terzo.
Si noti bene, poi, che – a differenza di un atto a titolo oneroso (come una cessione di quote ma dietro pagamento di un corrispettivo) – un atto a titolo gratuito o comunque un atto di liberalità può essere soggetto a revocatoria anche se non si prova o non c’è la consapevolezza in capo al terzo del pregiudizio.

Com’è noto, infatti, il diritto di agire in revocatoria richiede, tra i presupposti, il cosiddetto consilium fraudis, ovvero il creditore deve offrire la prova che il terzo era del tutto consapevole del pregiudizio che stava arrecando alle sue ragioni.
Trattandosi, invece, qui di donazione (ovviamente successiva all’insorgenza del credito, altrimenti il ragionamento non vale) non è richiesta la consapevolezza del terzo in merito al pregiudizio causato al creditore, perché egli ha comunque acquisito un vantaggio senza un corrispondente sacrificio e, quindi, ben può vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore stesso (si vedano, tra le tante, Cass. civ., n.12045/2010 e Trib. Bologna, n. 2167/2017).

Attenzione, poi, perché l’art. 2929 bis c.c. stabilisce che se entro dodici mesi dal rogito della donazione il creditore trascrive l’atto di pignoramento nei registri immobiliari, può mettere all’asta la casa senza fare la revocatoria.

Spieghiamo meglio.
Secondo il dettato della norma, il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore con il quale quest'ultimo cede un proprio bene (come un immobile) oppure vi costituisce sopra un vincolo di indisponibilità, atto compiuto a titolo gratuito e trascritto successivamente al sorgere del credito, può procedere a esecuzione forzata anche se non abbia preventivamente ottenuto una sentenza dichiarativa di inefficacia dell’atto stesso (come quella che il Giudice emette quando accoglie la revocatoria), se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data nella quale l’atto è stato trascritto.
Quindi, come nel nostro caso, entro un anno dalla donazione, il creditore non deve nemmeno esperire la revocatoria se vuole pignorare il bene donato, a patto che trascriva il pignoramento nei registri pubblici immobiliari.

Se le Banche o Equitalia, in conclusione, hanno per caso in questi anni ottenuto o stanno per ottenere un titolo esecutivo (ingiunzione di pagamento, cartella esattoriale esecutiva, ecc.) potranno già chiedere il pignoramento delle quote e basterà loro trascriverlo nei pubblici registri, anche in assenza di una sentenza che dichiari effettivamente che la donazione era stata fatta in frode. Le ragioni dei creditori, insomma, prevarranno su quelle del donatario.

Per rispondere all’ultima domanda, infine, non solo la donazione è a rischio revocatoria ma purtroppo non ci sono altre soluzioni che possano mettere al riparo le quote della s.r.l. da un'aggressione dei creditori. Qualsiasi atto, infatti, che in questo momento consenta al debitore di spogliarsi del suo patrimonio in tutto o in significativa parte è legittimamente impugnabile dai creditori. A meno che ... invece di una donazione non venga effettuata una vendita.

Roberto D. chiede
martedì 03/04/2018 - Abruzzo
“Salve

Premesso che nel 2011, come amministratore di una società immobiliare ho venduto due appartamenti ad un cliente che, dopo circa tre anni, ha subito l'azione revocatoria ordinaria da un creditore della società al quale il tribunale, in primo grado, ha dato ragione sulla base del solo fatto che la mia società versava in una situazione di crisi (poi non sfociata in fallimento) e che ciò non potesse non essere a conoscenza dell'acquirente, nonostante si riconoscesse nella sentenza la congruità del prezzo e delle modalità di pagamento. La mia domanda è la seguente: è applicabile l'art. 2901 del c.c. ad una società costruttrice che vende il proprio bene merce nell'ambito della sua normale attività, per di più al prezzo di mercato e con modalità di pagamento affatto anomale? A mio avviso, assoggettare una normale vendita (e sottolineo normale) del suo bene merce alla revocatoria ordinaria, porterebbe il costruttore al blocco della sua attività e sarebbe un ostacolo alla libertà d'impresa (oltre che un pregiudizio incomprensibile per il malcapitato acquirente). Vorrei avere un supporto giurisprudenziale e dottrinale a quanto sopra? Grazie.

Saluto cordialmente”
Consulenza legale i 27/04/2018
Prima di capire in che termini le sue considerazioni possano trovare fondamento in qualche parte della dottrina e della giurisprudenza, si ritiene necessario analizzare brevemente la funzione dell’istituto dell’azione revocatoria ordinaria, anche per rendersi conto di quale possa essere stato il motivo che ha indotto il Tribunale, in primo grado, a pronunciare la revocatoria di quegli atti di alienazione.

Ebbene, l’azione revocatoria si dice che costituisce un mezzo legale di conservazione della garanzia patrimoniale del creditore, essendo volta a tutelare l’interesse del creditore contro atti di disposizione del debitore, che possano incidere in modo pregiudizievole sulla consistenza del suo patrimonio, quel patrimonio di cui parla l’art. 2740 c.c., e che è costituito da tutti i beni, presenti e futuri, del debitore.
Tale finalità si realizza attraverso la dichiarazione di inefficacia dell’atto di disposizione del debitore, la quale costituisce presupposto per l’esperimento di azioni cautelari ed esecutive sul bene distratto.

Il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria è rappresentato dal c.d. eventus damni, cioè dal pregiudizio alle ragioni dei creditori che gli atti di disposizione del debitore possono arrecare; deve trattarsi di una lesione effettiva ed attuale dell’interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale, pur se il danno non è attuale, ma si profila soltanto un pericolo di danno come conseguenza del comportamento del debitore.
In giurisprudenza è stato ritenuto sufficiente per integrare il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria il fatto che l’atto di disposizione possa rendere la realizzazione del diritto del creditore incerta o soltanto difficoltosa (in tal senso si possono citare Cass. 19234/2009 e Cass. 1896/2012); è stato invece escluso l’eventus damni nel caso di alienazione di un bene determinato dalla necessità o utilità evidente della famiglia, accertata dal giudice che deve autorizzare l’atto di alienazione.

Sotto il profilo del requisito della consapevolezza da parte del terzo acquirente del pregiudizio che l’atto dispositivo ha arrecato alle ragioni del creditore dell’alienante, è stato affermato in giurisprudenza che si prescinde dalla specifica conoscenza del credito a tutela del quale l’azione viene esperita, essendo sufficiente guardare invece alla riduzione delle garanzie offerte dal debitore in relazione alla sua consistenza patrimoniale (così Cass. N. 2303/1996).

Dalle brevi e sintetiche considerazioni sopra svolte, dunque, se ne può trarre la conclusione che gli atti di disposizione di cui si discute, pur se realizzati nell’esercizio della normale attività di impresa e rientranti a pieno titolo in quello che è l’oggetto sociale della società venditrice, hanno di fatto determinato una modificazione della situazione patrimoniale della società debitrice in un periodo di crisi economica della stessa e, pertanto, in quanto rientrante nella categoria dei negozi giuridici inter vivos aventi contenuto patrimoniale e natura dispositiva, possono legittimamente essere revocati (ciò che, correttamente, purtroppo, ha fatto il Tribunale in primo grado).

Veniamo adesso a considerare ciò che di contro si fa rilevare nel quesito, ossia fino a che punto sia possibile e legittimo assoggettare a revocatoria un atto che costituisce normale esplicazione dell’attività d’impresa della società debitrice, la quale soltanto in questo modo può procurarsi il denaro necessario per far fronte ai debiti di cui è gravata.
Ebbene, un labile fondamento di tale considerazione lo si può ritrovare nella locuzione “atti di disposizione” a cui fa riferimento lo stesso art. 2901 c.c.; infatti, secondo parte della giurisprudenza, tale locuzione implica che i relativi atti siano espressione di una decisione arbitraria del debitore, con la conseguenza che ne debbano restare esclusi sia gli atti di ordinaria che di straordinaria amministrazione.
Sulla base di tale interpretazione, dunque, l’esclusione deve riguardare tutti quelli che possono definirsi atti dovuti, cioè compiuti in adempimento di una obbligazione, come espressamente sancisce l’art. 2901 co. 3 c.c., riferendosi all’adempimento di un debito scaduto.

In tale ottica la Corte di Cassazione, in particolare con la sentenza n. 16756/2006 (ma anche con le sentenze nn. 16629/2013 e 13435/2004) ha escluso la proponibilità dell’azione revocatoria ordinaria nei confronti dell’alienazione di un bene immobile da parte del debitore se il prezzo sia stato destinato anche in parte al pagamento dei debiti scaduti del venditore-debitore, ovvero se la vendita, strumentale all’adempimento, abbia rappresentato per il debitore l’unico mezzo per procurarsi il denaro.
In particolare si è affermato che tale carattere di strumentalità necessaria della vendita è da solo sufficiente ad impedire la revocabilità dell’atto di disposizione, a condizione, però, che venga accertata la sussistenza della necessità di procedere all’alienazione, quale unico mezzo al quale il debitore, privo di altre risorse, poteva fare ricorso per procurarsi il denaro, salva restando la revocabilità degli ulteriori atti con i quali il debitore abbia disposto della somma residua (sulla base di tali motivazioni la Corte di cassazione ha cassato la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello che ha emesso quella decisione)

Si ritiene che sia proprio questa la fattispecie che qui si è inteso realizzare, soltanto che, per riuscire appieno a far valere tale tesi, manca un tassello essenziale: dare prova del fatto che il denaro ricavato da quella vendita è stato utilizzato per il pagamento di parte dei debiti sociali.
Qualora si riesca a fornire prova di ciò, si ritiene che debbano cadere tutti i presupposti per poter dichiarare l’inefficacia relativa di quell’atto dispositivo.
Non si può tuttavia nascondere che anche atti intrinsecamente “neutri”, se non addirittura vantaggiosi per il debitore, possano essere revocati qualora, nelle circostanze del caso concreto, si rivelino pregiudizievoli per il creditore, come proprio nell’ipotesi di compravendita immobiliare conclusa, sì, a prezzo vantaggioso per il debitore, ma che inevitabilmente lede l’interesse dei creditori, in quanto sostituisce al cespite originario un bene di più agevole occultabilità e, conseguentemente, rende più incerto l’esito positivo dell’azione esecutiva promuovenda.

Di contro va anche detto che, pur se la dottrina maggioritaria e la stessa giurisprudenza condividono tale assunto, alcune voci critiche hanno sentito l’esigenza di mettere in guardia dall’eccessiva ampiezza con cui è stato inteso il requisito dell’eventus damni.
Così, si è affermato che, se si interpretano bene le norme processualcivilistiche, non può assumere rilevanza il fatto che l’atto compiuto dal debitore comporti una maggiore difficoltà dell’esecuzione forzata: il creditore non è titolare di un diritto all’agevole esecuzione, e pertanto nessun rimedio dovrebbe essere concesso in caso di mera difficoltà della stessa. Neppure potrebbero essere significative la maggiore gravosità o dispendiosità della espropriazione, considerato che le spese processuali seguono la soccombenza e, dunque, ricadono in definitiva sul debitore e non sull’attore-creditore (in tal senso si è espresso Lucchini Guastalla, L’azione revocatoria ordinaria, in Nuova giur. Civ. comm. 1991, II, pag. 354).

E’ su queste argomentazioni che si suggerisce di impiantare l’atto di appello alla sentenza che ha sancito la revocazione dei due atti dispositivi, ossia sulla considerazione che nessuna norma del codice di procedura civile riconosce al creditore un diritto all’agevole e comoda esecuzione, nonché sul rilievo, in parte delineato nella bozza dell’atto di appello, e fatto proprio dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 16756/2006, secondo cui la proponibilità dell’azione revocatoria ordinaria deve escludersi nei confronti dell’alienazione di un bene immobile da parte del debitore, la quale abbia rappresentato per il debitore l’unico mezzo per procurarsi liquidità finanziaria ed il cui prezzo sia stato destinato anche in parte al pagamento dei debiti scaduti del venditore-debitore.
Peraltro, di ciò, almeno per quanto si legge nelle pagine da 16 a 18 della bozza d’appello, sembra che si possa dare prova, fornendosi ivi una serie di elementi da cui poter chiaramente desumere che il denaro ricavato da quelle vendite fu destinato a ripianare in parte i debiti sociali, e non ad essere distratto per altre finalità in frode ed in danno dei creditori, ciò che soltanto potrebbe legittimare la revocazione di quegli atti.

Anonimo chiede
lunedì 01/08/2016 - Puglia
“Tizio socio di una sas è debitore insieme ad altri coobbligati di una somma di denaro per un acquisto di un macchinario (2004), lo stesso ha firmato per avallo insieme agli altri; nel contempo nel 2015 tizio ha donato alla moglie l'appartamento di sua proprietà, la ditta creditrice chiede l'azione revocatoria ai sensi dell'art. 2901 c.c.
la domanda è come ci si può difendere? ci sono i presupposti per l'azione revocatoria? il comportamento di tizio non è stato a mio parere pregiudizievole nei confronti della ditta in quanto l'appartamento era libero da 10 anni e solo adesso l'ha donato alla moglie.”
Consulenza legale i 05/08/2016
E’ molto difficile fornire una risposta adeguata sulla base dei soli elementi forniti nel quesito, dal momento che la questione chiave – nel giudizio che ha ad oggetto la revoca dell’atto posto in essere dal debitore – è la valutazione del dolo specifico relativo a quest’ultimo.
L’azione revocatoria, infatti, disciplinata dall’art. 2901 c.c. serve a rendere inefficaci nei confronti del (solo) creditore che agisce in tal senso gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrano le seguenti condizioni:
1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;
2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.
L’effetto della revocatoria, in particolare, è quello per cui l’atto di disposizione (in questo caso, la donazione) rimane valido ed efficace a tutti gli effetti, tuttavia il creditore che agisce può comunque aggredire il bene uscito dal patrimonio del debitore nella misura sufficiente a soddisfarsi.

Si ritiene che in caso di più obbligati solidali dal lato passivo (come nella fattispecie in esame) non sia rilevante la possibilità per il creditore di soddisfarsi nei confronti degli altri obbligati solvibili: si fa riferimento all’esclusiva situazione patrimoniale del debitore convenuto.

Dal punto di vista soggettivo, è sufficiente l’effettiva consapevolezza, in capo al debitore, che l’atto di disposizione riduce la consistenza del proprio patrimonio, così pregiudicando le ragioni del creditore.

Neppure rileva, ancora, che l’atto di disposizione sia stato fatto a titolo gratuito (come la donazione, nel caso che ci occupa): anzi, avendo il terzo acquisito in questi casi un vantaggio senza il corrispondente sacrificio, ben può - secondo la legge - vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore.

Delineata così la disciplina generale, si possono effettuare, in relazione alla fattispecie concreta in esame, le seguenti osservazioni:

a) dalla lettera del quesito sembra che l’obbligo sia sorto nel 2004: pertanto, ai fini della fondatezza dell’azione revocatoria, occorrerà valutare se sia intervenuta prescrizione o meno del diritto di credito. La prescrizione ordinaria, infatti, per poter esercitare un diritto è di dieci anni: se dunque l’obbligo è sorto in capo al socio nel 2004, il diritto ad ottenere il pagamento si è prescritta nel 2014 e ciò potrà costituire una valida eccezione preliminare in corso di causa (se non esiste il diritto di credito, non ha alcun fondamento un’azione finalizzata a ripristinare la consistenza di un patrimonio sul quale non ci si può più soddisfare);

b) che il diritto di credito si sia prescritto o meno, pare che sia comunque passato parecchio tempo dal momento in cui è sorto l’obbligo al momento della donazione: ad avviso di chi scrive, il Giudice dovrà quindi valutare anche l’inerzia del creditore a far valere il diritto nel corso degli anni, inerzia tale da giustificare pienamente la buona fede del socio che ha donato l’immobile alla moglie (nel 2015, ormai, era ragionevole non attendersi più alcuna azione di recupero del credito da parte della ditta, con conseguente libertà di disporre del proprio patrimonio in piena libertà, senza alcun dolo).

Questi gli elementi che possono essere rilevanti a difesa del debitore.
Il creditore che agisce il revocatoria, da parte sua, è gravato dal pesante onere di provare non solo l’intenzionalità pregiudizievole in capo al debitore, ma altresì il cosiddetto consilium fraudis ovvero il dolo in capo al terzo, che per legge dev’essere ugualmente consapevole degli effetti negativi dell’atto in danno del creditore.

Ernato C. chiede
venerdì 15/04/2016 - Lombardia
“sono ( divorziato) e creditore della mia ex moglie.
Lei, con altri eredi ( fratelli ) ha rinunziato espressamente e preventivamente ( ex art 563 comma IV c.c alla opposizione alla donazione di immobili che sua madre, ( poi defunta) ha donato a due nipoti ( miei figli )
Il giudice, nella causa revocatoria( da me intentata contro la mia ex moglie e i due figli nostri ) contro questa rinunzia preventiva ha sollevato il dubbio che
questa rinunzia non abbia contenuto patrimoniale
( preciso che la mia ex moglie , nullatenente al momento della rinunzia alla opposizione alla donazione - da sua madre ai nostri due figli - si è di fatto spogliata di ogni possibile incremento patrimoniale)
e che io non sia legittimato a questa azione
chiedo confermare e motivare (con indicazione di dottrina e massime o sentenze di cassazione ) il contenuto patrimoniale
e la mia legittimazione e interesse ad agire ( quale creditore della rinunziante ) in questa causa ( per cui devo depositare conclusionale entro il 2 5 16)
chiedo mi si indichi se e come devo provare la accettazione di eredità ( atteso che la defunta con la donazione si era resa a propria volta nullatenente ) e non aveva lasciato alcun bene ai figli ( cui aveva anni prima donato propri beni )
grazie
renato c.”
Consulenza legale i 26/04/2016
Purtroppo il Giudice ha correttamente sollevato dubbi in merito alla legittimazione ad agire in revocatoria nei confronti dell’atto di rinuncia della ex moglie.

Va in primo luogo osservato che la fattispecie di cui all’art. 563, IV comma, del c.c. – benché la norma non lo dica espressamente - viene in considerazione, inevitabilmente, qualora vi sia stata alienazione del bene/dei beni oggetto della donazione. Infatti, l’atto stragiudiziale di opposizione alla donazione di cui parla l’articolo in commento ha come (esclusivo) obiettivo – a tutela del coniuge e degli altri soggetti ivi menzionati - quello di sospendere il decorso del termine ventennale successivamente allo spirare del quale i diritti che i terzi hanno acquisito sul bene donato prevalgono sui diritti dei legittimari.

Per meglio chiarire: la riforma del codice civile intervenuta nel 2005 ha stabilito che se i donatari hanno alienato a terzi gli immobili ricevuti in donazione e sono trascorsi oltre 20 anni dalla trascrizione della donazione stessa (art. 563, 1° comma, c.c.), i terzi acquirenti dei beni in questione sono “protetti” dalle pretese dei legittimari, ovvero questi ultimi non potranno più esperire nei confronti dei primi l’azione di “restituzione” che consente di ottenere, appunto, la restituzione degli immobili alienati (i legittimari sono le categorie di eredi che, per legge, hanno un diritto irrinunziabile ad una quota del patrimonio del defunto, chiamata “quota di legittima” o “legittima”).

Ora, se i legittimari (come nel caso di specie è la ex moglie dell’attore che ha agito in revocatoria) hanno preventivamente (quando la donante era ancora in vita) rinunciato alla predetta opposizione, hanno automaticamente rinunciato al diritto di agire in restituzione nei confronti degli eventuali terzi acquirenti dei beni donati dopo lo scadere del termine di 20 anni dalla donazione.

Già alla luce di queste prime considerazioni, risulta dubbioso l’esperimento della revocatoria nei confronti della ex moglie, dal momento che (quantomeno così sembra dal quesito) gli immobili donati non sono stati (ancora) alienati dai figli di quest’ultima e non esiste dunque un “terzo” che vanti o possa vantare diritti pregiudizievoli nei confronti della medesima, così come, pertanto, non esiste un “terzo” consapevole dell’ipotizzato intento fraudolento della ex moglie e compartecipe di tale intento: requisito, questo (denominato “partecipatio fraudis”), richiesto per l’esercizio dell’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c..

Si aggiunga, poi, che la rinuncia all’opposizione di cui all’art. 563 c.c. non fa venir meno il diritto di esercitare l’azione di riduzione di cui agli artt. 553 e seguenti c.c.: ovvero il legittimario leso nella propria quota di legittima, nonostante la preventiva rinuncia all’opposizione alla donazione, conserverà in ogni caso il diritto ad esercitare entro 10 anni dall’apertura della successione un’azione con la quale chiedere la “riduzione” (con un’operazione puramente matematica) delle disposizioni testamentarie che hanno leso la sua quota di legittima.

Anche sotto questo profilo, la ex moglie conserva il diritto (salvo il maturare della prescrizione di legge) di agire in riduzione nei confronti dei figli per lesione di legittima, in tal modo potendo ancora ripristinare la consistenza del proprio patrimonio leso dalla donazione della madre.

Da ultimo, ma non meno importante, va considerato l’orientamento della giurisprudenza sul punto, la quale nega la possibilità di agire in revocatoria contro tutti quegli atti che, benché qualificabili come atti di rinuncia (nei confronti dei quali è in realtà possibile, astrattamente, chiedere la revoca per frode), non abbiano come effetto sostanziale un effettivo ed automatico depauperamento del patrimonio del debitore.

E’ interessante, sotto questo profilo, l’esame di una pronuncia abbastanza recente della Corte di Cassazione emessa in un caso analogo a quello di specie (in materia di azione di riduzione e contestuale adesione al legato), in relazione al quale i giudici hanno dettato dei principi applicabili, più in generale, anche alla rinuncia all’opposizione di cui al quesito qui proposto (si riportano ampi stralci della pronuncia in questione, data la sua chiarezza ed esaustività rispetto al quesito che ci occupa): “(…) L'atto composito suddetto (adesione al legato/ rinuncia azione di riduzione), oggetto di revocatoria, è un atto abdicativo (…) della possibilità che il patrimonio del disponente eventualmente si incrementi in esito al vittorioso esperimento dell'azione di riduzione.
Il disponente si è precluso la possibilità che, in caso di esito positivo dell'azione di riduzione, nel suo patrimonio entrasse la quota di legittima corrispondente alla proprietà dei beni ereditari, sulla quale il creditore avrebbe potuto soddisfarsi. (…)

5.2. Così individuato l'atto revocando, diventa essenziale la verifica di quello che è il primo presupposto dell'azione revocatoria: la natura ed il contenuto dell'atto di cui si chiede l'inefficacia, essendo soggetti all'azione pauliana (ovvero revocatoria, n.d.r.) - soltanto quegli atti che importino una modificazione giuridico-economica della situazione patrimoniale del debitore. E' pacifico che possano essere oggetto di revocatoria, non solo gli atti di alienazione che importino una diminuzione attuale del patrimonio del debitore, ma anche quelli che possano comprometterne la consistenza nel futuro, come gli atti di rinuncia, le assunzioni di debito e la concessione di garanzie personali o reali.

Secondo la giurisprudenza della Corte (Cass. 21 luglio 1966, n. 1979), per gli atti abdicativi è necessaria una distinzione.

E' necessario accertare se essi si ricolleghino ad una posizione giuridica già potenzialmente acquisita, nei suoi elementi costitutivi, al patrimonio del rinunziante o se, invece, si sostanzino nella rinunzia ad una facoltà, per effetto della quale non resta, comunque, modificato, né attivamente né passivamente il compendio patrimoniale quo ante del debitore. Nel primo caso (come sarebbe, rispetto alla materia successoria, per la rinunzia all'eredità), l'azione revocatoria è senza dubbio ammissibile. Nel secondo caso, l'atto di rinunzia del debitore non consente l'esercizio dell'azione revocatoria, perché il futuro incremento del suo patrimonio non si pone come conseguenza immediata della mancanza di rinunzia, ma dipende da altro, dallo svolgersi di una situazione giuridica ancora in fieri (…); (…) In definitiva, per conseguire il risultato voluto, corrispondente alla funzione dell'azione revocatoria di garanzia patrimoniale a favore del creditore, e cioè che nel patrimonio del debitore entri la quota di proprietà dei beni ereditari corrispondente alla legittima, è necessario (…) il positivo esito dell'azione di riduzione rispetto alle disposizioni testamentarie. Infatti, pacificamente, sino alla positiva conclusione dell'azione di riduzione, le disposizioni testamentarie che attribuiscono la proprietà dei beni agli eredi restano inalterate e rimangono valide e operanti anche se potenzialmente lesive della legittima (…).
5.3. Emerge, allora, lo stretto nesso tra tipologia di atto dispositivo sottoponibile a revocatoria e idoneità dell'azione revocatoria a realizzare la funzione ad essa assegnata dall'ordinamento, di consentire al creditore, attraverso la mera inefficacia dell'atto dispositivo nei propri confronti, la soddisfazione del proprio credito con l'aggressione esecutiva.
L'inidoneità del primo ad essere sottoposto a revocatoria trova conferma nell'impossibilità che l'azione accolta raggiunga il suo scopo.

Ed, invero, nella specie, l'accoglimento della domanda di revocatoria, con la dichiarazione di inefficacia dell'atto composito di adesione al legato/rinunzia azione di riduzione, non consentirebbe al creditore di aggredire la quota di proprietà dei beni ereditari, perché questi resterebbero nella titolarità degli eredi sino al positivo esperimento dell'azione di riduzione.
(…) Invece, per te ragioni suddette, l'atto di disposizione che, come nella specie, si sostanzi nella rinunzia ad una facoltà, per effetto della quale non resta, comunque, modificato, nè attivamente nè passivamente il compendio patrimoniale quo ante del debitore, non può essere oggetto di azione revocatoria, come è confermato dalla inidoneità dell'azione revocatoria a raggiungere lo scopo normativamente previsto, del soddisfacimento del credito mediante l'aggressione dei patrimonio del debitore, nell'ipotesi di accoglimento dell'azione.

5.5. Il ricorso va rigettato in applicazione del seguente principio di diritto: "Non è ammissibile l'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. - la cui funzione è di conservazione della garanzia del patrimonio del debitore, attraverso l'inefficacia dell'atto di disposizione rispetto al creditore, e la conseguente possibilità di questi di soddisfarsi sul patrimonio del debitore - rispetto ad atti che si sostanziano nella rinunzia ad una facoltà, per effetto della quale non resta modificato, nè attivamente nè passivamente, il compendio patrimoniale quo ante del debitore, e che, pertanto, anche se dichiarati inefficaci nei confronti del creditore, in esito all'accoglimento dell'azione revocatoria, non consentirebbero il soddisfacimento del creditore e, quindi, il conseguimento dello scopo cui è preordinata l'azione revocatoria, secondo la ratio assegnatale dal legislatore.” (Cass. Civ., Sez. III, 19/2/2013 n. 4005).

In definitiva, nella fattispecie concreta al nostro esame, la revocatoria non è ammissibile perché qualora il Giudice accogliesse le domande dell’attore e disponesse, così, l’inefficacia dell’atto di rinuncia della debitrice nei confronti del creditore/ex marito, quest’ultimo non potrebbe ancora soddisfarsi direttamente sul patrimonio della prima ma dovrebbe comunque attendere l’esito di un’eventuale azione giudiziale della signora che le consenta di reintegrare la legittima lesa. Per effetto, cioè, della pronuncia del giudice investito della revocatoria, il patrimonio della moglie/debitrice non verrebbe direttamente ed automaticamente ripristinato con reintegrazione della quota di legittima, ma la stessa dovrebbe esperire vittoriosamente un’azione di riduzione.

LUIGI . M. chiede
venerdì 26/02/2016 - Emilia-Romagna
“Sono stato socio dal 30 09 2011 al 31 05 2012 in una s.r.l. che si occupava di costruzioni edili. Ero entrato al 50% ma solo come socio di capitale; l'amministratore unico della ditta era rimasto lo stesso.
Nei primi mesi del 2012 versavo alla ditta alcuni fin-socio; alla fine di maggio per dissapori nati con la controparte uscivo dalla società e con l'ex socio concordavo per la restituzione dei soldi sopra richiamati.
La ditta vantava parecchi crediti per lavori in corso e conseguentemente, anche a fronte dell'accordo sopra citato, provvedevo a notificare in data 29 08 2012, tramite pubblico Ufficiale, una cessione di credito al costruttore appaltatore (debitore vs. la mia ex ditta); ovviamente con il benestare scritto dell'amm.re unico. Un po' di tempo dopo ricevevo indietro il mio denaro.

In data 23 07 2014 la ditta veniva dichiarata fallita.

Alcuni giorni fa ricevevo una comunicazione dal Curatore fallimentare nella quale, in forza del fatto che il sottoscritto fosse "presumibilmente" a conoscenza dello stato di insolvenza della ditta al momento della predetta cessione, che sarebbero stati presenti debiti scaduti e di tutto quanto previsto dell'art 66 L.F., mi intimava la restituzione dei fin soci, oggetto della presente.

Dall'analisi del bilancio al 31 12 2011, analisi fatta da me fare ad un Commercialista che si occupa di Fallimentare, nulla poteva far presagire ad un default della ditta; successivamente alla mia uscita l'amm.re non ha più depositato nessun bilancio e dalle notizie avute dal Curatore stesso, parrebbe che tutta la contabilità sia sparita (e anche i soldi).
Vorrei un Vs. parere in merito; ho già sentito un paio di Avvocati i cui pareri pero' sono discordanti.
A disposizione porgo distinti saluti”
Consulenza legale i 04/03/2016
Con il presente quesito viene richiesto, in sostanza, se determinati atti di disposizione posti in essere dalla società possano essere dichiarati inefficaci, in seguito ad azione revocatoria ordinaria proposta dal curatore fallimentare della medesima società.
Al fine di rispondere a tale quesito, occorre pertanto verificare quali siano i presupposti in presenza dei quali è possibile la proposizione dell'azione revocatoria ordinaria ai sensi dell'art. 66 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (la cd. Legge Fallimentare).
L'azione revocatoria di cui all'art. 66 della Legge Fallimentare richiede gli stessi presupposti dell'azione revocatoria ordinaria di cui all'art. 2901 del c.c., infatti:
"1. Il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile".
2. L'azione si propone dinanzi al tribunale fallimentare, sia in confronto del contraente immediato, sia in confronto dei suoi aventi causa nei casi in cui sia proponibile contro costoro".
Pertanto, alla luce del dettato normativo ora richiamato, per la proposizione dell'azione revocatoria di cui all'art. 66 della Legge Fallimentare, devono sussistere i presupposti di cui all'art. 2901 del c.c., comma 1; in particolare:
"1. Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:
1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;
2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione".
In sostanza, "l'art.66 l.fall. ripropone, in ambito fallimentare, la revocatoria ordinaria codicistica. L'unica differenza fra la revocatoria L. Fall., ex art. 66 e la revocatoria ex art. 2901 cod. civ. è l'ambito di efficacia: la prima, esercitata dal curatore, giova a tutti i creditori, la seconda giova soltanto al creditore che ha esercitato l'azione. Ma le caratteristiche dell'azione sono le medesime, trattandosi dello stesso istituto trasposto in un diverso settore dell'ordinamento" (cfr. Cass. Civ., Sez. VI, 7 maggio 2015, n. 9170).
La Suprema Corte, nella sentenza ora richiamata (e nello stesso senso cfr. Cass. Civ. Sez. III, 13 dicembre 2011 n. 26723), ha precisato che, in tema di revocatoria di cui all'art. 66 della Legge Fallimentare:
a) per il curatore è "necessario unicamente provare la conoscenza, da parte del terzo, del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, ovverosia la menomazione della garanzia generica di cui all'art. 2740 cod. civ.";
b) "non è necessaria una totale compromissione del patrimonio del debitore, ma è sufficiente che la soddisfazione dei crediti sia resa più incerta o difficile, come nel caso di modifica qualitativa e non quantitativa del patrimonio del debitore che metta a rischio la fruttuosità dell'azione esecutiva".
In sostanza, alla luce del dettato delle due norme richiamate e dalla lettura della Giurisprudenza citata, sembra che, nel caso della proposizione dell'azione revocatoria di cui all'art. 66 della Legge Fallimentare, il curatore debba provare che il terzo fosse a conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori.
Il curatore, nella comunicazione effettuata al socio, precisa che quest'ultimo era "presumibilmente" a conoscenza dello stato di insolvenza della ditta al momento della predetta cessione". E' probabile che "ci abbia provato", che sia partito sicuro per tastare il terreno. Fosse stato certo della malafede del terzo c'è da supporre che avrebbe utilizzato un'espressione più marcata. Suppone, poiché, nella maggioranza dei casi, il terzo effettivamente non è all'oscuro di recare pregiudizio, e quindi a supporre assai spesso ci si azzecca.
Al di là di queste considerazione meta giuridiche, resta il fatto che per poter ottenere la dichiarazione di inefficacia della cessione del credito, il curatore deve fornire la prova che il terzo (ex socio) conosceva il pregiudizio che avrebbe arrecato ai creditori. Da quanto riassunto nel quesito sottoposto alla nostra attenzione, sembrerebbe che tale prova non sia stata fornita e, pertanto, tale aspetto sembrerebbe contestabile, al fine di confermare l'efficacia della cessione del credito.

Roberto Z. chiede
giovedì 17/12/2015 - Marche
“Un soggetto è debitore del fisco,e andrà a ereditare immobile della madre assieme alla sorella. Premetto che già è stata studiata la soluzione della rinuncia alla eredità e vendita con utilizzo dell'art. 2652 cc avverso l'utilizzo dell'art. 524 cc.
La domanda è:
Se invece della rinuncia, il bene venisse normalmente ereditato da entrambi i figli e subito venduto a terzi,
1. potrebbe ipotizzarsi quale sottrazione di beni al fisco ex L. 122/2010?
2. se i terzi sono normali acquirenti reperiti da agenzia, quale probabilità di revocatoria?
3.Tra la rinuncia e la normale successione, quale soluzione sarebbe preferibile sia per precisione e sia per semplicità?”
Consulenza legale i 24/12/2015
1. Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è previsto dall'art. 11 d.lgs. 74/2000 secondo il cui comma 1: "E' punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l'ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi e' superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni".

Il reato può essere commesso da chiunque rivesta la qualifica di contribuente, fermo restando che la disposizione si riferisce solo alle imposte ivi indicate. La condotta incriminata è quella di chi "aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su alcuni beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva". Le due ipotesi previste si distinguono perché con la simulazione non si vuole la produzione degli effetti propri dell'atto, mentre in caso di atti fraudolenti tale produzione è voluta ma per scopo illecito. Pertanto, se la condotta prospettata è di vendita produttiva di effetti, si può escludere che si ricada nella simulazione, potendo integrarsi quella di compimento di atto fraudolento.

In relazione a quest'ultimo, si precisa che, secondo la cassazione, è fraudolento anche l'atto che, di per sé, realizza un'operazione lecita, come quello di costituzione di un fondo patrimoniale, se si prova che è idoneo a ostacolare la possibilità di soddisfacimento tributario (Cass. 40561/2012; Cass. 36378/2015). Inoltre la Suprema Corte ha chiarito che "la condotta penalmente rilevante può essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacità patrimoniale del contribuente stesso, riduzione da ritenersi, con un giudizio ex ante, idonea sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a vanificare in tutto od in parte, o comunque rendere più difficile una eventuale procedura esecutiva" (Cass. 40561/2012).

Quanto ad una eventuale alienazione, si precisa che, il riferimento ad "altri atti" rispetto ad un'alienazione simulata potrebbe indurre a ritenere che integri il reato solo l'alienazione che sia simulata e che ogni alienazione non simulata non rientri nella fattispecie. Tuttavia la locuzione "altri atti fraudolenti" è ampia, quindi sembra più in linea con la formulazione della norma includervi ogni atto - anche la vendita non simulata - fraudolento.
Premesso ciò, tale condotta appare idonea ad integrare il reato, in quanto capace di rendere più difficile per l'Erario la possibilità di soddisfare la propria pretesa. Infatti, da un lato la cassazione ha precisato che la necessità per questo di dover agire in revocatoria invece di poter soddisfarsi direttamente sui beni del soggetto comporta un netto aggravarsi della sua posizione creditoria (Cass. 40534/2015, relativa alla costituzione di un trust). In ogni caso, è certo che il denaro (quale prezzo della vendita) è un bene più facilmente dissipabile rispetto ad un immobile, per cui la vendita di questo sarebbe idonea a rendere più difficile la procedura esecutiva, ciò che, come visto, viene ritenuto sufficiente a integrare il reato. In tal senso, è significativo che la giurisprudenza abbia ritenuto rilevante anche la divisione di una somma ingente in numerosi assegni, non tracciabili, quindi non controllabili (v. Cass. 25677/2012).

Sul piano soggettivo è necessario il dolo (c.d. dolo di evasione), quale fine di sottrarsi alla pretesa tributaria dell'erario. Tale elemento sembra presente nella descrizione del richiedente. Peraltro, secondo la giurisprudenza, il dolo deve avere ad oggetto anche l'elemento della soglia della punibilità, indicato in € 50.000,00: l'autore del reato, cioè, deve anche essere consapevole che l'azione è finalizzata a sottrarre beni alla riscossione delle imposte che superino la soglia di legge; e ciò anche a titolo di dolo eventuale (cioè come accettazione del rischio che accada).

Quanto alla consumazione del reato, trattasi di reato di pericolo: quindi non è necessario che sia già iniziata la procedura di riscossione (Cass. 14720/2008). Inoltre, esso si configura anche se la pretesa sia poi soddisfatta da dal contribuente (Cass. 40561/2012).

In conclusione, si ritiene che, per quanto esaminato, la condotta descritta sia idonea ad integrare il reato in esame.

2. L'azione revocatoria (art. 2901 del c.c.) può essere esperita dal creditore, in sintesi, quando il debitore compia atti dispositivi del patrimonio idonei a rendere incerta o difficile la soddisfazione del credito. Presupposti per esperirla sono:
a) il compimento di un atto di disposizione con cui il debitore alteri la propria situazione patrimoniale;
b) un conseguente danno del creditore, consistente nel fatto che non potrà più soddisfarsi o potrà farlo solo con più difficoltà (eventus damni);
c) la consapevolezza, nel debitore, che l'atto determina il pregiudizio del creditore, c.d. scientia fraudis (non è necessaria anche la volontà di nuocere); ovvero, se l'atto è anteriore al sorgere del credito, il fatto che esso sia finalizzato a questo scopo.
L'art. 2901 co. 1 n. 2 c.c., specifica che se l'atto è a titolo oneroso è necessario che anche il terzo sia consapevole del pregiudizio e, se l'atto è anteriore al credito, che abbia partecipato alla preordinazione dolosa (cioè a realizzarlo allo scopo di pregiudicare il creditore). Il legislatore, quindi, sancisce che se l'atto è a titolo gratuito, le ragioni del terzo acquirente cedono di fronte a quelle del creditore che agisce in revocatoria. Invece, se è a titolo oneroso, tanto quest'ultimo che il terzo vogliono evitare di subire un danno per cui il terzo è "penalizzato" solo se partecipe della volontà di frodare.

Premesso ciò, si aggiunge che la giurisprudenza ritiene che la consapevolezza del terzo a pregiudicare il creditore possa essere provata da questi (su cui incombe l'onere) anche con presunzioni semplici di solito fondate sulla qualità delle parti e sulla tempistica del creditore (Cass. 25106/2008); la si può presumere, ad esempio, da una parentela tra debitore e terzo se essa rende inverosimile che quest'ultimo ignorasse il debito (Cass. 5359/2009).

Pertanto, il fatto che i terzi siano reperiti da agenzia può rilevare in quanto non consenta di provare che fossero consapevoli del pregiudizio arrecato con l'atto al creditore.

3. Infine, l'accettazione dell'eredità può essere formalmente più "semplice" della rinuncia, perché quest'ultima, a differenza della prima, esige sempre una dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione (art. 519 del c.c.). Inoltre, come già dedotto dal richiedente, una eventuale rinuncia sarebbe soggetta alla possibilità di impugnazione dei creditori ex art. 524 del c.c..

Marco D. M. chiede
martedì 03/02/2015 - Lazio
“Nel 2009 ho effettuato un preliminare con una persona che è risultata inadempiente e mi deve risarcire 500000 euro. Questa persona risulta intestataria di un solo immobile su cui però esiste un mutuo bancario di 400.000 ancora da saldare e poi è amministratore unico di una società s.r.l. Capitale 10.000€ (Le cui quote sono state donate ai 2 soci- i figli- nel 2011), società a cui sono stati intestati circa 7 appartamenti dal valore di 2 milioni di euro. La domanda è la seguente: posso attaccare le proprietà che lui ha appositamente intestato alla società per poter sottrarle a terzi e compiere illeciti come persona fisica?”
Consulenza legale i 03/02/2015
Il codice civile individua alcuni rimedi a favore del creditore che veda assottigliarsi la garanzia patrimoniale del debitore a causa di atti di tipo fraudolento da questi posti in essere.
In particolare, per il caso in cui il debitore alieni beni propri per dissimulare uno stato di insolvibilità, l'ordinamento appronta il rimedio dell'azione revocatoria disciplinata dagli artt. 2901 ss. c.c..
Effetto della revocatoria, detta anche pauliana, è la dichiarazione di inefficacia dell'atto di alienazione, che avvantaggia solo il creditore che ha esperito l'azione: egli potrà quindi procedere ad esecuzione forzata sul bene oggetto dell'alienazione revocata.
I presupposti dell'azione sono:
1. che sussista un diritto di credito verso il debitore: il creditore deve dimostrare di avere un credito, anche se non è richiesto che possieda già un titolo esecutivo (es. un decreto ingiuntivo, una sentenza a suo favore). Non si richiede nemmeno che il credito sia liquido, né che sia esigibile. Sarà il giudice adito ad operare una valutazione sull'esistenza del credito, anche se non è stata proposta una specifica domanda a tal proposito;
2. che l'atto revocando possa provocare un pregiudizio alle ragioni del creditore (eventus damni): il danno o il pericolo di danno può concernere sia l'entità della garanzia patrimoniale, sia la qualità dei beni che formano oggetto della medesima;
3. che il debitore abbia alienato i beni con l'intenzione di pregiudicare il creditore (consilium fraudis): il debitore deve avere almeno la consapevolezza del carattere pregiudizievole del proprio comportamento, non essendo necessario un vera e propria specifica conoscenza del danno provocato.

Nel caso di specie, trattandosi di alienazione (supponiamo) a titolo oneroso, la norma richiede che il terzo fosse consapevole del pregiudizio: tale presupposto ci sembra soddisfatto, atteso che il trasferimento è stato operato nei confronti della sua stessa società.

Anche in presenza di tutti i presupposti dell'azione per revocare l'atto compiuto in frode, ai sensi dell'art. 2903 del c.c., essa si prescrive con il decorso di cinque anni dal compimento dell'atto stesso. A garanzia della certezza dei rapporti giuridici, è del tutto irrilevante la conoscenza o meno da parte del creditore della data in cui l'atto è stato compiuto: trascorsi 5 anni dall'atto, l'azione revocatoria è preclusa.

Se il termine per l'esperimento dell'azione revocatoria fosse già spirato, si potrebbe valutare la fattibilità di un'azione volta all'accertamento della simulazione delle alienazioni: il creditore del simulato alienante può far valere la simulazione che lo pregiudica (in questo caso, l'alienazione di un bene che riduce il patrimonio del debitore) utilizzando come prova anche la testimonianza (artt. 1416-1417 c.c.). La simulazione assoluta (in cui le parti non volevano concludere il negozio - come la simulazione dell'alienazione di un immobile di cui si continua ad avere la disponibilità piena) è imprescrittibile; la simulazione relativa (volta a nascondere un negozio che si vuole "dietro" ad uno che non si vuole), quando è diretta a far emergere l'effettivo reale mutamento della realtà voluto dalle parti con la stipulazione del negozio simulato, si prescrive nel termine ordinario decennale.

Moreno chiede
mercoledì 27/07/2011 - Toscana
“qualora l'agenzia delle entrate intendesse revocare la vendita già posta in essere da parte del debitore deve informare l'acquirente di ciò?”
Consulenza legale i 14/08/2011

Nel giudizio in cui è stata proposta un'azione revocatoria il debitore alienante è litisconsorte necessario del convenuto terzo acquirente, perché l'accoglimento della domanda determina, per effetto del conseguente assoggettamento del terzo alle azioni esecutive sul bene oggetto dell'atto impugnato, l'acquisto da parte di costui di ragioni di credito verso l'alienante (art. 2902 del c.c. secondo comma).


Fabiana chiede
mercoledì 23/03/2011 - Abruzzo
“Avrei bisogno di un chiarimento: se acquisto un immobile da una persona con diversi debiti, quanto tempo deve trascorrere dall'atto di compravendita prima di essere sicuri che non possa essere più chiesta una revocatoria ordinaria da parte dei suoi creditori?
Grazie.”
Consulenza legale i 15/04/2011

L'azione per revocare l’atto compiuto in frode si prescrive ex art. art. 2903 del c.c., con il decorso di 5 anni dalla data del compimento dell’atto a titolo oneroso.

Si ricorda che l'azione revocatoria ha la funzione di conservazione dell'integrità del patrimonio del debitore, quale garanzia generica delle ragioni creditizie e può essere proposta non solo a tutela di un credito certo, liquido ed esigibile, ma anche a tutela di una legittima aspettativa di credito.

Una prima condizione per l'esercizio dell'azione è, oltre al consilium fraudis del debitore, la participatio fraudis del terzo acquirente, cioè la conoscenza da parte di questi della dolosa preordinazione dell'alienazione ad opera del disponente rispetto al credito futuro.

La prova di entrambi questi elementi psicologici, necessari ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l'atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata con ogni mezzo, anche con presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore ed il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente o l’esiguità del corrispettivo stabilito rispetto ai valori di mercato.
Altro presupposto dell'azione revocatoria è costituito dal pregiudizio alle ragioni del creditore, che si riferisce anche al pericolo di danno (eventus damni).


V. G. chiede
mercoledì 06/03/2024
“Buongiorno,
grazie per la risposta del 27/02/2024 ai quesiti Q202436259 e Q202436258.
Nonostante la vostra risposta ritenga sicuro l'acquisto dell'alloggio oggetto di questa consulenza, una preoccupazione continua ad assillarmi:
Può verificarsi una Accettazione Tacita nonostante La venditrice G. abbia formalmente rinunciato alla eredità del coniuge S. e abbia dichiarato, nello stesso atto di rinuncia, di non essere in possesso di beni ereditari?
Da quanto letto, incorrere in una accettazione tacita, per leggerezza o per ignoranza di tutta la casistica a riguardo, è alquanto semplice (esempio: pagamento del funerale con soldi del De Cuius ecc.)
Nel caso quanto sopra si fosse verificato La venditrice G. diventerebbe lei stessa debitrice verso il fisco: in tal caso io acquirente dell'alloggio (formalmente senza alcuna ipoteca al momento del rogito) correrei il rischio di vedermi l'alloggio acquistato pignorato da parte dell'Agenzia delle Entrate?
E' possibile controllare se si è verificata una accettazione tacita che annulla la rinuncia formale? E' utile fare tale verifica? e come?
Questa richiesta è la prosecuzione della precedente (Q202436259 e Q202436258) e ad essa bisogna far riferimento per capire il senso di questa richiesta.
Distinti saluti

Consulenza legale i 11/03/2024
Malgrado ciò che può essere stato letto in tema di accettazione tacita di eredità, tema sul quale, in realtà, la giurisprudenza risulta abbastanza ondivaga, va segnalata una recente pronuncia della Corte di Cassazione che si ritiene possa, anche sotto tale profilo, conferire un certo grado di certezza all’acquisto che si ha intenzione di compiere.

Ci si riferisce all’ordinanza n. 37927 del 28.12.2022, in occasione della quale la S.C. fa propria la tesi secondo cui la rinuncia all’eredità costituisce un atto formale e, come tale, non ammette una revoca tacita.
In conseguenza di ciò, l’atto di rinuncia continua a produrre i suoi effetti anche qualora il rinunciante dovesse tenere un comportamento che appare in contrasto con la rinuncia stessa.

In particolare, il dubbio circa la revocabilità tacita di una rinuncia all’eredità si fa discendere dalla previsione di cui all’art. 525 c.c., norma che si limita a disciplinare quali sono le condizioni per poter revocare un atto di rinuncia all’eredità, senza tuttavia nulla stabilire in ordine alle concrete modalità e forme che per tale atto di revoca dovranno essere rispettate.
Ebbene, a quest’ultimo riguardo la Corte di Cassazione osserva quanto segue:
  1. la rinuncia all’eredità consiste in un atto giuridico unilaterale, mediante il quale il chiamato dismette il suo diritto di accettarla, con l’effetto che tale diritto passa ai c.d. chiamati ulteriori, i quali vanno individuati tramite un intreccio di norme dello stesso codice civile;
  2. alla dichiarazione di rinuncia ne consegue la perdita del diritto all’eredità, per cui il rinunziante è considerato come se non fosse stato mai chiamato a quell’eredità (si tratta del c.d. effetto retroattivo della rinuncia).
  3. questo ulteriore effetto, tuttavia, non si può far dipendere soltanto dall’atto di rinuncia, ma anche dalla concorrenza di un elemento ulteriore, previsto sempre dal sopra citato art. 525 c.c., ovvero l’avvenuto acquisto dell’eredità da parte degli altri chiamati. Pertanto, finchè non si verifica tale acquisto, il rinunciante può sempre esercitare il diritto di accettazione.

Ora, è proprio in considerazione del prodursi dei suddetti rilevanti effetti che l’art. 519 c.c. richiede esplicitamente che l’atto di rinuncia sia rivestito da una forma solenne, dovendo infatti risultare da una dichiarazione ricevuta da notaio o da cancelliere, da inserire nel registro delle successioni.
Ciò significa che dovrà necessariamente risultare da atto pubblico, con l’ulteriore conseguenza che, in virtù del principio del parallelismo delle forme, anche per la sua revoca sarà necessario il rispetto della medesima forma, risultando inammissibile una revoca tacita, c.d. per facta concludentia.

Pertanto, il solo pagamento delle spese funerarie con denaro del defunto difficilmente potrà produrre gli effetti di una revoca della rinuncia all’eredità, tenuto conto peraltro che si tratta di atto che può persino ricondursi a quelli a cui è legittimato il semplice chiamato all’eredità ex art. 460 c.c.

A quanto fin qui osservato si vogliono altresì aggiungere le seguenti ulteriori considerazioni.
Si è detto nel primo quesito posto, ossia il n. 36259, che allo stato attuale non risulta alcuna iscrizione pregiudizievole sul bene che si intende acquistare.
Ciò comporta, come in precedenza osservato, che il bene potrà essere acquistato libero da pesi e gravami di qualsiasi specie e natura, con la naturale conseguenza che le successive iscrizioni e/o trascrizioni avranno grado successivo alla trascrizione del proprio acquisto.
A questo punto, anche a voler ammettere, ipotesi che si ritiene improbabile, che un eventuale creditore del de cuius possa riuscire a fare valere la revoca tacita della rinuncia all’eredità, ciò non gli consentirà automaticamente di aggredire esecutivamente quel bene, essendo stato nel frattempo alienato.

Per ottenere tale risultato, infatti, occorrerà far fronte ad un ulteriore e pure complesso ostacolo, ovvero quello di far dichiarare inefficace nei propri confronti l’intervenuto trasferimento in favore di un terzo del diritto di nuda proprietà su quel bene.
Per conseguire tale risultato il creditore, che ne ha interesse, dovrà esercitare in giudizio la c.d. azione revocatoria ordinaria, disciplinata dall’art. 2901 del c.c., il cui fine è, appunto, essenzialmente conservativo e cautelare, nonché strumentale alla successiva ed eventuale esecuzione forzata ex art. 602 del c.p.c..
Si tratta di azione di natura meramente processuale, poiché non mira a soddisfare direttamente il diritto del creditore, ma si pone come strumento finalizzato a rendere possibile tale soddisfacimento: una volta intervenuta la dichiarazione di inefficacia, il bene oggetto dell’atto impugnato deve considerarsi, nei confronti del creditore, come se non fosse mai uscito dal patrimonio del debitore.

Tuttavia, come si è cercato di far intendere prima, si tratta di un’azione di non facile esperimento, tenuto conto che richiede la sussistenza di presupposti ben precisi risultanti dallo stesso art. 2901 c.c. e che qui, per brevità si omette di indicare analiticamente.
Tra questi assumono particolare rilievo il c.d. consilium fraudis (ovvero la conoscenza che il debitore aveva del pregiudizio che tale atto avrebbe potuto arrecare alle ragioni del creditore) e la c.d. scientia damini o scientia fraudis (ovvero la consapevolezza del pregiudizio o partecipazione alla dolosa preordinazione da parte del terzo acquirente nel caso di atti a titolo oneroso).
Si tratta di presupposti di cui si ritiene risulti particolarmente difficile provarne la sussistenza nel caso in esame, considerato che si sta discutendo di debiti neppure facenti capo alla parte alienante, la quale, almeno in linea meramente teorica, potrebbe anche risultarne ignara.

In conclusione, non può che riconfermarsi quanto detto nella precedente consulenza circa la sicurezza dell’acquisto che si intende compiere.


V. D. S. chiede
martedì 10/05/2022 - Puglia
“Nel mio caso i contratti preliminari di acquisto di due immobili diversi nello stesso stabile sono stati risolti in momenti diversi per notevoli ritardi sulla consegna prevista da contratto. Sono state restituite le caparre e, su uno dei due, pagata la penale prevista. Il tutto regolato da scritture private.
Due anni dopo questa ultima transazione l'impresa edile è fallita.
Mi domando se, e in quale caso, il curatore fallimentare può bloccare o chiedere la restituzione di tali somme in attesa di una sentenza e cosa può essere deliberato a riguardo.
Inoltre, se questo dovesse mai accadere e le somme non sono disponibili cosa accade?

Grazie”
Consulenza legale i 17/05/2022
In seguito alla dichiarazione di fallimento dell’impresa, il Curatore Fallimentare non può autonomamente “bloccare” alcuna somma già versata a terzi; tuttavia, ha in astratto la possibilità di chiedere la restituzione delle somme versate dalla fallita, preannunciando, così, l’eventuale avvio di un’azione revocatoria ordinaria ex art. 66 della l. fall., ovvero di una revocatoria fallimentare.

In relazione alla revocatoria fallimentare, la legge fallimentare distingue gli atti posti in essere dal fallito dettando regimi diversi a seconda che la revoca riguardi gli atti a titolo gratuito (art. 64 della l. fall.), i pagamenti (art. 65 della l. fall.) o gli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie (art. 67 della l. fall.).

Nel caso di specie si tratta di atti a titolo oneroso di cui all’art. 67 della l. fall., pertanto il curatore potrà esperire un’azione revocatoria fallimentare solo nei seguenti casi: per gli atti compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso; oppure per quelli compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento, purché dimostri che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore.

La transazione che ci riferisce è stata sottoscritta e adempiuta (così sembra dalle informazioni ricevute) oltre i termini previsti quali presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, la quale, pertanto, non potrà essere esperita.

Resta in astratto possibile per il Curatore esperire l’azione revocatoria ordinaria ai sensi del combinato disposto dell’art. 66 della l. fall. e dell’art. 2901 del c.c., ma ad una duplice condizione: che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore; inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, che il terzo fosse consapevole del pregiudizio.
Dalla norma si ricava che i presupposti affinché si possa parlare di una azione revocatoria ordinaria sono:
- il c.d. “Consilium Fraudis”, cioè la frode del debitore, che consiste nella conoscenza del pregiudizio che l’atto di disposizione può arrecare alle ragioni del creditore;
- il c.d. “Eventus Damni”, cioè l’atto di disposizione posto in essere dal debitore deve essere di natura tale da poter danneggiare gli interessi del creditore;
- la c.d. “Scientia Damni“, cioè la ricorrenza in capo al debitore e, per atti a titolo oneroso, in capo al terzo, della consapevolezza che, con l’atto di disposizione, il debitore diminuisca la consistenza della garanzia patrimoniale.
Tale azione si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto, come disposto dall’art. 2903 del c.c..

Nel caso di specie, si può affermare che non sussistono i presupposti neppure per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria; infatti, al di là degli aspetti soggettivi che non possiamo valutare in questa sede, la transazione non costituiva un pregiudizio per le ragioni dei creditori, bensì un vantaggio, posto che soltanto una delle due penali dovute sono state versate, oltre alla dovuta restituzione delle caparre versate.

Nell’eventualità in cui l’atto dovesse effettivamente essere revocato (circostanza improbabile considerato quanto esposto) e le somme non dovessero essere più disponibili, il Curatore potrebbe, comunque, soddisfarsi sul Suo patrimonio, fino alla concorrenza di quanto riconosciuto dalla sentenza che dichiara la revocatoria stessa.

Nell’eventualità in cui la transazione prevedesse anche il pagamento della seconda penale (non pagata), l’art. 72 della l. fall. dispone che l’esecuzione rimarrebbe sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiari di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo; in caso di scioglimento, Lei avrebbe diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento (cioè il versamento della penale ancora da corrispondere), senza che sia dovuto risarcimento del danno.

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