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Articolo 320 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Rappresentanza e amministrazione

Dispositivo dell'art. 320 Codice Civile

(1)I genitori congiuntamente [316](2), o quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, rappresentano(3) i figli nati e nascituri, fino alla maggiore età o all'emancipazione, in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni(4). Gli atti di ordinaria amministrazione, esclusi i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento [1380], possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore.

Si applicano, in caso di disaccordo o di esercizio difforme dalle decisioni concordate, le disposizioni dell'articolo 316.

I genitori non possono alienare(5), ipotecare o dare in pegno i beni pervenuti al figlio a qualsiasi titolo, anche a causa di morte, accettare [471] o rinunziare ad eredità o legati [519, 649, 650], accettare donazioni, procedere allo scioglimento di comunioni, contrarre mutui o locazioni ultranovennali(6) o compiere altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione(7) né promuovere(8), transigere o compromettere in arbitri [806 c.p.c.] giudizi relativi a tali atti, se non per necessità o utilità evidente del figlio dopo autorizzazione del giudice tutelare(9) [43, 45; 747 c.p.c.].

I capitali non possono essere riscossi senza autorizzazione del giudice tutelare, il quale ne determina l'impiego.

L'esercizio di una impresa commerciale non può essere continuato [2195] se non con l'autorizzazione del giudice tutelare(10)(11).

Se sorge conflitto di interessi patrimoniali(12) tra i figli soggetti alla stessa responsabilità genitoriale, o tra essi e i genitori o quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, il giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale [78 c.p.c.]. Se il conflitto sorge tra i figli e uno solo dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, la rappresentanza dei figli spetta esclusivamente all'altro genitore [45].

Note

(1) L'articolo è stato così sostituito dall'art. 143 della L. 19 maggio 1975 n. 151.
(2) In generale viene da subito prevista la realizzazione degli atti civili inerenti alla gestione del patrimonio del figlio come congiuntiva tra i genitori, e ne vengono esclusi gli atti di ordinaria amministrazione per i quali basta il compimento disgiunto. L'amministrazione dei beni altrui è quindi attuata attraverso gli istituti della rappresentanza e dell'amministrazione.
(3) La rappresentanza legale dei figli minori spetta ai genitori, e - rispetto alla rappresentanza volontaria - trova la sua fonte nella legge, presupponendo l'incapacità del rappresentato di provvedere personalmente alla cura dei propri interessi e rapporti patrimoniali ma anche personali.
(4) L'amministrazione invece è l'attività diretta allo scopo di ricavare una ragionevole utilità dagli elementi che compongono il patrimonio, senza che ne venga diminuito il complessivo valore sostanziale (così Trabucchi). E' un potere che si esaurisce nei rapporti interni tra amministratore ed amministrato.
(5) Nel silenzio della legge, è da ritenersi l'applicabilità della norma anche agli atti con cui vengono costituiti diritti reali limitati su beni appartenenti ai figli, quali tipicamente il diritto di usufrutto di cui all'art. 978 del c.c. ss.
(6) In generale, ogni atto di ordinaria amministrazione sarà quello diretto a conservare l'integrità e lo stato del patrimonio del figlio, o che non incide in maniera rilevante su di esso (come una breve locazione).
Come precisato dalla Cassazione (sent. 599/1982) le locazioni convenute per una durata inferiore ai nove anni ma suscettibili di protrarsi oltre mediante clausola di tacito rinnovo non sono considerate atti di straordinaria amministrazione, dovendosi avere riguardo alla volontà originaria delle parti.
(7) Per il compimento degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione viene richiesta la necessità o l'utilità evidente dell'atto per il figlio, poiché essi incidono in modo sostanziale sulla struttura e consistenza del patrimonio; si ritiene, pertanto, che sia opportuno considerare, nell'interesse del figlio, non tassativa l'elencazione.
(8) Con "promuovere" un giudizio si allude alla fase iniziale del procedimento, quindi riferendosi al solo primo grado e non all'esperibilità in sede di impugnazione per la continuazione della tutela dei diritti già dedotti.
(9) L'autorizzazione del giudice tutelare riguarda un controllo di merito sull'atto da compiere, deve essere ovviamente preventiva e la sua mancanza rende l'atto annullabile.
(10) La capacità ad esercitare una impresa commerciale verrà acquistata con la maggiore età (è richiesta la capacità di agire di cui all'art. 2 del c.c.); l'impresa potrà però essere gestita dal legale rappresentante, che non avrà la qualifica di imprenditore e che non potrà compiere atti non pertinenti col raggiungimento del fine sociale (Cass. 13154/2007).
(11) Il D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha disposto (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".
(12) La norma si preoccupa di regolare altresì l'imparzialità delle funzioni, conferendo al giudice tutelare il potere di nomina di un curatore speciale anche nel caso di conflitto potenziale.

Ratio Legis

La norma esprime varie esigenze che emergono nella quotidiana vita familiare: dalla parità dei genitori nell'esercizio della potestà sui figli minori, ai modi di amministrazione dei loro patrimoni o imprese già iniziate, dagli impedimenti posti a carico dei genitori alla risoluzione di eventuali conflitti di interesse.

Spiegazione dell'art. 320 Codice Civile

La norma attribuisce congiuntamente il potere-dovere di rappresentare i figli minori ad entrambi i genitori.
In particolare, per "amministrazione" si intende il compimento delle varie attività con le quali si ricavano utilità dagli elementi che compongono il patrimonio del minore, senza però diminuirne il valore; la "rappresentanza" comprende l'attività giuridica di natura personale che si estrinseca anche nei rapporti con il terzi.

Il primo comma della disposizione in commento specifica che i genitori possono compiere disgiuntamente tutti gli atti di ordinaria amministrazione, mentre non possono concedere o acquistare diritti personali di godimento, se non in maniera congiunta.
Gli atti di straordinaria amministrazione, invece, possono essere compiuti solamente in presenza di una necessità o utilità evidente per il figlio, e con l'autorizzazione del giudice tutelare.
Facendo un esempio concreto: l'azione diretta ad ottenere il risarcimento del danno subito da un minore, visto che mira alla reintegrazione del patrimonio del minore stesso, rientra fra gli atti di ordinaria amministrazione e quindi può essere proposta dal genitore esercente la responsabilità genitoriale, senza autorizzazione del giudice tutelare che non è necessaria neppure affinché il genitore possa transigere la relativa lite (Cass. Civ. n. 59/1989).
È possibile che sorga un conflitto di interessi tra i figli, soggetti alla responsabilità genitoriale, e i genitori. Tale conflitto può essere anche potenziale (a prescindere dalla sua effettività) o indiretto (quando il relativo interesse, pur appartenendo a persone diverse dal rappresentante, sia da questo sentito come proprio per vincoli affettivi o economici). In tal caso, è possibile nominare un curatore speciale, che ha le stesse funzioni che avrebbe il genitore che viene sostituito, e rappresenta il minore anche sotto il profilo processuale.
All'esercizio di impresa commerciale da parte del minore è stata da sempre dedicata una disciplina speciale in seno all'articolo in commento.
La "Riforma Cartabia" ha peraltro innovato la disciplina, stabilendo ora che l’esercizio di un’impresa commerciale non può essere continuato se non con l’autorizzazione del giudice tutelare, sopprimendo pertanto la precedente competenza del tribunale in composizione collegiale, a favore del giudice tutelare.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

169 Nell'art. 320 del nuovo testo, relativo alla rappresentanza e all'amministrazione dei beni dei minori sottoposti alla patria potestà, fermo il principio che l'autorizzazione al compimento degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione è concessa dal giudice tutelare, ho inserito un'apposita norma circa l'esercizio delle imprese commerciali. Su questo punto sono stati mantenuti i concetti tradizionali: escludere la possibilità che sia iniziato, nell'interesse di un minore, l'esercizio di un'impresa commerciale, in considerazione dei rischi che essa comporta; consentire soltanto la continuazione dell'esercizio di un'impresa commerciale già in atto, ma dietro autorizzazione del tribunale, il quale provvederà sentito il parere del giudice tutelare. A quest'ultimo si dà facoltà di consentire solo l'esercizio provvisorio dell'impresa, fino a quando il tribunale abbia deliberato sull'istanza di autorizzazione.

Massime relative all'art. 320 Codice Civile

Cass. civ. n. 10930/2022

In tema di rappresentanza processuale del minore, l'autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 c.c. è necessaria per promuovere giudizi relativi ad atti di amministrazione straordinaria, che possono cioè arrecare pregiudizio o diminuzione del patrimonio e non anche per gli atti diretti al miglioramento e alla conservazione dei beni che fanno già parte del patrimonio del soggetto incapace. Ne consegue che si atteggia ad atto di ordinaria amministrazione, per il quale non è necessaria la predetta autorizzazione, l'assunzione di una posizione processuale assimilabile a quella di un convenuto, come la proposizione di un atto di appello per contrastare la sentenza di primo grado che abbia accolto la domanda dell'attore di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto ex art. 2932 c.c., trattandosi di un atto di difesa diretto a resistere all'azione avversaria.

Cass. civ. n. 6515/2021

In caso di appello proposto nei confronti dei genitori rappresentanti del figlio minore divenuto maggiorenne dopo la scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e memorie, si impone l'ordine di integrazione del contraddittorio nei suoi confronti affinché questi possa partecipare al giudizio d'impugnazione come parte formale e non soltanto come parte sostanziale rappresentata; del resto, la rinnovazione della citazione (a prescindere dal fatto che, nella specie, sia avvenuta nei confronti della madre risultata amministratrice di sostegno della figlia incapace) determina la sanatoria del vizio (afferente al più ad un'incertezza sul requisito ex art. 163, comma 3, n. 2, c.p.c.)dell'atto di appello notificato al difensore costituito in primo grado vizio senza la specificazione del figlio quale parte formale.

Cass. civ. n. 2460/2020

Nel caso in cui il genitore agisca in giudizio in rappresentanza del figlio minore in difetto di autorizzazione ex art. 320 c.c., l'eccezione di carenza di legittimazione processuale sollevata dalla controparte è infondata se l'autorizzazione viene prodotta, sia pure successivamente alla scadenza dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., ovvero se il figlio, diventato maggiorenne, si costituisce nel giudizio (nella specie, di appello), così ratificando l'attività processuale del rappresentante legale, operando in entrambe le ipotesi la sanatoria retroattiva del vizio di rappresentanza ai sensi dell'art. 182 c.p.c.

Cass. civ. n. 18777/2018

La rimozione, per "mala gestio", di uno o di entrambi i genitori dall'amministrazione del patrimonio del figlio minore, ai sensi dell'art. 334 c.c., presuppone la realizzazione di condotte concretamente pregiudizievoli per il minore o tali da rendere serio e concreto il rischio patrimoniale secondo una valutazione improntata a criteri di oggettività, non essendo sufficienti situazioni di pericolo meramente potenziale o fondate su convinzioni o interessi soggettivi di colui che reclami l'intervento del giudice.

Cass. civ. n. 12953/2014

E configurabile, e opponibile al minore rappresentato, la simulazione assoluta di un atto, eccedente i limiti dell'ordinaria amministrazione, compiuto dal legale rappresentante, preventivamente e regolarmente autorizzato dal giudice tutelare.

Cass. civ. n. 13520/2012

La competenza ad autorizzare la vendita di immobili ereditati dal minore soggetto alla potestà dei genitori appartiene al giudice tutelare del luogo di residenza del primo, a norma dell'art. 320, terzo comma, c.c., unicamente per quei beni che, provenendo da una successione ereditaria, si possono considerare acquisiti al suo patrimonio. Ne consegue che, ai sensi del primo comma dell'art. 747 c.p.c., la competenza spetta, sentito il giudice tutelare, al tribunale del luogo di apertura della successione, ove il procedimento dell'acquisto "iure hereditario" non si sia ancora esaurito per essere pendente la procedura di accettazione con beneficio di inventario, in quanto, in tale ipotesi, l'indagine del giudice non è circoscritta soltanto alla tutela del minore, ai sensi dell'art. 320 c.c., ma si estende a quella degli altri soggetti interessati alla liquidazione dell'eredità, così evitandosi una disparità di trattamento fra minori "in potestate" e minori sotto tutela, con riguardo alla diversa competenza a provvedere per i primi (giudice tutelare ai sensi dell'art. 320 c.c.) e i secondi (tribunale quale giudice delle successioni, in base all'art. 747 c.p.c.).

Cass. civ. n. 743/2012

In tema di rappresentanza processuale del minore, l'autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 c.c. è necessaria per promuovere giudizi relativi ad atti di amministrazione straordinaria, che possono cioè arrecare pregiudizio o diminuzione del patrimonio e non anche per gli atti diretti al miglioramento e alla conservazione dei beni che fanno già parte del patrimonio del soggetto incapace. Ne consegue che si atteggiano ad atti di ordinaria amministrazione, per i quali non è necessaria la predetta autorizzazione, tanto l'azione di rivendica finalizzata ad accrescere o a tutelare in senso migliorativo il patrimonio dell'incapace, quanto l'assunzione di una posizione processuale assimilabile a quella di un convenuto, come l'intervento volontario in giudizio per contrastare la domanda dell'attore di riconoscimento di un diritto di proprietà, giacché il provvedimento del giudice tutelare è richiesto solo quando il minore assuma la veste di attore in primo grado, ma non per le difese e gli atti diretti a resistere all'azione avversaria.

Cass. civ. n. 10654/2011

Il genitore, autorizzato dal tribunale ai sensi dell'art. 320, quinto comma, c.c., alla continuazione dell'esercizio dell'impresa commerciale del minore, può compiere, senza necessità di specifica autorizzazione del giudice tutelare, anche i singoli atti strettamente collegati a tale esercizio, stante il carattere dinamico dell'impresa e la necessità di assumere decisioni pronte e tempestive, le quali sarebbero gravemente ostacolate, o addirittura paralizzate qualora, per ogni singolo atto, occorresse rivolgersi all'autorità giudiziaria; pertanto, non necessita di previa autorizzazione la stipula del contratto di apertura di credito bancario, essendo strumento fondamentale e presupposto per l'esercizio dell'attività imprenditoriale, la quale non potrebbe svolgersi senza i fondi necessari. E, inoltre, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 320, quinto comma, c.c., sollevata con riferimento all'art. 3 Cost., per violazione del principio di uguaglianza tra minore esercente e minore non esercente un'attività commerciale, dal momento che nel primo caso è prevista dalla legge una duplice autorizzazione (provvisoria da parte del giudice tutelare, definitiva da parte dei tribunale in composizione collegiale che, in detta sede, può controllare e valutare l'attività svolta dopo la prima autorizzazione) e che, in forza dell'art. 334 c.c., in ipotesi di cattiva amministrazione del patrimonio del minore, il tribunale per i minorenni può stabilire condizioni e prescrizioni ai genitori e, nei casi più gravi, rimuovere entrambi o uno di essi dall'amministrazione, come pure il curatore speciale esercente l'impresa.

Cass. civ. n. 7546/2003

In tema di amministrazione dei beni dei figli ex art. 320 c.c., al di fuori dei casi specificamente individuati ed inquadrati nella categoria degli atti di straordinaria amministrazione dal legislatore, vanno considerati di ordinaria amministrazione gli atti che presentino tutte e tre le seguenti caratteristiche: 1) siano oggettivamente utili alla conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essenziali del patrimonio in questione; 2) abbiano un valore economico non particolarmente elevato in senso assoluto e soprattutto in relazione al valore totale del patrimonio medesimo; 3) comportino un margine di rischio modesto in relazione alle caratteristiche del patrimonio predetto, vanno invece considerati di straordinaria amministrazione gli atti che non presentino tutte e tre queste caratteristiche.

Cass. civ. n. 2430/1994

La distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione prevista dal codice civile in relazione ai beni degli incapaci (artt. 320, 374 e 394 c.c.) non coincide con quella applicabile in tema di determinazione dei poteri attribuiti agli amministratori delle società, i quali vanno individuati con riferimento agli atti che rientrano nell'«oggetto sociale» - qualunque sia la loro rilevanza economica e natura giuridica - pur se eccedano i limiti della cosiddetta ordinaria amministrazione, con la conseguenza che, salvo le limitazioni specificamente previste nello statuto sociale, devono ritenersi rientranti nella competenza dell'amministratore tutti gli atti che ineriscono alla gestione della società ed eccedenti i suoi poteri, invece, quelli di disposizione o di alienazione, suscettibili di modificare la struttura dell'ente e, perciò esorbitanti (e contrastanti con) l'oggetto sociale. (Ribadendo tali principi, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito, la quale ha ritenuto rientrante nell'oggetto sociale - e, pertanto, vincolante per una Sas anche se stipulato senza la firma congiunta degli amministratori, prevista dallo statuto per gli atti di straordinaria amministrazione - la conclusione di un contratto di leasing cosiddetto «di trasferimento», comportante, alla sua scadenza, la possibilità del passaggio in proprietà, alla società utilizzatrice, dei beni strumentali impiegati per l'attività di gestione del gabinetto odontoiatrico, esercitata dalla società medesima).

Cass. civ. n. 2235/1990

L'autorizzazione del giudice tutelare richiesta dall'art. 320 c.c. per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione riguardanti i minori di età, non è diretta a conferire efficacia ad un negozio giuridico già formato, ma rappresenta un elemento costitutivo dello stesso, e pertanto deve sussistere al momento della sua conclusione e non può essere supplito da un'autorizzazione successiva, ancorché il negozio sfornito di quel requisito di validità sia affetto da sola annullabilità, che può essere fatta valere solamente dal genitore o dal figlio o dai suoi eredi o aventi causa.

Cass. civ. n. 599/1982

L'art. 320, primo comma, c.c. (come modificato dall'art. 143 della L. 19 maggio 1975, n. 143) — ove stabilisce la rappresentanza congiunta di entrambi i genitori per la stipulazione di atti con cui si concedono o si acquistano diritti personali di godimento — in quanto introduttivo di un'eccezione alla regola che gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti da ciascun genitore disgiuntamente, non può interpretarsi estensivamente, così da ritenerlo riferibile alla domanda di rilascio di un immobile del minore (nella specie: ex art. 4 della L. 23 maggio 1950, n. 253), la quale non integra concessione (a terzi) o acquisto (da terzi) di diritti personali di godimento; ciò, tenuto conto altresì del silenzio della norma citata in tema di legitimatio ad processum, a differenza dell'espressa previsione al riguardo contenuta nel successivo terzo comma, in relazione agli atti negoziali di amministrazione straordinaria.

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Consulenze legali
relative all'articolo 320 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. C. chiede
mercoledì 10/07/2024
“In una successione ereditano tre figli, due dei quali rinunciano all'eredità il terzo ha accettato l'eredità con beneficio di inventario in quanto i debiti superano di molto il patrimonio immobiliare.
Il coniuge di una che ha rinunciato (separato) ha impugnato la rinuncia in quanto esiste una minore. Il Tribunale dopo accertamenti, perizie ed altro ha fatto accettare l'eredità alla Minore.
L'altra erede, rinunciataria, anch'essa con una minore tramite un avvocato ha presentato la stessa documentazione con una perizia diversa ma reale del patrimonio ereditario e lo stesso Tribunale ha fatto rinunciare la Minore.
La domanda: si può impugnare la decisione del primo Giudice in quanto ha deciso su una documentazione assolutamente errata? in quanto il patrimonio immobiliare è di molto inferiore ai debiti come da perizia assolutamente completa e veritiera? grazie”
Consulenza legale i 17/07/2024
Il caso in esame tratta di un procedimento di volontaria giurisdizione ai sensi dell’art. 320 c.c. in cui è stato nominato un curatore affinché proceda all’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario per il minore, erede del nonno materno per rappresentazione dopo la rinuncia all’eredità da parte della madre.
Si rileva come tale procedura, non avendo natura contenziosa, permetta solo di presentare reclamo ai sensi dell'art. 739 del c.p.c. nel termine di 10 giorni dalla comunicazione del decreto o dalla notificazione se è emesso nei confronti di più parti.
Nel caso specifico il provvedimento è già stato reclamato dalla madre della minore e il Tribunale ha rigettato tale reclamo.
Non c’è quindi un altro mezzo di impugnazione per questo genere di provvedimenti.
Piuttosto, se l'eredità non è ancora stata accettata, si ritiene che si possa proporre al giudice tutelare un nuovo ricorso chiedendo di revocare il precedente decreto presentando la nuova perizia.
I decreti del giudice tutelare infatti sono sempre revocabili o modificabili ai sensi dell'art. 742 del c.p.c..
Si ricorda, in ogni caso, che i minori possono accettare l'eredità solo con beneficio di inventario come previsto dagli art. 471 del c.c. e art. 472 del c.c..
Ne consegue che l'erede risponde degli eventuali debiti ereditari solo entro il valore dell'attivo ereditario.
Il minore, quindi, anche se ha accettato con beneficio di inventario un'eredità con un attivo inferiore rispetto a quello che era risultato dalla prima perizia, non corre rischi.

L. D. S. chiede
martedì 25/07/2023
“Buongiorno, mio figlio sedicenne voleva aprire partita iva per un'attività di intermediazione e consulenza, noi genitori abbiamo inoltrato istanza al tribunale chiedendo al giudice l'autorizzazione per iniziare l'attività. L'istanza è stata rigettata citando l'art. 320 cc (prevede la possibilità di autorizzare solo la continuazione di un’impresa commerciale, e non il suo inizio ex novo; che è pacifico in dottrina ed in giurisprudenza che ciò comporta il divieto per un minore di iniziare un’attività commerciale, per i rischi insiti nello status di imprenditore potenzialmente insolvente; rigetta il ricorso).
Vi chiedo gentilmente se secondo voi ci siano le basi per un ricorso.
Distintamente”
Consulenza legale i 01/08/2023
Purtroppo il testo dell’art. 320 c.c. è inequivocabile nello stabilire che può essere autorizzata dal giudice (più precisamente, a partire dal 28 febbraio 2023, dal giudice tutelare) solo la continuazione dell’esercizio di un’impresa commerciale già esistente.
Come conferma espressamente la stessa originaria Relazione del Ministro Guardasigilli al codice civile del 1942, si è voluta escludere la possibilità che sia iniziato, nell'interesse di un minore, l'esercizio di un'impresa commerciale, in considerazione dei rischi che essa comporta.
Invece, sempre secondo la Relazione, si è inteso consentire soltanto la continuazione dell'esercizio di un'impresa commerciale già in atto.
Il senso della previsione, dunque, sta nell’esigenza di tutelare il minore rispetto ai rischi che l’attività di impresa comporta; rischi che vengono considerati inferiori nel caso di attività imprenditoriale già avviata, rispetto alla quale il giudice ha a disposizione più elementi di valutazione del rischio medesimo.
Può invece essere autorizzato a iniziare un’impresa commerciale, ai sensi dell’art. 397 c.c., il minore “emancipato”, che cioè abbia contratto matrimonio nei casi e con i presupposti previsti dall’art. 84 c.c. (ma non sembra si tratti del nostro caso).

Fabrizio C. chiede
martedì 28/09/2021 - Emilia-Romagna
“Spett. Le Brocardi.it sono ad esporre un quesito in ambito di eredità e successione.

Sono celibe e ho un figlio di 11 anni da una relazione passata.

Il figlio è stato riconosciuto dal sottoscritto, che attualmente provvede a non far mancare nulla sia sotto l'aspetto economico ma soprattutto affettivo, oltre che a provvedere attivamente a tutti gli altri fabbisogni. Inoltre vive con me in egual misura che con la madre, ognuno con la propria abitazione.

Siccome la madre è nullatenente, ha un compagno saltuario e inoltre non dispone di patente per cui, per ogni fabbisogno che prevede spostamenti, è possibile ricorrere esclusivamente al sottoscritto: per la scuola, per il calcetto, per le visite mediche e per tutto ciò che prevede mobilità.

Premetto che il rapporto di entrambi i genitori è attualmente collaborativo, tuttavia non nascondo il timore di poter nel tempo perdere questo beneficio per qualsiasi ragione, trattandosi di rapporti umani.

Siccome sono proprietario di un appartamento che al momento della mia dipartita, andrà a mio figlio, mi chiedo se esiste un modo per evitare che tale proprietà possa essere gestita in futuro dalla mamma (se sopravvive al sottoscritto), o venduta dalla stessa, in quanto conoscendo la di lei scarsa abilità gestionale e strategica, non vorrei nuocesse al futuro di mio figlio in quanto vorrei che tale appartamento possa divenire la sua dimora, per il suo futuro con la sua famiglia, senza che la madre possa intervenire vendendo o gestendo quello che diventerà il suo immobile. Esiste qualcosa che è possibile fare in base a quanto descritto?
Resto in attesa di Vs cortese risposta e porgo i miei migliori saluti”
Consulenza legale i 04/10/2021
Ai sensi dell’art. 320 c.c., la rappresentanza dei figli in tutti gli atti civili e l’amministrazione dei loro beni spetta ai genitori congiuntamente, o a quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale. Il potere di rappresentanza e di amministrazione perdura, naturalmente, fino al raggiungimento della maggiore età o all'eventuale emancipazione del figlio. Possono però essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore gli atti di ordinaria amministrazione, esclusi i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento.
Di particolare interesse ai fini della risposta al quesito è il terzo comma della norma in commento, che vieta ai genitori di alienare, ipotecare o dare in pegno i beni pervenuti al figlio a qualsiasi titolo (anche a causa di morte), nonché di compiere tutta una serie di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione espressamente elencati dalla norma, se non per necessità o utilità evidente del figlio e, comunque, previa autorizzazione del giudice tutelare.
Ne consegue che, nell’ipotesi prospettata nel quesito, la madre del minore (la quale, stando a quanto riferito, non risulterebbe unita in matrimonio al padre del bambino, e dunque non avrebbe diritti successori) non potrà liberamente vendere l’immobile già di proprietà dell'ex compagno, dovendo richiedere a tal fine specifica autorizzazione al giudice tutelare il quale, a sua volta, potrà concederla solo qualora vi sia “necessità o utilità evidente” per il figlio stesso. Appare peraltro improbabile che ciò possa accadere, in una situazione quale quella descritta nel quesito.

Serena B. chiede
venerdì 16/10/2015 - Veneto
“Siamo due genitori che hanno acquistato un vecchio rudere da demolire per costruire una piccola abitazione per la figlia minore di età anni 11. Il cespite è stato intestato al minore previa autorizzazione del giudice tutelare.
Spesa complessiva ca 100000 euro interamente sostenuta dai genitori. Dovendo adesso procedere alla costruzione del nuovo a fronte di una spesa preventivato di ca 350000 euro abbiamo pensato di contrarre un mutuo di 200000 euro a nome dei genitori costituendo ipoteca sul cespite in oggetto è su un ulteriore cespite a disposizione della famiglia al fine di aumentare le garanzie a sostegno della operazione. Il reddito familiare e' pari a 9 volte l.impegno annuale assunto. Il giudice tutelare rigetta il ricorso asserendo che la operazione non ha nessun interesse per il minore. Siamo della idea che la trasformazione di un bene che oggi non può produrre nessuna utilita' "rudere collabente" in un immobile del costo di 450000 interamente sostenuto dai genitori in assoluta sicurezza economica, contrasti, nella logica di operazione posta con la diligenza del buon padre di famiglia,con la decisione del giudice tutelare. Infatti il rispetto di tale sentenza non consente di valorizzare il cespite e di preservare il valore nel tempo. Vi saremo grati se ci potrete indicare la strada meno conflittuale da intraprendere per una giusta (a nostro parere ) soluzione.”
Consulenza legale i 16/10/2015
Nel caso in esame, due sono le possibili strade da intraprendere, entrambe presupponenti un'istanza da presentare all'autorità giudiziaria.

1. Il reclamo immediato contro la decisione del giudice tutelare: contro i decreti da questo emessi, infatti, si può proporre reclamo con ricorso al tribunale, che pronuncia in camera di consiglio. Contro i decreti pronunciati dal tribunale in camera di consiglio in primo grado si può proporre reclamo con ricorso alla corte d'appello, che pronuncia anch'essa in camera di consiglio (art. 739 del c.p.c.).
Il reclamo ha tempi molto stretti: deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto, se è dato in confronto di una sola parte, o dalla notificazione se è dato in confronto di più parti.

2. La richiesta di modifica o revoca del provvedimento del giudice tutelare. Le decisioni del g.t. non sono idonee a passare in giudicato come le ordinarie sentenze, bensì, sebbene divenute efficaci ai sensi dell'art. 741 c.p.c., possono essere modificati o revocati dal giudice che le ha emesse.
La modifica e la revoca possono avvenire sia d'ufficio, sia su istanza dei soggetti legittimati a promuovere il procedimento (nel nostro caso, i genitori della minore).
Si ritengono modificabili/revocabili anche i provvedimenti pronunciati in sede di reclamo.
L'unico limite stabilito dalla legge è quello previsto dall'art. 742 c.p.c. laddove prevede che restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modifica o alla revoca, ma tale norma non sembra rilevante nella fattispecie in esame.

La differenza tra le due strade è che, nel primo caso, la decisione "passa" al tribunale, che risulterà composto da magistrati diversi rispetto al giudice tutelare (l'art. 45 disp. att. codice civile stabilisce che la competenza a decidere dei reclami avverso i decreti del giudice tutelare spetta al tribunale ordinario quando si tratta dei provvedimenti indicati negli articoli 320, 321, 372, 373, 374, 376, secondo comma, 386, 394 e 395 del codice), i quali - presumibilmente - potranno essere più facilmente convinti delle ragioni dei genitori e quindi a riformare la decisione del g.t.; nel secondo caso, è lo stesso giudice che ha emesso il decreto a doverlo modificare o revocare, con la conseguenza che appare più difficile convincerlo che la sua decisione precedente debba essere rimessa in discussione.

Purtroppo non si ravvisano soluzioni di tipo non giudiziale, in quanto la concessione di ipoteca sul bene di cui è titolare la minore non può essere effettuata per legge senza l'autorizzazione del giudice tutelare (terzo comma dell'art. 320 c.c.).

Leuteria chiede
martedì 21/12/2010
“Per installare un impianto fotovoltaico su proprietà in cui il nudo proprietario è minorenne, l'usufruttuario deve chiedere l'autorizzazione al Giudice tutelare?”
Consulenza legale i 22/12/2010

L'autorizzazione del Giudice Tutelare è necessaria, ai sensi dell'art. 320 del c.c., quando i genitori del minore intendano porre in essere, in suo nome, un atto eccedente l'ordinaria amministrazione: essa può essere concessa solo laddove l'atto risulti di necessità o utilità evidente per il minore.
Si tratta, quindi, di capire come configurare l'installazione di un impianto fotovoltaico: se atto di ordinaria o straordinaria amministrazione.

A favore della prima ipotesi (che comporta la non necessità di autorizzazione del Giudice Tutelare) depone innanzitutto il fatto che l'atto che si intende compiere non comporta trasferimento/alienazione della titolarità del bene del minore, caratteristica che accomuna molte delle ipotesi elencate al secondo comma dell'art. 320 c.c. citato (elenco comunque non tassativo ma meramente esemplificativo).
Secondo la dottrina, inoltre, si deve avere riguardo alla funzione dell'atto che i genitori desiderano compiere, nonché alla sua effettiva incidenza sul patrimonio del minore, per cui eccedono l'ordinaria amministrazione tutti e soltanto gli atti che intaccano il patrimonio, riducendolo o alterandone la struttura. Rimangono nell'ambito degli atti ordinari quelli rivolti alla conservazione, al miglioramento o all'incremento del patrimonio. Anche sotto questo profilo, quindi, l'installazione dell'impianto sembra essere contenuta nel novero degli atti di ordinaria amministrazione.
Infine, si richiama una recente pronuncia giurisprudenziale che delinea le caratteristiche che gli atti devono possedere per poter essere qualificati come di ordinaria amministrazione: "1) siano oggettivamente utili alla conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essenziali del patrimonio in questione; 2) abbiano un valore economico non particolarmente elevato in senso assoluto e soprattutto in relazione al valore totale del patrimonio medesimo; 3) comportino un margine di rischio modesto in relazione alle caratteristiche del patrimonio predetto. Vanno invece considerati di straordinaria amministrazione gli atti che non presentino tutte e tre queste caratteristiche" (Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2003, n. 7546).

Appare verosimile pertanto configurare l'installazione di impianto fotovoltaico come atto di ordinaria amministrazione, prestando la dovuta attenzione al rispetto delle tre caratteristiche richieste dalla giurisprudenza di legittimità.


E. F. chiede
sabato 08/01/2022 - Marche
“Buon Giorno, vi scrivo per descrivervi i fatti di quanto segue. Mia figlia convive da 10 anni con un uomo e nessuno dei due sono stati mai sposati ne' avute mai altre convivenze o separazioni precedenti. Dalla loro convivenza sono nati due figli uno di 8 anni ed un'altro di 3 mesi , tutti e due regolarmente riconosciuti da entrambi i conviventi e registrati presso l'ufficio anagrafe del loro attuale comune di residenza. Circa 4 anni fa, gli stessi, hanno acquistato un immobile in comproprietà, il quale immobile risulta gravato da ipoteca a fronte di un mutuo trentennale acceso con un istituto di credito. Il convivente qualche giorno fa è deceduto, il quale, in vita, aveva stipulato una polizza assicurativa puro rischio morte di euro 80.000, ove nella stessa polizza per quanto riguarda il beneficiario, essa recita cosi' : Beneficiario - Il coniuge, in mancanza i figli in parti uguali. La domanda che vi pongo è questa: la convivente puo' riscuotere la somma assicurata in virtu' di una, ora, unica capacità genitoriale e quindi equiparabile allo status di coniuge ???, così come recita il beneficiario della polizza, oppure, in presenza di minori, nati da una relazione tra conviventi, il convivente superstite non puo' vantare nessuna pretesa, in quanto non titolato per la riscossione della somma non avendo lo status di coniuge e quindi dovra' ricorrere alla decisione del giudice tutelare per l'amministrazione straordinaria al fine ( sempre con una decisione favorevole del giudice tutelare ) di poter entrare in possesso di tale somma ???? nota: la somma assicurata, era, quale unico scopo, quella di assicurare al convivente superstite, al fine di poter entrare in possesso della somma assicurata, per poi poter estinguere, parte del mutuo contratto con la banca. Fiducioso di una Vostra risposta, porgo distinti saluti”
Consulenza legale i 13/01/2022
La situazione a cui si fa riferimento nel quesito è quella che si definisce convivenza more uxorio, fenomeno ormai da lungo tempo diffuso nella realtà sociale e che ha indotto i legislatori di molteplici Paesi a dettare, anche se con modalità e contenuti molto diversi tra loro, una disciplina parallela a quella matrimoniale.
Fino a qualche anno fa in Italia mancava una disciplina omogenea che, sulla falsa riga di quanto previsto per i coniugi, contemplasse uno statuto della coppia non coniugata.
A poco a poco alcune disposizioni legislative cominciarono a prendere in considerazione la figura del convivente more uxorio, prevedendosi una vera e propria equiparazione alla figura del coniuge.
Quali primi significativi interventi normativi possono menzionarsi la modifica dell’art. 417 del c.c., richiamato dall’art. 406 del c.c. (norma che, in tema di amministrazione di sostegno, inquadra il convivente tra i componenti della famiglia), nonché l’art. 5 della legge n. 40 del 2004 (in tema di procreazione medicalmente assistita, norma che equipara la coppia convivente a quella coniugata, con l’ovvia precisazione, tenuto conto degli specifici interessi da regolamentare, che deve trattarsi di coppia maggiorenne di sesso diverso).
E’ solo con la c.d. legge Cirinnà del 2016 (Legge 20.05.2016 n. 76) che si è potuto affermare in modo ufficiale che la famiglia non deve necessariamente essere fondata in modo esclusivo sul matrimonio, ma può fondarsi anche su una comunione di vita materiale e spirituale, ragione per la quale, anche i conviventi, ossia le cosiddette “coppie di fatto”, godono di gran parte dei diritti riconosciuti alle coppie sposate.

In particolare, secondo quanto precisato dall’art. 1 comma 36 di tale legge, devono intendersi per conviventi di fatto “due persone maggiorenni unite in modo stabile da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.
Tuttavia, sempre detta legge dispone che, perché possa formalmente configurarsi una convivenza di fatto tra persone eterosessuali oppure dello stesso sesso, occorre che la stessa venga attestata attraverso un’autocertificazione in carta libera, presentata al comune di residenza, nella quale i conviventi dichiarano di convivere allo stesso indirizzo.
Ricevuta tale autocertificazione, il Comune, dopo aver provveduto agli opportuni accertamenti, rilascerà il certificato di residenza e stato di famiglia.
Nel momento in cui la convivenza di fatto tra due persone viene formalizzata nel modo predetto, si viene a costituire un vero e proprio nucleo familiare che, nonostante sia diverso da quello matrimoniale, è, allo stesso modo, meritevole di tutela.
In particolare, sempre secondo quanto risulta da tale legge, dalla convivenza di fatto così formalizzata ne consegue il riconoscimento dei seguenti diritti e doveri:
a) gli stessi diritti che spettano al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario (quale la possibilità di far visita al proprio partner in carcere);
b) il diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali, in caso di malattia o di ricovero del convivente di fatto;
c) la facoltà di nominare il convivente come proprio rappresentante in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute, o di morte, in relazione alla donazione di organi, alle modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie;
d) il diritto per il convivente di fatto di essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, se il partner venga dichiarato interdetto, inabilitato o beneficiario dell’amministrazione di sostegno;.
e) in caso di morte del proprietario dell’abitazione comune, il diritto del convivente superstite di restare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e non oltre i cinque anni;
f) se il convivente superstite ha figli minori o disabili, il diritto di continuare a restare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni;
g) nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, la facoltà del convivente di succedergli nel contratto;
h) lo stesso diritto al risarcimento del danno che spetta al coniuge superstite, in caso di decesso del convivente di fatto derivante da fatto illecito di un terzo;
i) il diritto del convivente di partecipare alla gestione e agli utili dell’impresa familiare del partner, nonché ai beni acquistati con questi ultimi e agli incrementi dell’azienda, in proporzione al lavoro prestato;
j) il diritto di ricevere gli alimenti dall’ex convivente in caso di cessazione della convivenza di fatto, qualora l’altro versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.

Si tratta di disposizioni che si ritiene non possano costituire oggetto di interpretazione estensiva, con la conseguenza che casi come quello di specie non possono ricondursi in via analogica nel campo di applicazione di tale normativa.
Pertanto, avendo il convivente deceduto nominato in modo generico quale beneficiario della polizza il “coniuge”, senza specificarne il nome, si avrà come conseguenza che, in assenza di vincolo matrimoniale, il convivente di fatto superstite non potrà in alcun modo assimilarsi al coniuge e, pertanto, diretti beneficiari saranno i figli.
Ulteriore conseguenza di tale soluzione sarà che occorrerà munirsi della autorizzazione del giudice tutelare per la riscossione del capitale assicurato, essendo tale autorizzazione espressamente richiesta dall’art. 320 comma 4 c.c.

Poiché nel quesito si dice che l’intenzione dei conviventi sarebbe stata quella di estinguere con la somma assicurata almeno parte del mutuo contratto per l’acquisto dell’immobile in comproprietà, ciò che può suggerirsi è di chiedere al giudice tutelare di autorizzare, sempre ex art. 320 comma 4 c.c., il reimpiego della somma che si andrà a riscuotere per tale finalità, considerato che anche i figli, a seguito dell’apertura della successione, sono inevitabilmente divenuti comproprietari dell’immobile in qualità di coeredi.
Infatti, salvo diversa disposizione testamentaria del de cuius (la quale, in ogni caso non può ledere la quota di riserva spettante ai figli, pari a due terzi indivisi ex art. 537 comma 2 c.c.), poiché i conviventi more uxorio non hanno diritti successori l’uno nei confronti dell’altro, la metà indivisa di quell’immobile verrà trasferita iure successionis in favore dei figli superstiti.

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