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Articolo 2286 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Esclusione

Dispositivo dell'art. 2286 Codice Civile

L'esclusione di un socio può avere luogo per gravi inadempienze(1) [24, 1455] delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale [2253], nonché per l'interdizione [414], l'inabilitazione [415] del socio o per la sua condanna ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici [2287; 19 n. 1, 28, 29, 32 c.p.](2).

Il socio che ha conferito nella società la propria opera o il godimento di una cosa [2254] può altresì essere escluso per la sopravvenuta inidoneità(3) a svolgere l'opera conferita o per il perimento della cosa dovuto a causa non imputabile agli amministratori.

Parimenti può essere escluso il socio che si è obbligato con il conferimento a trasferire la proprietà di una cosa, se questa è perita prima che la proprietà sia acquistata alla società(4) [1465, 2254, 2287, 2524].

Note

(1) Si considerano gravi inadempienze quelle che impediscono del tutto il raggiungimento dello scopo sociale nonché quelle che incidono negativamente sulla situazione della società, rendendone meno agevole il perseguimento dei propri fini istituzionali. Si caratterizzano per la colposità dell'inadempimento.
(2) In questo caso l'esclusione è dovuta alla perdita di fiducia nel socio condannato e anche al discredito che potrebbe derivare alla società.
(3) L'esclusione per inidoneità sopravvenuta del socio che ha conferito la propria opera presuppone la presenza di cause oggettive che precludano in modo definitivo la prestazione d'opera dello stesso.
(4) In tal caso l'esclusione è connessa all'impossibilità sopravvenuta del conferimento (v. 1218) non imputabile al socio.

Ratio Legis

L'esclusione è istituto tipico delle società di persone ed in genere di tutte le strutture associative (associazioni, cooperative, ecc) in cui prevale l'elemento personale. La norma individua le cause di esclusione c.d. "facoltative", in quanto il riscontro delle ipotesi ivi contemplate non determina l'esclusione automatica del socio.

Spiegazione dell'art. 2286 Codice Civile

Un ulteriore causa di scioglimento del singolo rapporto partecipativo è costituita dall’esclusione del socio.

La legge distingue, in base al fatto che legittima l’esclusione, l'esclusione facoltativa dall'esclusione di diritto.

L’esclusione facoltativa è deliberata a maggioranza dagli altri soci, qualora tuttavia sussistano delle gravi inadempienze del socio oppure nei casi specificamente individuati dal legislatore. Non ogni inadempienza può dar luogo ad esclusione, ma solo quelle violazioni capaci di ripercuotersi sulla stabilità del rapporto fiduciario intercorrente tra i soci (ad es: la violazione del divieto di concorrenza; la mancata esecuzione dei conferimenti). Anche comportamenti che siano contrari alla buona fede possono di per sé integrare una causa di esclusione.

Mentre gli inadempimenti del socio devono essere apprezzati in concreto e non sono tipizzati, la norma individua degli altri fatti, indipendenti dalla volontà del socio, che rendono sovente difficile la prosecuzione del rapporto sociale e legittimano pertanto la decisione di esclusione. Si tratta anzitutto di eventi che incidono sulla capacità d’agire del socio: interdizione; inabilitazione; condanna penale.
A questi si aggiungono i casi descritti al secondo ed al terzo comma, nei quali la difficoltà di proseguire il rapporto deriva dall’impossibilità sopravvenuta del conferimento, dovuta al perimento della cosa promessa (prima del passaggio di proprietà) o alla sopravvenuta inidoneità del bene concesso in godimento alla società.

Massime relative all'art. 2286 Codice Civile

Cass. civ. n. 13642/2013

L'assunzione della qualità di socio e l'obbligo di buona fede nell'adempimento delle obbligazioni, che discendono dal contratto di società, non comportano la rinuncia del medesimo ad avvalersi dei suoi diritti e facoltà, anche derivanti da rapporti estranei al contratto sociale e se pure essi possano, in ipotesi, rivelarsi lesivi dell'interesse della società; pertanto, l'esercizio di tali facoltà e diritti, ove non sia allegato l'abuso del diritto, non può giustificare l'esclusione del socio stesso della società. (Così statuendo, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, negando la sussistenza di un divieto di concorrenza ex art. 2301 cod. civ e di un divieto statutario di sostituzione del socio d'opera, aveva giudicato nulla la deliberazione di esclusione del resistente, cui era stato ascritto di aver reiteratamente lavorato al di fuori della società e di essersi fatto sostituire dal padre, remunerandolo, per l'attività manuale rientrante tra i suoi compiti, rendendosi, altresì irreperibile per dodici giorni consecutivi.

Cass. civ. n. 8860/2012

La messa in liquidazione della società di persone non osta all'applicazione dell'art. 2286 cod. civ., atteso che lo scioglimento della società determina soltanto il passaggio ad una nuova fase, nella quale la società permane come gruppo organizzato e i soci continuano ad essere titolari di diritti e obblighi sicché i comportamenti di un socio in danno degli altri o della società nel suo complesso non possono restare, neppure in questa fase, privi di effetti giuridici, ai sensi e per gli effetti della citata disposizione codicistica. Ne consegue che il socio, colpevole di gravi inadempienze delle obbligazioni derivanti dalla legge o dal contratto sociale, può, anche durante lo stato di liquidazione, essere escluso dalla compagine, non rilevando, in senso contrario la disposizione dell'art. 2270, secondo comma, cod. civ., che unicamente sancisce l'impossibilità per il creditore particolare del socio di ottenere la liquidazione della quota del suo debitore una volta deliberato lo scioglimento della società.

Cass. civ. n. 29776/2008

L'assunzione della qualità di socio e l'obbligo di buona fede nell'adempimento delle obbligazioni, che discendono dal contratto di società, non comportano la preventiva rinuncia del socio ad avvalersi dei suoi diritti e facoltà, anche derivanti da rapporti estranei al contratto sociale, ogni qual volta essi possano in ipotesi rivelarsi lesivi dell'interesse della società; pertanto, l'esercizio di tali facoltà e diritti, ove non sia allegato l'abuso del diritto, non può fondare l'azione di esclusione del socio stesso dalla società. (Nella specie, la S.C. ha affermato il principio, con riguardo ad un socio di s.n.c., locatore di un bene utilizzato dalla società, il quale aveva intimato ad essa lo sfratto per morosità, nonchè mancato di approvare il bilancio sociale, richiesto la restituzione di somme mutuate alla stessa, esercitato le azioni di messa in liquidazione della società e di revoca dell'amministratore).

Cass. civ. n. 694/2001

Il principio secondo il quale i rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale (risoluzione del contratto, exceptio inadimpleti contractus ecc.) non sono utilizzabili nel diverso ambito dei contratti societari (per essere questi ultimi caratterizzati non già dalla corrispettività delle prestazioni dei soci, bensì dalla comunione di scopo, sì che i rimedi invocabili sono quelli del recesso e dell'esclusione del socio), non si applica alle società cooperative, nelle quali il rapporto (ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione all'organizzazione della vita sociale) attinenti al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società ed aventi ad oggetto prestazioni (di collaborazione o) di scambio tra socio e società è indiscutibilmente caratterizzato non dalla comunione di scopo, bensì dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e (la retribuzione o) il prezzo corrispettivo. In particolare, con riguardo alle cooperative edilizie, un tale rapporto economico-giuridico, distinto da quello sociale, instaurandosi (tra società e socio prenotatario) nella fase della successiva attribuzione dell'unità immobiliare costruita, caratterizza tale attribuzione come vero e proprio atto traslativo della proprietà a titolo oneroso, sicché riprendono vigore i rimedi generali volti a mantenere o ristabilire l'equilibrio sinallagmatico tra la prestazione traslativa e la controprestazione economica.

Cass. civ. n. 6410/1996

Durante la fase di liquidazione della società di persone non vi sono ostacoli all'applicabilità dell'art. 2286 c.c. e quindi il socio che si sia reso colpevole di gravi inadempienze può essere escluso dalla compagine sociale.

Cass. civ. n. 12628/1995

Per il socio di una società in nome collettivo il pagamento pro quota delle rate di un mutuo contratto da quest'ultima è oggetto di una obbligazione che discende direttamente dallo status di partecipante all'organismo societario, che, se gli dà diritto alla partecipazione agli utili in proporzione ai conferimenti, lo obbliga anche a partecipare nella stessa misura ad oneri e passività e lo rende (salvo il beneficium excussionis) solidalmente ed illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali. Di conseguenza l'inadepimento dell'obbligazione suddetta ben può giustificare una deliberazione di esclusione del socio inadempiente dalla società, ai sensi dell'art. 2286 c.c.

Cass. civ. n. 12487/1995

Nelle società di persone, le norme sull'esclusione del socio «per gravi inadempienze», di cui agli artt. 2286 e 2287 c.c., hanno carattere speciale e sostituiscono quelle generali sulla risoluzione per inadempimento dei contratti con prestazioni corrispettive, di cui agli artt. 1453 ss. c.c., le quali ultime non sono applicabili al contratto di società sia per la mancanza di interessi contrapposti tra il socio e l'ente sociale, sia per le diverse finalità cui esse sono preposte. Infatti, la risoluzione mette nel nulla il rapporto contrattuale nei confronti della parte inadempiente, con gli effetti restitutori di cui all'art. 1458 c.c., e, nel caso le parti in contratto siano soltanto due, elimina del tutto il rapporto con i reciproci obblighi restitutori delle parti di cui alla citata disposizione di legge; l'esclusione del socio comporta, invece, soltanto lo scioglimento del vincolo sociale limitatamente al socio inadempiente, con il diritto di quest'ultimo esclusivamente ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota, ma non anche, di per sé, lo scioglimento della società, neppure nel caso in cui i soci siano soltanto due, perché, in tale ipotesi, la società si scioglie solo se, nel termine di sei mesi, non venga ripristinata la pluralità di soci.

Cass. civ. n. 6452/1994

Nel giudizio promosso dal socio in opposizione alla delibera di esclusione, la società, avendo la veste sostanziale di parte istante per la risoluzione del rapporto, è tenuta a provare il fatto in base al quale è stata adottata quella delibera (nella specie, inadempimento del socio), mentre non può invocare a sostegno di essa fatti distinti, ancorché potenzialmente idonei a giustificare la rescissione del rapporto sociale.

Cass. civ. n. 8695/1991

Nel giudizio d'opposizione, avverso la delibera di una società in nome collettivo di esclusione del socio e di conseguenziale revoca dello stesso dalla carica di amministratore, è consentito il controllo sulla sussistenza o meno delle inadempienze in relazione alle quali tale esclusione è stata decisa, posto che l'insindacabilità delle scelte sociali attiene soltanto alla valutazione discrezionale dell'opportunità del provvedimento in presenza di determinati fatti.

Cass. civ. n. 6200/1991

L'ipotesi di esclusione dalla società prevista dal secondo comma dell'art. 2286 c.c., per la sopravvenuta inidoneità del socio che ha conferito la propria opera a svolgerla, presuppone la presenza di cause oggettive che precludano in via definitiva la prestazione dell'opera personale del socio e prescinde dalla colposità dell'inadempimento, che invece caratterizza l'ipotesi di esclusione (per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale) prevista dal comma precedente. Pertanto, al socio che per sua colpa abbia solo temporaneamente omesso la prestazione della propria opera personale nella società, cui sia obbligato in base alle norme statutarie, è applicabile la disposizione del primo comma dell'articolo citato, e non quella del secondo comma, con la conseguenza che egli può essere escluso dalla società qualora il suo inadempimento, pur sfornito del carattere della definitività, risulti grave.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2286 Codice Civile

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V. G. chiede
lunedì 27/11/2023
“Una società semplice agricola a conduzione familiare è composta da 3 persone: Valter quota 53%, Francesca quota 23,50%, Sara quota 23,50% (sorelle). In questa società i conferimenti sono dati da beni e diritti come si evince dallo statuto e non in denaro (uso terreni non proprietà). Nello stesso viene specificato in modo empirico il valore dei conferimenti che ovviamente devono essere inerenti all’agricoltura. All’interno della stessa società vi è l’obbligo di conferire il lavoro manuale per tutti i soci, pena l’esclusione (art.15). Al di fuori di tutte le diverse inadempienze delle 2 socie di minoranza, è sufficiente chiedere al giudice l’esclusione delle socie IN DIRITTO se ad ora vi è modo di dimostrare che non hanno dato e non danno la disponibilità di nessun conferimento (terreni/macchine agricole o quant’altro inerente all’agricoltura)? Inoltre, non hanno mai lavorato e non lavorano nella società agricola, lavorando in un’altra azienda metalmeccanica e facendo parte del consiglio di amministrazione di questa azienda che fattura 7 milioni di euro annui. Si precisa che non si sta chiedendo consulenza sull’esclusione per giusta causa (strada molto complessa per un socio contro 2), ma chiedo dell’esclusione in diritto, cioè dell’esclusione data dall’impossibilità di un socio di conferire beni/diritti o dell’attività manuale, rendendo di fatto la sua quota a zero. Si è a conoscenza di alcune sentenze in cassazione, ma non parlano mai di una esclusione in diritto, ma sempre per giusta causa. Si chiede se vi sono delle sentenze cassazione e SS.UU. che trattano questioni simili alla sopra esposta.”
Consulenza legale i 04/12/2023
Ai sensi dell’art. 2286 del c.c., il socio di una società di persone può essere escluso per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale, per interdizione, inabilitazione o per la condanna ad una pena che importa l'interdizione anche temporanea, dai pubblici uffici.
Un socio può essere altresì escluso: se ha conferito la propria opera, per la sopravvenuta inidoneità a svolgerla; se ha conferito una cosa in godimento, per il perimento dovuto a causa non imputabile agli amministratori; se si è obbligato con il conferimento a trasferire la proprietà di una cosa, se questa è perita prima che la proprietà sia acquistata alla società.

L’esclusione di diritto è disciplinata dall’art. 2288 del c.c., il quale la prevede soltanto per il socio nei confronti del quale sia stata aperta o al quale sia stata estesa la procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata; nonché nel caso in cui un suo creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota a norma dell'art. 2270 del c.c..

L’atto costitutivo all’art. 7 impone ai soci l’obbligo di apportare all’attività sociale la loro opera manuale; inoltre, l’art. 15 prevede che il socio possa essere altresì escluso quando cessi di prestare la propria opera nella coltivazione dei fondi e nelle attività sociali.
Peraltro, nell’atto costitutivo viene dato atto che i soci hanno messo a disposizione delle attività associate i terreni di cui all’allegato B.

La gravità delle inadempienze del socio che, ai sensi dell'art. 2286, comma 1, può giustificare l'esclusione dello stesso dalla società, ricorre non soltanto quando le dette inadempienze siano tali da impedire del tutto il raggiungimento dello scopo sociale, ma anche quando abbiano inciso negativamente sulla situazione della società, rendendone meno agevole il perseguimento dei fini (Cass. Civ., n. 6200/1991; Cass. Civ., n. 2344/1982; Trib. Savona, 23 ottobre 2013; Trib. Torino, 7 marzo 2008).
Le inadempienze, per essere gravi, debbono incidere sui fini sociali e, in particolare, sui fini dell'impresa, non essendo rilevanti i comportamenti che incidono solo nei confronti del socio o dei soci in quanto tali (Trib. Napoli, 9 febbraio 1967; Trib. Torino, 15 dicembre 1986).

È stata ritenuta causa che giustifica l'esclusione del socio la mancata esecuzione del conferimento determinato nel contratto sociale (Cass. Civ., n. 2099/1970).

Entrambe le circostanze rappresentate, dunque, possono già singolarmente costituire motivi di esclusione del socio per giusta causa: tanto il non aver prestato la propria opera quando obbligati; quanto il non aver eseguito i conferimenti.
Trattasi comunque di motivi di esclusione del socio per giusta causa, per le quali è necessaria un’azione in tal senso da parte del socio non inadempiente; le ipotesi di esclusione di diritto (per le quali, cioè, l’esclusione opera automaticamente, senza necessità dell'intervento degli altri soci) sono limitate alle ipotesi di cui al citato art. 2288 del c.c..

Giorgio M. chiede
domenica 24/03/2019 - Sardegna
“Ho costituito una società semplice con altri due soci, quote al 33% e tutti e tre conferiamo prestazione d'opera (soci d'opera).
Ad oggi gli altri soci hanno smesso di conferire la loro opera e non hanno ancora formalizzato il loro recesso.
Il bilancio è in perdita e la maggior parte dei capitali conferiti è da parte mia e le perdite sono state coperte sempre da parte mia. Alla loro volontà di recedere ho chiesto che in liquidazione venissero conteggiate anche le spese che ho anticipato per loro e che mi venissero restituite (in società le perdite andrebbero ripartite tra i soci, al pari degli utili). Da quel momento i soci non mi rispondono più e sono tutt'ora assenti dall'attività sociale.
Sono socio amministratore e la mia volontà sarebbe di continuare a svolgere l'attività nella società e, dopo il loro recesso, liquidare la società entro 6 mesi per avviare una nuova ditta individuale. Tuttavia, senza loro formale comunicazione, non posso accogliere il recesso, mentre l'affitto e le spese correnti anche a carico loro continuano ad aumentare. Come posso procedere per sbloccare la situazione?”
Consulenza legale i 01/04/2019
Il caso in esame impone la preventiva disamina dell’istituto del recesso del socio nelle società di persone.
Il recesso previsto dalla normativa civilistica, è quell’atto negoziale recettizio con cui il socio comunica la volontà di sciogliere il rapporto sociale.
A tal proposito è opportuno precisare che, sebbene nell’ordinamento viga il principio della libertà delle forme, nel caso specifico, essendo l’atto costitutivo della società stipulato in forma scritta, il recesso per essere valido ed efficace non potrebbe che avere anch’esso forma scritta. Vige, infatti, nel nostro ordinamento, il principio generale secondo cui qualora la legge o le parti impongano una specifica forma al negozio giuridico, la stessa debba essere imposta anche agli atti modificativi o estintivi dello stesso.
Pertanto, nel caso di specie, ai fini della validità del recesso da parte dei due soci, sarebbe necessario ricevere lo stesso in forma scritta. A tal proposito, sarebbe sufficiente l’invio di una raccomandata (Trib. Monza 21.11.2007).
Pertanto, le mere dichiarazioni orali che sembrano essere state rivolte da due dei soci al terzo non hanno alcun effetto ai fini dell’eventuale scioglimento del vincolo societario.
A tal proposito, si ritiene di dover escludere fermamente che anche il mero disinteresse al proseguimento dell’attività societaria possa essere considerato come recesso tacito.

Svolta questa necessaria premessa in ordine al recesso non formalizzato da parte degli altri soci, si rende necessario affrontare la questione dell’obbligo di prestare la propria opera da parte di ciascun socio ai fini del conseguimento dell’oggetto sociale, così come previsto nell’atto costitutivo della società semplice (ex art. 2295, n. 5 c.c.).
Nel caso in esame, non solo gli altri soci si stanno sottraendo a tale obbligo, ma stanno pregiudicando la sopravvivenza della società, con aggravio di spese ed oneri, oltre che, all’evidenza, con il pericolo di perdita di possibili utili, il che sembra configurare una vera e propria ipotesi di danno arrecato all’impresa. Danno che, a ben vedere, spetterebbe tuttavia solamente alla società richiedere e non potrebbe essere attribuito direttamente al socio.
Potrebbe quindi ipotizzarsi l’applicabilità della facoltà di esclusione del socio ex art. 2286 c.c., ma tale rimedio, esercitabile ai sensi dell'art. 2287 c.c. solamente attraverso una delibera approvata dalla maggioranza dei soci, sembra allo stato precluso, essendo il socio che ha posto il quesito - evidentemente - in aperta minoranza (detenendo solamente il 33% delle quote sociali) ed essendo entrambi gli altri due soci proprietari del 66,66% delle restanti quote in dissidio, seppur tacito.

Sembra quindi, che unica ipotesi percorribile, sia quella di inviare una raccomandata a.r. ai soci inadempienti con cui li si invita a prendere parte ad un’assemblea sociale durante la quale il terzo socio avrà cura di precisare quelle che sono le somme anticipate per far fronte alle necessità della società e con riferimento alle quali egli chiederà formalmente agli altri soci di provvedere alla rifusione delle stesse ciascuno per la propria quota. In tale occasione potrebbe essere deliberato consensualmente lo scioglimento della società e qualora i soci si determinassero a ripianare pro quota i debiti non sarebbe necessaria la liquidazione.

Qualora invece, i soci non si presentassero o dissentissero, il terzo socio, essendo amministratore con poteri disgiunti anche di straordinaria amministrazione, dovrebbe disporre lo scioglimento della società con conseguente messa in liquidazione della stessa. Sarebbe, quindi, necessario rivolgersi al Presidente del Tribunale per chiedere che quest’ultimo nomini uno o più liquidatori. Il socio che ha posto il quesito, in qualità di amministratore, dovrà consegnare ai liquidatori i beni ed i documenti sociali. Il, o, i liquidatori redigeranno, quindi, l’inventario ed all’esito dello stesso, estinti eventuali debiti, provvederanno al rimborso dei conferimenti. E' bene ricordare che i liquidatori rappresentano la società anche in giudizio, e quindi gli stessi, ove se ne ravvisassero i presupposti, potrebbero agire nei confronti degli altri soci inadempienti al fine del ristoro del danno subito dall’azienda.

Loredana B. chiede
lunedì 23/04/2018 - Piemonte
“Buongiorno, sono il Legale Rappresentante di una s.n.c. che opera nel settore trasporto merci c/terzi. Siamo otto soci, di cui sette prestano la loro opera come personale viaggiante (autisti). Circa un mese fa, uno dei soci è stato oggetto di un controllo presso uno stabilimento dove effettuavamo una consegna ed è stato trovato in possesso di merce di dubbia provenienza (non potendo accertare il "dolo", la ditta si è limitata a sospendere a tempo indeterminato l'autista). Il nostro committente messo al corrente dell'accaduto ha adottato lo stesso provvedimento (preciso che si tratta del nostro primo cliente in termini di fatturato). Allarmati da quanto stava succedendo, abbiamo adottato una forma di controllo interno più severa e così, pochi giorni fa, un altro socio, su segnalazione di altri nostri due soci, è stato sorpreso presso la nostra sede mentre sottraeva merce dal carico. La maggioranza di noi è del parere che i due soci debbano uscire dalla società, in quanto da ritenersi persone non più affidabili e il cui operato potrebbe ledere gravemente l'immagine dell'azienda. La mia domanda è, quindi, se esistono gli estremi per un procedimento di esclusione e quali e quante possibilità hanno i due soci esclusi di poter vincere in caso di opposizione davanti a un Tribunale.
Vi ringrazio anticipatamente per la risposta.”
Consulenza legale i 03/05/2018
La disciplina relativa all’esclusione del socio di società di persone è contenuta negli articoli 2286 e 2287 cod. civ..
In base ad essa, è legittima l’esclusione del socio quando – tra le altre ipotesi - egli sia stato gravemente inadempiente o alle obbligazioni che derivano dalla legge oppure a quelle che egli abbia assunto con il contratto sociale.
In linea generale, costituiscono gravi inadempienze quelle idonee ad impedire (del tutto) il raggiungimento dello scopo sociale oppure quelle che hanno anche solo inciso negativamente sulla situazione della società, rendendone meno agevole il perseguimento dei fini.

Ebbene, nel caso di specie bisognerebbe come prima cosa visionare lo statuto sociale, per vedere se l’esclusione del socio sia disciplinata o meno e con riguardo a quali ipotesi: ciò al fine di verificare se, per caso, lo statuto già abbia individuato situazioni come quella in esame quali possibili cause di esclusione.
Il fatto, tuttavia, che sia stato posto un quesito come quello che ci occupa fa propendere per la mancanza di disciplina sul punto nello statuto o per la genericità di quest’ultimo.

Per quanto riguarda il secondo socio, quello direttamente sorpreso a sottrarre merce dal carico, non c’è alcun dubbio sull’esistenza di una valida causa di esclusione ai sensi dell’art. 2286 c.c.: trattasi infatti di comportamento non solo illegittimo in base alla legge (fattispecie di rilievo penale, come l’appropriazione indebita) ma altresì contrario ai doveri che derivano al socio dal contratto sociale (la società ha già subìto un reale pregiudizio all’immagine e ciò è comprovato dall’adozione, da parte del committente/cliente, di misure concrete di prevenzione/tutela) ed in particolare dal rapporto di prestazione d’opera intercorrente tra egli e la società stessa.
Difficilmente l’esclusione (che va deliberata dall’assemblea e può esserlo a maggioranza semplice) potrà essere impugnata dal socio interessato.

Per quanto riguarda, invece, l’altro socio, nel quesito si accenna solamente al fatto che è stato trovato in possesso di merce “di dubbia provenienza”.
L’espressione non è chiara: parrebbe che, anche in questo caso, vi sia stato il sospetto di merce sottratta indebitamente al committente. La differenza rispetto al secondo caso è che il primo socio/autista non è stato “colto sul fatto” e quindi non è certo che egli abbia agito con intenzione oppure no.
Sarebbe importante conoscere le circostanze fattuali dell’accaduto e capire come tale socio abbia giustificato il possesso della merce in questione.

In ogni caso, in mancanza di prova dell’imputabilità di quanto accaduto al socio, ad avviso di chi scrive, è statisticamente più probabile l’opposizione da parte di quest'ultimo.
Infatti, non va dimenticato che nel giudizio di opposizione del socio alla delibera di esclusione (art. 2287 cod. civ.), i principi relativi alla distribuzione dell’onere della prova rimangono gli stessi che operano nella disciplina generale della risoluzione del contratto per inadempimento.

Afferma in proposito la giurisprudenza: “In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (…) del suo diritto (…), limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte” – (ovvero basta che egli descriva nella maniera più circostanziata possibile che il socio è stato inadempiente “mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (…). Ciò posto, nell'azione ex art. 2286 c.c., l'inadempimento del socio (…) risulta accertato in base alla relativa allegazione dell'attore, che non sia seguita da alcuna prova, da parte del convenuto, dell'avvenuto adempimento” (Trib. Milano Sez. Specializzata in materia di imprese, 10/03/2016).

In buona sostanza, la società escludente deve “raccontare” al giudice i fatti e sostenere, motivando la sua asserzione, che il socio è stato inadempiente e spiegare il perché, mentre sarà il socio escluso che dovrà provare di essere, al contrario, stato adempiente alla legge e/o al contratto sociale.

Ad avviso di chi scrive, rimangono comunque buone le chances di vittoria della società in un’eventuale giudizio di opposizione del primo socio/autista sospeso dal servizio, in quanto se è vero che la prima dovrebbe allegare circostanze che non depongono in maniera certa per la colpevolezza del socio, tuttavia nemmeno quest’ultimo avrebbe gioco facile nel provare la propria correttezza (dovrebbe fornire al giudice un’adeguata giustificazione al possesso di merce che non sua e che nel momento in cui è stata trovata avrebbe dovuto essere da un’altra parte e non certo nella sua disponibilità).