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Articolo 424 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Tutela dell'interdetto e curatela dell'inabilitato

Dispositivo dell'art. 424 Codice Civile

(1)Le disposizioni sulla tutela dei minori e quelle sulla curatela dei minori emancipati si applicano rispettivamente alla tutela degli interdetti(2) e alla curatela degli inabilitati(3).

Le stesse disposizioni si applicano rispettivamente anche nei casi di nomina del tutore provvisorio dell'interdicendo e del curatore provvisorio dell'inabilitando a norma dell'articolo 419. Per l'interdicendo non si nomina il protutore provvisorio.

Nella scelta del tutore dell'interdetto e del curatore dell'inabilitato il giudice tutelare [344; 43, 45] individua di preferenza la persona più idonea all'incarico tra i soggetti, e con i criteri, indicati nell'articolo 408.

Note

(1) Il comma è stato così sostituito dall'art. 7 della L. 9 gennaio 2004 n. 6 in vigore dopo 60 giorni dalla pubblicazione avvenuta in G.U. in data 19 gennaio 2004, n. 14. Il comma precedente così disponeva: "Nella scelta del tutore dell'interdetto e del curatore dell'inabilitato il giudice tutelare deve preferire il coniuge maggiore di età che non sia separato legalmente, il padre, la madre, un figlio maggiore di età o la persona eventualmente designata dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata".
(2) La disciplina prevista per la tutela dei minori si applica per l'amministrazione dei beni dell'interdetto, il quale inoltre è eccezionalmente ammesso a fare donazioni a favore dei discendenti ma solo in occasione delle loro nozze, e potrà continuare l'esercizio dell'impresa commerciale su autorizzazione (non del tribunale per i minorenni, ovviamente, ma) del tribunale ordinario.
(3) La disciplina prevista per la curatela dei minori emancipati si applica anche per l'amministrazione dei beni dell'inabilitato, il quale potrà unicamente continuare (e non iniziare) l'esercizio di impresa, su autorizzazione del tribunale.

Ratio Legis

Evidente la ratio di ricreare, per l'interdetto e per l'inabilitato, un parallelismo di disciplina con quella rispettivamente di tutela del minore e curatela del minore emancipato, salve le eccezioni dovute alle peculiarità proprie dei quattro istituti emergenti.

Brocardi

Consilio et opera curatoris tueri debet non solum patrimonium, sed et corpus ac salus furiosi

Spiegazione dell'art. 424 Codice Civile

L'intrinseco parallelismo, nuovo ed antico, tra la condizione del minore e quella dell'interdetto da una parte, tra la condizione del minore emancipato e quella dell'inabilitato dall'altra, chiarisce di per sé che l'interdetto è sottoposto a tutela e l'inabilitato a curatela. Onde appare ovvio che se allo stato di tutela dell'interdetto e allo stato di curatela dell'inabilitato si devono applicare le norme protettive stabilite per ragioni di età, le rispettive condizioni determinano senz'altro gli effetti dei rispettivi provvedimenti integrativi di capacità. E legislativamente non occorreva ulteriore disposizione a tal riguardo. La espressa estensione del parallelismo ai casi di un'assistenza protettiva provvisionale (tutore o curatore provvisorio) s'imponeva per la precisazione data a tale forma di assistenza, ben più ampia della caratteristica abituale attribuita ai semplici "amministratori provvisori" nell'uso comune del linguaggio e nella consueta tecnica legislativa.
Ulteriore conseguenza di tale parallelismo, per l'armonia sistematica della complessiva funzione tutelare accolta nel codice vigente, era il far capo, per la scelta della persona cui affidare l'assistenza dell'incapace, all'organo specificamente più idoneo e più immediato di vigilanza (il giudice tutelare) anziché genericamente al Collegio costituente il tribunale da cui viene emessa la sentenza d'interdizione o di inabilitazione.
Tanto più ciò risponde a criteri di opportunità, in quanto, al momento della decisione di massima sulla pronunzia protettiva, possono non esservi ancora tutti i concreti elementi di fatto o le accertate notizie di valutazione discrezionale da tenere presenti, per una scelta adeguata.
Onde meglio resta ripartita la funzione giudiziale, demandando la qualifica di stato al tribunale e la pratica attuazione dell'assistenza protettiva al giudice tutelare.
"Né è il caso di temere", notò il Guardasigilli, "che, nell'intervallo tra la pronunzia di interdizione e la nomina da parte del giudice tutelare, l'incapace resti senza la necessaria assistenza, poiché normalmente avviene la nomina del tutore o curatore provvisorio dopo i primi atti della procedura d'interdizione o di inabilitazione".

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 424 Codice Civile

Cass. civ. n. 14669/2018

Sussiste la legittimazione attiva dell'interdetto infermo di mente, tramite il proprio rappresentante legale, a promuovere il giudizio di separazione personale, in applicazione analogica di quanto stabilito dal legislatore - con riferimento al divorzio - dall'art. 4, comma 5, d.lgs. 898/70, che espressamente disciplina la sola ipotesi in cui l'incapace abbia il ruolo di convenuto. Trattasi di opzione ermeneutica costituzionalmente orientata, volta ad evitare che l'interdetto sia privato in fatto di un diritto personalissimo di particolare rilievo, che la legge attribuisce ad entrambi i coniugi senza disparità di trattamento, nei casi previsti, ed il cui esercizio può rendersi necessario per assicurare l'adeguata protezione del soggetto incapace.

Il tutore può compiere in nome e per conto dell'interdetto anche un atto personalissimo (sempre che ne sia accertata la conformità alle esigenze di protezione), sicché la designazione di un curatore speciale è necessaria solo nel caso di conflitto di interessi tra il tutore ed il rappresentato, non evincendosi dal sistema una generale e tassativa preclusione al compimento di atti di straordinaria amministrazione da parte del rappresentante legale dell'incapace.

Cass. civ. n. 12453/2017

La competenza del giudice tutelare nei confronti del condannato in stato d'interdizione legale - da individuare al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna e destinato a non subire mutamenti in coincidenza di trasferimenti restrittivi del reo ex art. 5 c.p.c. - si determina sulla base dell'ultima residenza anagrafica anteriore all'instaurazione dello stato detentivo, salvo che risulti provato, in contrario alla presunzione di coincidenza con detta residenza, un diverso domicilio, quale centro dei suoi affari ed interessi, non identificabile però in sé nel luogo in cui è stata eseguita la pena detentiva, che non viene dal medesimo prescelta.

Cass. civ. n. 1631/2016

Il giudice competente per l'apertura della tutela di chi si trovi in stato di interdizione legale per essere stato definitivamente condannato alla pena dell'ergastolo, va individuato in quello del luogo in cui, alla data dell'apertura, coincidente con l'informativa della condanna al giudice tutelare, l'interdetto abbia la sede principale dei suoi affari ed interessi. Tale luogo, da individuarsi in concreto, è, secondo l'"id quod plerumque accidit", quello della sua residenza anagrafica, salva la prova contraria, ed in particolare della circostanza che, per effetto della eventuale detenzione cautelare, nel luogo in cui risiedeva (anagraficamente o effettivamente) prima dell'arresto, l'interdetto non abbia più i propri rapporti o interessi principali, e che, dunque, il centro degli stessi si sia spostato nel luogo di detenzione.

Cass. civ. n. 20471/2015

La competenza per l'apertura della tutela dell'interdetto, ove questi si trovi in stato di detenzione in esecuzione di sentenza definitiva, va attribuita al giudice tutelare del luogo della sua ultima dimora abituale prima dell'inizio dello stato detentivo, non trovando applicazione il criterio legale della sede principale degli affari e degli interessi dell'interdetto, che presuppone l'elemento soggettivo del volontario stabilimento.

Cass. civ. n. 9816/2015

Il curatore dell'inabilitato non ha diritto a indennità, mancando una norma che ne preveda la spettanza e non potendosi a lui estendere il combinato disposto degli artt. 379 e 424 c.c., il quale consente di riconoscere un compenso al tutore per la maggiore intensità delle funzioni di protezione dell'interdetto.

Cass. civ. n. 21748/2007

In tema di attività medica e sanitaria, il carattere personalissimo del diritto alla salute dell'incapace comporta che il riferimento all'istituto della rappresentanza legale non trasferisce sul tutore un potere «incondizionato» di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incoscienza. Nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla persona dell'incapace, la rappresentanza del tutore è sottoposta a un duplice ordine di vincoli: egli deve, innanzitutto, agire nell'esclusivo interesse dell'incapace; e, nella ricerca del best interest deve decidere non «al posto» dell'incapace né «per» l'incapace, ma «con» l'incapace: quindi, ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche.

Ove il malato giaccia da moltissimi anni (nella specie, oltre quindici) in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua nutrizione ed idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, e nel contraddittorio con il curatore speciale, il giudice — fatta salva l'applicazione delle misure suggerite dalla scienza e dalla pratica medica nell'interesse del paziente — può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario, in sé non costituente, oggettivamente, una forma di accanimento terapeutico, unicamente in presenza dei seguenti presupposti: (a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; e (b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l'idea stessa di dignità della persona. Ove l'uno o l'altro presupposto non sussista, il giudice deve negare l'autorizzazione, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, della qualità della vita stessa.

Cass. civ. n. 3019/1977

La competenza a giudicare sul reclamo avverso il decreto di nomina del tutore a persona maggiorenne interdetta spetta al tribunale ordinario e non a quello minorile, giacché la competenza di quest'ultimo, per i suoi fini istituzionali e per la composizione, riguarda solo gli affari relativi ai minori.

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relative all'articolo 424 Codice Civile

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Marina chiede
lunedì 02/05/2011 - Marche

“Una mia parente ha fatto la domanda al tribunale per fare da tutore alla parente anziana che muore dopo 2 settimane dalla domanda. Vorrei sapere se il tribunale può procedere con il procedimento visto che il parente che doveva essere tutelato è morto.”

Consulenza legale i 06/05/2011

Il procedimento non ha più alcun motivo di continuare. Si consiglia di fare una comunicazione informale al Tribunale del decesso dell’interdicenda.

In questo modo il Presidente ex art. 713 del c.p.c., previa informazione del P.M., potrebbe ritenere di dover rigettare la domanda, senza proseguire con la nomina con decreto del Giudice Istruttore e senza che venga inutilmente fissata l’udienza di comparizione davanti a quest’ultimo del ricorrente e delle altre persone indicate nel ricorso.


I. M. chiede
mercoledì 19/10/2022 - Veneto
“A seguito del decesso di un soggetto completamente inabile e seguito da tutore e giudice tutelare, che in epoca precedente aveva disposto l’accettazione di beni ereditati, la sua eredità (suddivisa tra vari parenti) deve essere comunque autorizzata dal giudice tutelare che seguiva il soggetto defunto?”
Consulenza legale i 25/10/2022
Per rispondere al quesito che viene posto occorre soffermarsi su quella che è la ratio degli istituti giuridici predisposti dal legislatore a tutela dei soggetti incapaci di intendere e di volere.
Come è ben noto, con la nascita la persona fisica acquista la capacità giuridica generale (ossia, l’idoneità ad essere titolare di diritti, doveri, ecc.).
Tuttavia, per diverse ragioni, quali giovane età (si pensi, ad es., al bambino), malattia (si pensi, ad es., a chi è affetto da una grave forma della sindrome di Down), decadimento delle facoltà intellettive e/o volitive in conseguenza dell’età (si pensi, ad es., all’anziano), ecc., non sempre la persona fisica è in grado di gestire in prima persona le situazioni giuridiche che alla stessa fanno capo.

E’ proprio per tale ragione che la legge richiede, affinché un soggetto possa compiere personalmente ed autonomamente atti di amministrazione dei propri interessi, che lo stesso goda non soltanto della “capacità giuridica”, ma anche della c.d. “capacità d’agire”, come tale intendendosi l’idoneità a porre in essere in proprio atti negoziali destinati a produrre effetti nella sua sfera giuridica (c.d. capacità negoziale).

In linea generale, e salvo alcune limitate eccezioni, la capacità d’agire si acquista al raggiungimento della maggiore età, ovvero al compimento del diciottesimo anno (così il comma 1 dell’art. 2 del c.c.).
Può tuttavia verificarsi, come appunto nel caso di specie, che, nonostante la maggiore età, la persona fisica si ritrovi, per le ragioni più varie, a non avere quella capacità di discernimento che è invece normale attendersi in un individuo adulto e maturo.
Da qui sorge la necessità di apprestare, a tutela di tali soggetti, appositi strumenti di salvaguardia contro il rischio che gli stessi possano porre in essere atti negoziali destinati ad incidere negativamente sui loro interessi, come fare fare acquisti sconsiderati, svendere o donare i propri beni, ecc.).

Ebbene, l’art. 424 c.c. estende alla tutela degli interdetti ed alla curatela degli inabilitati le disposizioni che lo stesso codice civile detta in tema di tutela dei minori e curatela degli inabilitati, ciò perché l’interdetto si trova, per molti versi, in una condizione non dissimile da quella in cui si trova il minore, non potendo compiere direttamente alcun atto negoziale, se non quelli “necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana” (gli atti negoziali da lui eventualmente posti in essere sono, infatti, annullabili).
L’esigenza di proteggere l’incapace viene meno al momento della sua morte, non essendo più possibile, chiaramente, il compimento da parte dello stesso di alcun atto negoziale.
Infatti, con la morte del soggetto incapace viene anche a cessare l’ufficio di tutore o curatore, non essendovi più un patrimonio da amministrare.
Inoltre, poiché, per espressa previsione di legge (art. 591 c.c.), l’incapace è anche privo della capacità di testare, al momento della sua morte sarà soltanto la legge a regolare la successione dello stesso, il che esclude la necessità di ogni tipo di controllo giudiziale.

L’unica disposizione normativa a cui, invece, occorre attenersi è quella dettata dall’art. 385 c.c., rubricata “Conto finale”, la quale pone in capo al tutore che cessa dalle sue funzioni (in questo caso per morte dell’interdetto), l’obbligo di fare subito la consegna dei beni e di presentare nel termine di due mesi (salvo proroga) il conto finale dell'amministrazione al giudice tutelare.
E’ stato precisato in giurisprudenza (cfr. Cass. civ. Sez. I sent. n. 9781 del 16.09.1995) che l’obbligo generale di rendiconto, posto dalla norma sopra citata, trova la propria ragione nell'esigenza che i soggetti interessati (in questo caso gli eredi) svolgano il pieno controllo sull'attività espletata e che siano accertate le posizioni debitorie o creditorie del tutore nei confronti dello stesso amministrato.
Detto obbligo non viene meno neppure nei confronti del tutore provvisorio che cessi dall'incarico a seguito della morte dell'interdicendo, ricorrendo anche in questo caso l'esigenza di consentire agli eredi di verificare la gestione del tutore provvisorio e di recuperare i beni dell'interdicendo eventualmente in suo possesso.

Sui beni così residuati, dunque, si aprirà regolarmente la successione legittima, con diritto di coloro che si trovano nella posizione di chiamati all’eredità di accettarla e di far propri i beni, secondo le quote a loro spettanti, senza necessità di alcuna ulteriore autorizzazione giudiziale.