Cass. civ. n. 18370/2010
In tema di rapporti tra revocatoria fallimentare e revocatoria ordinaria, l'art. 67 della legge fall., non facendo alcun riferimento alla sorte dei diritti di coloro che abbiano subacquistato dal primo acquirente del debitore fallito, è inapplicabile agli atti di acquisto di tali subacquirenti, applicandosi in tale ipotesi il regime giuridico dell'azione revocatoria ordinaria con salvezza dei diritti acquistati a titolo oneroso da terzi di buona fede. Ne consegue che il curatore fallimentare che abbia convenuto in giudizio il creditore ipotecario dell'acquirente del bene alienato dal fallito, non può giovarsi dell'inversione dell'onere della prova ai sensi dell'art. 67 legge fall. ma è tenuto a dimostrare la malafede dl predetto creditore, in qualità di terzo subacquirente, secondo le regole dell'onere della prova dell'azione revocatoria ordinaria.
Cass. civ. n. 27230/2009
L'azione revocatoria esercitata dal curatore fallimentare, si sensi dell'art. 66, secondo comma, della legge fall., nei confronti di terzi aventi causa del primo acquirente del fallito, pur presupponendo l'esercizio della revocatoria fallimentare nei confronti dell'atto dispositivo posto in essere dal fallito che è all'origine della catena dei trasferimenti, e la conseguente dichiarazione d'inefficacia di tale atto, è una revocatoria ordinaria, il cui accoglimento presuppone l'accertamento della mala fede del subacquirente consistente nella consapevolezza della revocabilità, ai sensi dell'art. 67 della legge fall. del trasferimento intervenuto tra il primo dante causa ed il debitore fallito a nulla rilevando che la sentenza dichiarativa di fallimento o la domanda revocatoria del curatore siano state trascritte prima o dopo l'atto stipulato dai terzi aventi causa dal primo acquirente del fallito.
Cass. civ. n. 12513/2009
Qualora sia stata proposta un'azione revocatoria ordinaria per fare dichiarare inopponibile ad un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore, a seguito del fallimento del debitore, sopravvenuto in pendenza del relativo giudizio, il curatore può subentrare nell'azione, in forza della legittimazione accordatagli dall'art. 66 legge fall., accettando la causa nello stato in cui si trova. Di conseguenza, trattandosi di un'azione che il curatore trova nella massa fallimentare e che si identifica con quella che i creditori avrebbero potuto esperire prima del fallimento, da un lato la relativa prescrizione, anche nei confronti della curatela, decorre, ai sensi dell'art. 2903 c.c., dalla data dell'atto impugnato, dall'altro l'interruzione della prescrizione, ad opera di uno dei creditori cui il curatore sia subentrato ex art. 66 cit., giova alla massa fallimentare.
Cass. civ. n. 29420/2008
Qualora sia stata proposta un'azione revocatoria ordinaria per fare dichiarare inopponibile ad un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore e, in pendenza del relativo giudizio, a seguito del sopravvenuto fallimento del debitore, il curatore subentri nell'azione in forza della legittimazione accordatagli dall'art. 66 legge fallimentare, accettando la causa nello stato in cui si trova, la legittimazione e l'interesse ad agire dell'attore originario vengono meno, onde la domanda da lui individualmente proposta diviene improcedibile ed egli non ha altro titolo per partecipare ulteriormente al giudizio.
Cass. civ. n. 28981/2008
La cessione "pro solvendo" al creditore di tutti i crediti presenti e futuri vantati, fino ad un determinato importo, dal debitore verso un terzo, costituisce modalità anomala di estinzione dell'obbligazione, come tale assoggettabile all'azione revocatoria ordinaria promuovibile dal curatore ex art. 66 legge fall.; il principio della non sottoponibilità all'azione revocatoria dell'adempimento di un debito scaduto, fissato dall'art. 2901, terzo comma, cod. civ., trova invero applicazione solo con riguardo all'adempimento in senso tecnico e non con riguardo a negozi, come la predetta cessione, riconducibili ad un atto discrezionale, dunque non dovuto, per il quale l'estinzione dell'obbligazione è l'effetto finale di un negozio, soggettivamente ed oggettivamente diverso da quello in virtù del quale il pagamento è dovuto. Né l'irrevocabilità dell'atto di disposizione può conseguire alla dimostrazione da parte del debitore dell'assenza di alternative per soddisfare il debito scaduto, principio applicabile in relazione a fattispecie disciplinate dall'art. 2901 cod. civ., ma non nell'ambito dell'azione revocatoria di cui all'art. 66 legge fall., posta a tutela della "par condicio creditorum".
Cass. civ. n. 26331/2008
Il curatore fallimentare che intenda promuovere l'azione revocatoria ordinaria, per dimostrare la sussistenza dell'
eventus damni ha l'onere di provare tre circostanze: la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell'atto pregiudizievole; il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto. Solo se dalla valutazione complessiva e rigorosa di tutti e tre questi elementi dovesse emergere che per effetto dell'atto pregiudizievole sia divenuta oggettivamente più difficoltosa l'esazione del credito, in misura che ecceda la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori, potrà ritenersi dimostrata la sussistenza dell' eventus damni (nel caso di specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva fondato l'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria
ex art. 66 legge fall. solo sulla sproporzione tra prezzo di acquisto e prezzo di mercato in una alienazione immobiliare intervenuta cinque anni prima del fallimento).
Cass. civ. n. 16986/2007
In tema di revocatoria ordinaria, ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo dell'eventus damni la cui sussistenza il curatore deve provare, non è necessario che l'atto abbia reso impossibile la soddisfazione del credito, ma è sufficiente che abbia causato maggiore difficoltà od incertezza nel recupero coattivo, secondo una valutazione operata
ex ante con riferimento alla data dell'atto dispositivo e non a quella futura dell'effettiva realizzazione del credito, avendo riguardo anche alla modificazione qualitativa della composizione del patrimonio. (Nella fattispecie la S.C. ha ritenuto conforme a diritto la valutazione della Corte di merito, secondo la quale l'atto di compravendita di immobile, pur provocando una variazione qualitativa del patrimonio, rappresentava, per un'impresa sociale di costruzioni di immobili, lineare espressione dell'attività).
Cass. civ. n. 23669/2006
Presupposto per l'applicabilità della disciplina della revocatoria ordinaria alla costituzione di ipoteca contestuale a una operazione di mutuo fondiario, ai sensi del combinato disposto degli artt. 66 L. fall. e 2901 c.c., è l'inopponibilità alla massa fallimentare del contratto di mutuo. Ne consegue che, qualora il credito fondato su un contratto di mutuo fondiario sia stato ammesso allo stato passivo fallimentare, deve necessariamente riconoscersi anche l'ipoteca contestualmente costituita, la quale non può, quindi, essere revocata. (Nella specie, il giudice del merito aveva dichiarato la simulazione relativa di un contratto di mutuo fondiario, riguardante soggetto in seguito fallito, e revocato ex artt. 66 L. fall. e 2901 c.c. la ipoteca costituita nello stesso atto, sotto il profilo che il vero intento delle parti fosse stato quello di creare una nuova garanzia a difesa di crediti pregressi della banca per saldo passivo di conto corrente pagati con la somma mutuata, che, tuttavia, era stata ammessa al chirografo nel passivo del fallimento).
Cass. civ. n. 11763/2006
Qualora, dopo la proposizione dell'azione revocatoria ordinaria, sopravvenga il fallimento del debitore, la legittimazione all'esercizio dell'azione spetta al curatore, il quale agisce come sostituto processuale della massa dei creditori, senza che sia esclusa tuttavia la possibilità del creditore individuale di proseguire il giudizio, ben potendo le due azioni concorrere, restando il creditore legittimato a proseguire la sua azione raccordandola, eventualmente, a quella della massa. (Nella specie il curatore del fallimento, costituendosi in appello, aveva chiesto, oltre che la conferma della impugnata sentenza di accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria proposta contro il debitore, anche l'estensione della inefficacia dell'atto di disposizione nei confronti della massa fallimentare. La S.C. in applicazione del principio di cui sopra ha ritenuto compatibile con essa la domanda del creditore, che tendeva alla revoca dell'atto impugnato per ottenere la soddisfazione del proprio credito).
Cass. civ. n. 2977/2006
L'azione revocatoria esercitata dal curatore fallimentare, ai sensi dell'art. 66, secondo comma, della legge fall., nei confronti dei terzi aventi causa del primo acquirente del fallito, pur presupponendo l'esercizio della revocatoria fallimentare nei confronti dell'atto dispositivo posto in essere dal fallito, che è all'origine della catena dei trasferimenti, e la conseguente dichiarazione d'inefficacia di tale atto, è una revocatoria ordinaria, il cui accoglimento, presupponendo l'accertamento della mala fede dell'acquirente, rende irrilevante, in presenza di tale accertamento, la mancata precisazione da parte del curatore del tipo di azione che ha inteso esercitare, rientrando nel potere — dovere di qualificazione giuridica spettante al giudice la riconduzione della domanda all'art. 2901 c.c.
Cass. civ. n. 1759/2006
Nell'azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore fallimentare, se non rileva — come in genere nella revocatoria ordinaria — una mera diminuzione della garanzia patrimoniale, ove non ne consegua un'insufficienza del patrimonio del debitore a soddisfare i creditori, rileva, tuttavia, ogni aggravamento della insufficienza dei beni del debitore ad assicurare la garanzia predetta. (Nella fattispecie la S.C. ha quindi confermato la decisione dei giudici di merito di accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria relativa alla cessione di un credito destinata all'estinzione di debiti del cedente, poi fallito, verso il cessionario).
Cass. civ. n. 19443/2005
La sopravvenuta chiusura del fallimento comporta la cessazione della materia del contendere in ordine all'azione revocatoria ordinaria, esperita dal curatore ai sensi dell'art. 66 legge fall., la quale, non diversamente dalla revocatoria fallimentare, è destinata a produrre effetti non già solo a beneficio di singoli creditori, bensì indistintamente a vantaggio di tutti i creditori ammessi al concorso, con il corollario che il bene del quale il debitore si sia disfatto con l'atto oggetto di revoca è destinato ad essere appreso dalla curatela per poter essere poi sottoposto a vendita forzata nell'interesse della massa; il che non può accadere una volta che la procedura concorsuale si sia definitivamente conclusa (non rilevando, ovviamente, l'eventualità del tutto ipotetica di una successiva riapertura in presenza di una delle condizioni prevedute dall'art. 121 legge fall.), atteso che la chiusura del fallimento comporta la decadenza del curatore dalla sua funzione (art. 120, comma primo, legge fall.) e quindi non solo ne mina alla radice la legittimazione a stare in giudizio nell'interesse dei creditori del fallito (i quali riacquistano il libero esercizio delle azioni individualmente loro spettanti: art. 120 cit., comma secondo), ma impedisce anche ogni prospettiva di apprensione e di messa in vendita, da parte del medesimo curatore, del bene oggetto dell'azione revocatoria.
Cass. civ. n. 11017/2005
La diversità di presupposti soggettivi ed oggettivi tra l'azione revocatoria fallimentare e l'azione revocatoria ordinaria non comporta, una volta che sia stato dedotto in causa, nei suoi estremi materiali, l'atto di cui si chiede la revocazione, il vizio di ultrapetizione qualora il giudice, senza trascendere i limiti oggettivi della controversia, quali risultano dalle contrapposte domande ed eccezioni delle parti, nell'osservanza del principio secondo il quale spetta al medesimo il potere di qualificare la domanda, proceda ad una configurazione giuridica dei termini della controversia e dell'azione esperita ed alla identificazione delle norme di diritto in base alle quali la lite deve essere decisa in modo difforme da quello prospettato dall'attore.
Cass. civ. n. 15257/2004
Il curatore del fallimento che esperisca l'azione revocatoria ordinaria non può limitarsi a far genericamente valere le ragioni creditorie del fallimento, essendo, invece, tenuto, in caso di esplicita contestazione del convenuto, a fornire la prova che il credito di cui si tratta sia stato insinuato nella massa fallimentare.
Cass. civ. n. 18607/2003
L'azione revocatoria ordinaria prevista dall'art. 66, l. fall., e l'azione revocatoria fallimentare ex art. 67, l. fall., benché siano entrambe dirette a tutelare i creditori nei confronti di atti di disposizioni pregiudizievoli delle loro ragioni, si differenziano quanto alla disciplina dei presupposti soggettivi, del regime probatorio e della legittimazione al suo esercizio, poiché la prima può essere proposta anche anteriormente alla apertura della procedura concorsuale, che segna soltanto il momento dal quale la legittimazione ad esercitarla ed a proseguirla spetta esclusivamente al curatore fallimentare, mentre la seconda può essere invece esperita soltanto in virtù ed a seguito della dichiarazione di fallimento; pertanto, è manifestamente infondata l'eccezione di illeggitimità costituzionale dell'art. 66, l. fall., nell'interpretazione secondo la quale il termine di prescrizione di detta azione decorre dalla data di compimento dell'atto impugnato, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., in quanto le fattispecie poste in comparazione sono diverse e la differente disciplina delle due azioni neppure vulnera il diritto di difesa dei creditori, poiché questi sono legittimati ad esercitare la azione revocatoria ordinaria anteriormente all'apertura della procedura concorsuale.
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L'azione revocatoria ordinaria prevista dall'art. 66, l. fall., si identifica con l'azione che i creditori, anteriormente alla dichiarazione di fallimento, possono esercitare ai sensi degli artt. 2901 ss., c.c., in riferimento agli atti di disposizione del patrimonio posti in essere dal debitore in pregiudizio delle loro ragioni; pertanto la prescrizione di questa azione decorre dalla data dell'atto impugnato, trattandosi di azione che preesisteva al fallimento e che resta disciplinata, quanto ai presupposti, dalle norme del codice civile, rilevando l'apertura della procedura concorsuale al fine dell'attribuzione della sua cognizione al Tribunale fallimentare, dell'estensione dei suoi effetti a vantaggio di tutti i creditori ammessi al passivo e dell'attribuzione al curatore della esclusiva legittimazione a proporla, ovvero a proseguirla, restando quindi escluso che la dichiarazione di fallimento identifichi il giorno dal quale il diritto può essere fatto valere, che segna invece il dies a quo della prescrizione dell'azione revocatoria fallimentare, in quanto quest'ultima azione può essere esercitata soltanto in virtù ed a seguito dell'apertura della procedura concorsuale.
Cass. civ. n. 16915/2003
Nell'azione revocatoria ordinaria il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore consiste nella insufficienza dei beni del debitore ad offrire la garanzia patrimoniale, essendo irrilevante una mera diminuzione di detta garanzia; nell'azione revocatoria fallimentare, che concerne atti posti in essere quando già sussisteva lo stato di insolvenza, il carattere pregiudizievole dell'atto non può essere valutato in relazione alla sufficienza dell'attivo fallimentare al pagamento del passivo, poiché detta circostanza non esclude l'insolvenza, e va invece valutato in riferimento all'aggravamento dell'insolvenza, potendo consistere nella lesione della par condicio creditorum ossia nella violazione delle regole di collocazione dei crediti, implicando inoltre le ipotesi di revocatoria fallimentare (art. 67, l. fall.) una presunzione di danno, cosicché grava sul convenuto in revocatoria l'onere di dimostrarne l'insussistenza.
Cass. civ. n. 11760/2002
Qualora, dopo la proposizione dell'azione revocatoria, sopravvenga il fallimento del debitore, la legittimazione alla prosecuzione del giudizio spetta esclusivamente al curatore, il quale agisce come sostituto processuale della massa dei creditori, privati della legittimazione ad iniziare o a proseguire l'azione per tutta la durata della procedura fallimentare. Pertanto, solo il curatore è legittimato a riassumere il giudizio interrotto per la dichiarazione del fallimento del debitore e a proseguire l'azione promossa dal creditore, i cui effetti, consistenti nell'inefficacia dell'atto di disposizione patrimoniale, si produrranno non più a vantaggio del singolo creditore attore, bensì di tutti i creditori del fallito.
Cass. civ. n. 9292/1997
La costituzione del fondo patrimoniale ex art. 167 c.c. effettuata dall'imprenditore successivamente fallito può essere dichiarata inefficace nei confronti della massa a mezzo di azione revocatoria ordinaria proposta dal curatore a norma dell'art. 2901 c.c., espressamente richiamato dall'art. 66 L. fall.