Cass. civ. n. 35466/2022
In tema di annullamento di procura a vendere e del successivo contratto di compravendita per incapacità naturale del rappresentato all'atto del conferimento della procura, la presunzione di incapacità intermedia conseguente alla dimostrazione della stessa con riguardo ad un momento successivo e precedente postula in ogni caso il carattere rigoroso della valutazione della prova da parte del giudice con riferimento all'incapacità naturale successiva e precedente l'atto oggetto di impugnazione, senza che, del resto, possa ritenersi a tal fine sufficiente l'esistenza di un giudicato penale con cui sia stata dichiarata l'incapacità naturale del rappresentato giacché, in applicazione del principio di autonomia e separazione dei giudizi penale e civile, il giudice civile deve procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità con pienezza di cognizione, non essendo vincolato alle soluzioni e qualificazioni del giudice penale.
Cass. civ. n. 29962/2022
Ai fini dell'annullamento del contratto per incapacità naturale - a differenza di quanto previsto per l'annullamento dell'atto unilaterale - non rileva, di per sé, il pregiudizio che il contratto provochi o possa provocare all'incapace, poiché tale pregiudizio rappresenta solamente un indizio della malafede dell'altro contraente; la diversità di disciplina contenuta nell'art. 428 c.c., infatti, sottende la diversa rilevanza sociale degli atti unilaterali rispetto a quella dei contratti, poiché nei primi è preminente l'interesse dell'incapace a controllare le conseguenze degli atti compiuti, mentre nei secondi è prioritario l'interesse alla certezza del contratto e alla tutela dell'affidamento della controparte che, non essendo in mala fede, abbia confidato sulla sua validità.
Cass. civ. n. 17381/2021
Qualora la domanda di annullamento di un contratto per incapacità naturale abbia ad oggetto un contratto di compravendita, il fatto che il giudice di merito non abbia tenuto in alcuna considerazione il divario tra il prezzo di mercato ed il prezzo esposto nel contratto implica un vizio di motivazione della sentenza, in quanto tale elemento, se accertato, costituisce un importante sintomo rivelatore della malafede dell'altro contraente. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 04/05/2015).
Cass. civ. n. 19807/2020
L'esercizio dell'azione di annullamento del contratto per incapacità di intendere e volere di uno dei contraenti, che sia successivamente deceduto, sebbene possa compiersi da parte di uno solo dei coeredi, anche in contrasto con gli altri, implica comunque il litisconsorzio necessario di tutti, giacché, come la sentenza di annullamento deve investire l'atto negoziale non limitatamente ad un soggetto, ma nella sua interezza, posto che esso non può essere contemporaneamente valido per un soggetto e invalido per un altro, così anche l'eventuale restituzione non può avvenire "pro quota". (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 23/12/2015).
Cass. civ. n. 4232/2019
In caso di annullamento, ex art. 428 c.c., delle dimissioni presentate dal lavoratore in stato di incapacità naturale, le conseguenze risarcitorie decorrono dalla data della domanda giudiziaria, secondo il principio generale per cui la durata del processo non deve andare a detrimento della parte vincitrice. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 16/07/2015).
Cass. civ. n. 30126/2018
Ai fini della sussistenza di una situazione di incapacità di intendere e di volere ex art. 428 c.c., costituente causa di annullamento del negozio, non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente un turbamento psichico tale da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all'importanza dell'atto che sta per compiere. Laddove si controverta della sussistenza di una simile situazione in riferimento alle dimissioni del lavoratore subordinato, il relativo accertamento deve essere particolarmente rigoroso, in quanto le dimissioni comportano la rinunzia al posto di lavoro - bene protetto dagli artt. 4 e 36 Cost. - sicché occorre verificare che da parte del lavoratore sia stata manifestata in modo univoco l'incondizionata e genuina volontà di porre fine al rapporto. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 09/01/2017).
Cass. civ. n. 21701/2018
Nell'ipotesi di annullamento delle dimissioni presentate da un lavoratore subordinato (nella specie, perché in stato di incapacità naturale), le retribuzioni spettano dalla data della sentenza che dichiara l'illegittimità delle dimissioni, in quanto il principio secondo cui l'annullamento di un negozio giuridico ha efficacia retroattiva non comporta anche il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dalla data delle dimissioni a quella della riammissione al lavoro, che, stante la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro, non sono dovute in mancanza della prestazione, salvo espressa previsione di legge. (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO PALERMO, 30/07/2012).
Cass. civ. n. 12658/2018
L'atto interruttivo della prescrizione, quale mero atto unilaterale recettizio, produce effetti anche quando il suo destinatario sia un incapace naturale, purché gli pervenga nel rispetto delle previsioni di cui agli artt. 1334 e 1335 c.c.
Cass. civ. n. 11004/2018
I casi di sospensione della prescrizione sono tassativamente indicati dalla legge e sono insuscettibili di applicazione analogica e di interpretazione estensiva, in quanto il legislatore regola inderogabilmente le cause di sospensione, limitandole a quelle che consistono in veri e propri impedimenti di ordine giuridico, con esclusione degli impedimenti di mero fatto; ne consegue che la espressa previsione della interdizione per infermità di mente come causa di sospensione impedisce l'estensione della medesima disciplina alla incapacità naturale.
Cass. civ. n. 16888/2017
L'esonero dalla ripetizione della prestazione ricevuta dalla parte, in ipotesi di annullamento del contratto per sua incapacità, prescinde dalla buona o malafede dell'altro contraente e dipende esclusivamente dalla circostanza oggettiva che detto annullamento sia avvenuto in conseguenza di tale incapacità, presumendo la legge che l’incapace abbia mal disposto del suo patrimonio e dissipato la prestazione conseguita, non traendone profitto; grava, pertanto, sull'altro contraente, che intenda ottenere la restituzione della prestazione corrisposta, l'onere di dimostrare che l'incapace ne ha tratto vantaggio, indipendentemente dal proprio stato soggettivo.
Cass. civ. n. 13659/2017
Ai fini della sussistenza dell'incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento del negozio ex art. 428 c.c., non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente che esse siano menomate, sì da impedire comunque la formazione di una volontà cosciente; la prova di tale condizione non richiede la dimostrazione che il soggetto, al momento di compiere l'atto, versava in uno stato patologico tale da far venir meno, in modo totale e assoluto, le facoltà psichiche, essendo sufficiente accertare che queste erano perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio e, quindi, il formarsi di una volontà cosciente, e può essere data con ogni mezzo o in base ad indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi per la sua configurabilità, essendo il giudice di merito libero di utilizzare, ai fini del proprio convincimento, anche le prove raccolte in un giudizio intercorso tra le stesse parti o tra altre, secondo una valutazione incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da congrue argomentazioni, scevre da vizi logici ed errori di diritto.
Cass. civ. n. 4316/2016
In tema di incapacità naturale conseguente ad infermità psichica (nella specie, demenza senile grave), accertata la totale incapacità di un soggetto in due periodi prossimi nel tempo, la sussistenza di tale condizione è presunta, "iuris tantum", anche nel periodo intermedio, sicché la parte che sostiene la validità dell'atto compiuto è tenuta a provare che il soggetto ha agito in una fase di lucido intervallo o di remissione della patologia.
Cass. civ. n. 19458/2015
Ai fini dell'annullamento di un contratto, perché concluso in stato d'incapacità naturale, il gravissimo pregiudizio a carico dell'incapace costituisce elemento indiziario dell'ulteriore requisito della malafede dell'altro contraente, ma, di per sé, non è idoneo a costituirne la prova. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva respinto la domanda di annullamento di un accordo transattivo, non avendo il lavoratore assolto all'onere di allegazione e prova circa la sussistenza del requisito della malafede dell'altro contraente).
Cass. civ. n. 17977/2011
Ai fini della sussistenza della incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento del negozio (nella specie, dimissioni), non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all'atto che sta per compiere. La valutazione in ordine alla gravità della diminuzione di tali capacità è riservata al giudice di merito e non è censurabile in cassazione se adeguatamente motivata, dovendo l'eventuale vizio della motivazione emergere, in ogni caso, direttamente dalla sentenza e non dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.
Cass. civ. n. 8886/2010
In caso di dimissioni presentate dal lavoratore in stato di incapacità naturale, il diritto a riprendere il lavoro sorge con la sentenza di annullamento ai sensi dell'art. 428 c.c., i cui effetti retroagiscono al momento della domanda giudiziaria in applicazione del principio generale secondo cui la durata del processo non deve andare a detrimento della parte vincitrice. Ne consegue che anche il diritto alle retribuzioni maturate sorge solo dalla data della domanda giudiziale, dovendosi escludere che l'efficacia totalmente ripristinatoria dell'annullamento del negozio unilaterale risolutivo del rapporto di lavoro si estenda al diritto alla retribuzione che, salvo diversa espressa eccezione di legge, non è dovuta in mancanza dell'attività lavorativa.
Cass. civ. n. 4677/2009
Ai fini dell'annullamento del contratto per incapacità di intendere e di volere, ai sensi dell'art. 428, secondo comma, cod. civ., non è richiesta, a differenza dell'ipotesi del primo comma, la sussistenza di un grave pregiudizio, che, invece, costituisce indizio rivelatore dell'essenziale requisito della mala fede dell'altro contraente; quest' ultima risulta o dal pregiudizio anche solo potenziale, derivato all'incapace, o dalla natura e qualità del contratto, e consiste nella consapevolezza che l'altro contraente abbia avuto della menomazione della sfera intellettiva o volitiva del contraente. Peraltro, la prova dell'incapacità deve essere rigorosa e precisa ed il suo apprezzamento, riservato al giudice del merito, non è censurabile in sede di legittimità tranne che per vizi logici o errori di diritto.
Cass. civ. n. 7292/2008
Le dimissioni del lavoratore subordinato costituiscono atto unilaterale recettizio (avente contenuto patrimoniale) a cui sono applicabili, ai sensi dell'art. 1324 c.c., le norme sui contratti, salvo diverse disposizioni di legge. Ne consegue che l'atto delle dimissioni è annullabile, secondo la disposizione generale di cui all'art. 428, comma primo, c.c., ove il dichiarante provi di trovarsi, al momento in cui è stato compiuto, in uno stato di privazione delle facoltà intellettive e volitive — anche parziale purché tale da impedire la formazione d'una volontà cosciente — dovuto a qualsiasi causa, pure transitoria, e di aver subito un grave pregiudizio a causa dell'atto medesimo, senza che sia richiesta — a differenza che per i contratti, per i quali vige la specifica disposizione di cui al secondo comma dell'art. 428 c.c. — la malafede del destinatario.
Cass. civ. n. 4967/2005
L'incapacità di intendere e di volere, prevista nell'art. 428 c.c. quale causa d'annullamento del negozio giuridico (artt. 1425, secondo comma e 1324 c.c.) e detta anche incapacità naturale, consiste nella transitoria impossibilità di rendersi conto del contenuto e degli effetti dell'atto giuridico che si compie e non può essere data da dispiaceri anche gravi, quale ad esempio la consapevolezza di una malattia propria, o di un prossimo familiare, salvo che essa abbia cagionato una patologica alterazione mentale. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza impugnata che, con motivazione adeguata e priva di vizi logici giuridici, in un caso di dimissioni della lavoratrice, aveva escluso la sussistenza della detta situazione patologica, osservando che, prima di scrivere la lettera di dimissioni, la medesima lavoratrice si era consultata con un rappresentante sindacale e che, comunque, un'alterazione mentale non poteva essere determinata dal proposito, manifestato dalla datrice di lavoro, di denunciare alla polizia la sottrazione di merce, non essendo ragionevole impedire a chi ha subito, o ha ritenuto di subire, un furto di esprimere la volontà di rivolgersi alla polizia, a causa del pericolo di turbare la psiche del presunto reo).
Cass. civ. n. 2210/2004
Qualora sia proposta domanda di annullamento di un contratto per incapacità naturale, l'indagine relativa alla sussistenza dello stato di incapacità del soggetto che abbia stipulato il contratto ed alla malafede di colui che contrae con l'incapace di intendere e di volere si risolve in un accertamento in fatto demandato al giudice di merito, sottratto al sindacato del giudice di legittimità ove congruamente e logicamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da vizi la sentenza di merito, che aveva ritenuto irrilevante la circostanza che l'atto di alienazione avesse coinvolto tutti i beni immobili di proprietà dell'alienante, in quanto — essendo questa in età avanzata — la vendita poteva essere giustificata dall'esigenza di procurarsi i mezzi economici per provvedere alle spese necessarie per essere assistita e curata, ed aveva ritenuto non provata la malafede dei terzi acquirenti, in assenza di elementi probatori relativi ad un loro rapporto interpersonale con l'anziana venditrice).
Cass. civ. n. 515/2004
Ai fini dell'annullamento di un negozio per incapacità naturale non è necessaria una malattia che annulli in modo assoluto le facoltà psichiche del soggetto, essendo sufficiente un turbamento psichico risalente al momento della conclusione del negozio tale da menomare gravemente, anche senza escluderle, le facoltà volitive ed intellettive, che devono risultare diminuite in modo da impedire o ostacolare una seria valutazione dell'atto o la formazione di una volontà; l'accertamento di tale incapacità costituisce valutazione di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto viziata per insufficiente motivazione la sentenza di merito in cui il giudice, pur rilevando nel lavoratore che agiva per l'annullamento delle proprie dimissioni perché rassegnate in stato di incapacità naturale un quadro psichico connotato da aspetti patologici, non aveva verificato l'incidenza causale tra l'alterazione mentale del lavoratore e le ragioni soggettive che lo avevano spinto alle dimissioni, né le circostanze di fatto in cui esse erano maturate, omettendo di verificare se la dichiarazione di dimissioni — resa da una lavoratrice che non aveva maturato trattamento pensionistico e il cui marito era in quel momento disoccupato — fosse stata effettivamente frutto di una scelta consapevole o fosse stata resa in un momento di alterata percezione sia della situazione di fatto che delle conseguenze dell'atto che andava a compiere).
Cass. civ. n. 4834/2002
L'art. 75 c.p.c., nell'escludere la capacità processuale delle persone che non hanno il libero esercizio dei propri diritti, si riferisce solo a quelle che siano state legalmente private della capacità di agire con una sentenza di interdizione o di inabilitazione o con provvedimento di nomina di un tutore o di un curatore provvisorio e non alle persone colpite da incapacità naturale. Pertanto, poiché l'incapacità processuale è collegata all'incapacità di agire di diritto sostanziale e non alla mera incapacità naturale, l'incapace naturale conserva la piena capacità processuale sino a quando non sia stata pronunciata nei suoi confronti una sentenza di interdizione, ovvero non gli sia stato nominato, durante il giudizio che fa capo a tale pronuncia, il tutore provvisorio ai sensi dell'art. 419 c.c.
Cass. civ. n. 9007/1998
Ai fini dell'annullamento del contratto concluso da un soggetto in stato d'incapacità naturale è sufficiente la malafede dell'altro contraente senza che sia richiesto un grave pregiudizio per il soggetto incapace.
Cass. civ. n. 5402/1998
Il pregiudizio patrimoniale di una parte di un contratto non costituisce indizio sufficiente a provare la malafede della controparte — requisito essenziale per annullarlo — non essendo inequivocabilmente e indistintamente induttivo del turbamento e della menomazione della sfera volitiva o intellettiva dell'una e dell'intento dell'altra di giovarsene, potendo esser molteplici le ragioni che inducono un soggetto a disporre del suo patrimonio in modo svantaggioso, e pertanto la prova per presunzioni della consapevolezza di una parte, secondo l'ordinaria diligenza, dell'incapacità naturale dell'altra, se basata su presunzioni, necessita di una pluralità di elementi indiziari, gravi, precisi e concordanti.
Cass. civ. n. 10505/1997
Il convincimento del giudice di merito circa l'esistenza dell'incapacità di intendere e di volere del soggetto nel momento in cui ha posto in essere l'atto del quale è chiesto l'annullamento a norma dell'art. 428 c.c. costituisce un apprezzamento di tatto che si sottrae a qualsiasi controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione esente da vizi logici ed errori giuridici, quale è quella che consideri non decisiva, ai fini della ricorrenza della suddetta incapacítà, la presenza di uno stato d'ansia, per quanto marcato, e di una personalità fornita di eccesso di affettività, trattandosi di circostanze non idonee a far parlare di turbe della personalità così gravi da integrare il requisito richiesto dalla citata norma del codice civile. (Fattispecie in tema di annullamento di dimissioni).
Cass. civ. n. 6756/1995
Ai fini della sussistenza dell'incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento del negozio (nella specie, dimissioni) non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente, secondo un giudizio che è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato.
Cass. civ. n. 1484/1995
L'incapacità di intendere e di volere prevista dall'art. 428 c.c. ai fini dell'annullamento del contratto consiste in un turbamento dei normali processi di formazione ed estrinsecazione della volontà, che può essere causato anche da grave malattia e tale comunque da impedire la capacità di cosciente e libera autodeterminazione del soggetto (nella specie, in base all'enunciato principio la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva escluso l'incapacità per carenza di prova di tale incidenza del turbamento psichico, causato da una grave malattia, sulla sfera intellettiva e volitiva del soggetto).
Cass. civ. n. 1388/1994
A differenza dell'infermità mentale che viene in considerazione per la dichiarazione d'inabilitazione, consistente in un'alterazione delle facoltà mentali in un grado tale da determinare l'incapacità parziale di curare i propri interessi, per cui si richiede, a tal fine la cooperazione di un altro soggetto, la incapacità naturale idonea a determinare, nel concorso di altri elementi, l'annullabilità degli atti giuridici compiuti dalla persona che ne è affetta richiede che, sia pure in via provvisoria, questa abbia le facoltà intellettive gravemente menomate, sì da essere totalmente incapace di valutare l'opportunità degli stessi atti ed anche di determinare, in relazione ad essi, una cosciente volontà. Ne deriva che il grado e l'intensità della malattia mentale necessaria e sufficiente per la pronuncia d'inabilitazione sono inferiori a quelli richiesti per l'accertamento dell'incapacità naturale, tal ché l'avvenuta declaratoria d'inabilitazione non equivale alla dimostrazione dell'incapacità naturale dell'abilitato.
Cass. civ. n. 7784/1991
Al fine dell'annullamento del negozio per «incapacità naturale», a norma dell'art. 428 c.c., non è necessaria l'incapacità totale ed assoluta del soggetto, ma è sufficiente che le sue facoltà intellettive o volitive risultino diminuite in modo da impedire od ostacolare una seria valutazione dell'atto e la formazione di una volontà cosciente.
Cass. civ. n. 1036/1989
Lo stato emotivo conseguente alla consapevolezza di essere affetto da grave malattia (nella specie, un linfogranuloma maligno) non comporta, di per sé, una situazione di incapacità naturale ed, in via generale, non rileva ai fini dell'annullabilità del contratto ai sensi dell'art. 1425 c.c., ove non risulti provato che esso abbia inciso sulla sfera psico-intellettiva del soggetto, producendo un vero e proprio squilibrio mentale. Il relativo accertamento non è censurabile in sede di legittimità ove sorretto da congrua motivazione, esente da vizi logici e giuridici.
Cass. civ. n. 3411/1978
Gli stati passionali non costituiscono, di per sé, causa di riduzione della capacità psichica, ma producono incapacità solo se provocano nel soggetto un disordine psichico di tale intensità da privarlo, sia pure transitoriamente, della capacità di intendere e di volere. (Nella specie, il principio è stato affermato in relazione alla incapacità naturale del testatore).