(massima n. 1)
Nella revocatoria fallimentare ai sensi del primo comma dell'art. 67 legge fall. di atti compiuti dal socio illimitatamente responsabile di società di persone dichiarato fallito assieme alla società, l'onere della prova della inscientia decoctionis, gravante sull'accipiens attiene — come nel caso rovesciato di cui al secondo comma dello stesso articolo, nel quale incombe al curatore l'onere di provare la scientia decoctionis — al duplice profilo della qualità di socio del disponente e della insolvenza della società da lui partecipata e dichiarata fallita; è, invece, arbitrario ritenere che debba essere, in tale fattispecie, il curatore a provare la qualità di socio e che incomba sull'accipiens solo la prova della ignoranza dello stato di insolvenza della società, atteso che, come la conoscenza dello stato di decozione, nelle ipotesi di atti dispositivi o solutori normali del socio illimitatamente responsabile di società di persone, comprende la qualità di socio e la situazione di insolvenza della società, in quelle di atti anormali l'onere si trasferisce integralmente al terzo convenuto in revocatoria, per la circostanza che — una volta stabilita, sul piano oggettivo, la revocabilità dell'atto posto in essere — la dimostrazione dell'esistenza del dato soggettivo, che va pur sempre riferito alla società (essa essendo l'imprenditore fallito, considerato dalla norma in esame, e il fallimento dei soci essendo mera ripercussione di quello sociale, tant'è che prescinde dalla loro insolvenza e dalla qualità di imprenditori commerciali), suppone che sia stato provato che il soggetto disponente ne fosse stato socio, tale elemento costituendo il presupposto logicamente imprescindibile della indagine sulla scientia (o inscientia) decoctionis dell'imprenditore collettivo, secondo gli oneri processuali rispettivamente fissati dal primo e dal secondo comma dell'art. 67 cit.