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Articolo 75 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Capacità processuale

Dispositivo dell'art. 75 Codice di procedura civile

Sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere [286, 299, 300, 328, 716; c.c. 1] (1) (2) (3).

Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità [182, 716] (4) (5).

Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto (6).

Le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate negli articoli 36 e seguenti del Codice civile (7).

Note

(1) Per capacità processuale si intende la capacità di stare in giudizio, ovvero l'idoneità di un soggetto a compiere e ricevere gli atti processuali. Diversamente, la legittimazione formale (legitimatio ad processum) consiste nella titolarità di un potere al compimento di un atto, che costituisce un presupposto processuale per esercitare in modo valido i propri diritti processuali. Non sempre questi due requisiti processuali coesistono in capo alla stessa persona: per esempio, il fallito pur avendo la piena capacità processuale, non ha legittimazione formale e pertanto, nelle controversie relative ai suoi rapporti patrimoniali, non può stare in giudizio senza il curatore (art. 43, r.d. 16-3-1942, n. 267).
(2) La norma in analisi non riguarda i soggetti che sono affetti da incapacità naturale (si cfr. 428 c.c.) che consiste in uno stato transitorio di disordine delle facoltà intellettive e volitive di un soggetto che priva la capacità di un soggetto di rendersi conto dei propri atti. Tuttavia, non determina l'incapacità processuale, pertanto l'interdicendo o l'inabilitando conservano la piena capacità di stare in giudizio fino a quando non venga pronunciata la sentenza di interdizione o di inabilitazione (si cfr.716 c.p.c.).
(3) Se prima della costituzione o all'udienza davanti al giudice istruttore la parte perde la capacità di stare in giudizio il processo si interrompe (v. 299). La stessa conseguenza si verifica nel caso in cui il procuratore della parte che ha perso la capacità processuale dopo la sua costituzione, lo dichiari in udienza o lo notifichi alle altre parti (v. 300c.p.c.).
(4) Si ha sempre la capacità di essere parte, ma non sempre si ha anche la capacità di stare in giudizio compiendo da soli validi atti processuali. In base a quanto dispone il codice sostanziale, il libero esercizio dei diritti è, in linea generale, escluso per gli incapaci, e precisamente: il minore, è rappresentato in giudizio dai genitori esercenti la patria potestà e in mancanza degli stessi, da un tutore (v. 320 c.c.); l'interdetto, è rappresentato dal tutore (v. 357 c.c.).
I soggetti semicapaci, e cioè il minore emancipato (v. 394 c.c.) e il maggiore inabilitato (v. 424 c.c.) sono assistiti in giudizio dal curatore.
Nel caso in cui il giudice rilevi un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione, ai sensi della nuova formulazione dell'art. 182 del c.p.c., egli può assegnare alle parti un termine entro il quale il rappresentante legale o l'assistente dovrà costituirsi in giudizio ed eventualmente devono essere rilasciate le necessarie autorizzazioni.
(5) La Corte cost. con sent. 16-10-1986, n. 220 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale (in riferimento all'art. 24 Cost. che garantisce l'ideale di un processo giusto), di quella parte degli artt. 75 e 300 nella quale non è prevista «ove emerga una situazione di scomparsa del convenuto, l'interruzione del processo e la segnalazione del caso al pubblico ministero perché promuova la nomina di un curatore».
(6) Il 3° comma dell'articolo in esame individua l'istituto della c.d. rappresentanza processuale organica o istituzionale. Questa non è considerata una vera e propria forma di rappresentanza in quanto con tale termine si fa riferimento agli organi delle persone giuridiche che hanno la funzione di esternare la volontà dell'ente, la quale non potrebbe esprimersi in alcun altro modo. L'attività dell'organo rappresentativo, che è immedesimato con la struttura dell'ente, va intesa quindi come attività propria di una parte della persona giuridica e come tale viene imputata all'ente stesso. Per quanto riguarda ad esempio le persone giuridiche private e in particolare le società di capitali, stanno in giudizio tramite gli amministratori che ne hanno la rappresentanza (v. 2384 c.c.) e attraverso i liquidatori, in caso di liquidazione (v. 2452 c.c.). Per quel che concerne, invece, le persone giuridiche pubbliche:
-lo Stato, sta in giudizio in persona del ministro pro tempore competente per materia;
-le regioni, tramite il presidente della giunta o l'assessore secondo la propria competenza; -le province, per mezzo del presidente della giunta provinciale e autorizzato da quest'ultima;
-i comuni, in persona del sindaco autorizzato dalla giunta comunale.
In relazione poi alla rappresentanza di altri enti pubblici come ad esempio il Cnr, l'Inps, il Coni, stanno in giudizio rispettivamente il presidente, il direttore della sede periferica (delegato dal presidente dell'istituto) e i direttori di compartimento.
(7) L'ultimo comma della norma in commento disciplina considera la rappresentanza processuale delle associazioni e dei comitati che sono sprovvisti di personalità giuridica. La dottrina unanime reputa però tale indicazione non tassativa, ritenendo che il legislatore abbia voluto in tale comma ricomprendere tutti quegli enti privi di personalità giuridica ma al tempo stesso titolari di rapporti giuridici autonomi. Più precisamente dunque:
-le associazioni non riconosciute stanno in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo l'atto costitutivo o secondo lo statuto, è attribuita la presidenza o la direzione (v. 36 c.c.);
- i comitati possono agire o essere convenuti in giudizio esclusivamente nella persona del presidente (v. 41);
- le società di persone stanno in giudizio in persona dei soci o per mezzo degli amministratori che ne hanno la rappresentanza (v. 2266, 2298 e 2315 c.c.);
- i consorzi con attività esterna possono essere convenuti in giudizio tramite il presidente o il direttore, anche se la rappresentanza è conferita ad altre persone (v. 2163c.c.);
- i condomini possono agire o essere convenuti in giudizio nella persona dell'amministratore (v. 1131 c.c.);
- i partiti politici e i sindacati stanno in giudizio rispettivamente tramite il presidente e per mezzo delle persone alle quali, ai sensi delle norme statutarie, è conferita la presidenza o la direzione;
- l'eredità giacente e quella istituita sotto condizione sospensiva stanno in giudizio nella persona del curatore (v. 529 c.c.) o di un amministratore (v. 641 c.c.).

Ratio Legis

La norma in commento dà attuazione all'art. 24 Cost. garantendo a tutti coloro che hanno il libero esercizio dei diritti la possibilità di accedere al giudizio per difenderli. Specialmente, ha inteso stabilire che quando la parte sia priva della capacità di stare in giudizio, deve essere rappresentata (rappresentanza legale e organica), assistita o autorizzata, affinche la parte sia tutelata ed il giudice pervenga ad una valida pronuncia di merito.

Brocardi

Legitimatio ad causam
Legitimatio ad processum
Si pupilius praesens sit, tutorem autem non habeat, pro absente habendus est

Spiegazione dell'art. 75 Codice di procedura civile

La norma in esame richiede innanzitutto di introdurre, seppur brevemente, il concetto di “parte”.
Secondo una definizione tradizionale (Chiovenda) è “parte” colui che propone la domanda (in nome proprio o altrui) o colui nei cui confronti la domanda viene proposta (il codice di procedura civile non contiene la definizione di parte).
Altra tesi dottrinale, invece, opera una distinzione tra parte in senso sostanziale e parte in senso processuale (così Carnelutti).
In un processo sono parti quei soggetti che compiono atti processuali o che ne subiscono gli effetti; si dice che a tali soggetti compete la legittimazione processuale.
Inoltre, mentre si ha sempre la capacità di essere parte, non è sempre che si ha la capacità di stare in giudizio e compiere da soli validi atti processuali.

Il primo comma di questa norma dispone che sono capaci di stare in giudizio, hanno cioè la capacità processuale, le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che in quel processo vogliono far valere.
Sono invece soggetti che non possono stare in giudizio, ai sensi del secondo comma di questa norma, gli incapaci, ossia coloro che non hanno il libero esercizio dei loro diritti per incapacità naturale o per altra causa.

La capacità processuale viene esclusa solo per le persone che sono state legalmente private della capacità di agire e non anche per le persone colpite da incapacità naturale, e ciò perché l'incapacità processuale è collegata all'incapacità di agire di diritto sostanziale e non alla mera capacità naturale.
Ciò risponde all'esigenza che ogni limitazione della capacità di agire, con le relative conseguenze sul piano processuale, possa operare solo all'esito finale di un procedimento specifico, nonché alla parallela esigenza di impedire il pericolo che ogni processo possa subire interruzioni o sospensioni sulla base di situazioni di non agevole accertamento, con conseguente pregiudizio del diritto di tutela giurisdizionale della parte che ha proposto la domanda.

Il potere di stare in giudizio in nome e per conto di altri (e di rilasciare, eventualmente, in tale veste, anche la procura al difensore, ove occorra) presuppone, salvi i casi di rappresentanza legale, un mandato che abbia forma scritta e conferisca potere rappresentativo anche con riferimento al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, atteso che il potere di agire o di resistere in sede processuale non è autonomamente disponibile rispetto alla titolarità del bene della vita in relazione al quale venga richiesta tutela in giudizio.

Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto; qualora taluno, nel processo, voglia contestare che la persona fisica, la quale assume di rivestire la qualità di rappresentante di una persona giuridica, manchi del potere rappresentativo, dovrà contestare tale circostanza nella prima difesa, restando così onere dell'altra parte documentare la suddetta pretesa qualità.

Nelle controversie in cui sia parte un Comune, invece, l'unico soggetto cui spetta la legale rappresentanza del medesimo è il Sindaco, in quanto tale legittimato a stare in giudizio ex art. 75 c.p.c. ed unico soggetto che può legittimamente conferire la procura alle liti. Inoltre, secondo il nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune l'autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale non costituisce più, almeno in linea generale, atto necessario per proporre o resistere all'azione, salva diversa previsione dello statuto comunale.

Altro caso particolare è quello delle associazioni: l'organo rappresentativo di un'associazione può stare in giudizio senza necessità di autorizzazione da parte dell'organo deliberante, ove esistente, a meno che non sussista una diversa specifica previsione legale o statutaria; in assenza di una norma di carattere generale, che richieda una simile autorizzazione, sarà onere della parte che deduca l'irregolare costituzione dell'ente per mancata produzione della delibera autorizzativa, provare che lo statuto dell'ente contenga una simile previsione.

Quanto, poi, alla rappresentanza processuale del minore (da parte del genitore, del tutore, o del curatore speciale), si afferma che essa non cessa automaticamente nel momento in cui il minore diventa maggiorenne ed acquista, a sua volta, la capacità processuale; occorre, infatti, che il raggiungimento della maggiore età sia reso noto alle parti, mediante dichiarazione, notifica o comunicazione della circostanza come atto del processo, affinché cessi la legittimazione processuale del rappresentante, e si produca, nel giudizio di merito, l'interruzione del processo (tutti i successivi atti processuali andranno indirizzati personalmente alla parte).

La legittimazione ad agire e contraddire deve essere accertata non in relazione alla sua effettiva sussistenza, ma in relazione a quanto viene affermato con l'atto introduttivo del giudizio, sulla scorta di una preliminare valutazione formale dell'ipotetica accoglibilità della domanda.
Tale accertamento dovrà essere rivolto a verificare la coincidenza, dal lato attivo, tra il soggetto che propone la domanda ed il soggetto che, nella medesima domanda si afferma titolare del diritto, mentre, dal lato passivo, tra il soggetto contro il quale la domanda è proposta e quello che, nella domanda medesima, si afferma soggetto passivo del diritto o, comunque, violatore di quel diritto ( l'accertamento dell'effettiva titolarità del rapporto controverso, tanto dal lato attivo quanto da quello passivo, attiene al merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, quindi, la sua fondatezza).
Nel caso in cui il soggetto costituito in giudizio sia diverso dall'effettivo titolare del diritto e non risulti a lui espressamente conferita la rappresentanza processuale in virtù dell'art. 75 o ex art. 77 del c.p.c., il giudice avrà l'obbligo, ex art. 182 del c.p.c., di rilevarne il difetto, rimanendo attribuita al suo prudente apprezzamento la possibilità di una eventuale sanatoria dello stesso.

Il difetto di legittimazione processuale deve essere rilevato in primo grado non oltre l'udienza di trattazione mentre in appello rimane sempre inseribile tra i motivi di impugnazione.
La sanatoria del difetto di legittimazione può avvenire sia indirettamente (in conseguenza di un giudicato interno), sia direttamente (mediante la costituzione dell'effettivo rappresentante legale nei vari gradi del giudizio), sia attraverso atti di ratifica o di accettazione anche implicita (per facta concludentia) del contraddittorio da parte del soggetto legittimato.

Massime relative all'art. 75 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 25794/2021

Nel ricorso per cassazione proposto da persona giuridica, l'indicazione nella procura delle generalità della persona fisica che assume di esserne il rappresentante non è sufficiente, dovendo essere indicata anche la qualifica attributiva del potere di rappresentanza legale dell'ente, ovvero il titolo (nella specie, procura notarile rilasciata a favore del funzionario responsabile dell'ufficio contenzioso di Equitalia, menzionata nel ricorso e depositata nelle more del giudizio di legittimità) conferente alla medesima il potere di rappresentanza processuale dell'ente; in difetto di tali indicazioni, il ricorso proposto deve ritenersi inammissibile per mancanza di una idonea procura alle liti. (Cassa con rinvio, COMM.TRIB.REG. NAPOLI, 31/01/2014).

Cass. civ. n. 24893/2021

Qualora la procura per la proposizione del ricorso per cassazione da parte di una società venga rilasciata da un soggetto nella qualità di procuratore speciale in virtù dei poteri conferitigli con procura notarile non depositata con il ricorso, né rinvenibile nel fascicolo, all'impossibilità del controllo, da parte del giudice di legittimità, della legittimazione del delegante ad una valida rappresentazione processuale e sostanziale della persona giuridica consegue l'inammissibilità del ricorso. (Nella specie, la S.C., nel dichiarare inammissibile l'impugnazione, ha ritenuto irrilevante l'avvenuto deposito, come allegato alla memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., della visura storica della società ricorrente, dalla quale risultava la nomina a suo procuratore, per il compimento di alcuni atti, del soggetto indicato come tale nel ricorso per cassazione, poiché detta visura non era stata notificata al controricorrente ai sensi dell'art. 372 c.p.c. e, in relazione a siffatto deposito, non si era formato il contraddittorio, atteso che il medesimo controricorrente non aveva presentato memorie e che il suo difensore non era intervenuto all'udienza di discussione, essendo stata trattata la controversia in udienza camerale). (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 07/03/2019).

Cass. civ. n. 14245/2020

E' ammissibile il ricorso incidentale notificato non al minorenne nel frattempo divenuto maggiorenne, bensì ai suoi genitori nella qualità di esercenti la responsabilità genitoriale, allorché la nullità scaturente da tale vizio di notifica possa considerarsi sanata dalla prova dell'effettiva conoscenza, da parte del soggetto erroneamente pretermesso, della vicenda processuale che lo riguarda. (Rigetta, CORTE D'APPELLO REGGIO CALABRIA, 27/06/2017).

Cass. civ. n. 8987/2020

La procura alle liti rilasciata da persona chiaramente identificabile, che abbia dichiarato la propria qualità di legale rappresentante dell'ente costituito in giudizio, è valida, incombendo su chi nega tale qualità l'onere di fornire la prova contraria. (Rigetta, CORTE D'APPELLO SALERNO, 05/09/2017).

Cass. civ. n. 6799/2020

In tema di rappresentanza processuale della persona giuridica, quando la fonte del suo potere rappresentativo derivi da un atto soggetto a pubblicità legale, spetta alla controparte, qualora contesti che colui che ha sottoscritto la procura possa agire in giudizio in rappresentanza della società, provare l'irregolarità dell'atto di conferimento. Nel caso in cui, invece, la firma di chi ha conferito la procura sia illegibile e non sia stato indicato il suo nominativo nel mandato o nell'intestazione dell'atto, il giudice deve invitare la parte alla regolarizzazione, e, solo in caso di inottemperanza, può emettere una pronuncia in rito di inammissibilità del ricorso, stante l'applicabilità dell'art. 182 c.p.c. al processo tributario, prevista dal d.lgs. n. 156/2015 che ha modificato l'art. 12 del d.lgs.n. 546 del 1992. (Cassa con rinvio, COMM.TRIB.REG. MILANO, 09/12/2015).

Cass. civ. n. 34599/2019

La rappresentanza processuale del Comune, nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, spetta istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, dovendo in tal caso la parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione attraverso la produzione di idonea documentazione, mentre resta, comunque, escluso che incomba sul Comune l'onere di produrre la relativa delibera di giunta, trattandosi di atto consultabile presso gli uffici comunali. (Rigetta, COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. FOGGIA, 19/02/2014).

Cass. civ. n. 8120/2019

Colui che agisce in giudizio in qualità di legale rappresentante di una società di capitali, non in virtù di una formale nomina di fonte statutaria o assembleare, ma quale amministratore di fatto, che esercita poteri gestori analoghi all'amministratore di diritto, ha l'onere di dimostrare l'effettivo esercizio di tali poteri, ai fini dell'accertamento della legittimazione ad agire in nome e per conto della società, non potendo invocare a supporto delle proprie allegazioni norme statutarie o risultanze del registro delle imprese. (Nella specie, la S.C. ha annullato la decisione impugnata, che aveva ritenuto provata la qualità di amministratore di fatto in capo a colui che aveva agito in tale veste, sulla scorta di una sentenza di tribunale che, proprio per l'attività svolta in tale qualità, lo aveva condannato al risarcimento dei danni cagionati alla società, considerato che, peraltro, tale decisione era stata totalmente riformata in appello).

Cass. civ. n. 2279/2019

Il cd. supercondominio viene in essere "ipso iure et facto", ove il titolo non disponga altrimenti, in presenza di beni o servizi comuni a più condomìni autonomi, dai quali rimane, tuttavia, distinto; il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c. è limitato, pertanto, alla facoltà di agire o resistere in giudizio con riferimento ai soli beni comuni all'edificio amministrato e non a quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomìni, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi, quali l'assemblea di tutti i proprietari e l'amministratore del cd. supercondominio. Ne consegue che, qualora quest'ultimo amministratore non sia nominato, la rappresentanza processuale passiva compete, in via alternativa, ad un curatore speciale scelto ex art. 65 disp. att. c.c. o al titolare di un mandato "ad hoc" conferito dai comproprietari ovvero, in mancanza, a tutti i titolari delle porzioni esclusive ubicate nei singoli edifici. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia del giudice di merito che, in un giudizio volto ad ottenere la costituzione di una servitù coattiva di passaggio su una strada interna, comune a due condomìni, aveva ritenuto sufficiente la chiamata in giudizio dei loro amministratori e non pure dei condòmini).

Cass. civ. n. 16251/2018

La procura speciale rilasciata da chi sia parte in giudizio per sé e quale rappresentante legale di una società deve intendersi rilasciata, oltreché in tale ultima qualità, anche in nome proprio, senza che assuma alcun rilievo in contrario la circostanza che nella procura medesima si faccia riferimento soltanto alla qualità di rappresentante legale della società.

Cass. civ. n. 15771/2018

L'espressa attribuzione del potere di rappresentanza processuale al capo dell'ufficio legale territoriale di una grande azienda implica il potere di agire nel presupposto di una contemplativo domini e di impegnare la responsabilità dell'impresa per gli atti che rientrano nell'esercizio delle sue funzioni, indipendentemente dal conferimento di specifiche procure, in quanto il potere di rappresentanza sostanziale costituisce effetto naturale della sua collocazione nell'organizzazione dell'impresa.

Cass. civ. n. 13702/2018

Non è configurabile un eccesso di potere giurisdizionale del giudice amministrativo, per invasione della sfera riservata al potere discrezionale della P.A., nel caso in cui il giudice dell'ottemperanza, rilevata la violazione od elusione del giudicato civile, adotti provvedimenti in luogo della P.A. inadempiente, sostituendosi al soggetto obbligato ad adempiere, in quanto, in ossequio al principio dell'effettività della tutela giurisdizionale, il giudizio di ottemperanza, al fine di soddisfare pienamente l'interesse sostanziale del ricorrente, non può arrestarsi di fronte ad adempimenti parziali, incompleti od addirittura elusivi del contenuto della decisione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del Consiglio di Stato che, in sede di giudizio di ottemperanza, aveva dichiarato illegittimo l'indennizzo attribuito ad un privato a seguito di acquisizione in sanatoria di un fondo, ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, perché di importo inferiore a quanto riconosciuto allo stesso, a titolo risarcitorio per l'illegittima espropriazione del medesimo cespite, da una precedente sentenza civile passata in giudicato).

Cass. civ. n. 4392/2017

In seguito alla soppressione delle USL ad opera del d.l.vo n. 502 del 1992, che ha istituito le AUSL, e per effetto degli artt. 6, comma 1, della l. n. 724 del 1994 e 2, comma 14, della l. n. 549 del 1995, si è verificata una successione "ex lege" delle regioni nei rapporti di debito e credito già facenti capo alle vecchie USL, caratterizzata da una procedura di liquidazione affidata alle gestioni stralcio, con conseguente inefficacia, per i rapporti pregressi all’istituzione delle stesse, degli atti interruttivi della prescrizione indirizzati alle AUSL e non alle predette sezioni stralcio.

Cass. civ. n. 1208/2017

La legittimazione ad agire per il pagamento degli oneri condominiali, nonché a proporre l'eventuale impugnazione, spetta all’amministratore e non anche ai singoli condomini, poiché il principio per cui l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, né di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore, non trova applicazione nelle controversie aventi ad oggetto non già un diritto comune, ma la sua gestione, ovvero l'esazione delle somme a tal fine dovute da ciascun condomino, siccome promosse per soddisfare un interesse direttamente collettivo, senza correlazione immediata con quello esclusivo di uno o più partecipanti.

Cass. civ. n. 23274/2016

Il difetto di legittimazione processuale della persona fisica, che agisca in giudizio in rappresentanza di un ente (nella specie, per mancanza dell'autorizzazione preventiva alla proposizione dell'azione da parte dell'organo competente per statuto), può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza dell'ente stesso, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare l'operato del "falsus procurator".

Cass. civ. n. 14362/2016

In tema di capacità processuale, ai sensi dell'articolo 75 c.p.c., il potere di rappresentanza di un ente o di una società dotata di personalità giuridica, ove spettante al presidente, deve essere di regola riconosciuto al vice presidente, cui normalmente competono funzioni vicarie senza necessità di apposita delega.

Cass. civ. n. 20387/2015

In tema di capacità processuale, qualora la procura sia rilasciata dal direttore generale di una società che si assuma munito del potere rappresentativo della società, ossia da un soggetto diverso da quelli - come la persona fisica che ricopre la carica di amministratore - aventi per legge la rappresentanza sociale e per i quali soltanto, una volta adempiute le prescritte formalità, può presumersi la capacità processuale, occorre la prova della speciale "legitimatio ad processum", ossia della sussistenza dell'asserito potere rappresentativo, quale eccezione alla regola della esclusiva spettanza di questo agli amministratori. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha confermato il giudizio di inammissibilità dell'opposizione allo stato passivo di un fallimento proposta da una banca per difetto di legittimazione processuale, poiché la procura era stata rilasciata dal direttore generale, cui, tra l'altro, neppure lo statuto attribuiva la rappresentanza in giudizio).

Cass. civ. n. 16274/2015

In tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, sicché, in difetto, è esclusa la "legittimatio ad processum" del rappresentante e il relativo accertamento - attenendo alla verifica della regolare costituzione del rapporto processuale - può essere effettuato anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione con cui il giudice di appello - nel pronunciarsi sul gravame proposto dall'assicuratore della responsabilità civile, terzo chiamato in garanzia nell'ambito di un giudizio risarcitorio, diretto a far valere l'inoperatività della polizza - aveva respinto l'eccezione con cui l'attrice-danneggiata, già vittoriosa in primo grado, aveva inteso far valere il difetto di legittimazione del procuratore del chiamato in garanzia per l'omessa dimostrazione del conferimento dei poteri inerenti la qualità di procuratore speciale, erroneamente motivato sul presupposto dell'estraneità dell'appellata al rapporto tra assicurato ed assicuratore).

Cass. civ. n. 1773/2015

Il curatore dell'inabilitato non assume il ruolo né di rappresentante legale né di sostituto processuale dell'incapace, ma svolge solo funzioni di assistenza e di supporto, sicché, in caso di citazione in giudizio del solo curatore, è radicalmente invalida la sentenza pronunciata a conclusione di un procedimento parimenti nullo.

Cass. civ. n. 22223/2014

Il figlio che aziona in giudizio un diritto del genitore, del quale afferma essere erede "ab intestato", ove non sia stato contestato il rapporto di discendenza con il "de cuius", non deve ulteriormente dimostrare, al fine di dare prova della sua legittimazione ad agire, l'esistenza di tale rapporto producendo l'atto dello stato civile, attestante la filiazione, ma è sufficiente, in quanto chiamato all'eredità a titolo di successione legittima, che abbia accettato, anche tacitamente, l'eredità, di cui costituisce atto idoneo l'esercizio stesso dell'azione.

Cass. civ. n. 19735/2014

L'impresa individuale non ha soggettività distinta da quella della persona fisica dell'imprenditore, sicché quest'ultimo è legittimato ad agire e resistere in giudizio per conto dell'impresa anche nell'ipotesi in cui non ne specifichi la qualità.

Cass. civ. n. 15759/2014

La titolarità attiva o passiva del rapporto controverso, la cui carenza, a differenza di quella concernente la "legitimatio ad causam", non è rilevabile d'ufficio, costituisce un requisito di fondatezza della domanda e non una eccezione ad essa, sicché il convenuto che la contesta esercita una mera difesa, senza essere onerato della prova di quanto afferma. Ne consegue che l'attore, in quanto soggetto agli ordinari criteri sull'onere probatorio, ex art. 2697 cod. civ., è esonerato dalla dimostrazione della titolarità del rapporto solo quando il convenuto ne faccia espresso riconoscimento o la sua difesa sia incompatibile con il disconoscimento, in applicazione del principio secondo cui "non egent probatione" i fatti pacifici o incontroversi.

Cass. civ. n. 4209/2014

L'amministratore della comunione non può agire in giudizio in rappresentanza dei partecipanti contro uno dei comunisti, se tale potere non gli sia stato attribuito nella delega di cui al secondo comma dell'art. 1106 cod. civ., non essendo applicabile analogicamente - per la presenza della disposizione citata, che prevede la determinazione dei poteri delegati - la regola contenuta nel primo comma dell'art. 1131 cod. civ., la quale attribuisce all'amministratore del condominio il potere di agire in giudizio sia contro i condomini che contro terzi.

Cass. civ. n. 28141/2013

In tema di condominio negli edifici, la legittimazione passiva dell'amministratore, prevista dall'art. 1131, secondo comma, cod. civ., ha portata generale, in quanto estesa ad ogni interesse condominiale, e sussiste, pertanto, anche con riguardo alla domanda, proposta da un condomino o da un terzo, di accertamento della proprietà esclusiva di un bene, senza che sia necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condomini.

Cass. civ. n. 23088/2013

In tema di associazioni non riconosciute, stabilire se una struttura organizzativa locale che fa capo ad un'associazione costituisca un organo di quest'ultima, ovvero sia invece, a sua volta, un'associazione munita di autonoma legittimazione negoziale e processuale, configura una questione che non attiene alla "legitimatio ad causam", bensì alla titolarità attiva o passiva del rapporto dedotto in giudizio, ed involge, pertanto, un accertamento di fatto, da condurre sulla scorta dello statuto dell'associazione e che attiene al merito della lite.

Le associazioni locali di un'associazione avente carattere nazionale (nella specie, la struttura organizzativa regionale di un'associazione sindacale) non sono organi di quest'ultima, ma sue articolazioni periferiche dotate di autonoma legittimazione negoziale e processuale.

Cass. civ. n. 16104/2013

Nell'ipotesi di "vocatio in ius" di un Ministero diverso da quello istituzionalmente competente, allorché l'Avvocatura dello Stato - pur ricorrendo i presupposti per l'applicazione dell'art. 4 della legge 25 marzo 1958, n. 260 - non si avvalga, nella prima udienza, della facoltà di eccepire l'erronea identificazione della controparte pubblica, provvedendo alla contemporanea indicazione di quella realmente competente, resta preclusa la possibilità di far valere, in seguito, l'irrituale costituzione del rapporto giuridico processuale, non ponendosi, in senso proprio, una questione di difetto di legittimazione passiva, ferma restando la facoltà per il reale destinatario della domanda di intervenire in giudizio e di essere rimesso in termini. (Fattispecie in tema di giudizio promosso nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica - e non della Presidenza del Consiglio dei ministri - per il pagamento di quanto dovuto agli specializzandi in medicina negli anni compresi tra il 1982-83 e il 1990-91 in conseguenza dell'inadempimento degli obblighi di remunerazione posti a carico dello Stato dalle direttive comunitarie 16 giugno 1975, n. 75/362/CEE e 26 gennaio 1982, n. 82/76/CEE).

Cass. civ. n. 19308/2012

Il difetto di legittimazione processuale del genitore, che agisca in giudizio in rappresentanza del figlio non più soggetto a potestà per essere divenuto maggiorenne, può essere sanato in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, qualora detto figlio, nella specie proponendo direttamente il ricorso per cassazione avverso la pronuncia di inammissibilità del precedente gravame esperito dal proprio genitore nella indicata qualità, manifesti in modo non equivoco la propria volontà di sanatoria.

Cass. civ. n. 2210/2012

L'autorizzazione della giunta municipale al sindaco di un comune a proporre una domanda o a resistere in giudizio, non contenente alcuna limitazione al primo grado, abilita implicitamente il sindaco anche alla proposizione dell'appello, ove il giudizio abbia avuto un esito sfavorevole all'ente territoriale, in conformità al principio generale secondo il quale la procura speciale al difensore, rilasciata in primo grado "per il presente giudizio", senza alcuna indicazione delimitativa, esprime la volontà della parte di estendere il mandato all'appello, quale ulteriore grado in cui si articola il giudizio stesso, così superando la presunzione di conferimento solo per primo grado, ai sensi dell'art. 83, ultimo comma, c.p.c..

Cass. civ. n. 743/2012

In tema di rappresentanza processuale del minore, l'autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 c.c. è necessaria per promuovere giudizi relativi ad atti di amministrazione straordinaria, che possono cioè arrecare pregiudizio o diminuzione del patrimonio e non anche per gli atti diretti al miglioramento e alla conservazione dei beni che fanno già parte del patrimonio del soggetto incapace. Ne consegue che si atteggiano ad atti di ordinaria amministrazione, per i quali non è necessaria la predetta autorizzazione, tanto l'azione di rivendica finalizzata ad accrescere o a tutelare in senso migliorativo il patrimonio dell'incapace, quanto l'assunzione di una posizione processuale assimilabile a quella di un convenuto, come l'intervento volontario in giudizio per contrastare la domanda dell'attore di riconoscimento di un diritto di proprietà, giacché il provvedimento del giudice tutelare è richiesto solo quando il minore assuma la veste di attore in primo grado, ma non per le difese e gli atti diretti a resistere all'azione avversaria.

Cass. civ. n. 28078/2011

Poichè la delega del Presidente dell'I.N.P.D.A.P. ad un direttore di sede periferica, per agire in giudizio, attiene al momento genetico del processo e alla valida instaurazione del contraddittorio, la procura da questi conferita al difensore dichiarando di agire per l'I.N.P.D.A.P., senza neppure dedurre di averne ricevuto i poteri rappresentativi in base alla suddetta delega, determina la nullità del giudizio, rilevabile d'ufficio semprechè, sulla specifica questione, non si sia formato il giudicato interno, che si determina allorché la carenza del potere rappresentativo sia stata appositamente denunciata e, quindi, sia stata espressamente negata dal giudice di merito ovvero sia rimasta senza esplicita risposta e tale omessa pronuncia non sia stata poi oggetto di appello.

Cass. civ. n. 25860/2011

Nei giudizi instaurati nei confronti di una società di persone, ai fini della rituale instaurazione del contraddittorio, è sufficiente, dal punto di vista sia sostanziale che processuale, la presenza in giudizio di tutti i soci, nei quali si esaurisce la società, fatta eccezione nel caso in cui si ponga un problema d'indirizzo della domanda nei confronti personali dei soci e non anche della società.

Cass. civ. n. 25813/2011

La capacità processuale compete all'ente ecclesiastico riconosciuto civilmente e non alle sue strutture esecutive. Ne consegue l'irrilevanza, a tal fine, del mutamento della struttura organizzativa dell'ente limitata all'acquisizione di una differente denominazione, che, quand'anche qualificata in termini di "trasformazione" nel relativo provvedimento canonico, non implica, per l'ordinamento civile italiano, alcun fenomeno successorio.

Cass. civ. n. 19223/2011

Nel condominio di edifici, il principio secondo cui l'esistenza dell'organo rappresentativo unitario non priva i singoli condòmini del potere di agire a difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, né, quindi, del potere di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall'amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti del condominio, non trova applicazione relativamente alle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione di deliberazioni della assemblea condominiale che, come quella relativa alla nomina dell'amministratore, perseguono finalità di gestione di un servizio comune e tendono a soddisfare esigenze soltanto collettive, senza attinenza diretta all'interesse esclusivo di uno o più partecipanti; ne consegue che in tali controversie la legittimazione ad agire, e quindi ad impugnare, spetta in via esclusiva all'amministratore, con esclusione della possibilità di impugnazione da parte del singolo condomino.

Cass. civ. n. 16861/2011

Nella Regione Sicilia, l'attività amministrativa fa capo, con rilevanza esterna, ai singoli assessori, sicchè ciascuno di essi è legittimato a stare in giudizio per il ramo di attività amministrativa a lui riferibile. Né assume rilievo che, nelle more del giudizio, siano state modificate, ex art. 4 della legge Regione Sicilia n. 19 del 2008, l'organizzazione e la ripartizione delle competenze degli assessorati, atteso che, ai sensi dell'art. 111 c.p.c., in caso di mutamento della titolarità della situazione sostanziale dedotta in giudizio, il processo continua tra le parti originarie ma la sentenza ha effetto anche contro il successore a titolo particolare.

Cass. civ. n. 15694/2011

L'art. 36 c.c. stabilisce che l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all'associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati. Ne consegue che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato - cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d'imputazione di rapporti giuridici - rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l'incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi.

Cass. civ. n. 14474/2011

Ciascun partecipante al condominio di edifici può agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della proprietà comune, sicché nel relativo giudizio non è necessaria la presenza in causa di tutti i condomini, né del condominio.

Cass. civ. n. 13968/2010

Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, la rappresentanza processuale del comune spetta istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti, senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, spettando in tal caso alla parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea documentazione.

Cass. civ. n. 12422/2010

In tema di associazione temporanea di imprese, il potere di rappresentanza, anche processuale, di cui all'art. 23, comma 9, del d.l.vo 19 dicembre 1991, n. 406 ("ratione temporis" vigente), spetta all'impresa mandataria, o "capogruppo", esclusivamente nei confronti della stazione appaltante, per le operazioni e gli atti dipendenti dall'appalto, e non si estende anche nei confronti dei terzi estranei a quel rapporto; inoltre, non essendo automatica la rappresentanza processuale, l'impresa capogruppo, per poter proporre un appello anche a nome delle imprese rappresentate, è tenuta a spenderne il nome, essendo priva di legittimazione processuale qualora - come nel caso di specie - lo abbia proposto in proprio.

Cass. civ. n. 9217/2010

In tema di capacità processuale dell'inabilitato, l'assistenza del curatore è necessaria anche quando l'attività processuale della parte assuma i caratteri dell'atto di ordinaria amministrazione, perché, a prescindere dalla opinabilità della qualificazione in tali termini dell'attività nel processo, l'art. 394, comma 2, c.c., richiamato dall'art. 424 c.c., stabilisce che l'inabilitato può stare in giudizio con l'assistenza del curatore, senza distinguere a seconda dell'attività che egli intenda svolgere.

Cass. civ. n. 24179/2009

In tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il difetto di poteri siffatti si pone come causa di esclusione anche della "legitimatio ad processum" del rappresentante, il cui accertamento, trattandosi di presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere compiuto in ogni stato e grado del giudizio e quindi anche in sede di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto, e con possibilità di diretta valutazione degli atti attributivi del potere del potere rappresentativo. (Nella specie è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto da un istituto di credito tramite un difensore munito di procura rilasciata non già dal legale rappresentante dell'istituto medesimo, ma dal funzionario responsabile del recupero crediti per due sole Regioni e delegato a compiere "la cura diretta di quanto occorre in ordine alla difesa del Banco nel primo grado di giudizio").

Cass. civ. n. 11848/2009

Nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, il riconoscimento in capo al Presidente della Provincia della rappresentanza dell'ente, ai sensi dell'art. 50 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, non costituisce un principio inderogabile, dovendosi ritenere ammissibile che lo statuto della Provincia - ed anche il regolamento della Provincia, ma soltanto se lo statuto contenga, in materia, un espresso rinvio alla normativa regolamentare, ponendosi il relativo onere probatorio a carico dell'Amministrazione - possa legittimamente attribuire la legittimazione processuale in ordine all'intero contenzioso al dirigente dell'ufficio legale, il quale, ove ne abbia i requisiti, può costituirsi senza bisogno di procura, ovvero attribuire l'incarico ad un professionista legale interno o del libero foro. (Nella specie, la S.C., nel dichiarare inammissibile il ricorso per nullità della procura, sottoscritta dal dirigente dell'avvocatura provinciale e non dal Presidente della Provincia, ha escluso l'esistenza di un espresso rinvio nello statuto della Provincia di Benevento alla normativa regolamentare, neppure desumibile, per implicito, dalle disposizioni statutarie relative alla nomina dei responsabili delle aree e dei settori con conferimento di incarichi di collaborazione esterna (art. 43) o alla possibilità di istituire, in via regolamentare, altre tipologie di unità organizzative (art. 42) ovvero - in relazione al provvedimento della Giunta Provinciale di assegnazione al dirigente del servizio legale degli atti di gestione del contenzioso - dalla previsione (art. 40), generica, di conformità dei provvedimenti della Giunta alla volontà del Presidente della Provincia).

Cass. civ. n. 7068/2009

Il tutore dell'interdetto, essendo tenuto a proteggere gli interessi della persona tutelata, non ha bisogno dell'autorizzazione del giudice tutelare né per resistere alla lite promossa da un terzo nei confronti dell'interdetto, né per impugnare la relativa sentenza, né per coltivare le liti promosse dall'interdetto in epoca anteriore all'interdizione. (Principio affermato in un caso in cui il tutore aveva proposto ricorso per cassazione contro la sentenza d'appello in un giudizio nel quale l'interdetto era stato convenuto in primo grado prima che ne venisse dichiarata l'interdizione).

Cass. civ. n. 6622/2009

L'autorizzazione ad agire e a contraddire in giudizio in rappresentanza di un ente pubblico (nella specie, un Comune) è riferita al titolare della carica (nella specie, il Sindaco) al momento in cui l'atto deve essere compiuto, e non alla persona fisica; conseguentemente, è inammissibile, per difetto di legittimazione processuale, l'appello proposto da persona che - pur qualificatasi come Sindaco - era cessata dalla carica in esito ad intervenute elezioni amministrative, restando irrilevante che la suddetta persona fisica fosse stata autorizzata dalla Giunta municipale a proporre l'impugnazione quando ancora era titolare della carica di Sindaco

Cass. civ. n. 6227/2009

Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali recato dal D.L.vo 12 agosto 2000, n. 267, in mancanza di una disposizione statutaria che la richieda espressamente, l'autorizzazione alla lite da parte degli organi collegiali (consiglio o giunta) non costituisce atto necessario ai fini del promuovimento di azioni o della resistenza in giudizio da parte del presidente della comunità montana, che è organo responsabile dell'Amministrazione locale, munito di rappresentanza legale della stessa (secondo il combinato disposto degli artt. 2 e 50 del predetto D.L.vo n. 267); ne consegue che l'eventuale illegittimità della delibera autorizzativa della giunta non può incidere sulla validità della costituzione in giudizio della comunità per mezzo del suo presidente.

Cass. civ. n. 4856/2009

La rappresentanza in giudizio per gli atti relativi all'amministrazione dei beni facenti parte della comunione legale spetta, a norma dell'art. 180 cod. civ., ad entrambi i coniugi e, quindi, ciascuno di essi è legittimato ad esperire qualsiasi azione di carattere reale (come, nella specie, quella di rivendicazione) o con effetti reali diretta alla tutela della proprietà o del godimento della cosa comune, senza che sia indispensabile la partecipazione al giudizio dell'altro coniuge, non vertendosi in una ipotesi di litisconsorzio necessario.

Cass. civ. n. 4580/2009

È nullo il procedimento e la relativa sentenza che lo conclude, allorchè la parte, che risulti inabilitata, qualunque sia l'attività che intenda svolgere, non sia stata in giudizio con l'assistenza del curatore ed il giudice del merito non abbia rilevato, d'ufficio ex art. 182 cod. proc. civ., il difetto di assistenza, assegnando eventualmente un termine per la costituzione del medesimo.

Cass. civ. n. 4245/2009

Nel caso di contratto di assicurazione stipulato dal condominio, in persona dell'amministratore, la circostanza che il condominio sia ente di gestione, privo di personalità giuridica, non comporta che ciascun condomino possa agire, nel proprio interesse, nei confronti dell'assicuratore, spettando all'amministratore la rappresentanza del condominio contraente della polizza nell'interesse di tutti i condomini.

Cass. civ. n. 3541/2009

In tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la parte che contesti che la persona fisica, la quale assume di rivestire la qualità di rappresentante di una persona giuridica, manca del potere rappresentativo, deve sollevare siffatta contestazione nella prima difesa, restando così onere dell'altra parte documentare la pretesa qualità.

Cass. civ. n. 961/2009

In tema di rappresentanza in giudizio delle persone giuridiche, trattandosi di uno dei presupposti della capacità di stare in giudizio, è onere della parte che ha conferito la procura - in caso di contestazione della controparte specifica e tempestiva, cioè proposta non appena raggiunta la certezza della carenza di prova sul punto - fornire la dimostrazione dell'effettiva sussistenza dei poteri rappresentativi, non potendo il giudice procedere d'ufficio al relativo accertamento.

Cass. civ. n. 480/2009

Con riguardo alle domande di risoluzione del contratto di locazione e di condanna del conduttore al pagamento dei canoni, deve essere negata la legittimazione (attiva ) del comproprietario del bene locato pro parte dimidia, ove risulti l'espressa volontà contraria degli altri comproprietari (e sempre che il conflitto, non superabile con il criterio della maggioranza economica, non venga composto in sede giudiziale, a norma dell'art. 1105 c.c. ), considerato che, in detta situazione, resta superata la presunzione che il singolo comunista agisca con il consenso degli altri, e, quindi, cade il presupposto per il riconoscimento della sua abilitazione a compiere atti di utile gestione rientranti nell'ordinaria amministrazione della cosa comune.

Cass. civ. n. 16047/2008

Ai fini della corretta individuazione del soggetto legittimato a stare in giudizio in relazione alla domanda proposta, occorre aver riguardo alla situazione di diritto vigente al momento della introduzione della lite, restando irrilevante la disciplina, sopravvenuta durante il giudizio di appello, che prevede la necessità di integrazione del contraddittorio verso altro soggetto, non chiamato in causa nel precedente grado di giudizio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che in una controversia, introdotta prima dell'entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326 del 2003, e proposta contro il ministero dell'Interno ai fini dell'attribuzione dell'indennità di accompagnamento, aveva dichiarato estinto il giudizio per inottemperanza all'ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero del Tesoro, la cui necessaria partecipazione al giudizio era prevista solo dalla citata norma, sopravvenuta durante il giudizio di appello ).

Cass. civ. n. 16002/2008

Non sussiste il difetto di legittimazione attiva del figlio che fa valere giudizialmente un credito del genitore defunto per il solo fatto che egli non se ne affermi anche erede, in quanto il chiamato all'eredità, qual è necessariamente il figlio del defunto ai sensi dell'art. 536 c.c., agendo giudizialmente nei confronti del debitore del de cuius per il pagamento di quanto dichiaratamente al medesimo dovuto, compie un atto che, nella consapevolezza della delazione dell'eredità, presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede, così realizzando il paradigma normativo dell'accettazione tacita dell'eredità di cui all'art. 476 c.c

Cass. civ. n. 14468/2008

La legitimatio ad causam attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento. Da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito alcun esame d'ufficio, poichè la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio della parte interessata. Fondandosi, quindi, la legittimazione ad agire o a contraddire, quale condizione all'azione, sulla mera allegazione fatta in domanda, una concreta ed autonoma questione intorno ad essa si delinea solo quando l'attore faccia valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, ovvero pretenda di ottenere una pronunzia contro il convenuto pur deducendone la relativa estraneità al rapporto sostanziale controverso. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che trattavasi di questione non attinente alla dedotta legitimatio ad causam bensì concernente l'accertamento in concreto dell'effettiva titolarità del rapporto fatto valere in giudizio, sostenendo la ricorrente essere di proprietà pubblica e non appartenente alla titolarità della controricorrente e di una delle intimate gli immobili oggetti del contratto di locazione di cui si discuteva in causa ).

Cass. civ. n. 13051/2008

In tema di azioni collettive inibitorie a tutela dei consumatori, l'associazione di professionisti che abbia provveduto all'elaborazione ed alla diffusione di clausole contenute in condizioni generali riguardanti contratti bancari ed abbia espresso parere positivo sulla loro utilizzabilità, deve ritenersi titolare della legittimazione passiva anche in ordine alle azioni collettive promosse prima della modifica dell'art. 1469 sexies c.c., intervenuta ex art. 6 della legge n. 14 del 3 febbraio 2003, con la quale è stata espressamente estesa la legittimazione passiva alle associazioni che «raccomandano » l'utilizzo di clausole o condizioni generali di contratto, in quanto anche nella previgente previsione normativa contenuta nell'art. 1469 sexies c.c., interpretata secondo quanto stabilito all'art. 7 della Direttiva CE 93/13, l'utilizzazione deve ritenersi comprensiva dell'elaborazione, della diffusione e della positiva valutazione delle condizioni generali di contratto.

Cass. civ. n. 12446/2008

Nel caso in cui al momento della decisione il giudice non rinvenga in atti un documento, ritualmente depositato, dal quale risulti la legittimazione ad agire di una delle parti, egli non può ritenere insussistente tale legittimazione, ma è tenuto a disporre ricerche del documento mancante, ovvero invitare la parte interessata a produrne uno analogo, ordinando le conseguenti disposizioni processuali.

Cass. civ. n. 1460/2008

La rappresentanza attribuita all'amministratore del condominio dall'art. 1131, secondo comma, c.c., rispetto a qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio, non si estende all'azione di scioglimento del condominio prevista dagli artt. 61 e 62 att. c.c.; questa, avendo ad oggetto la modificazione di un diritto reale, si svolge in un giudizio al quale debbono partecipare tutti i soggetti che per le rispettive quote ne sono titolari, ossia i condomini del precedente condominio complesso.

Cass. civ. n. 24930/2007

La mancanza di specifica contestazione circa la qualità di sostituto del sindaco nel vice-sindaco che, non indicando tale qualità, abbia sottoscritto la procura speciale alle liti, non produce l'invalidità e la conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione, stante la presunzione di legittimità che assiste il mandato al difensore, quale atto amministrativo operante nel processo, anche in ordine alla provenienza da soggetto capace a compierlo in nome e per conto dell'ente, senza che, d'altra parte, costituendo fatto interno dell'ente medesimo, spieghi rilevanza alcuna lo specifico motivo di impedimento del sindaco che giustifichi la funzione vicaria del vice-sindaco, restando così l'atto del sostituto formalmente legittimo e sottratto al sindacato dell'autorità giudiziaria ordinaria.

Cass. civ. n. 20596/2007

In tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l'onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l'ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l'organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall'atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l'onere di riscontrare l'esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all'effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa. (Nella specie, le Sezioni unite, con riferimento ad un ricorso per regolamento di competenza, hanno disatteso l'eccezione di inammissibilità avanzata dai controricorrenti relativa alla invalidità della procura rilasciata dalla società ricorrente per assunto difetto di legittimazione alla rappresentanza processuale della persona fisica che l'aveva conferita, siccome rimasta priva di prova e risultata comunque formulata solo con la memoria di cui all'art. 47 c.p.c., depositata, però, tardivamente).

Cass. civ. n. 17921/2007

Ogni ente si immedesima nell'organo cui la legge o lo statuto conferisce la rappresentanza, sicché un diverso organo dell'ente, privo del potere processuale, non è legittimato a stare in giudizio per l'ente stesso. In particolare, in tema di associazioni non riconosciute, nel cui ambito vanno compresi anche i partiti politici, la legittimazione processuale spetta a chi è conferita la presidenza o la direzione, secondo gli accordi degli associati, come disposto dall'art. 36 c.c. (Nel caso di specie, in applicazione del riportato principio, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva dichiarato l'improponibilità dell'opposizione proposta da persona che non era né il presidente né altra persona qualificata dagli atti di autonomia interna dell'ente (Partito Democratico della Sinistra) come soggetto cui era attribuita la presidenza o la direzione del partito ai sensi dell'art. 36 c.c.).

Cass. civ. n. 15939/2007

In tema di capacità processuale del curatore fallimentare, l'autorizzazione del giudice delegato a stare in giudizio ai sensi dell'art. 25 comma 1 n. 6 legge fall. può essere concessa anche dopo la decorrenza del termine per proporre impugnazione ed ha efficacia sanante ex tunc purchè sia rilasciata nel corso del processo, sempre che il giudice non abbia già dichiarato la inammissibilità del gravame. (Nella fattispecie la S.C. ha negato la sussistenza del difetto di capacità processuale del curatore, in virtù della autorizzazione del giudice delegato intervenuta — unitamente alla nomina del difensore — anteriormente alla udienza di precisazione delle conclusioni e sia pur prodotta nel giudizio di appello solo in sede di discussione, essendo la regolarizzazione e la integrazione degli atti mancanti o difettosi oggetto di un principio generale di favor avanti ai giudici di merito che invero ne consente all'art. 182 c.p.c. la disposizione anche d'ufficio).

Cass. civ. n. 14260/2007

L'autorizzazione del consiglio d'amministrazione di un ente al presidente ad agire o resistere in giudizio, che concorre ad integrare la capacità processuale dell'ente medesimo, costituendo una condizione dell'azione, può intervenire per tutto il corso del processo, con effetto retroattivo, salvo sia intervenuto sul punto il giudicato e purché contenga la volontà espressa di ratificare e sia depositata, qualora intervenga nella fase del giudizio di cassazione, unitamente al ricorso e non successivamente ai sensi dell'art. 372 c.p.c., la cui previsione è limitata alle ipotesi di nullità della sentenza.

Cass. civ. n. 6994/2007

I professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività non trasferiscono per ciò solo all'associazione tra loro costituita la titolarità del rapporto di prestazione d'opera, ma conservano la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente, sicché non sussiste una legittimazione alternativa del professionista e dello studio professionale.

Cass. civ. n. 5353/2007

L'autorizzazione necessaria perché un ente pubblico possa agire o resistere in giudizio, emessa dall'organo collegiale competente, e della quale l'organo rappresentante l'ente pubblico deve essere munito, attiene alla legittimatio ad processum ossia all'efficacia e non alla validità della costituzione stessa, sicché essa può intervenire ed essere prodotta in causa anche dopo che sia scaduto il termine per l'impugnazione, con efficacia convalidante dell'attività processuale svolta in precedenza, sempre che il giudice di merito non abbia già rilevato il difetto di legittimazione processuale, ossia l'irregolarità della costituzione del rappresentante dell'ente pubblico, traendone come conseguenza l'invalidità degli atti compiuti.

Cass. civ. n. 26744/2006

La società di persone, anche se sprovvista di personalità giuridica, costituisce un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia capacità processuale, sicché legittimato ad agire in giudizio per gli interessi della società e per far valere diritti, ovvero per contestare eventuali obblighi ascritti alla stessa, è esclusivamente il soggetto che, rivesta la qualità di legale rappresentante.

Cass. civ. n. 24298/2006

Premesso che la persona fisica che si costituisce in giudizio per conto di una società dotata di personalità giuridica ha l'onere di allegare la qualità di legale rappresentante della società — assumendo rilevanza la prova di tale qualità solo nel caso che la stessa sia contestata dalla controparte —, tale allegazione, mentre può ritenersi implicita qualora si deduca di ricoprire la qualità di organo amministrativo della società (trattandosi di veste astrattamente idonea alla rappresentanza in giudizio della persona giuridica), deve essere, invece, esplicita — anche senza necessità di indicare la fonte del potere rappresentativo — nel caso di costituzione in giudizio di chi dichiari di rivestire la qualità di direttore generale della società. Il direttore generale, infatti, costituisce un organo con compiti di direzione interna, dotato del potere di rappresentare la società, anche processualmente, nei rapporti esterni con effetti vincolanti soltanto se sussiste, in tal senso, una specifica attribuzione statutaria, oppure un conferimento negoziale da parte dell'organo amministrativo, ovvero ancora se tale potere deriva dalla natura dei compiti affidatigli. Ne consegue che, in mancanza di tale esplicita allegazione, il ricorso per cassazione proposto dal direttore generale della società deve essere dichiarato inammissibile.

Cass. civ. n. 21811/2006

Qualora la società in liquidazione promuova il giudizio per mezzo del precedente amministratore, ormai privo di poteri rappresentativi, il vizio che ne consegue concerne la capacità processuale della medesima società, in quanto relativo alla titolarità del potere di proporre la domanda e non alla legittimazione ad agire (ossia al prospettarsi come titolare del diritto azionato) e, pertanto, ad un difetto di legittimazione processuale. Il vizio può essere sanato in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della spontanea costituzione del soggetto dotato dell'effettiva rappresentanza dell'ente stesso, ossia il liquidatore, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator. La sanatoria non può essere impedita dalla previsione dell'art. 182 c.p.c., secondo cui sono fatte salve le decadenze già verificatesi, perché questo limite attiene alle decadenze sostanziali (sancite cioè per l'esercizio del diritto e dell'azione: art. 2964 ss. c.c.) e non a quelle che si esauriscono nel processo.

Cass. civ. n. 21574/2006

La delibera dell'organo collettivo di un'associazione, richiesta per patto statutario, affinché il presidente dell'ente, cui per legge compete la legitimatio ad processum possa agire o resistere in giudizio, concorre ad integrare la capacità processuale dell'ente e costituisce una condizione di efficacia degli atti processuali posti in essere, la quale può intervenire, con effetti retroattivi, anche in un momento successivo alla proposizione del giudizio (e perciò anche in relazione alla fase del giudizio di cassazione) senza che si rendano quindi rilevanti eventuali preclusioni determinate dallo svolgimento del processo, salvo che sul punto sia intervenuto il giudicato (nella fattispecie il verbale del consiglio di amministrazione del consorzio ricorrente, attestante la volontà di ratificare gli atti posti in essere dal presidente dell'ente, era stato depositato, ai sensi dell'art.372 c.p.c., nel giudizio di cassazione).

Cass. civ. n. 13412/2006

Nell'ambito della regione Sicilia, avente competenza legislativa esclusiva sull'ordinamento degli enti locali (art. 14, lett.p, dello Statuto), il Sindaco, per agire o resistere in giudizio in rappresentanza del Comune, doveva essere autorizzato con deliberazione della Giunta municipale, vigente la legge reg. Sicilia n. 16 del 1963 ed anche dopo l'entrata in vigore del nuovo ordinamento delle autonomie locali, introdotto dalla legge statale n. 142 del 1990, i cui artt. 35 e 36 erano stati recepiti dall'art. 1 della legge regione Sicilia n. 48 del 1991, con disciplina non modificata dalla successiva legge reg. Sicilia n. 26 del 1993. Successivamente, sebbene non sia stato ancora emanato il testo coordinato delle leggi regionali relative all'ordinamento degli enti locali, previsto dall'art. 26 della legge reg. Sicilia n. 30 del 2000, la nuova normativa regionale in tema di ripartizione delle competenze in conformità alla distinzione tra organi di indirizzo e di controllo pubblico-amministrativo ed organi responsabili dell'ente della gestione amministrativa dei suoi servizi (art. 1 legge reg. Sicilia n. 48 del 1991, art. 13 legge reg. Sicilia n. 7 del 1992, art. 41, comma 20, legge reg. Sicilia n. 26 del 1993), in linea con l'intervenuta modifica del titolo V della Costituzione e la sopravvenuta legge n. 131 del 2003, nonché con il nuovo quadro delle competenze degli organi del comune, già delineato dalla legge statale n. 142 del 1990 e completato dalle disposizioni successive sino al T.U. approvato con D.L.vo n. 267 del 2000, ha profondamente innovato le precedenti attribuzioni della giunta municipale, più non includendo fra le sue competenze le delibere aventi ad oggetto le autorizzazioni alla proposizione delle liti attive e passive, che, quale atto gestionale e tecnico, non necessita più anche per i comuni della Regione siciliana dell'autorizzazione giuntale (come anche confermato dalle leggi regionali nn. 23 e 39 del 1997, che hanno sostituito l'originario tenore dell'art. 15 della legge reg. Sicilia n. 44 del 1991, in tema di materie di competenza della Giunta soggette o meno al controllo di legittimità, fra le quali non è inclusa l'autorizzazione al sindaco o ai dirigenti a stare in giudizio in nome e per conto del comune).

Cass. civ. n. 12109/2006

L'autorizzazione della giunta municipale al sindaco di un comune a proporre una domanda o a resistere in giudizio, senza alcuna limitazione al giudizio di primo grado, abilita il sindaco implicitamente anche alla proposizione dell'appello ove il giudizio abbia avuto un esito sfavorevole al Comune, in conformità al principio generale secondo il quale la procura speciale al difensore, rilasciata in primo grado «per il presente giudizio» (o processo, causa, lite etc.), senza alcuna indicazione delimitativa, esprime la volontà della parte di estendere il mandato all'appello, quale ulteriore grado in cui si articola il giudizio stesso, così superando la presunzione di conferimento solo per detto primo grado, ai sensi dell'art. 83 ultimo comma c.p.c. (Nella specie, relativa alla delibera di incarico della Giunta municipale a «chiamare in giudizio» una USL per il recupero di somme corrisposte a un fornitore, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile l'appello per carenza di legittimazione processuale dell'ente, perchè la delibera non conteneva alcun riferimento ad eventuali giudizi di appello).

Cass. civ. n. 7886/2006

Nelle società di persone, l'unificazione della collettività dei soci (che si manifesta con l'attribuzione alla società di un nome, di una sede, di un'amministrazione e di una rappresentanza) e l'autonomia patrimoniale del complesso dei beni destinati alla realizzazione degli scopi sociali (che si riflette nell'insensibilità, più o meno assoluta, di fronte alle vicende dei soci e nell'ordine, più o meno rigoroso, imposto ai creditori sociali nella scelta dei beni da aggredire) costituiscono un congegno giuridico volto a consentire alla pluralità (dei soci) una unitarietà di forme di azione e non valgono anche a dissolvere tale pluralità nell'unicità esclusiva di un ens tertium. Pertanto, mentre sul piano sostanziale va esclusa, nei rapporti interni, una volontà od un interesse della società distinto e potenzialmente antagonista a quello dei soci, sul piano processuale è sufficiente, ai fini di una rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti della società, la presenza in giudizio di tutti i soci, facendo poi stato la pronuncia, nei confronti di questi emessa, anche nei riguardi della società stessa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che la proposizione della domanda di annullamento di un atto di cessione delle quote sociali intervenuto tra i soci di una società in nome collettivo richiedesse l'instaurazione del contraddittorio anche nei confronti della società).

Cass. civ. n. 3052/2006

La domanda proposta nei confronti di una ditta individuale deve ritenersi intentata, ai fini della legittimazione passiva, contro la persona fisica del suo titolare, in quanto la ditta non ha soggettività giuridica distinta ma si identifica con il titolare sotto l'aspetto sia sostanziale che processuale. In particolare, nell'ambito di un rapporto di lavoro intercorso con un'impresa individuale, nei confronti del lavoratore il soggetto datoriale è, ai sensi dell'art. 2094 c.c., colui alle cui dipendenze e sotto la cui direzione la prestazione è svolta.

Cass. civ. n. 24594/2005

Il difetto di legittimazione, attiva e passiva, è rilevabile anche d'ufficio, in quanto attinente alla regolare costituzione del contraddittorio, per cui resta del tutto ininfluente che la questione sia stata o meno sollevata dalla controparte, o da una sola tra più controparti, ed in quali termini. La questione relativa alla legittimazione, peraltro, si distingue dall'accertamento in concreto che l'attore ed il convenuto siano, dal lato attivo e passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio; tale ultima questione, infatti, concerne il merito della causa e deve formare oggetto di specifica censura in sede di impugnazione, non potendo essere sollevata per la prima volta in cassazione. Tale questione non è, pertanto, rilevabile d'ufficio, ma deve essere sollevata dalla parte interessata, che è anche onerata della relativa prova ex art. 2697 c.c.

Cass. civ. n. 15369/2005

La eccezionale legittimazione processuale suppletiva del fallito sussiste nel caso di inerzia dell'amministrazione fallimentare; ne consegue che tale legittimazione è ammissibile solo quando l'inerzia sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari e non anche quando consegua ad una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia (Nella specie la Corte Cass. ha escluso tale legittimazione, atteso che la curatela si era attivata per chiedere al giudice delegato, senza ottenerla, l'autorizzazione a proporre ricorso avverso la sentenza d'appello, relativa a pretese ereditarie del fallito, rispetto alle quali non poteva valere il riferimento al preteso «diritto personalissimo» dell'individuo a vedersi riconosciuta la qualità di erede, in quanto questione prospettata per la prima volta in sede di legittimità).

Cass. civ. n. 12868/2005

Nel nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all'azione, salva restando la possibilità per lo statuto comunale — competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio (ex art. 6, secondo comma, del testo unico delle leggi sull'ordinamento delle autonomie locali, approvato con il D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267) — di prevedere l'autorizzazione della giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente (ovvero, ancora, di postulare l'uno o l'altro intervento in relazione alla natura o all'oggetto della controversia). Ove l'autonomia statutaria si sia così indirizzata, l'autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza.

Cass. civ. n. 19528/2004

La mancanza iniziale di autorizzazione, da parte del giudice delegato, al curatore, perché svolga attività processuale (nella fattispecie: l'esperimento dell'azione revocatoria ex art. 64 legge fall.), essendo attinente all'efficacia di attività processuale svolta nell'esclusivo interesse del fallimento procedente, è suscettibile di sanatoria, con effetto ex tunc anche mediante successiva autorizzazione in corso di giudizio, sempre - però - che l'inefficacia degli atti non sia stata, nel frattempo, già accertata e sanzionata dal giudice. (Nella specie il giudice di primo grado aveva accertato la mancanza di legittimazione attiva del fallimento attore, non essendo stata depositata agli atti di quella fase del giudizio l'autorizzazione del giudice delegato, ed aveva quindi rigettato la domanda proposta dal fallimento; enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto che fosse maturata una preclusione alla possibilità, per il fallimento, di produrre nel giudizio di appello l'autorizzazione in questione e quindi di sanare l'originario vizio di rappresentanza).

Cass. civ. n. 18571/2004

Le articolazioni periferiche dell'Ente Ferrovie dello Stato, istituito con la legge 17 maggio 1985, n. 210, sono prive di soggettività giuridica, in quanto l'art. 20, nello stabilire che «gli uffici centrali e periferici devono essere dotati di un'ampia autonomia gestionale ed operativa» si limita a dettare un criterio direttivo idoneo ad ispirare l'organizzazione dell'ente, ma di per sé inidoneo a conferire a dette articolazioni periferiche autonoma soggettività, ed in quanto l'art. 5 prevede, per il riconoscimento ai dirigenti delle articolazioni periferiche della rappresentanza legale dell'ente, attribuita dalla disposizione al presidente, la necessità di una delibera del consiglio di amministrazione dell'ente stesso, che quella rappresentanza conferisca (nella specie ha trovato conferma davanti alla S.C. la decisione di merito con la quale era stata ritenuta nulla la citazione notificata per il giudizio di primo grado alla «FF.SS Spa coordinamento territoriale merci Sicilia in persona del legale rappresentante in Palermo» perché costituente mera articolazione periferica operativa della Spa Ferrovie dello Stato, e non essendo stata fornita al riguardo prova contraria).

Cass. civ. n. 18090/2004

Premesso che la persona fisica che si costituisce in giudizio per conto di una società dotata di personalità giuridica ha l'onere di allegare la sua qualità di legale rappresentante della società — assumendo rilevanza la prova di tale qualità solo nel caso che la stessa sia contestata dalla controparte —, tale allegazione, mentre può ritenersi implicita qualora si deduca di ricoprire la qualità di organo amministrativo della società (trattandosi di veste astrattamente idonea alla rappresentanza in giudizio della persona giuridica), deve essere, invece, esplicita — anche senza necessità di indicare la fonte del potere rappresentativo — nel caso di costituzione in giudizio di chi dichiari di rivestire la qualità di direttore generale della società. Il direttore generale, infatti, costituisce un organo con compiti di direzione interna, dotato del potere di rappresentare la società, anche processualmente, nei rapporti esterni con effetti vincolanti soltanto se sussista in tal senso una specifica attribuzione statutaria, oppure un conferimento negoziale da parte dell'organo amministrativo, ovvero ancora se tale potere derivi dalla natura dei compiti affidatigli.

Cass. civ. n. 17936/2004

L'autorizzazione a stare in giudizio è condizione di efficacia e non requisito di validità della costituzione in giudizio dell'ente pubblico, con la conseguenza che essa, sebbene intervenuta successivamente all'introduzione della causa, è idonea a sanare retroattivamente le irregolarità — non rilevate dal giudice — inficianti la pregressa fase del procedimento (nella fattispecie, relativa a controversia tributaria, la Suprema Corte, in base all'enunciato principio, ha rigettato il motivo di ricorso concernente l'originaria mancanza dell'autorizzazione della giunta comunale al sindaco a stare in giudizio, risultando dagli atti di causa che detta autorizzazione era stata successivamente concessa).

Cass. civ. n. 16069/2004

Ai sensi dell'art. 3 D.L.vo n. 502 del 1992, come modificato dall'art. 4 D.L.vo n. 517 del 1993, l'unità sanitaria locale è azienda dotata di personalità giuridica pubblica, autonomia amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica, non potendo essere pertanto rappresentata in giudizio dall'assessorato alla sanità della Regione, che è organo di altro ed autonomo soggetto.

Cass. civ. n. 12286/2004

Il difetto di legittimazione attiva o passiva è rilevabile, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio - e, dunque, anche in sede di legittimità, - salvo che sul punto non si sia formato il giudicato, atteso che esso attiene alla regolare instaurazione del contraddittorio e che i principi costituzionali di incondizionato accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti e del giusto processo risulterebbero lesi se l'osservanza delle relative disposizioni dipendesse esclusivamente dalla iniziativa di parte. (Nella specie, relativa alla declaratoria di improcedibilità per mancata autorizzazione del giudice delegato ex art. 167 legge fall., erroneamente applicata da parte del giudice d'appello in quanto sollevata da soggetto terzo rispetto ai soggetti della procedura di concordato, la Corte di cassazione ha rilevato d'ufficio il difetto della legittimazione della parte a sollevare l'eccezione.)

Cass. civ. n. 11506/2004

Le ordinarie preclusioni istruttorie non operano ai fini dell'accertamento della legittimazione processuale, che può essere compiuto dal giudice anche di ufficio.

Cass. civ. n. 9199/2004

In tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche che, ai sensi dell'art. 75 c.p.c., spetta al soggetto al quale è conferita a norma di legge o dello statuto, la capacita di agire o resistere in giudizio in nome e per conto delle società di capitali, essa è attribuita ai sensi del primo comma dell'art. 2384 c.c., agli amministratori che abbiano la rappresentanza esterna, salve peraltro le deroghe stabilite dall'atto costitutivo e dallo statuto, che sono senz'altro opponibili dai terzi, atteso che il principio di cui al comma 2 dell'art. 2384 c.c. — secondo cui le limitazioni del potere di rappresentanza risultanti dall'atto costitutivo o dallo statuto sono opponibili soltanto se si provi che i terzi abbiano agito intenzionalmente in danno della società — ha effetti limitati alla tutela dei terzi e per certi versi dell'onere gravante sull'amministratore di provare la sussistenza dei poteri spesi. (La Corte ha cassato la decisione impugnata che, nell'escludere — ai sensi dell'art. 2384 secondo comma c.c. — l'opponibilità, da parte dei terzi delle limitazioni del potere di rappresentanza degli amministratori risultanti dell'atto costitutivo e dello statuto, aveva ritenuto la capacità processuale dell'amministratore delegato della società opponente in virtù di delega del consiglio di amministrazione della società che gli aveva conferito i poteri di ordinaria amministrazione con rilevanza esterna, fra i quali rientravano quelli di agire o resistere in giudizio, nonostante che lo statuto li attribuisse soltanto al presidente).

Cass. civ. n. 8211/2004

Nelle Regioni a statuto ordinario, la costituzione con legge regionale di un servizio legale interno, cui venga istituzionalmente demandato il patrocinio e l'assistenza in giudizio della Regione (nella specie: art. 3 della legge della Regione Calabria 17 aprile 1984, n. 24), non comporta, nel silenzio della legge, la rinunzia della Regione stessa ad avvalersi del patrocinio facoltativo dell'Avvocatura dello Stato né configura una abrogazione tacita dell'art. 107 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Ad un tale riguardo anche nel caso in cui la Regione scelga di avvalersi, per la difesa in giudizio (non del proprio servizio legale ma), dell'Avvocatura dello Stato, deve trovare integrale applicazione la normativa statale sul suddetto patrocinio facoltativo: si applicano, quindi, l'art. 1, secondo comma, del R.D 30 ottobre 1933, n. 1611, richiamato dal successivo art. 45, in base al quale non è richiesto, per lo ius postulandi dell'Avvocato dello Stato, il rilascio del mandato, nonché l'art. 12 della legge 3 aprile 1979, n. 103, ai cui sensi l'Avvocato dello Stato non è onerato della produzione del provvedimento del competente organo regionale di autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in giudizio.

Cass. civ. n. 7066/2004

La mancanza di autorizzazione del curatore, da parte del giudice delegato, a stare in giudizio in nome e per conto del fallimento si risolve nel difetto di legittimazione processuale; il relativo vizio, pertanto, resta sanato quando venga successivamente conseguita e prodotta detta autorizzazione, e tale sanatoria opera retroattivamente, indipendentemente dal verificarsi di decadenze meramente processuali e con il solo limite dei diritti quesiti di natura sostanziale.

Cass. civ. n. 18651/2003

Il mutamento della persona fisica investita della rappresentanza processuale di una persona giuridica non incide sulla regolarità del procedimento iniziato in forza di procura rilasciata dal precedente rappresentante, in quanto non fa venir meno, retroattivamente, la regolarità del mandato ad litem a suo tempo conferito, essendo il conferimento atto riferibile all'ente e non della persona fisica che a suo tempo la rappresentava.

Cass. civ. n. 17360/2003

Nel vigore dell'ordinamento delle autonomie locali dettato dal D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, la legittimazione a promuovere giudizi in rappresentanza del Comune compete al sindaco (e, in caso di suo impedimento, al vicesindaco), poiché, ai sensi dell'art. 50, comma 2, del citato D.L.vo, soltanto il sindaco rappresenta il Comune, mentre detta legittimazione non spetta ai dirigenti dell'ente locale, nè in base all'art. 6, nè ai sensi dell'art. 107 del D.L.vo medesimo.

Cass. civ. n. 14813/2003

Qualora sia parte del processo una società, la persona fisica che, a norma di legge o di statuto, rappresenta la società ha conferito il mandato al difensore, ha l'onere di allegare ma non di provare tale sua qualità, spettando, invece, alla parte che contesta la sussistenza di detta qualità fornire la relativa prova negativa, anche nella ipotesi in cui la società sia costituita in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante, sempre che l'organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall'atto costitutivo o dallo statuto della società medesima. Ne consegue la nullità della procura qualora il direttore generale della società, organo al quale la legge non ricollega poteri rappresentativi, abbia rilasciato la procura al difensore senza indicare la qualità di legale rappresentante e senza dimostrare la fonte dei poteri rappresentativi, pur contestata da controparte.

Cass. civ. n. 14455/2003

In tema di rappresentanza sostanziale delle persone giuridiche, vige il principio secondo cui la legittimazione processuale - relativamente alla quelità dichiarata - va d'ufficio accertata dal giudice con riferimento all'astratta idoneità della veste del soggetto che agisca in nome e per conto dell'ente ad abilitarlo alla rappresentanza sostanziale nel processo. Ad un tale riguardo, nelle società per azioni il potere di rappresentanza spetta agli amministratori i quali possono conferirlo, in base allo statuto o alle determinazioni dell'organo deliberativo, anche a soggetti che siano preposti a un settore con poteri di rappresentanza sostanziale o inseriti con carattere sistematico nella gestione sociale o in un suo ramo. (La Corte, nel formulare il principio sopra richiamato, ha dichiarato inammissibile, per carenza di allegazione e di prova della rappresentanza sostanziale di coloro che avevano agito, il ricorso per cassazione proposto da una società per azioni in persona dei funzionari che, dichiarando di essere i suoi legali rappresentanti, avevano conferito la procura al difensore).

Cass. civ. n. 10563/2003

L'ammissibilità dell'atto difensivo (nella specie il controricorso nel giudizio di cassazione) posto in essere prodotto da una persona fisica in nome e per conto di una società non può essere messa in discussione sotto il profilo del difetto del potere di rappresentanza, una volta che quella persona fisica abbia esercitato tale potere nelle pregresse fasi del processo, senza opposizione della controparte, che abbia anzi preso posizione sulle altre questioni, sì da realizzare un impulso processuale idoneo alla pronuncia, impostando un sistema difensivo fondato su circostanze logicamente incompatibili con il disconoscimento del potere rappresentativo.

Cass. civ. n. 8827/2003

Qualora la capacità di stare in giudizio in rappresentanza del figlio minore venga meno per il raggiungimento della maggiore età da parte di quest'ultimo dopo la pubblicazione della sentenza, l'impugnazione va proposta nei confronti dell'ex minore divenuto maggiorenne (e notificata presso il suo domicilio reale) e non nei confronti dei genitori (ovvero del figlio rappresentato dai genitori). Da tanto deriva che, qualora l'impugnazione venga proposta nei confronti dei genitori, l'atto è nullo per erronea identificazione del soggetto passivo della vocatio in ius ai sensi dell'art. 164, primo comma, c.p.c., e ne va disposta d'ufficio la rinnovazione ai sensi del secondo comma del citato art. 164, nel testo novellato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353 (se la controversia non era già pendente alla data del 30 aprile 1995 e salvo, nell'ipotesi che lo fosse, il possibile dubbio di costituzionalità in relazione alla mancata previsione della remissione in termini in caso di ignoranza del tutto incolpevole).

Cass. civ. n. 6772/2003

A seguito della soppressione e messa in liquidazione di un Consorzio di bonifica, ai sensi della legge della Regione siciliana 25 maggio 1995, n. 45, il commissario liquidatore cumula le funzioni deliberative e quelle di amministrazione, e, pertanto, non abbisogna di autorizzazione a stare in giudizio ed a rilasciare la procura al difensore, in quanto l'esigenza dell'autorizzazione medesima, correlandosi al potere di controllo dell'assemblea dei consorziati sull'organo di gestione, viene meno per effetto di detta coincidenza di attribuzioni.

Cass. civ. n. 6297/2003

In tema di rappresentanza, la ratifica dell'atto del falsus procurator con efficacia retroattiva non opera nel campo processuale e, in ipotesi di procura alle liti, fuori del caso previsto dall'art. 125 c.p.c., non vale a sanare le decadenze nel frattempo intervenute. Ne consegue che, nell'ipotesi di appello incidentale proposto da soggetto privo della rappresentanza legale di una società, la successiva regolarizzazione della costituzione in giudizio e del mandato alle liti ha efficacia ex nunc ex art. 182 c.p.c. e non sana la decadenza nel frattempo intervenuta ex artt. 333 e 343 c.p.c., né impedisce il formarsi del giudicato parziale, a nulla rilevando che il termine lungo di cui all'art. 327 dello stesso codice non si ancora spirato.

Cass. civ. n. 5328/2003

La rilevabilità del difetto di legittimazione processuale, pur rientrando tra le questioni rilevabili anche d'ufficio dal giudice, deve essere coordinata con il sistema processuale vigente, introdotto dalla novella n. 353 del 1990 con le modifiche di cui alla legge n. 354 del 1995, e con le preclusioni da esso introdotte, per cui esso dovrebbe poter essere rilevato in primo grado non oltre l'udienza di trattazione, e in appello l'assenza di poteri rappresentativi può essere inserita nei motivi di appello. Ne consegue che, in difetto di una tempestiva contestazione all'interno dei due momenti processuali sopra indicati, e qualora il giudice di merito non abbia ritenuto di chiedere d'ufficio, ad una delle parti, la giustificazione dei poteri rappresentativi in capo alla persona che ha rilasciato la procura ad litem, la questione non è proponibile per la prima volta con il ricorso per cassazione

Cass. civ. n. 2878/2003

La legittimazione a promuovere giudizi in rappresentanza dell'ente Comune compete in via primaria al sindaco e può spettare al segretario generale, nella sua qualità di dirigente di ufficio dirigenziale generale, solo in quanto tale potestà sia stata a lui attribuita dal sindaco medesimo, o derivi da una norma dello statuto o del regolamento dell'ente locale; siffatta legittimazione non compete, invece, al dirigente titolare della direzione di uffici o servizi ex art. 107, comma secondo, D.L.vo n. 267 del 2000, in quanto le attribuzioni previste da quest'ultima norma, l'art. 50, comma secondo, di detto decreto — che riserva al sindaco il potere-dovere di rappresentare l'ente — nonchè il D.L.vo n. 165 del 2001 — che conferisce ai soli dirigenti delle istituzioni scolastiche la legale rappresentanza dell'ente al quale sono preposti (art. 25) — impongono di escludere che un identico potere spetti ai dirigenti del Comune. Inoltre, il D.L.vo n. 267 del 2000, attribuendo in via esclusiva al sindaco la rappresentanza anche giudiziale del Comune, prevedendo che lo statuto può disciplinare i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio (art. 6), permette di stabilire il regime delle autorizzazioni a promuovere o resistere in giudizio, non anche di individuare i soggetti che possono rappresentare il comune in giudizio; conseguentemente, è illegittimo e deve essere disapplicato il regolamento comunale che, in contrasto con detto decreto legislativo, attribuisce al dirigente comunale preposto ad un settore o ad un ufficio il potere di rappresentare in giudizio il comune.

Cass. civ. n. 173/2003

A norma dell'art. 21 legge n. 59 del 1997 le istituzioni scolastiche acquisiscono la personalità giuridica a mano a mano che abbiano raggiunto i requisiti prescritti dal medesimo articolo, mentre l'art. 4 del D.P.R. n. 233 del 1998 prevede il riconoscimento dell'autonomia alle singole istituzioni scolastiche, nonchè il riconoscimento della personalità giuridica a quelle che ne fossero prive, con provvedimenti dei dirigenti dell'amministrazione scolastica periferica, con la conseguenza che le istituzioni predette non conseguono la personalità giuridica ipso iure, ma solo con provvedimento formale previo accertamento della ricorrenza dei requisiti prescritti; in mancanza di tale atto formale, la scuola statale non ha una propria legitimatio ad processum, svincolata dalla rappresentanza ed assistenza erariali.

Cass. civ. n. 16076/2002

In tema di associazioni non riconosciute, stabilire se una struttura organizzativa locale che fa capo ad un'associazione avente carattere nazionale costituisca un organo di quest'ultima, ovvero sia invece, a sua volta, un'associazione munita di autonoma legittimazione negoziale e processuale, configura una questione che non attiene alla legittimatio ad causam — esaminabile quest'ultima dal giudice d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio — bensì alla titolarità attiva o passiva del rapporto dedotto in giudizio, che involge un accertamento di fatto, da condurre sulla scorta dello statuto dell'associazione, che attiene al merito della lite e non può essere sollevata, per la prima volta, in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 10285/2002

La rappresentanza processuale attiva e passiva dell'Enel, che l'art. 14 dello statuto dell'ente, approvato con D.P.R. 21 dicembre 1965, n. 1720, conferisce al direttore di compartimento nell'ambito della circoscrizione territoriale e in relazione agli affari di sua competenza, deve ritenersi automaticamente estesa al vice direttore di compartimento per il caso di assenza o impedimento del primo, integrando ciò una conseguenza naturale dell'attribuzione a detto vice direttore della qualità di vicario per l'espletamento, sia pure in via secondaria e con il ruolo di supplenza, delle stesse funzioni del titolare dell'ufficio. Ne consegue la validità ed efficacia della procura ad litem predisposta dal direttore compartimentale e poi, per impedimento di quest'ultimo, sottoscritta dal vice direttore, a nulla rilevando la diversità delle persone fisiche intervenute nell'attività negoziale, essendo esse parimenti organo rappresentativo dell'ente in base al cosiddetto rapporto organico.

Cass. civ. n. 8327/2002

In relazione alla rappresentanza in giudizio delle persone giuridiche, il principio che il giudice ha l'obbligo di accertare, anche d'ufficio e in sede di impugnazione, la legittimazione processuale, comporta che egli deve verificare se il soggetto che agisce per l'ente dichiara di agire in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza del giudizio, non anche che il giudice è tenuto, di sua iniziativa, a svolgere accertamenti in ordine all'effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, avendo quest'ultimo l'onere di provare la qualità allegata solo in caso di contestazione della controparte; la tempestività di tale contestazione va valutata in relazione al momento in cui la suddetta controparte ha avuto certezza della carenza di prove in ordine alla qualità di rappresentante allegata dal suo contraddittore. (Nella specie la Corte ha ritenuto non tempestiva la contestazione intervenuta per la prima volta in sede di conclusioni in appello).

Cass. civ. n. 2859/2002

L'organo rappresentativo di un ente pubblico non territoriale può stare in giudizio senza necessità di autorizzazione da parte dell'organo deliberante (ove esistente), salva diversa, specifica previsione legale o statutaria (fattispecie relativa all'Azienda per l'Edilizia Residenziale di Treviso).

Cass. civ. n. 15603/2001

L'ammissibilità del ricorso per cassazione, proposto dal Sindaco in rappresentanza del Comune, non resta esclusa per il fatto che la deliberazione della Giunta municipale, autorizzativa di tale impugnazione, sia intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso, posto che detta autorizzazione può intervenire, con effetto sanante ex tunc, fino all'udienza di discussione della causa. (Nella specie l'autorizzazione della Giunta era stata deliberata anteriormente alla notifica del controricorso e depositata in cancelleria).

Cass. civ. n. 13881/2001

L'autorizzazione a stare in giudizio è condizione di efficacia e non requisito di validità della costituzione in giudizio dell'ente pubblico e può, quindi, intervenire anche nel corso del giudizio, sanando retroattivamente le irregolarità inficianti la precorsa fase del procedimento stesso; pertanto, qualora l'atto di citazione in appello proposta da un'amministrazione comunale sia stato notificato prima del decorso del termine di dieci giorni dalla pubblicazione, previsto dall'art. 47, secondo comma della legge n. 142 del 1990 per l'esecutività delle delibere della Giunta municipale, il compimento del medesimo nel corso del processo sana retroattivamente la precedente irregolarità del giudizio.

Cass. civ. n. 10160/2001

Ai sensi dell'art. 3, terzo comma, del D.L.vo 30 giugno 1994, n. 479, la rappresentanza legale dell'INPDAP spetta al presidente, mentre tra le funzioni del consiglio di amministrazione non è più compresa quella di autorizzazione a stare in giudizio, prevista invece dall'art. 5, lett. d), R.D. 20 dicembre 1928, n. 3239 per il soppresso INADEL; pertanto, il presidente legittimamente rappresenta l'istituto in giudizio, sia attivamente che passivamente, ed altrettanto legittimamente conferisce mandato al difensore, senza necessità di alcuna autorizzazione dell'organo collegiale.

Cass. civ. n. 9838/2001

La delibera di autorizzazione a stare in giudizio, richiesta dalla legge per gli enti pubblici, se prodotta nel corso del giudizio, rende regolare il contradditorio e ratifica l'attività svolta dal difensore, a meno che il giudice di merito non abbia già rilevato la mancanza del presupposto processuale, traendone le debite conseguenze in ordine alla invalidità dell'atto compiuto, in mancanza della delibera e con il limite della formazione del giudicato, sulla questione sostanziale dedotta, che preclude la proposizione o la riproposizione della relativa questione, conseguendone che la produzione della delibera, nel prosieguo del giudizio dopo una sentenza di appello non definitiva che, senza decidere nel merito della controversia, aveva dichiarato la contumacia dell'ente per la mancata produzione, regolarizza la costituzione in giudizio e rende ammissibile l'eccezione di prescrizione del credito azionato dalla controparte.

Cass. civ. n. 186/2001

Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali (artt. 36 e 35, secondo comma, della legge 8 giugno 1990, n. 142, poi trasfusi negli artt. 48, secondo comma, e 50, secondo e terzo comma, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267), competente a conferire al difensore del comune la procura alle liti è il sindaco, non essendo necessaria l'autorizzazione della giunta municipale, atteso che al sindaco è attribuita la rappresentanza dell'ente, mentre la giunta comunale ha una competenza residuale, sussistente cioè soltanto nei limiti in cui norme legislative o statutarie non la riservino al sindaco.

Cass. civ. n. 5079/2001

La normativa della regione siciliana successiva alla legge statale n. 142 del 1990 sull'ordinamento delle autonomie locali, pur avendo recepito — con la legge regionale n. 48 del 1991 — la disposizione della normativa statale che attribuisce alle giunte municipali la competenza residuale ad adottare tutti gli atti non riservati ad altri organi comunali (art. 35 della citata legge n. 142 del 1990, come modificato dall'art. 17, legge n. 81 del 1993), prevede tuttavia una competenza residuale anche dei sindaci, ai quali viene attribuita la competenza su tutte le materie non riservate alle giunte municipali, fra le quali non sono comprese le autorizzazioni a stare in giudizio (art. 13, legge regionale n. 7 del 1992, come modificato dall'art. 41, legge regionale n. 26 del 1993); ne consegue che al sindaco è attribuito il potere di agire e resistere in giudizio, senza che, pertanto, la mancata autorizzazione della giunta municipale comporti il difetto di un presupposto processuale per la regolare costituzione del rapporto nei giudizi intrapresi direttamente dal sindaco per conto del comune.

Cass. civ. n. 4785/2001

L'autenticazione, apposta dal difensore in calce alla procura alle liti, fa fede della provenienza dell'atto da colui che ne appare l'autore, ma non della legittimazione processuale di quest'ultimo. Ne consegue che è invalida la costituzione in un giudizio di una società commerciale, ove — a fronte di specifica eccezione in tal senso — non sia dimostrata la sussistenza di potere rappresentativo in capo alla persona che ha conferito il mandato alle liti per conto della società stessa, a nulla rilevando che la suddetta persona sia indicata nella procura alle liti come “dirigente”.

Cass. civ. n. 4432/2001

Per il disposto dell'art. 2 del D.L.vo del Capo provvisorio dello Stato 13 maggio 1947, n. 438 (che regola la composizione e la competenza degli organi amministrativi dell'INAIL) la rappresentanza legale di detto ente spetta al suo presidente, il quale, sentito il consiglio di amministrazione può delegale l'anzidetto potere amministrativo o l'esercizio di particolari attribuzioni ad altri organi dell'istituto. Nel caso di giudizio promosso dall'INAIL in persona del direttore pro-tempore di una sede provinciale, questi è tenuto a dare la prova della delega per potere rappresentativo essendo, in difetto, inammissibile la domanda.

Cass. civ. n. 3867/2001

In ordine alla documentazione del potere di rappresentanza, è necessario che la controparte sia posta in grado di conoscere la fonte del potere e di contestarlo; a tal fine il rappresentante, che agisca come organo della persona giuridica, non ha l'onere di produrre con il mandato ad litem l'atto di conferimento del suo potere, bensì, ove questo sia contestato, ha l'onere di indicare l'atto di conferimento, in modo da consentire l'eventuale prova contraria.

Cass. civ. n. 2655/2001

Qualora una società commerciale, tanto in veste di attrice, quanto di convenuta, sia stata esattamente identificata nei suoi elementi essenziali - tra i quali particolarmente la denominazione, e, all'occorrenza, la sede -, l'individuazione dell'organo che ne abbia la rappresentanza in giudizio non può costituire oggetto di indagine da parte del giudice ove la controparte non abbia dedotto, né dagli atti risulti, alcun elemento idoneo a dimostrare la mancanza, in chi ha conferito la procura alle liti, del relativo potere in base all'ordinamento interno dell'ente.

Cass. civ. n. 2333/2001

Il principio che la rappresentanza processuale del minore da parte del genitore si protrae dopo il raggiungimento della maggiore età, in mancanza di dichiarazione, notificazione o comunicazione dell'evento, vale se non vi è necessità di rinnovare la procura ad litem; ma, se per qualsiasi motivo sorge una tale necessità (nella specie a seguito di decesso del procuratore), viene meno la ragione giustificatrice del principio, da individuare nell'ultrattività della procura, e cessa la rappresentanza processuale del genitore.

Cass. civ. n. 2144/2001

In tema di legittimazione attiva e passiva nei giudizi in cui siano parti amministrazioni dello Stato, pur essendo indubbia l'unicità del soggetto al quale si riferisce l'azione di dette amministrazioni, al suo interno si distinguono i vari settori e sfere di azione e le rispettive competenze, che danno luogo a distinti centri di interesse, con la conseguenza che la legittimazione a stare in giudizio spetta agli organi delle amministrazioni di volta in volta istituzionalmente preposte a svolgere la singola attività di cui si tratta, senza che assuma rilievo in contrario la circostanza che l'art. 4 della legge 25 marzo 1958, n. 260 abbia previsto, nella ipotesi di procedimenti promossi da privati nei confronti di amministrazioni statali, che l'erronea indicazione dell'organo competente a stare in giudizio, comporta una nullità relativa sanabile, peraltro limitatamente al solo momento della instaurazione del giudizio. Tuttavia, qualora l'amministrazione impugnante appaia diversa da quella costituita in primo grado, il giudice del merito, al fine di decidere circa la validità dell'impugnazione, non può omettere di valutare gli elementi che rendono riconoscibile l'eventuale errore materiale nella stesura dell'atto di impugnazione. (Nella specie, il giudice di secondo grado aveva dichiarato inammissibile, in quanto proposto dal Ministero del Lavoro, considerato terzo rispetto alla vicenda processuale, l'appello avverso la decisione, emessa nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione e di quello delle Finanze, convenuti nel giudizio di primo grado, relativa alla determinazione del canone di locazione di un immobile acquistato dal primo a titolo di proprietà demaniale come immobile di interesse storico e artistico; la S.C., alla stregua del principio di cui alla massima, ha annullato tale sentenza, emessa nonostante la deduzione, all'udienza di trattazione, dell'errore materiale contenuto nella intestazione dell'atto di appello, in cui figurava quale impugnante il Ministero del Lavoro).

Cass. civ. n. 96/2001

Anche prima del nuovo ordinamento delle autonomie locali, le aziende municipalizzate costituivano una struttura dotata di una propria autonomia organizzativa distinta da quella pubblicistica del Comune, che svolgevano la loro attività economica con modalità e strumenti tipicamente imprenditoriali da esse equiparati agli enti pubblici economici. Ne deriva che va affermata la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie relative alla revisione dei prezzi di appalto, che resta disciplinata dall'art. 1664 c.c. e non dalla normativa dettata per gli appalti di opere pubbliche (fattispecie relativa alle aziende municipalizzate esercenti servizi di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani).

Cass. civ. n. 14549/2000

Le ambasciate o rappresentanze diplomatiche sono organi esterni dello Stato cui appartengono e i loro titolari (ambasciatori o agenti diplomatici) hanno la funzione di rappresentare ad ogni effetto il proprio Stato presso quello straniero dove sono accreditati non esaurendosi la loro attività nel campo strettamente politico e pubblico, ma estendendosi altresì — senza che vi osti alcuna norma di diritto internazionale — ad ogni altro campo, compreso quello privatistico, nel quale sia necessario tutelare gli interessi dello Stato rappresentato. Ne consegue che l'ambasciatore è legittimato, in quanto tale, a rappresentare il proprio Stato nei giudizi in cui questo sia parte, ancorché relativi a rapporti privatistici, senza bisogno di alcun atto autorizzativo particolare, svolgendosi il potere rappresentativo attraverso un rapporto di compenetrazione organica. (Nella specie nel giudizio di primo grado era stata convenuta in giudizio un'ambasciata presso lo Stato italiano, rimasta contumace, e la sentenza era stata appellata allo Stato estero, agendo attraverso il suo ambasciatore e facendo valere la nullità del ricorso introduttivo sia per difetto di soggettività giuridica dell'ambasciata, sia per violazione dei termini a comparire; il giudice d'appello aveva ritenuto legittimo l'ambasciatore in quanto tale, dichiarando la nullità del ricorso introduttivo per violazione dei termini, e inammissibile l'atto di appello con riferimento allo Stato estero, qualificato come intervento del terzo; la S.C., a seguito del ricorso per cassazione proposto dallo Stato estero, ha dichiarato inammissibile il ricorso stesso — peraltro correggendo la motivazione della sentenza impugnata — stante l'unicità del soggetto giuridico e la sua non soccombenza).

Cass. civ. n. 12574/2000

La società che sta in giudizio a mezzo di soggetto che non ne ha la rappresentanza per atto costitutivo o per statuto, finché questi non venga delegato da colui che invece ha tale rappresentanza, è da dichiarare contumace. Né la ratifica, da parte del rappresentante, della procura al difensore per difendere la società in giudizio, conferita dal predetto soggetto sprovvisto di potere di rappresentanza, costituisce atto idoneo a conferire la legittimazione processuale a chi ne è privo.

Cass. civ. n. 8760/2000

Le ordinarie preclusioni relative all'acquisizione del materiale probatorio occorrente per la decisione della causa non operano ai fini dell'acquisizione delle produzioni relative alla legittimazione processuale, le quali possono essere compiute in ogni stato e grado del giudizio, col solo limite della formazione sul punto della cosa giudicata. (In base al suddetto principio la S.C., in una causa governata dal rito del lavoro, ha ritenuto di esaminare la questione relativa al difetto di legittimazione processuale della persona che aveva conferito il mandato al difensore delle FF.SS. Spa per il ricorso in appello, accogliendo il relativo motivo di ricorso per cassazione e cassando senza rinvio la sentenza impugnata).

Cass. civ. n. 8493/2000

Legittimato a stare in giudizio nella causa avente ad oggetto la proprietà di un immobile è soltanto il proprietario. Ne consegue che, se al momento della introduzione del giudizio avente tale oggetto, il convenuto non ha (ancora) la titolarità del bene, in difetto dei relativi poteri, egli non può conferire ad altri la rappresentanza a stare in giudizio in suo nome e per suo conto. E, poiché il difetto non attiene ai poteri del rappresentante, ma alla titolarità del diritto in capo al rappresentante, la ratifica dell'attività svolta dal rappresentante non vale a sanare il vizio, che trae origine dal difetto dei poteri del rappresentato.

Cass. civ. n. 7891/2000

Il condominio non è un soggetto giuridico dotato di propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte, bensì un semplice ente di gestione, il quale opera in rappresentanza e nell'interesse comune di partecipanti, limitatamente all'amministrazione e al buon uso della cosa comune, senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condomino. Ne deriva che l'amministratore per effetto della nomina ex art. 1129 c.c. ha soltanto una rappresentanza ex mandato dei vari condomini e che la sua presenza non priva questi ultimi del potere di agire personalmente a difesa dei propri diritti, sia esclusivi che comuni, costituendosi personalmente anche in grado di appello per la prima volta, senza che spieghi influenza, in contrario, la circostanza della mancata partecipazione al giudizio di primo grado instaurato dall'amministratore.

Cass. civ. n. 560/2000

Per gli enti pubblici, la mancanza della deliberazione autorizzativa a stare in giudizio incide in via generale sulla legittimazione processuale, ed è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio. Con particolare riferimento agli Istituti autonomi case popolari, peraltro, è da ritenere valida la costituzione in giudizio a seguito di procura rilasciata dal presidente dell'istituto, ma solo in assenza di apposita norma che preveda l'autorizzazione dell'organo deliberante ovvero un'approvazione tutoria. Pertanto, è inammissibile il controricorso con il quale il presidente dello Iacp di Isernia resiste, nel giudizio per cassazione avverso ordinanza pretorile ex art. 666 c.p.c., in forza di delibera del comitato esecutivo che non risulta ratificata da parte del consiglio di amministrazione dell'istituto, avuto riguardo alla disciplina regionale vigente in materia, ed, in particolare, all'art. 11, comma secondo, lett. L), della legge regionale molisana 7 febbraio 1990, n. 6, che pone tra i compiti del consiglio di amministrazione dello Iacp quello di deliberare lo stare e resistere in giudizio, e, all'art. 12, commi quarto e quinto, attribuisce al comitato esecutivo dello stesso istituto la facoltà di provvedervi, in caso di necessità ed urgenza, salva ratifica del relativo provvedimento, da sottoporre, a tale scopo, al consiglio di amministrazione non oltre sessanta giorni dalla deliberazione.

Cass. civ. n. 894/1999

Il soggetto che si costituisce in giudizio allegando la propria qualità di rappresentante di una persona giuridica ha l'onere di dare la prova di tale qualità quando la stessa sia contestata.

Cass. civ. n. 12833/1999

La società di fatto, ancorché irregolare e non munita di personalità giuridica, è tuttavia soggetto di diritto, in quanto titolare di un patrimonio formato con i beni conferiti dai soci, con la conseguenza che detta società è passivamente legittimata rispetto alla domanda del socio receduto che chiede la liquidazione della sua quota.

Cass. civ. n. 7507/1999

L'autorizzazione del legale rappresentante di un ente a stare in giudizio costituisce condizione di efficacia e presupposto necessario per la valida costituzione del rapporto processuale, con la conseguenza che la mancanza della delibera autorizzativa del collegio provinciale dei geometri rende inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal legale rappresentante di quell'organo.

Cass. civ. n. 5308/1999

Il curatore del fallimento, pur essendo l'organo deputato ad assumere la qualità di parte nelle controversie inerenti la procedura fallimentare, non è fornito di una capacità processuale autonoma, capacità che deve essere integrata dall'autorizzazione del giudice delegato in relazione a ciascun grado del giudizio; sicché, in mancanza di autorizzazione, sussiste il difetto di legittimazione processuale, indipendentemente dalla legittimità della posizione processuale assunta dal curatore stesso nei precorsi gradi. Tale autorizzazione deve essere depositata, a pena di inammissibilità, insieme con il ricorso per cassazione proposto dalla curatela, senza possibilità per la S.C., in caso di omesso deposito dell'autorizzazione, di invitare la parte ad effettuare il menzionato deposito (invito che può essere, invece, rivolto dai giudici di merito in sede di istruzione probatoria).

Cass. civ. n. 4774/1999

La cancellazione della società dal registro delle imprese non ne determina la estinzione, la quale si produce solo con la effettiva liquidazione di tutti i rapporti giuridici pendenti. Ne consegue che, fino a tale momento, permane la legittimazione processuale in capo alla società, che la esercita a mezzo del legale rappresentante, mentre deve escludersi che, intervenuta la cancellazione, il processo eventualmente già iniziato prosegua nei confronti delle persone fisiche che la rappresentavano in giudizio. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che, intervenuta la cancellazione dal registro delle imprese, ma non ancora la liquidazione di tutti i rapporti pendenti, di una società in accomandita semplice, già parte di un giudizio, nel quale era stata rappresentata dall'amministratore accomandatario, essa abbia mantenuto la legittimazione, esercitata attraverso il medesimo rappresentante, alla impugnazione, anche in relazione al ricorso per cassazione).

Cass. civ. n. 1031/1999

Il difetto di capacità processuale del curatore del fallimento, che abbia impugnato una sentenza senza essere munito dell'autorizzazione del giudice delegato, può essere sanato, con efficacia retroattiva, da una successiva autorizzazione, salvo che il giudice di appello non abbia già dichiarato l'inammissibilità dell'impugnazione, ovvero che si sia verificata una preclusione, come il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (principio affermato in relazione ad una vicenda processuale in cui risultava documentato, in sede di legittimità, il furto del plico postale con il quale era stato trasmesso il fascicolo di parte di secondo grado, ciò che non consentiva di verificare la presenza, in quegli atti, dell'autorizzazione del giudice delegato. La S.C., nell'enunciare il principio di diritto di cui in massima, ha, ancora, osservato che, pur ammettendo, per l'impossibilità di una verifica del fascicolo di appello, che l'autorizzazione relativa al giudizio di cassazione — ritualmente in atti — fosse stata l'unica concessa dal G.D., si sarebbe, comunque, verificato un effetto sanante dell'attività processuale del curatore).

Cass. civ. n. 8722/1998

La delibera della Giunta regionale, con la quale si autorizza il presidente della regione ad agire o difendersi in giudizio, costituisce un presupposto della legitimatio ad processum: essa pertanto, se pure non tempestivamente depositata, può sempre essere validamente prodotta con efficacia retroattiva anche nei successivi gradi di giudizio, ed anche nel giudizio di legittimità, a meno che in quest'ultimo caso il giudice del merito non avesse già rilevato il difetto del presupposto processuale, dichiarando improcedibile la domanda.

Cass. civ. n. 8426/1998

La delibera dell'organo collettivo di un'associazione, richiesta per patto statutario, affinché il presidente dell'associazione stessa (o altro analogo organo), cui per legge compete la legitimatio ad processum, possa agire o resistere in giudizio, concorre ad integrare la capacità processuale dell'ente e costituisce una condizione di efficacia degli atti processuali posti in essere, la quale può intervenire, con effetti retroattivi, anche in un momento successivo alla proposizione del giudizio (e perciò anche in relazione alla fase del giudizio di cassazione) senza che si rendano quindi rilevanti eventuali preclusioni determinate dallo svolgimento del processo, salvo che sul punto sia intervenuto il giudicato.

Cass. civ. n. 7107/1998

La preventiva autorizzazione ad agire o resistere in giudizio o a proporre impugnazione, rilasciata dall'organo deliberativo al presidente, è richiesta, in via generale, solamente per gli enti pubblici territoriali; e l'autorizzazione a resistere alla domanda giudiziale, comunque, è idonea anche ai fini della promozione della fase di gravame, salvo che dalla relativa delibera risulti che l'autorizzazione riguarda il solo giudizio di primo grado. (Nella specie la S.C. ha rigettato il motivo con cui era stata fatta valere la mancanza di autorizzazione alla proposizione dell'appello da parte del presidente dell'Ente autonomo mostra d'oltremare e del lavoro italiano nel mondo, peraltro già abilitato a resistere in primo grado).

Cass. civ. n. 272/1998

Il difetto di legittimazione processuale della persona fisica che agisca in giudizio in rappresentanza di un ente può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio (e, dunque, anche in appello), con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza dell'ente stesso, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator. Tanto la ratifica, quanto la conseguente sanatoria devono ritenersi ammissibili anche in relazione ad eventuali vizi inficianti la procura originariamente conferita al difensore da soggetto non abilitato a rappresentare la società in giudizio, trattandosi di atto soltanto inefficace e non anche invalido per vizi formali o sostanziali, attinenti a violazioni degli artt. 83 e 125 c.p.c.

Cass. civ. n. 3463/1997

L'accertamento della legitimatio ad processum, riguardando un presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere compiuto — salvo il limite della formazione del giudicato — anche d'ufficio ed in sede di legittimità, con possibilità (come in relazione alla legittimazione ad agire o a resistere in giudizio) di diretta valutazione degli atti attributivi del potere rappresentativo.

Cass. civ. n. 3400/1997

A seguito del fallimento di una società, che è causa di scioglimento ma non di estinzione della medesima, rimangono in vita gli organi sociali con i loro poteri rappresentativi. Inoltre, alla dichiarazione di fallimento consegue, per il fallito, una perdita della capacità processuale che ha carattere non assoluto ma relativo e può essere eccepita solo dal curatore nell'interesse della massa dei creditori. Ne deriva che, se, nell'inerzia del curatore, agisce in giudizio per la società fallita il suo rappresentante legale, non può essere rilevato né su eccezione della controparte né d'ufficio un difetto di capacità processuale. (Nella specie, intervenuto il fallimento di società in accomandita semplice nel corso di un procedimento davanti alla Commissione tributaria di secondo grado, la società, in persona del socio accomandatario, pure dichiarato fallito, aveva impugnato la decisione di tale Commissione davanti alla Corte d'appello; la S.C. — in base al riportato principio — ha ritenuto tale impugnazione ritualmente proposta).

Cass. civ. n. 3305/1997

In relazione alla regola di cui all'art. 2384, primo comma, c.c., secondo cui gli amministratori della società per azioni che hanno la rappresentanza della società hanno il potere di agire e resistere in giudizio per le materie che rientrano nell'oggetto sociale senza necessità di alcuna preventiva delibera autorizzativa del consiglio di amministrazione o dell'assemblea dei soci, salve le limitazioni del potere di rappresentanza risultanti dall'atto costitutivo o allo statuto, è necessario che queste limitazioni siano espresse e, conseguentemente, nella previsione statutaria della facoltà degli amministratori di procedere alla nomina di avvocati e procuratori alle liti dinanzi a qualsiasi autorità giudiziaria non può ravvisarsi un'implicita subordinazione dell'esercizio del potere di agire o resistere in giudizio, ad una previa deliberazione autorizzativa (con libertà di iniziativa dei rappresentanti legali solo quanto alla scelta dei legali). Tale principio trova applicazione anche nelle società cooperative, in base al richiamo contenuto nell'art. 2516 c.c., e ai fini della proposizione della querela di falso e della sottoscrizione del relativo atto dalla parte personalmente.

Cass. civ. n. 1926/1997

Il difetto di legittimazione processuale (nella specie dell'amministratore di un condominio), attenendo alla legittimità del contraddittorio, nonché alla validità della sua costituzione, determina la nullità degli atti processuali compiuti ed è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, con l'unico limite del giudicato formatosi sul punto, se la relativa eccezione è stata disattesa dal primo giudice e non riproposta in appello.

Cass. civ. n. 1209/1997

Il legale rappresentante di una società di capitali, pur in presenza di una disposizione dello statuto societario che lo abiliti al conferimento di una procura di carattere esclusivamente formale, non può validamente delegare ad altro soggetto la rappresentanza processuale della società stessa — e ciò vale anche per le cause sottoposte al rito del lavoro — allorché tale delega sia disgiunta dall'attribuzione di poteri di rappresentanza anche sostanziale, che consentano cioè una gestione dei rapporti oggetto della procura esercitabile a prescindere ed indipendentemente da specifiche vicende litigiose; ne consegue che il difetto di siffatti poteri si pone come causa di esclusione anche della legitimatio ad processum del rappresentante, l'accertamento della quale, trattandosi di un presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere compiuto, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, anche in sede di legittimità, con il solo limite della formazione del giudicato sul punto.

Cass. civ. n. 1121/1997

Il vizio dell'irregolare costituzione del contraddittorio per difetto del potere di rappresentanza in capo ad una delle parti essenziali del processo, configura una situazione di insanabilità assoluta del procedimento che dà luogo a vera e propria inesistenza della sentenza poi emessa, rilevabile in ogni tempo ed in ogni grado, e comporta, per il giudice d'appello, l'obbligo, ai sensi del primo comma dell'art. 354 c.p.c., di rimettere gli atti al primo giudice (nella fattispecie, l'Amministrazione finanziaria, avvalsasi della facoltà ex art. 13 della legge n. 103 del 1979, di farsi rappresentare da un suo funzionario, delegato allo scopo, ai fini della presentazione dell'istanza di ammissione al passivo fallimentare ex art. 101 l. fall., aveva, in persona del suddetto funzionario, proseguito la successiva fase contenziosa nata dall'avvenuta contestazione del credito da parte dell'amministrazione finanziaria).

Cass. civ. n. 10890/1996

Ferme restando l'unicità e l'unitarietà della capacità giuridica dello Stato, della cui attività giuridica i vari rami dell'Amministrazione rappresentano, con la loro struttura burocratica specifiche settoriali estrinsecazioni operative, e fermo il profilo per cui per «competenza» del ministero — e quindi, del ministro — deve intendersi, nel senso amministrativistico dell'espressione, l'attribuzione del potere di stare in giudizio, per lo Stato, in relazione a ciò che forma oggetto della specifica materia del contendere, attiene alla problematica della capacità processuale o legitimatio ad processum e non della «legittimazione passiva», accertare, in sede di verifica dei presupposti processuali (per tali intendendosi i requisiti che condizionano l'attitudine del processo a pervenire ad una pronuncia di merito), la sussistenza, nell'organo statuale convenuto come tale in giudizio, del potere di stare in giudizio in virtù (ed in conformità alla regolamentazione specifica) del rapporto di immedesimazione organica in base al quale il titolare di un organo non si limita a svolgere attività che produca i suoi effetti nella sfera giuridica dell'ente, ma realizza direttamente e immediatamente l'attività giuridica dell'ente nella cui struttura è inserito.

Cass. civ. n. 9523/1996

Mentre l'art. 107 del D.P.R. n. 616 del 1977 si limita ad includere le Regioni a statuto ordinario tra gli enti dei quali l'Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa (secondo il regime di cui agli artt. 43, 45 e 47 del T.U. n. 1611 del 1933), l'art. 10 della legge n. 103 del 1979 prevede un particolare procedimento attraverso il quale le menzionate regioni possono ottenere l'applicazione dell'intero regime processuale speciale di assistenza legale e di patrocinio valevole ex lege per le amministrazioni dello Stato. Sia nel primo caso (regime cosiddetto «facoltativo»), sia nel secondo caso (regime cosiddetto «sistematico») non è necessario, per i singoli giudizi, uno specifico mandato all'Avvocatura stessa; essendo, invece, necessario uno specifico provvedimento (talvolta soggetto al visto degli organi di vigilanza), nel caso in cui la Regione voglia escludere tale rappresentanza, per affidarla a privati professionisti. Da ciò consegue che l'Avvocatura dello Stato, ove agisca in giudizio per una Regione, non avendo necessità di apposito mandato, non è neanche onerata della produzione del provvedimento del competente organo regionale di autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in giudizio.

Cass. civ. n. 6395/1996

La mancanza al momento della decisione dei documenti inerenti alla prescritta autorizzazione a stare in giudizio impone la declaratoria di inammissibilità del gravame senza che il collegio sia tenuto ad assegnare un termine per consentire l'acquisizione di quei documenti, tenendo conto che tale regolarizzazione è contemplata dall'art. 182 c.p.c. solo con riferimento alla fase istruttoria e che si ricollega all'esercizio di un potere discrezionale.

Cass. civ. n. 346/1996

Nel caso in cui per una parte abbia agito in giudizio persona priva di adeguati poteri rappresentativi, la ratifica della pregressa attività, compiuta in occasione della costituzione in giudizio di soggetto munito di rappresentanza processuale, esplica un'efficacia sanante ex nunc, nel senso che non può validamente operare se si sono verificate preclusioni o decadenze, come desumibile dall'art. 182, comma 2, c.p.c. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata, con cui era stata dichiarata la nullità dell'appello per difetto di rappresentanza, nonostante la ratifica intervenuta nel corso dello stesso giudizio di appello ma dopo il decorso del termine di impugnazione).

Cass. civ. n. 279/1996

La persona fisica che, nella sua qualità di organo della persona giuridica, ha conferito il mandato al difensore, non ha l'onere di dimostrare tale sua qualità, spettando invece alla parte che contesta la sussistenza di detta qualità fornire la relativa prova negativa.

Cass. civ. n. 8828/1995

Il principio secondo cui il difetto di legittimazione al processo è sanato ex tunc dalla costituzione, nel successivo grado o fase di giudizio, del soggetto legittimato, il quale manifesti, con il suo comportamento, la volontà di ratificare la precedente condotta difensiva, trova applicazione solo nei casi in cui non sia intervenuta alcuna statuizione su quel difetto con declaratoria di inammissibilità della domanda o dell'impugnazione. Ne consegue che una siffatta pronuncia, essendo suscettibile di passare in giudicato, se non specificamente impugnata, non può essere rimossa dal surriferito comportamento della parte, ove non sia riscontrata la sussistenza di vizi propri della pronuncia, i quali, debitamente denunciati con l'impugnazione, la rendano illegittima.

Cass. civ. n. 8211/1995

Il presidente dell'Inps, cui spetta la rappresentanza legale dell'istituto a norma dell'art. 2 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (in parte modificato dall'art. 3 della L. 9 marzo 1989, n. 88), ha il potere di agire in giudizio a nome dell'ente, conferendo ai difensori le procure alle liti, senza necessità di una delibera in tal senso del consiglio di amministrazione, in mancanza di una specifica previsione normativa o statutaria, in quanto un'autorizzazione dell'organo collegiale è prescritta in via generale soltanto per gli enti pubblici territoriali.

Cass. civ. n. 10425/1994

L'art. 75 c.p.c., nell'escludere la capacità processuale delle persone che non hanno il libero esercizio dei propri diritti, si riferisce solo a quelle che siano state legalmente private della capacità di agire con una sentenza di interdizione o di inabilitazione o con provvedimento di nomina di un tutore o di un curatore provvisorio, e non alle persone colpite da incapacità naturale, per cui questa non può impedire il decorso del termine breve di decadenza dalla impugnazione, atteso che l'art. 328, c.p.c., attraverso il rinvio agli eventi previsti dall'art. 299, ricollega tale termine alla morte o alla perdita della capacità di stare in giudizio della parte o del suo rappresentante con esclusivo riferimento alle ipotesi di incapacità processuale indicate dall'art. 75. (Nella specie, trattavasi della incapacità naturale della parte destinataria della notifica della sentenza).

Cass. civ. n. 10045/1993

L'autorizzazione a stare in giudizio, necessaria perché un ente pubblico possa agire o resistere in causa, attiene alla legitimatio ad processum, ossia all'efficacia e non alla validità della costituzione dell'ente medesimo; essa, pertanto, può intervenire ed essere prodotta anche nel corso del giudizio ed ha efficacia convalidante dell'attività processuale svolta in precedenza, sicché il vizio di autorizzazione in primo grado ed anche a proporre impugnazione resta sanato, con effetto retroattivo, ancorché l'autorizzazione, la cui produzione è consentita fino all'udienza di discussione davanti al collegio, intervenga dopo che sia scaduto il termine per proporre l'impugnazione stessa.

Cass. civ. n. 2325/1993

Il principio secondo cui l'autorizzazione a stare in giudizio intervenuta successivamente non vale a sanare retroattivamente l'irregolarità, quando il giudice del merito abbia già rilevato il difetto di legittimazione processuale e ne abbia tratto le debite conseguenze in ordine alla validità degli atti compiuti in mancanza di autorizzazione, si applica nell'ipotesi in cui l'autorizzazione sia stata concessa dopo il compimento degli atti suddetti, ma non anche quando l'autorizzazione sia stata concessa con deliberazione adottata prima della citazione o della comparsa di risposta, ma sia stata prodotta dalla parte solo in corso di causa, dal momento che in questa seconda ipotesi la legittimazione processuale sussiste fin dall'inizio, mentre il documento contenente tale autorizzazione, versato successivamente in atti, ha funzione meramente probatoria dell'attività processuale regolarmente svolta e non convalidatrice di quest'ultima.

Cass. civ. n. 9284/1992

L'autorizzazione a stare in giudizio in rappresentanza della unità sanitaria locale, rilasciata dal comitato di gestione ai fini dell'opposizione a precetto, non abilita il rappresentante legale dell'Usl alla proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, a tal fine occorrendo — a pena d'inammissibilità (rilevabile d'ufficio) del regolamento — una distinta autorizzazione, che può essere anche successiva al ricorso, salva la necessità della notifica prevista dall'art. 372, secondo comma, c.p.c.

Cass. civ. n. 2438/1992

La ratifica dell'operato del sindaco, da parte dell'organo collegiale del comune competente ad autorizzarlo a stare in giudizio in rappresentanza del comune stesso, vale a sanare ex tunc l'originaria carenza di detta autorizzazione, e, quindi, a maggior ragione, priva di effetti l'eventuale esorbitanza di quell'operato rispetto al contenuto dell'autorizzazione in precedenza rilasciata (nella specie, con riferimento alla scelta del difensore).

Cass. civ. n. 6062/1990

Quando il competente organo dell'ente pubblico sia stato debitamente autorizzato a resistere in giudizio per opporsi, senza limitazione alcuna, ad una domanda proposta contro l'ente medesimo, non è necessaria un'ulteriore autorizzazione per proporre i consentiti gravami contro le decisioni di primo grado ad esso sfavorevoli, dovendosi ritenere l'originaria autorizzazione sufficiente per tutti i gradi del giudizio.

Cass. civ. n. 2199/1984

L'art. 320 c.c. richiede l'autorizzazione del giudice tutelare nei confronti del genitore solo per «promuovere» giudizi, nell'interesse del minore, relativi ad atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, vale a dire per la proposizione iniziale di tali giudizi in primo grado in qualità di attore, sicché, quando il minore sia stato convenuto in giudizio, l'esercizio da parte sua dell'ulteriore potere di iniziativa processuale, come quello di impugnazione, non valendo a modificare la posizione del medesimo nell'ambito del processo, non è soggetto alla predetta autorizzazione.

Cass. civ. n. 2672/1983

Nel nostro ordinamento la semplice scomparsa, definita dall'art. 48 c.c. come l'allontanarsi della persona dall'ultimo domicilio e dall'ultima residenza senza che vi faccia ritorno o dia proprie notizie, consente di nominare un curatore che rappresenti lo scomparso in giudizio ovvero in determinati negozi od operazioni e di impartire altri provvedimenti necessari alla conservazione del suo patrimonio, ma, a differenza di quanto si verifica in conseguenza della dichiarazione di assenza o di morte presunta, non incide sulla capacità o sugli status del soggetto, e neppure sulla generalità dei rapporti che a lui fanno capo, unitariamente considerati; essa, pertanto, non produce, di per sé, conseguenze sulla legittimazione passiva del soggetto ovvero sulla sua capacità processuale, con la conseguenza che, anche quando sia stato nominato un curatore allo scomparso, se tale nomina non sia stata formalmente comunicata a colui che agisce, legittimamente la domanda viene proposta nei confronti dello scomparso, essendo onere del curatore rendere noto il potere di rappresentanza e costituirsi al suo posto.

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