La questione sottoposta ai Giudici di legittimità era nata in seguito alla sentenza con cui il Tribunale aveva dichiarato l’inammissibilità del reclamo, proposto dai due beneficiari di una procedura di amministrazione di sostegno, contro il provvedimento con cui il giudice tutelare aveva stabilito la necessità dell’intervento dell’amministratore di sostegno anche per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione.
Il giudice d’Appello, tuttavia, sul rilievo che il conferimento del mandato al difensore per la proposizione di un’azione giudiziale costituisse un atto di straordinaria amministrazione, riteneva che sussistesse un difetto di legittimazione processuale dei ricorrenti, avendo gli stessi instaurato direttamente il procedimento, in mancanza della rappresentanza dell’amministratore di sostegno e dell’autorizzazione del giudice tutelare, come imposto dal combinato disposto degli artt. 374, n. 5 e 411 c.c.
Di fronte a tale decisione, i beneficiari dell’amministrazione di sostegno decidevano di ricorrere dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo la violazione e la falsa applicazione degli articoli 374, 406 e 407 del c.c., nonché degli articoli 24 e 111 della Costituzione.
Secondo i ricorrenti, infatti, essi, sebbene fossero beneficiari di un’amministrazione di sostegno, così come potevano proporre, ex art. 406 del c.c., il ricorso per l’apertura della relativa procedura, erano legittimati anche ad impugnare i provvedimenti emessi dal giudice tutelare nel corso del medesimo procedimento, i quali fossero stati ritenuti lesivi dei propri interessi, conservando, dunque, in tale ambito, la propria capacità d’agire.
A loro avviso, dunque, le impugnazioni avverso i decreti del giudice tutelare non erano soggette né alla preventiva autorizzazione dello stesso giudice, il quale, diversamente, sarebbe stato chiamato ad autorizzare l’impugnazione di un provvedimento emesso da se stesso, in violazione del principio di terzietà ed imparzialità del giudice, né alla rappresentanza dell’amministratore di sostegno.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso.
Gli Ermellini, nell’accogliere la tesi dei ricorrenti, hanno, infatti, evidenziato come, pur essendo vero che, ai sensi degli artt. 374 e 411 c.c., i beneficiari di un’amministrazione di sostegno necessitino di autorizzazione per promuovere un’azione giudiziaria nei confronti di terzi, è anche vero che gli stessi sono dotati di un’autonoma legittimazione processuale ai diversi fini dell’apertura di un’amministrazione di sostegno, nonché per impugnare i provvedimenti adottati dal giudice tutelare nel corso di tale procedura.
Detta legittimazione trova il proprio fondamento normativo, in primo luogo, nell’art. 406 del c.c., che costituisce un’evidente deroga alla regola generale dell’art. 75 del c.p.c., attribuendo la legittimazione processuale a proporre il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno allo stesso beneficiario “anche se minore, o interdetto o inabilitato”, ossia a soggetti normalmente privi della capacità d’agire e, quindi, della capacità processuale.
L’autonoma legittimazione processuale del beneficiario a promuovere i ricorsi nell’ambito di un'amministrazione di sostegno, nonché ad impugnare i provvedimenti emessi dal giudice tutelare, si evince, però, anche dal comma 4 dell’art. 411 del c.c.
Alla luce di tali precisazioni la Cassazione ha ritenuto opportuno disporre l’applicazione, in relazione al caso de quo, del principio di diritto per cui “i beneficiari di un’amministrazione di sostegno sono dotati di un’autonoma legittimazione processuale non solo ai fini dell’apertura, ma anche per impugnare i provvedimenti adottati dal Giudice Tutelare nel corso di tale procedura, essendo, invece necessaria l’assistenza dell’amministratore di sostegno e la previa autorizzazione del Giudice Tutelare, a norma del combinato disposto degli artt. 374, n. 5 e 411 c.c., per l’instaurazione di giudizi nei confronti di soggetti terzi estranei a tale procedura”.