(massima n. 1)
In tema di fallimento, l'autonomia e reciproca distinzione delle singole ipotesi di revocatoria di cui, rispettivamente, al primo e al secondo comma dell'art. 67 legge fall. si fonda sulla peculiare individualità dell'atto revocando e sulla sua specifica causa petendi, da intendersi come mutata e diversamente prospettata (tanto da dar luogo a novità di domanda, inammissibile) nel caso di passaggio, in sede di giudizio di appello, dalle ipotesi ex art. 67 primo comma a quelle ex art. 67 secondo comma della legge fall. e viceversa. Tale principio, va peraltro coordinato ed adeguato con quello della «riqualificazione officiosa della domanda da parte del giudice», secondo il quale, dedotto in causa, nei suoi estremi materiali, l'atto di cui si chiede la revocazione, pur se erroneamente sussunto dalla parte di una delle ipotesi previste dall'art. 67 comma cit., anziché in un'altra, diversa da quella che nella specie gli è propria, non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, d'ufficio, ne rilevi l'esatta qualificazione e decida la causa secondo la regula iuris a questa corrispondente, atteso che, una volta chiaramente ed univocamente indicato, da parte della curatela, l'atto giuridico i cui effetti si intendano neutralizzare, il problema dell'esatta individuazione sub specie iuris della domanda a tal fine proposta diviene una questione di mera qualificazione giuridica del petitum attoreo, correlata a quella dell'esatta denominazione dell'atto, dall'attore pur sempre puntualmente indicato nella sua materialità e nei suoi effetti.