Cass. civ. n. 38230/2021
In tema di revocazione, il contrasto di giudicati previsto dall'art. 395, n. 5), c.p.c., sussiste qualora tra le due controversie vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende processuali sussista un'ontologica e strutturale concordanza degli estremi identificativi dei due giudizi, nel senso che la precedente sentenza deve avere ad oggetto il medesimo fatto o un fatto ad essa antitetico, non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico, sempre che la relativa eccezione di giudicato non sia stata proposta innanzi al giudice del secondo giudizio, giacché, in caso contrario, non si verte in tema di contrasto di giudicati, ma ricorre un vizio di motivazione denunciabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MESSINA, 07/07/2016).
Cass. civ. n. 16439/2021
L'errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l'esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l'altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l'esistenza o l'inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa. (Nella specie, la S.C. ha affermato il principio escludendo il vizio revocatorio in un giudizio per cassazione nel quale era stato omesso il rilievo che il controricorso era stato notificato alla parte personalmente, anzichè al procuratore nel domicilio eletto). (Dichiara inammissibile, CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA, 21/01/2019).
Cass. civ. n. 1562/2021
L'affermazione contenuta nella sentenza circa l'inesistenza, nei fascicoli processuali (d'ufficio o di parte), di documenti che, invece, risultino esservi incontestabilmente inseriti (nella specie fatture per costi ritenuti indeducibili per difetto di inerenza, non prodotti in giudizio secondo la C.T.R.), non si concreta in un errore di giudizio, bensì in una mera svista di carattere materiale, costituente errore di fatto e, quindi, motivo di revocazione a norma dell'art. 395, n. 4, c.p.c., e non di ricorso per cassazione. (Cassa con rinvio, COMM.TRIB.REG. MILANO, 11/12/2013).
Cass. civ. n. 8114/2020
Qualora la sentenza di merito di accoglimento dell'opposizione a decreto ingiuntivo sia cassata con rinvio, in caso di mancata riassunzione del processo nel termine prescritto non trova applicazione l'art. 653 c.p.c., secondo cui a seguito dell'estinzione del processo di opposizione il decreto che non ne sia munito acquista efficacia esecutiva, bensì il disposto dell'art. 393 c.p.c., alla stregua del quale all'omessa riassunzione consegue l'estinzione dell'intero procedimento e, quindi, anche l'inefficacia del provvedimento monitorio; in tale ipotesi, l'erroneità della declaratoria di esecutorietà del decreto ingiuntivo inefficace deve essere fatta valere con l'opposizione all'esecuzione e non con la revocazione ex art. 395, comma 1, n. 5, c.p.c., strumento utilizzabile quando il provvedimento revocando sia in contrasto col giudicato precedente e non con quello formatosi successivamente. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BARI, 29/08/2017).
Cass. civ. n. 5049/2020
L'interpretazione extratestuale del titolo esecutivo giudiziale è consentita purché avvenga sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo e l'esito non sia tale da attribuire al titolo una portata contrastante con quanto risultante dalla lettura congiunta di dispositivo e motivazione, mentre il contrasto tra il tenore del titolo rispetto a elementi extratestuali oggettivamente discordanti può essere, eventualmente, emendata, secondo i rispettivi presupposti e limiti temporali, o con il ricorso al procedimento di correzione presso lo stesso giudice che ha emesso il provvedimento impugnato o attraverso l'impugnazione per revocazione. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO PALERMO, 06/05/2013).
Cass. civ. n. 1163/2020
Nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'"id quod plerumque accidit", sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza. (Nella specie, la S.C. ha escluso che rispondesse ai requisiti di cui all'art. 2729 c.c. la decisione di merito secondo la quale, ai fini dell'accertamento del danno da perdita della capacità di produrre reddito, l'intenzione dell'attore di astenersi dalla ricerca di un'occupazione per il resto della propria vita potesse desumersi dal mancato inserimento, nella richiesta di iscrizione nelle liste di collocamento, della dichiarazione di disponibilità a svolgere attività lavorativa, circostanza verificatasi quando egli aveva appena ventitré anni). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TORINO, 14/12/2016).
Cass. civ. n. 29634/2019
In tema di revocazione, ai fini della configurabilità dell'errore di fatto di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c. tra gli "atti e documenti della causa" dai quali l'errore stesso deve risultare, vanno compresi – in attuazione dei principi del giusto processo e di effettività della difesa – gli atti e i documenti attinenti alla causa e ritualmente depositati dalla parte interessata, pur se, per mero disguido della cancelleria non imputabile alla parte stessa, essi siano stati inseriti in diverso fascicolo d'ufficio. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto affetta da errore revocatorio la pronuncia della Corte di cassazione la quale abbia dichiarato improcedibile un ricorso non presente in atti, allorché risulti che lo stesso fosse stato ritualmente depositato ma, a causa di un disguido di cancelleria, introdotto in un fascicolo d'ufficio non pertinente).
Cass. civ. n. 26890/2019
L'errore di fatto previsto dall'art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l'inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga a un'errata valutazione delle risultanze processuali. (Nella specie, la S.C. ha escluso che costituisca vizio revocatorio l'errata lettura del contenuto di fonti convenzionali regolatrici del rapporto tributario, con le quali siano riconosciuti al contribuente benefici ed esenzioni, in quanto oggetto di controversia e implicanti la valutazione del giudice).
Cass. civ. n. 13987/2019
In tema di impugnazioni, avverso la sentenza d'appello che non tenga conto del giudicato formale intervenuto prima del suo deposito, a differenza di quanto avviene nell'ipotesi di giudicato sopravvenuto rispetto a tale momento, deve essere proposta revocazione ex art. 395 n. 5 c.p.c., e non ricorso per cassazione, in quanto l'esaurimento della fase di merito si ha solo con il deposito della decisione di secondo grado, sicché nel corso del giudizio di gravame il giudicato esterno può essere dedotto con la produzione della sentenza munita di attestato di definitività, anche mediante un'apposita istanza che consenta la rimessione della causa sul ruolo.
Cass. civ. n. 8630/2019
L'inammissibilità della revocazione delle decisioni della Corte di cassazione ai sensi dell'art. 395 n. 5 c.p.c. non si pone in contrasto - oltre che con i principi di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost. - con il diritto dell'Unione europea, non recando alcun "vulnus" al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, atteso che la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia riconosce l'importanza del principio della cosa giudicata, rimettendone la concreta attuazione all'autonomia processuale dei singoli Stati membri.
Cass. civ. n. 5144/2019
In tema di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., l'impugnazione deve essere presentata, a pena d'inammissibilità, entro trenta giorni dalla scoperta (o del ritrovamento) dei documenti assunti come decisivi non potuti produrre nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, identificandosi il "dies a quo" non nella materiale apprensione dei medesimi, bensì nell'acquisizione di un grado di conoscenza del loro contenuto sufficiente a valutarne la rilevanza revocatoria. L'accertamento del momento dal quale detta impugnazione può essere proposta costituisce un giudizio di fatto spettante, in via esclusiva, al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per vizi di motivazione, nella misura in cui siano rilevanti ex art. 360, n. 5, c.p.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di appello che aveva fatto decorrere il termine per agire in revocazione dalla comunicazione alla parte di alcuni documenti e non da quando essa aveva avuto la disponibilità della relativa perizia esplicativa, poiché la stessa parte si era doluta del fatto che la causa fosse stata decisa in assenza di tali documenti, la rilevanza dei quali era, quindi, già a lei nota).
Cass. civ. n. 27622/2018
L'inammissibilità della revocazione delle decisioni, anche della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., per errore di fatto, qualora lo stesso abbia costituito un punto controverso oggetto della decisione, ricorre solo ove su detto fatto siano emerse posizioni contrapposte tra le parti che abbiano dato luogo ad una discussione in corso di causa, in ragione della quale la pronuncia del giudice non si configura come mera svista percettiva, ma assume necessariamente natura valutativa, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio.
Cass. civ. n. 14810/2017
Non è riconducibile all’ipotesi di revocazione ex art. 395, n. 3), c.p.c. il caso di riconoscimento, nel corso di una deposizione testimoniale resa in un successivo giudizio penale, dell’autenticità della sottoscrizione apposta sulla copia fotografica di un contratto preliminare già oggetto di disconoscimento in un giudizio civile oramai definito, giacché in simile evenienza si è in presenza non già del rinvenimento di un nuovo documento decisivo preesistente alla decisione passata in giudicato, ma della successiva acquisizione, da parte di un documento (copia fotostatica) già presente all'interno dell'incartamento processuale, di un'efficacia probatoria in precedenza esclusa, per esserne stata espressamente disconosciuta la conformità all'originale.
Cass. civ. n. 3591/2017
L'ipotesi di revocazione di cui al n. 3) dell'art. 395 c.p.c. presuppone che un documento decisivo preesistente alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto a suo tempo produrre per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione, sicché non può essere utilmente invocata facendo riferimento ad un documento che solo dopo la decisione è divenuto decisivo, quale la sentenza che, pur essendo stata emessa prima, è passata in giudicato dopo quella da revocare e che, pertanto, al momento dell'adozione di quest'ultima, era sprovvista di efficacia vincolante e rimessa al libero apprezzamento del giudice.
Cass. civ. n. 3200/2017
In tema di revocazione, l’art. 395, n. 4, c.p.c. circoscrive la rilevanza e decisività dell'errore di fatto al solo caso in cui la decisione sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa ovvero sull'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza abbia pronunciato. Pertanto, la circostanza che un certo fatto non sia stato considerato dal giudice non implica necessariamente che quel fatto sia stato espressamente negato nella sua materiale esistenza (potendo, invece, esserne stata implicitamente negata la rilevanza giuridica ai fini del giudizio), perché, altrimenti, si ricondurrebbe all'ambito del giudizio per revocazione, piuttosto che nell’ordinario giudizio di impugnazione, ogni fatto che non sia stato espressamente considerato nella motivazione giudiziale, tanto più che l’art. 111 Cost. non impone di prevedere quale causa di revocazione l’errore di giudizio o di valutazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione impugnata che aveva ritenuto sussistenti i presupposti della revocazione per la mancata valutazione della determinazione di un commissario “ad acta”, estensiva anche alle case di cura che non fossero state parti del relativo giudizio amministrativo della remunerazione delle loro prestazioni sulla base delle tariffe nazionali di cui al d.m. Sanità del 14 giugno 1994).
Cass. civ. n. 17847/2016
Le prescrizioni in tema di distanze tra costruzioni contenute negli strumenti urbanistici locali hanno valore di norme giuridiche, sicché l'erronea percezione del contenuto di documenti che le riproducono costituisce errore di diritto, inqualificabile come vizio revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c.
Cass. civ. n. 10028/2016
La nullità della notificazione del ricorso per cassazione, non rilevata in sede di legittimità, non è soggetta al principio di conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione di cui all'art. 161 c.p.c. e, per l'effetto, non è deducibile in sede di giudizio di rinvio conseguente a sentenza rescindente, potendo, per converso, ove mai non rilevata per errore meramente percettivo nel controllo degli atti del processo, risultare oggetto di ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c..
Cass. civ. n. 9652/2016
L'impugnazione per revocazione correlata, a norma dell'art. 395, n. 3, c.p.c., al ritrovamento di documenti non potuti produrre nel giudizio conclusosi con la pronuncia della sentenza impugnata, deve essere proposta a pena di inammissibilità, a norma degli artt. 325 e 326 c.p.c., entro trenta giorni dalla data della scoperta dei documenti medesimi e l'onere della prova dell'osservanza del termine, e quindi della tempestività e dell'ammissibilità dell'impugnazione, incombe alla parte che questa abbia proposto, la quale deve indicare in citazione, a pena d'inammissibilità della revocazione, le prove di tali circostanze, nonché del giorno della scoperta o del ritrovamento del documento.
Cass. civ. n. 22506/2015
In tema di impugnazioni, qualora il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata ivi eccepita dalla parte interessata, la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione.
Cass. civ. n. 21912/2015
Avverso la sentenza di rigetto pronunciata dalla Corte di cassazione non è ammissibile l'impugnazione per revocazione ex art. 395, n. 3, c.p.c., questo mezzo essendo proponibile solo avverso la sentenza della Corte che abbia deciso la causa nel merito.
Cass. civ. n. 20587/2015
L'ipotesi di revocazione di cui al n. 3 dell'art. 395 c.p.c. presuppone che un documento preesistente alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto produrre a suo tempo per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione, sicché essa non può essere utilmente invocata con riferimento a un documento formato dopo la decisione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva rigettato la domanda in revocazione trattandosi di documento - formato nel 2010 -successivo alla sentenza impugnata, emanata nel 2006, avente ad oggetto il decesso per neoplasia di altro lavoratore addetto al montaggio di componenti in amianto).
Cass. civ. n. 19233/2015
Il ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c. non può avere ad oggetto la sentenza di primo grado quando vi sia già pronuncia, pur solo in rito, del giudice di secondo grado, perché il sistema delineato dagli artt. 395 e 396 c.p.c. esclude il rimedio revocatorio contro la sentenza di primo grado tempestivamente appellata.
Cass. civ. n. 3362/2015
L'ipotesi di revocazione di cui al n. 3) dell'art. 395 cod. proc. civ. presuppone che un documento preesistente alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto a suo tempo produrre per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione, atteso l'uso dell'espressione "sono stati trovati" contenuta nel citato n. 3), alla quale fa riscontro il termine "recupero" adottato nei successivi artt. 396 e 398 cod. proc. civ., mentre è irrilevante che il documento faccia riferimento a fatti antecedenti alla sentenza stessa e sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione; ne consegue che detta ipotesi di revocazione non può essere utilmente invocata facendo riferimento a un documento formato dopo la decisione.
Cass. civ. n. 24334/2014
L'errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione non soltanto deve essere la conseguenza di una falsa percezione di quanto emerge direttamente dagli atti, concretatasi in una svista materiale o in un errore di percezione, ma deve anche avere carattere decisivo, nel senso di costituire il motivo essenziale e determinante della pronuncia impugnata per revocazione. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso per revocazione proposto avverso una propria sentenza per errore di fatto, consistente nell'esame di un quesito diverso da quello formulato, evidenziando che nel provvedimento impugnato erano state comunque valutate le questioni complessivamente poste con il ricorso, sicché la controversia era stata decisa sulla scorta di ragioni giuridicamente e logicamente sufficienti a giustificare la decisione).
Cass. civ. n. 23445/2014
L'errore sul computo del termine annuale per la proposizione di impugnazione può integrare un errore revocatorio, rilevante ai sensi del n. 4 dell'art. 395 cod. proc. civ., atteso che esso riguarda un fatto interno alla causa e si risolve in una falsa percezione dei fatti rappresentati dalle parti, costituendo il rilievo del "dies ad quem" e l'applicazione del calendario comune - adempimenti indispensabili per valutare la tempestività dell'impugnazione - elementi facilmente riscontrabili dalla lettura degli atti da parte del giudice.
Cass. civ. n. 22517/2014
Nel giudizio di cassazione, ove si adduca la falsità degli atti del procedimento di merito (nella specie, per asserita falsità delle sottoscrizioni del mandato relativo all'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado), la querela di falso va proposta in via principale, in quanto l'impugnazione per revocazione ex art. 395, primo comma, n. 2, cod. proc. civ., costituisce, una volta accertata la falsità dell'atto in questione, il solo mezzo per rescindere la sentenza fondata su atti dichiarati falsi, non potendosi dare luogo, nello stesso giudizio di cassazione, ad una mera declaratoria di "invalidità e/o nullità dei precedenti gradi di merito".
Cass. civ. n. 22159/2014
Ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione per revocazione straordinaria, ai sensi dell'art. 395, n. 3, cod. proc. civ., è necessario non solo il rispetto dei termini di cui agli artt. 325 e 326 cod. proc. civ., ma anche che la parte indichi nel ricorso sia le ragioni che hanno impedito all'istante di produrre i documenti rinvenuti in ritardo sia quelle relative alla decisività dei documenti stessi, incombendo sulla parte che si sia trovata nell'impossibilità di produrre i documenti asseritamente decisivi nel giudizio di merito, l'onere di provare - con particolare rigore soprattutto quando si tratti di documenti esistenti presso una P.A., facilmente reperibili dai dipendenti - che l'ignoranza dell'esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava non è dipesa da colpa o negligenza, ma dal fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore.
Cass. civ. n. 12875/2014
Il dolo processuale di una delle parti in danno dell'altra in tanto può costituire motivo di revocazione della sentenza, ai sensi dell'art. 395, n. 1, cod. proc. civ., in quanto consista in un'attività deliberatamente fraudolenta, concretantesi in artifici o raggiri tali da paralizzare, o sviare, la difesa avversaria ed impedire al giudice l'accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale. Ne consegue che non sono idonei a realizzare la suddetta fattispecie la semplice allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio su fatti decisivi della controversia o la mancata produzione di documenti, che possono configurare comportamenti censurabili sotto il diverso profilo della lealtà e correttezza processuale, ma non pregiudicano il diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall'ordinamento al fine di pervenire all'accertamento della verità.
Cass. civ. n. 12162/2014
In tema di revocazione, l'ipotesi prevista dall'art. 395, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., laddove presuppone il ritrovamento, dopo la sentenza, di uno o più documenti decisivi non prodotti in giudizio per causa di forza maggiore, si riferisce ad un avvenimento straordinario, in nessun modo riconducibile ad un comportamento negligente della parte, sicché non è configurabile nel caso di omessa produzione in giudizio del ricorso introduttivo personalmente sottoscritto dal contribuente, sul quale incombe l'onere di controllarne l'effettivo deposito.
Cass. civ. n. 12121/2014
La sentenza dichiarativa di fallimento, in quanto impugnabile, non è suscettibile di ricorso per revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., proponibile solo nei confronti delle sentenze pronunciate in unico grado o in grado d'appello.
Cass. civ. n. 12000/2014
In tema di revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 3, cod. proc. civ., la forza maggiore si concreta nell'ignoranza assoluta ed incolpevole del documento, requisito insussistente ove il documento, nella disponibilità della parte e da questa consegnato al difensore, non sia stato prodotto in giudizio per strategia difensiva, insuscettibile di trasformarsi in forza maggiore neppure per il decesso del difensore, avvenuto durante il termine per l'appello.
Cass. civ. n. 9865/2014
In tema di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 3, cod. proc. civ., la sentenza pronunciata dopo il passaggio in giudicato della sentenza da revocare, anche quando i fatti in essa accertati siano preesistenti a quest'ultima, non costituisce atto idoneo poiché è necessario che il documento decisivo, non potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, preesista alla sentenza impugnata.
Cass. civ. n. 4118/2014
Non ricorre un errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui all'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., nella pronuncia di legittimità che, decidendo nel merito, abbia ritenuto non necessari ulteriori accertamenti di fatto, trattandosi, quand'anche risulti errata, di una violazione di legge nell'applicazione dell'art. 384 cod. proc. civ. e quindi di un errore di giudizio e non di un travisamento del fatto.
Cass. civ. n. 2412/2014
La circostanza che il giudice di merito abbia pronunciato la sentenza sulla base di un documento che si assume non utilizzabile, perché non ritualmente prodotto in giudizio, ove non vi sia controversia sulla irritualità della produzione, integra un vizio revocatorio denunciabile solo ai sensi dell'art. 395 cod. proc. civ.
Cass. civ. n. 1657/2014
Il "punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare", ai sensi dell'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., è, in caso di errore vertente su fatto probatorio qual è la dichiarazione di un teste, il fatto probatorio stesso e non quello oggetto della prova.
Cass. civ. n. 155/2014
L'istanza di revocazione, prevista dall'art. 395, n. 5, cod. proc. civ., per essere la sentenza da revocare contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, è ammissibile solo quando si tratta di giudicato risultante da un giudizio separato e sempre che, con la sentenza da revocare, il giudice non abbia pronunciato sull'eccezione di giudicato esterno; quando il contrasto con un precedente giudicato si riferisce ad una sentenza pronunciata nell'ambito dello stesso giudizio, il rimedio contro la violazione del giudicato interno è quello del ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
Cass. civ. n. 25761/2013
Il silenzio su fatti decisivi può integrare gli estremi del dolo processuale revocatorio, rilevante ai fini ed agli effetti di cui all'art. 395, primo comma, numero 1), c.p.c., a condizione che esso costituisca elemento essenziale di una macchinazione fraudolenta diretta a trarre in inganno la controparte e idonea, in relazione alle circostanze, a sviarne o pregiudicarne la difesa e a impedire al giudice l'accertamento della verità.
Cass. civ. n. 22080/2013
L'errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi un una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali. Ne consegue che il vizio con il quale si imputa alla sentenza un'erronea valutazione delle prove raccolte è, di per sé, incompatibile con l'errore di fatto, essendo ascrivibile non già ad un errore di percezione, ma ad un preteso errore di giudizio.
Cass. civ. n. 21255/2013
In virtù dei principi costituzionali del giusto processo e dell'effettività della tutela giurisdizionale, la previsione di cui all'art. 395, numero 6), c.p.c. deve essere interpretata nel senso di non inibire alla parte, vittima di una sentenza pronunciata da giudice corrotto, la possibilità di agire direttamente per il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., allorché ricorra una situazione di oggettiva carenza di interesse ad avvalersi dell'impugnazione straordinaria, in ragione sia dell'impossibilità di soddisfare, attraverso l'eventuale pronuncia resa all'esito della fase rescissoria della revocazione, le pretese già in precedenza azionate in giudizio, sia della sopravvenienza di un fatto - nella specie, la conclusione di un contratto di transazione, stipulato nell'ignoranza della vicenda corruttiva - che esplichi effetto preclusivo in ordine alla attitudine della sentenza, frutto di corruzione, ad assumere autorità di cosa giudicata.
Cass. civ. n. 20905/2013
In tema di revocazione ordinaria, i vizi di cui ai numeri 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c. hanno carattere palese, ossia debbono essere riconoscibili alla semplice lettura della motivazione da parte del soccombente, con la conseguenza che l'impugnazione - atteso il carattere eccezionale della revocazione, non suscettibile di interpretazione estensiva - è ammissibile solo ove detti vizi risultino immediatamente rilevanti ai fini decisori. Ne consegue, inoltre, che l'art. 398, quarto comma, c.p.c., come modificato dall'art. 68 della legge 26 novembre 1990, n. 353, ed interpretato alla luce dei principi del giusto processo e della sua ragionevole durata, nonché del principio di lealtà processuale di cui all'art. 88, primo comma, c.p.c., non consente al ricorrente per revocazione di giovarsi della sospensione del termine di ricorso per cassazione qualora l'impugnazione per revocazione sia manifestamente infondata.
Cass. civ. n. 17557/2013
L'impugnazione per revocazione proposta, ex art. 395, n. 5, c.p.c., avverso una sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione è inammissibile, risultando l'ipotesi ivi contemplata esclusa dalla previsione dei precedenti artt. 391 bis e ter.
Cass. civ. n. 9637/2013
L'errore di fatto previsto dall'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione, consistendo in una falsa percezione della realtà, deve sostanziarsi in un'affermazione, positiva o negativa, di un fatto, in contrasto con le evidenze di causa; pertanto, ove il giudice abbia semplicemente ignorato un fatto, omettendo di esaminarne la prova, può configurarsi un vizio di motivazione e non il vizio revocatorio.
Cass. civ. n. 3494/2013
L'errore di fatto previsto dall'art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 391 bis c.p.c., consiste in una svista su dati di fatto, produttiva dell'affermazione o negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, sicché è inammissibile il ricorso per revocazione che suggerisca l'adozione di una soluzione giuridica diversa da quella adottata, come nella specie, relativa a declaratoria di improcedibilità pronunciata ex art. 369, n. 2, c.p.c. per omesso deposito di copia della sentenza munita della relata di notifica.
Cass. civ. n. 15242/2012
È inammissibile l'impugnazione per revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., quando la parte abbia recuperato tardivamente il documento decisivo per fatto imputabile a sua negligenza. (In applicazione di questo principio, in una controversia nella quale si faceva questione della riduzione della rendita catastale rispetto a quella applicata dagli Uffici finanziari, la S.C., annullando la sentenza impugnata e decidendo nel merito, ha rilevato che il documento attestante l'avvenuta riduzione avrebbe potuto essere acquisito tempestivamente con l'ordinaria diligenza, trattandosi di un certificato acquisibile a semplice richiesta presso un ufficio pubblico, e relativo ad una situazione nota al contribuente, che aveva proposto la riduzione della rendita e non aveva ricevuto notizia della determinazione della rendita definitiva nei dodici mesi successivi, così come prescritto dall'art. 1, comma secondo, del d.m. Finanze del 19 aprile 1994, n. 701).
Cass. civ. n. 12962/2012
L'errore di fatto cd. revocatorio è l'erronea percezione degli atti di causa (come la supposizione di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure la supposizione dell'inesistenza di un fatto la cui verità sia positivamente stabilita), mentre l'errore determinato da una svista di carattere materiale rende esperibile il rimedio della correzione di errore materiale. (Nella specie, l'indicazione di uno solo dei due ricorrenti, sia in motivazione che nel dispositivo ed, altresì, l'omessa pronuncia sulla richiesta di distrazione delle spese avanzata dal difensore antistatario).
Cass. civ. n. 11508/2012
E inammissibile il ricorso per revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 5, c.p.c., volto a far valere la contrarietà a precedente sentenza, avente tra le parti autorità di cosa giudicata, di un'ordinanza resa dalla Corte di cassazione in sede di procedimento di correzione di errori materiali, assumendosi l'avvenuto superamento dei limiti propri di detto procedimento per l'operata attribuzione alla sentenza da correggere di un contenuto diverso da quello effettivo, atteso che l'ordinanza di correzione, in quanto priva di funzione decisoria, non è soggetta ad alcuna impugnazione, mentre le stesse sentenze della Corte di cassazione sono impugnabili per revocazione soltanto per errore di fatto, e non anche per contrasto con precedente giudicato .
Cass. civ. n. 29385/2011
Per proporre l'impugnazione per revocazione, ai sensi dell'art. 395, primo comma, n. 3 c.p.c., deve ritenersi "decisivo" il documento che, oltre ad essere stato ritrovato dopo la sentenza, sia astrattamente idoneo, se acquisito agli atti, a formare un diverso convincimento del giudice, e perciò a condurre ad una decisione diversa da quella revocanda, attenendo a circostanze di fatto risolutive che il giudice non abbia potuto esaminare. (Nella specie, il giudice di merito aveva dichiarato simulata una vendita immobiliare e contestualmente revocato ex art. 2901 c.c. il successivo trasferimento del bene dal simulato acquirente ad un terzo; quest'ultimo aveva impugnato per revocazione la sentenza, adducendo di avere rinvenuto documenti dai quali emergeva il reale prezzo del trasferimento, idoneo a dimostrare la sua buona fede e l'"inscientia damni"; il giudice adito tuttavia, rilevato che la domanda di revocazione era stata trascritta prima dell'acquisto del terzo, ha ritenuto tale circostanza di per sé idonea a dimostrare la mala fede del terzo ed ha rigettato la revocazione per irrilevanza dei nuovi documenti. La S.C. ha confermato tale decisione).
Cass. civ. n. 27094/2011
Ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c., richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall'art. 391 bis c.p.c., rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; pertanto, non è configurabile l'errore revocatorio qualora l'asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell'apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice.
Cass. civ. n. 23630/2011
Il principio della consumazione dell'impugnazione trova applicazione, indipendentemente dall'esistenza di specifiche disposizioni che lo prevedano, per tutti i mezzi ordinari di impugnazione, tra i quali anche la revocazione ordinaria per i motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c., non essendo consentito alla parte, che abbia impugnato la sentenza per uno dei suddetti motivi, di proporre una nuova impugnazione, al fine non già di porre rimedio ad un vizio di quella precedente, ma di dedurre nuovi motivi di censura, così sottraendosi all'osservanza del termine a tal fine previsto. Né ciò suscita un dubbio di costituzionalità dell'art. 387 c.p.c., per contrasto con gli artt. 3 e 24 cost., dal momento che il principio vale per tutti i mezzi ordinari di impugnazione e che la garanzia costituzionale del diritto di difesa si attua nelle forme e nei limiti stabiliti dall'ordinamento processuale.
Cass. civ. n. 12958/2011
Se il giudice di merito omette di pronunciare su una domanda che si assume essere stata ritualmente proposta, motivando la propria decisione col fatto che quella domanda non sarebbe mai stata formulata, la sentenza contenente tale statuizione dev'essere impugnata con la revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., e non con i mezzi ordinari, in tal caso non sussistendo una relazione di alternatività tra errore revocatorio e principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. (Nella specie, in un giudizio di risarcimento del danno da sinistro stradale, il giudice d'appello aveva ridotto la liquidazione compiuta dal giudice di primo grado, senza condannare - ritenendo non proposta alcuna domanda al riguardo - il danneggiato alla restituzione di quanto percepito in eccesso dall'assicuratore, il cui ricorso in cassazione è stato dalla S.C. dichiarato inammissibile in base al principio di cui alla massima).
Cass. civ. n. 7488/2011
La pronunzia del giudice, che si assuma erronea, sull'esistenza di uno o più fatti ritenuti pacifici per difetto di contestazione, costituisce frutto non di un errore meramente percettivo, ma di un'attività valutativa, nel senso che il giudice stesso, postasi la questione della mancanza di contestazioni in ordine all'esistenza di uno o più fatti determinati, l'ha risolta affermativamente all'esito di un giudizio, di per sé incompatibile con l'errore di fatto e non idoneo, quindi, a costituire motivo di revocazione a norma dell'art. 395 n. 4 c.p.c.- (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata la quale aveva ritenuto insussistenti le condizioni per far luogo all'invocata revocazione, avendo il giudice di merito accolto la domanda di rivendicazione della titolarità di una servitù di passaggio sul rilievo dell'infondatezza della sollevata eccezione di estinzione per mancato uso ventennale della servitù e sull'acquisita non contestazione dei fatti costitutivi dello stesso diritto di servitù).
Cass. civ. n. 21493/2010
In tema di impugnazioni, nel caso in cui il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata eccepita, nel corso dello stesso, dalla parte interessata, la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione.
Cass. civ. n. 17110/2010
La tardiva proposizione del ricorso per Cassazione, chiaramente desumibile dagli atti ma non rilevata in sentenza, non integra un errore di fatto idoneo a giustificare la revocazione della pronuncia di legittimità ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c. in quanto non si tratta della errata percezione dell'esistenza o inesistenza di un fatto che emerge espressamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice concreta rilevabilità ma dell'omessa valutazione di fatti rilevanti ai fini del giudizio, non proponibile nel giudizio di revocazione.
Cass. civ. n. 13834/2010
Pur nell'assenza di una particolare previsione nella legge 11 agosto 1973, n. 533, il rito speciale del lavoro è applicabile al procedimento di revocazione relativo a sentenze pronunciate nelle controversie in materia di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatorie, osservandosi davanti al giudice adito - ai sensi della disciplina generale di tale mezzo d'impugnazione - le norme stabilite per il procedimento davanti a lui (in quanto non derogate da quelle dettate in tema di revocazione), con la conseguenza che la domanda di revocazione deve reputarsi proposta nel termine di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. allorché il ricorso introduttivo del relativo procedimento sia depositato, entro quel termine, nella cancelleria del giudice adito, anche se la notificazione del ricorso stesso e del decreto di fissazione dell'udienza avvenga successivamente.
Cass. civ. n. 10232/2010
Con riguardo all'ipotesi di revocazione di cui al n. 3 dell'art. 395 c.p.c., riguardante il rinvenimento di documento decisivo, non potuto produrre in giudizio, preesistente alla sentenza, al fine di verificare la rilevanza del rinvenimento occorre fare riferimento (nella disciplina anteriore all'entrata in vigore della legge 26 novembre 1990, n. 353), al momento dell'assegnazione della causa in decisione, in quanto, sebbene il diritto all'esibizione, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., si eserciti normalmente fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, è consentito alla parte di denunciare all'udienza collegiale il rinvenimento o la formazione del documento ritenuto decisivo qualora ne abbia avuto, senza colpa, la disponibilità tra l'udienza di precisazione delle conclusioni e quella collegiale, mentre spetta al Collegio di valutarne la decisività e, in caso di positivo accertamento, rimettere la causa in istruttoria per la rituale acquisizione di esso ovvero, in difetto, non ammetterne la produzione, ciò precludendo la sussistenza delle predette condizioni di revocabilità della sentenza.
Cass. civ. n. 16447/2009
In tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, la configurabilità dell'errore di fatto, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., presuppone che la decisione appaia fondata, in tutto o in parte, esplicitandone e rappresentandone la decisività, sull'affermazione di esistenza o inesistenza di un fatto che, per converso, la realtà effettiva (quale documentata in atti) induce, rispettivamente, ad escludere od affermare, così che il fatto in questione sia percepito e portato ad emersione nello stesso giudizio di cassazione, nonché posto a fondamento dell'argomentazione logico-giuridica conseguentemente adottata dal giudice di legittimità.
Cass. civ. n. 12348/2009
Ai fini dell'applicazione dell'art. 395, n. 5, c.p.c., perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, e, quindi, essere oggetto di revocazione, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi sui quali deve essere espresso il secondo giudizio, rispetto agli elementi distintivi della decisione emessa per prima, nel senso che la precedente sentenza deve avere ad oggetto il medesimo fatto o un fatto ad esso antitetico, non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico, restando poi la contrarietà con la sentenza avente autorità di cosa giudicata ipotizzabile solo in relazione all'oggetto degli accertamenti in essa racchiusi, e risultando l'apprezzamento del giudice della revocazione al riguardo sottratto al sindacato di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la possibile esistenza di un contrasto di giudicati - attesa la non identità dei giudizi - tra l'"actio negatoria servitutis" promossa in relazione ad una striscia di terreno e l'azione di accertamento della proprietà esclusiva della medesima striscia introdotta in altra sede dal convenuto nel primo giudizio).
Cass. civ. n. 6821/2009
L'impossibilità di produrre in giudizio un documento decisivo per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, che, a norma dell'art. 395, primo comma, n. 3 c.p.c., giustifica la domanda di revocazione della sentenza passata in giudicato, può essere ravvisata solo quando chi promuove la revocazione abbia dimostrato di aver fatto tutto il possibile per acquisire tempestivamente il documento e di non esserci riuscito per causa a lui non imputabile o per fatto dell'avversario. In questa seconda ipotesi, è necessario fornire la prova della specifica iniziativa probatoria della parte nel giudizio di merito e di un comportamento ostativo della controparte, non essendo sufficiente allegarne la mancata collaborazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva rigettato la domanda di revocazione di una precedente sentenza, con cui era stata dichiarata la prescrizione del diritto del ricorrente al rimborso della tassa di concessione governativa per l'iscrizione nel registro delle imprese, essendo stata prodotta una copia dell'istanza di rimborso richiesta in epoca successiva al passaggio in giudicato della sentenza impugnata, e non essendo stato provato che il ricorrente si fosse tempestivamente attivato per acquisirla).
Cass. civ. n. 3935/2009
A norma dell'art. 395, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell'errore revocatorio, non è un nesso di causalità storica, ma di carattere logico-giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l'errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell'errore, per necessità logico-giuridica.
Cass. civ. n. 3294/2009
La notifica del ricorso per cassazione equivale alla notifica della sentenza impugnata, ai fini del decorso del termine breve per proporre istanza di revocazione ordinaria per errore di fatto o contrasto di giudicato, con la conseguenza che tale istanza è inammissibile se proposta dopo lo spirare di trenta giorni dalla notifica stessa.
Cass. civ. n. 2896/2009
Ai fini della proponibilità dell'impugnazione per revocazione, il riconoscimento della falsità della prova, previsto dall'art. 395 n. 2 cod. proc. civ. come motivo di revocazione, è solo quello proveniente dalla parte a favore della quale la prova è stata utilizzata, mentre è irrilevante l'accertamento della falsità compiuto in giudizi vertenti tra terzi. Pertanto nella controversia tra il contribuente e l'erario riguardante la determinazione del valore di un fondo oggetto di compravendita, ai fini del computo dell'imposta di registro, non costituisce motivo di revocazione della sentenza che abbia rigettato il ricorso l'accertamento, avvenuto in sede penale nei confronti del sindaco, della falsità del certificato di destinazione urbanistica allegato all'atto di compravendita.
Cass. civ. n. 844/2009
L'errore di fatto idoneo a costituire motivo di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., si configura come una falsa percezione della realtà, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l'attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; ne consegue che non è configurabile l'errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico. (Nella specie, un Istituto di assistenza, che aveva agito per sentir dichiarare l'avvenuto perfezionamento di talune cessioni all'INPS – creditore verso l'Istituto medesimo di somme a titolo di omissione contributiva – di crediti vantati verso USL e Regioni, si era lamentato, con ricorso per revocazione ex art. 395, n. 4, cod. proc. civ., che il giudice di appello, respingendo la predetta domanda, non avesse tra l'altro, tenuto conto di documenti che dimostravano il riconoscimento del debito da parte delle USL; la S.C., enunciando l'anzidetto principio, ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso la sussistenza dell'errore revocatorio in quanto la cessione di crediti si doveva ritenere mai perfezionatasi in assenza della presupposta e necessaria comunicazione prevista da normativa speciale applicabile alla fattispecie, così da rendere superfluo l'esame dei documenti asseritamene comprovanti il riconoscimento di debito).
Cass. civ. n. 15534/2008
Non sono deducibili nel giudizio di revocazione ex art. 395 n 3 c.p.c. le circostanze che, pur se emergenti da un documento che si assume non prodotto in giudizio per causa di forza maggiore, si sarebbero potute dedurre o eccepire in sede ordinaria ed altrimenti dimostrare in quella sede, concretandosi il concetto di forza maggiore di cui alla norma citata in una ignoranza assoluta dell'esistenza o del contenuto del documento non attribuibile a colpa dell'interessato. (Fattispecie relativa a un documento tardivamente rinvenuto, la cui esistenza e il cui contenuto erano pacificamente noti al ricorrente, avendolo lo stesso sottoscritto e concorso alla sua redazione, e ben sapendo la predetta parte che il documento in parola era in possesso del fratello e del suo commercialista ).
Cass. civ. n. 3128/2008
L'ordinanza collegiale con la quale sia stata dichiarata l'improcedibilità dell'appello e la derivante estinzione del giudizio ha il contenuto decisorio di una sentenza, con la conseguenza che la medesima, ove sia sottoscritta dal solo presidente che non ne risulti anche relatore o estensore, è viziata da inesistenza giuridica, in quanto non sottoscritta con l'osservanza delle forme di cui all'art. 132, terzo comma, c.p.c.; pertanto, nei confronti di siffatto provvedimento, sono esperibili i mezzi di impugnazione correlati alla sua natura di sentenza e non è proponibile l'impugnazione per revocazione di cui all'art. 395 c.p.c. (come, invece, inammissibilmente formulata nella specie), dovendosi escludere che la mancata sottoscrizione del giudice estensore implichi un vizio revocatorio, pur restando fermo che il giudice dell'impugnazione può rilevare anche d'ufficio la suddetta inesistenza ai sensi dell'art. 161, secondo comma, c.p.c., indipendentemente, perciò, dall'esercizio dell'ordinario rimedio impugnatorio.
Cass. civ. n. 735/2008
Ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione per revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., è necessario che la parte si sia trovata nell'impossibilità di produrre il documento asseritamente decisivo nel giudizio di merito, incombendo sulla stessa parte, in quanto attrice nel relativo giudizio, l'onere di dimostrare che l'ignoranza dell'esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava fino al momento dell'assegnazione della causa a sentenza non era dipeso da colpa o negligenza, ma dal fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore. Ne consegue che, nell'ipotesi di ignoranza dell'esistenza di un documento, l'onere della parte è soddisfatto dalla dimostrazione di una situazione di fatto tale da giustificarne la mancata conoscenza, mentre in quella di ignoranza soltanto del luogo di conservazione l'ammissibilità dell'impugnazione è subordinata alla prova di una diligente ricerca del documento e, nel caso di un suo pregresso possesso, dell'essersi verificato lo smarrimento per cause eccedenti la possibilità di controllo della parte. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva escluso l'ipotesi di ignoranza dell'esistenza di documento decisivo rispetto a corrispondenza spedita o ricevuta dalla parte attrice in revocazione ed aveva ritenuto doversi addebitare alla negligenza della stessa parte, e non già ad avvenimento di carattere straordinario costituente forza maggiore, lo smarrimento del documento, nonché il suo successivo ritrovamento ormai tardivo rispetto alla possibilità di produrlo in giudizio).
Cass. civ. n. 12726/2007
È manifestamente infondata – in relazione agli art. 3 e 24 Cost. ed ai principi del giusto processo di cui al novellato art. 111 Cost. – la questione di costituzionalità dell'art. 395 c.p.c., nella parte in cui consente che il giudizio di revocazione di una sentenza pronunciata dalla corte d'appello si svolga dinanzi alla stessa corte, posto che la decisione sull'istanza di revocazione può essere presa in diversa composizione collegiale. (Nella specie la S.C. ha rilevato che dagli atti non risultava che la decisione sulla revocazione fosse stata presa nella medesima composizione collegiale della decisione impugnata).
Cass. civ. n. 11596/2007
La revocazione delle sentenze pronunciate dal giudice tributario è ammissibile anche nel caso di contrasto con un precedente giudicato, ai sensi dell'art. 395, numero 5, c.p.c., poiché, là dove l'art. 64, comma 1, del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, menziona gli accertamenti di fatto, intende riferirsi anche allo specifico motivo di revocazione costituito dall'errore (revocatorio) sul «fatto» dell'esistenza di un precedente giudicato esterno formatosi tra le stesse parti.
Cass. civ. n. 1647/2007
Non è configurabile un motivo di revocazione allorquando il comportamento asseritamente doloso della parte poteva desumersi dalla stessa lettura della sentenza di primo grado e doveva quindi essere fatto valere come motivo di appello. (Nella specie, la S.C. ha escluso che integrasse vizio revocatorio l'omessa prospettazione, nell'ambito di una causa contumaciale di rilascio di uno stabile ottenuto a titolo di locazione, la deduzione di una occupazione abusiva senza titolo, che ben poteva desumersi dalla sentenza di primo grado).
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Non costituisce errore di fatto che giustifichi la revocazione di una sentenza del tribunale, quello in cui, nell'ambito di un giudizio contumaciale, sarebbe incorso il giudice nella percezione delle risultanze istruttorie; si tratta infatti di un vizio che la parte contumace avrebbe potuto conoscere al momento della notifica della sentenza di primo grado e che doveva essere fatto valere con l'appello.
Cass. civ. n. 9369/2006
Ai fini della fattispecie revocatoria di cui all'art. 395, n. 3, c.p.c. (ritrovamento di uno o più documenti decisivi che la parte non abbia potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario), è sufficiente l'assenza di colpa del soccombente nella mancata produzione del documento medesimo, di cui egli non abbia nemmeno potuto chiedere l'esibizione per avere ignorato, in modo incolpevole, la sua esistenza e la persona che lo deteneva, non richiedendosi anche che la mancata produzione sia imputabile a fatto dell'avversario.
Cass. civ. n. 6595/2006
Integra la fattispecie del dolo processuale revocatorio (art. 395 n. 1 c.p.c.) quell'attività intenzionalmente fraudolenta che si concreti in artifici e raggiri (che possono consistere anche nel mendacio su fatti decisivi della causa), tali da travisare una situazione in modo da farla apparire diversa da quella reale, onde fuorviare il giudice nell'accertamento della verità processualmente rilevante. (Nella specie la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice di merito, che aveva riscontrato gli estremi del dolo processuale revocatorio nella circostanza che, per pregiudicare la difesa del ricorrente, la citazione era stata notificata al ricorrente stesso, da anni residente all'estero, presso la residenza ove anagraficamente coabitava con il coniuge separato, colluso con l'attore e nella manipolazione di una lettera inviata al coniuge separato avente per oggetto la vendita della casa di proprietà comune ).
Cass. civ. n. 4398/2006
Ove la Corte d'appello, adita in sede di impugnazione del lodo per nullità, abbia pronunciato sul presupposto di un fatto, l'avere le parti attivato un arbitrato regolato dal capitolato generale di appalto delle opere pubbliche (approvato con il D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063), la cui verità si assume essere incontestabilmente esclusa, si verte in un'ipotesi di errore revocatorio, da rimuovere a mezzo dello specifico strumento di impugnazione disciplinato dall'art. 395 c.p.c., rimanendo esclusa la possibilità di avvalersi del rimedio del ricorso per cassazione, che, se proposto, deve essere dichiarato inammissibile.
Cass. civ. n. 3947/2006
L'art. 395 c.p.c., indicando quale presupposto dell'istanza di revocazione che si sia giudicato su prove «dichiarate false» postula che tale dichiarazione sia avvenuta con sentenza passata in giudicato (in sede civile o penale) anteriormente alla proposizione dell'istanza di revocazione, con la conseguenza che è inammissibile l'istanza di revocazione basata sulla falsità di prove da accertare nello stesso giudizio di revocazione. Ai fini dell'ammissibilità dell'istanza di revocazione è necessario, altresì, che il giudicato (civile o penale) sul falso si sia formato in un giudizio, al quale abbiano partecipato tutte le parti del giudizio in cui è stata emessa la sentenza assoggettata a revocazione, restando esclusa, inoltre, la possibilità che detto giudicato possa desumersi se non per via diretta e principale e quindi in via incidentale.
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Per l'accertamento, in sede civile, della falsità di una prova, al fine di poter proporre sulla base di esso azione di revocazione ex art. 395 n. 2 c.p.c., la dichiarazione giudiziale di falsità potrà ottenersi col mezzo speciale della querela di falso tutte le volte in cui l'impugnativa sarà rivolta contro un documento avente fede privilegiata, e in tutti gli altri casi mediante la proposizione di un'azione di mero accertamento, in quanto la regola secondo la quale le azioni di mero accertamento possono avere ad oggetto solo i diritti e non anche i fatti subisce eccezione nei casi espressamente previsti dalla legge, tra i quali rientra l'autonomo giudizio di falsità della prova, propedeutico alla proposizione della domanda di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 2 c.p.c.
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L'art. 395,n. 2, c.p.c., laddove richiede come presupposto di ammissibilità della domanda di revocazione la falsità della prova accertata in un precedente giudizio, c.p.c., si riferisce alla prova intesa in senso lato, come qualsiasi mezzo o strumento predisposto dalla legge perché il giudice possa, attraverso un'attività percettiva o induttiva, formarsi un convincimento circa l'esistenza o l'inesistenza dei fatti rilevanti per la decisione della causa; ne consegue che tra le prove la cui falsità è rilevante in questa sede sono da ritenersi incluse, oltre a tutte le prove tecniche – con esclusione del solo giuramento – anche la consulenza tecnica d'ufficio e la perizia svolta nel processo penale.
Cass. civ. n. 3440/2006
Il giudice della revocazione può nell'ambito dei poteri di cui all'art. 112 c.p.c. in sede di interpretazione della domanda riportare l'inquadramento preciso del fatto revocatorio sotto una delle previsioni dell'art. 395 stesso codice anche in difformità dell'indicazione datane dal richiedente, purché non si tratti di fatto ontologicamente diverso da quello dedotto dall'istante.
Cass. civ. n. 14821/2005
In tema di revocazione fondata sulla sopravvenuta conoscenza della dichiarazione della falsità della prova sulla base della quale è stata pronunciata la sentenza revocanda, la parte istante non può limitarsi ad affermare di essere venuta a conoscenza del fatto dedotto a motivo di revocazione per una determinata circostanza e in un determinato momento, ma ha l'onere di dedurre anche la prova del fatto che la relativa circostanza escluda, secondo un ragionamento realistico, sul piano fattuale e logico, l'eventualità di una sua conoscenza anteriore, tanto più quando il fatto rivelatore sia anticipatamente ipotizzabile e prevedibile e la presa di conoscenza di esso dipenda da una minima attivazione dell'interessato. In particolare, ai fini dell'individuazione del termine di decorrenza per la proposizione del ricorso per revocazione, la prova della data dell'avvenuta dichiarazione o del riconoscimento della falsità della prova concerne la conoscenza effettiva e non la conoscenza “legale” di tali fatti e deve essere tale da escludere che, secondo criteri di ragionevolezza, considerata la peculiarità del caso concreto, l'interessato fosse venuto ancor prima a conoscenza della dedotta declaratoria di falsità. (Nel caso di specie, in cui, sulla scorta della conoscenza della vicenda conseguente all'esercizio dell'azione penale nei confronti di un teste in ordine al reato di cui all'art. 372 c.p. – definita con sentenza ex art. 444 c.p.p. – relativamente ad una deposizione resa nel corso del giudizio di primo grado al quale era seguito quello di appello deciso con la sentenza di cui si invocava la revocazione, la S.C. ha ritenuto, in base ad un ragionamento presuntivo basato su fatti evincibili dagli atti processuali e su principi logici, che l'interessato avrebbe potuto, consultando gli atti penali e provvedendo ad una tempestiva richiesta della copia della richiamata sentenza penale emessa a carico del teste, conoscere tempestivamente la relativa circostanza e non allegare la sentenza medesima dopo oltre due anni dalla sua pronuncia).
Cass. civ. n. 9098/2005
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 395, n. 2, c.p.c., sollevata in riferimento all'art. 3 Costituzione per diversità di trattamento rispetto alla difforme soluzione apprestata, per l'identica situazione, dall'art. 630, lett. c), c.p.p., secondo il quale la sopravvenienza di nuove prove successive alla condanna costituisce senza limitazioni motivo di revisione. Infatti, le differenze strutturali, funzionali e teleologiche del processo penale rispetto a quello civile pienamente giustificano, salvo il rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo, una diversa modulazione, da parte del legislatore, nell'esercizio della sua discrezionale potestà di valutazione delle difformi esigenze a tali differenze necessariamente connesse, nella disciplina di istituti pur di analoga natura. Pertanto, è del tutto ragionevole la tutela attribuita, nel processo civile, al fondamentale interesse (generale non meno che delle parti) alla stabilità del giudicato, pur raggiunta sulla base di una verità formale, con misure più incisive sugli interessi dei privati, che non nel processo penale, là dove ai plurimi interessi, anzitutto dell'imputato ma non secondariamente generali, e, quindi, all'accertamento della verità sostanziale, non possono non essere riconosciute rilevanza ed incidenza prevalenti e determinanti.
Cass. civ. n. 8639/2005
In tema di revocazione delle sentenze per errore di fatto, prevista dall'art. 395, n. 4, c.p.c., l'erronea supposizione della soccombenza di una delle parti in una pregressa fase del giudizio non può dar luogo a revocazione, atteso che la soccombenza non costituisce un «fatto» ai sensi della norma citata, bensì una situazione giuridica, in relazione alla quale l'accertamento della sua stessa esistenza e portata, nonché la determinazione degli effetti che essa produce sulle facoltà e i doveri delle parti nella successiva fase di impugnazione, non possono non formare oggetto tipico dell'attività interpretativa e valutativa del giudice e, quindi, della formulazione del giudizio sul piano logico e giuridico.
Cass. civ. n. 6198/2005
In tema di revocazione delle sentenze per errore di fatto, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c. (rimedio esperibile anche nei confronti delle sentenze della Corte di cassazione ex art. 391 bis dello stesso codice), l'errore che può dar luogo alla revocazione non può mai cadere, per definizione, sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, sia perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono «fatti» ai sensi del citato art. 395, n. 4, sia poiché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l'attività valutativa ed interpretativa del giudice.
Cass. civ. n. 19833/2004
La dichiarazione di cessazione della materia del contendere nel corso del giudizio di revocazione postula l'ammissibilità del ricorso e la valida instaurazione del giudizio, pertanto, qualora il giudice adito in revocazione ritenga che non sussistono i motivi di revocazione previsti dall'art. 395 c.p.c., deve senz'altro procedere alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per revocazione, avendo tale pronuncia carattere logicamente e giuridicamente pregiudiziale.
Cass. civ. n. 14669/2004
La revocazione per errore di fatto può essere proposta solo entro l'anno dalla pubblicazione della sentenza revocanda, come previsto dall'art. 327, comma primo, c.p.c., salvo che nell'ipotesi eccezionale di sentenza pronunciata nei confronti della parte contumace, che dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa e per nullità della notificazione degli atti di cui all'art. 292 c.p.c.; tale previsione, in virtù della sua eccezionalità non è estensibile analogicamente alla diversa ipotesi di trasferimento dello studio del domiciliatario regolarmente comunicato, dovendo ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 327 c.p.c. laddove fissa il termine di un anno dalla pubblicazione della sentenza per tutti i casi di revocazione per errore di fatto, non distinguendo il caso in cui l'errore impedisca proprio la tempestiva conoscenza del testo della sentenza, in quanto il termine «lungo» annuale è tale da consentire con l'impiego di una diligenza ragionevole di seguire le vicende dell'impugnazione introducendo se del caso il giudizio di revocazione, contemperando l'interesse di ordine pubblico alla formazione del giudicato.
Cass. civ. n. 13650/2004
La decisività del documento, ai fini della proponibilità della domanda di revocazione a norma dell'art. 395, n. 3, c.p.c., postula che esso sia idoneo, mediante la prova diretta dei fatti di causa, a provocare una statuizione diversa, evidenziando che il giudice della sentenza revocanda avrebbe adottato una pronuncia di segno opposto ove ne avesse avuto conoscenza. Ne consegue che una siffatta decisività va negata non soltanto quando l'atto ritrovato possa offrire semplici elementi indiziari, utilizzabili per dimostrare quei fatti esclusivamente nel concorso con altri dati, ma anche quando dia la prova diretta di un fatto che non sia stato ritenuto determinante per la definizione della contesa, e che potrebbe a palesarsi risolutivo solo in esito ad una revisione dell'apprezzamento della sua irrilevanza.
Cass. civ. n. 5475/2004
Il mancato esame di documenti che il giudice motivi con l'affermazione che non risultino inclusi tra gli atti del processo non può che essere prospettato come errore di fatto nel quale il giudice sarebbe incorso per una mera svista materiale, errore rispetto al quale l'unico rimedio esperibile è quello della revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c.
Cass. civ. n. 5105/2003
Il giudicato, essendo destinato a fissare la «regola» del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma deve essere assimilata, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, all'interpretazione delle norme giuridiche; pertanto gli eventuali errori di interpretazione del giudicato rilevano non quali errori di fatto, ma quali errori di diritto, inidonei, come tali, a integrare gli estremi dell'errore revocatorio contemplato dall'art. 395, numero 4, c.p.c. (Principio espresso in fattispecie di ricorso per revocazione promosso dal procuratore regionale della Corte dei conti nei confronti di un'ordinanza delle Sezioni Unite, resi in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, dichiarativa della inammissibilità del ricorso perché la questione con esso sollevata era da ritenersi coperta dal giudicato con cui era stata riconosciuta, dalle stesse Sezioni Unite, la giurisdizione del giudice ordinario).
Cass. civ. n. 15801/2002
In tema di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., i documenti il cui rinvenimento consente tale tipo di impugnazione debbono fornire la prova, non potuta fornire nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, del fondamento di domande ed eccezioni in quel giudizio già formulate, mentre non possono essere presi in considerazione, per il generale divieto di ius novorum, ove siano dedotti a fondamento di domande ed eccezioni che non abbiano fatto parte del thema decidendum dibattuto nel giudizio stesso. Ne consegue che, essendo stato dedotto dalla parte a sostegno dell'eccezione di usucapione sollevata nel giudizio definito con la sentenza impugnata il possesso dell'immobile, negandosi la sussistenza della detenzione (derivata da concessione d'uso da parte di un comune), non può essere dedotta per la prima volta in sede di revocazione, a seguito del rinvenimento di documenti atti a provare l'interversione di una originaria detenzione in possesso, la diversa questione del mutamento dell'animus da detinendi a rem sibi habendi, attenendo siffatti documenti alla prova non di un fatto deciso negativamente per difetto di prova con la sentenza impugnata, ma di un fatto rimasto estraneo al giudizio con essa conclusosi.
Cass. civ. n. 9834/2002
Il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale ex art. 409 c.p.p., pur non rientrando tra i provvedimenti dotati di autorità di cosa giudicata e non costituendo vincolo in sede civile o amministrativa, può contenere elementi che, in quanto negazione di quelli sui quali il giudice civile ha fondato la propria decisione, siano potenzialmente idonei a condurre ad una diversa decisione. Tuttavia, per la sua natura di atto giudiziale non definitivo, esso non integra accertamento della falsità di una deposizione che possa dare luogo al giudizio di revocazione ex art. 395, n. 2, c.p.c.
Cass. civ. n. 8974/2002
Poiché l'errore di fatto revocatorio, di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c., è un errore di percezione del giudice risultante dagli atti o documenti della causa, e non è quindi configurabile rispetto ad atti o documenti che non siano stati prodotti, è inammissibile la produzione nel giudizio di revocazione di nuovi documenti al fine di dimostrarne la sussistenza.
Cass. civ. n. 14714/2001
Nel contenzioso tributario, ai fini dell'applicazione dell'art. 395, n. 5, c.p.c. (richiamato dall'art. 64 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546), perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente autorità di cosa giudicata, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che l'oggetto del secondo giudizio sia costituito dal medesimo rapporto tributario definito irrevocabilmente nel primo, ovvero che in quest'ultimo sia stato definitivamente compiuto un accertamento radicalmente incompatibile con quello operante nel giudizio successivo; ne consegue che — posto che, ex art. 7 TUIR, l'imposta sui redditi è dovuta per anni solari, a ciascuno dei quali corrisponde un'obbligazione tributaria autonoma — non è configurabile il detto motivo di revocazione allorché il precedente giudicato si riferisca ad un'annualità di imposta sui redditi diversa dal periodo d'imposta considerato nella impugnata sentenza.
Cass. civ. n. 9093/2001
L'esperibilità della revocazione per errore di fatto o per dolo di una parte in danno dell'altra, avverso l'ordinanza di convalida di sfratto per morosità o di licenza per finita locazione (derivante dalle sentenze della Corte Cost. n. 558 del 1989 e n. 54 del 1995) non è condizionata allo spirare del termine per l'opposizione ex art. 668 c.p.c.; infatti, tale opposizione e la revocazione ex art. 395, n. 1, c.p.c. sono istituti distinti e autonomi basati su presupposti diversi, la mancanza di tempestiva conoscenza (per irregolarità della notifica o per caso fortuito o forza maggiore) dell'intimazione di licenza o di sfratto nel primo caso e il dolo revocatorio nel secondo.
Cass. civ. n. 561/2000
L'errore di fatto che può dare luogo alla revocazione di una sentenza consiste nell'erronea percezione dei fatti di causa sostanziantesi nella supposizione dell'esistenza di un fatto la cui verità risulta incontestabilmente esclusa dagli atti, o nell'esistenza di un fatto la cui verità è inconfutabilmente accertata, sempre che il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito. Il suddetto errore inoltre non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche; deve avere i caratteri dell'assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l'errore la pronuncia sarebbe stata diversa. Con riguardo, infine, all'errore di fatto che può legittimare la richiesta di revocazione della sentenza di Cassazione, esso deve riguardare gli atti «interni» al giudizio di legittimità (ossia quelli che la Corte deve, e può, esaminare direttamente con propria indagine di fatto all'interno dei motivi di ricorso) e deve incidere unicamente sulla sentenza di Cassazione, giacché, ove esso fosse configurabile come causa determinante della decisione impugnata in Cassazione, il vizio correlato potrebbe dare adito soltanto alle impugnazioni esperibili contro la pronuncia di merito.
Cass. civ. n. 10078/1999
Il decreto con cui la Corte d'Appello, ai sensi del quarto comma dell'art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117, pronunciando in sede di reclamo avverso il decreto di declaratoria della inammissibilità della domanda ex art. 2 della stessa legge, a sua volta conferma detta inammissibilità, deve reputarsi suscettibile di impugnazione per revocazione, senza che in contrario possa valere la circostanza che il suddetto provvedimento abbia la forma del decreto e non quella della sentenza. (Nella specie la Suprema Corte è giunta a tale conclusione, sia sulla base di un'interpretazione sistematica desunta dalla norma dell'art. 656 c.p.c., che ammette la revocazione contro il decreto ingiuntivo, nonché dalla dichiarata incostituzionalità dell'art. 395, prima parte n. 1 e n. 4 nella parte in cui non ammetteva la revocazione contro l'ordinanza di convalida di sfratto o licenza per finita locazione e per morosità, sia dal carattere decisorio del provvedimento, desumibile dalla sua soggezione al ricorso per cassazione e dall'attitudine a divenire inoppugnabile).
Cass. civ. n. 6573/1999
La formulazione letterale dell'art. 395, n. 1, c.p.c., che limita la proponibilità dell'impugnazione per revocazione della statuizione che sia stata effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra alle sole sentenze pronunciate in unico grado o in grado di appello, valutata alla luce della espressa previsione, ex art. 391 bis c.p.c., della revocazione delle sentenze di cassazione come limitata alla ipotesi in cui esse risultino viziate da errore di fatto ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., non consente alcuna possibilità di interpretazione estensiva o di applicazione analogica del disposto del citato art. 395 c.p.c., ostandovi il principio di tipicità delle impugnazioni espresso dall'art. 323 c.p.c.
Cass. civ. n. 5229/1999
Per l'ammissibilità della revocazione prevista dall'art. 395 n. 3 c.p.c. la forza maggiore, impeditiva della produzione in giudizio del documento decisivo, deve aver determinato non l'indisponibilità di esso, bensì l'ignoranza dell'esistenza o del luogo di conservazione del medesimo, non addebitabile a colpa della parte in nessun grado di giudizio e fino al momento in cui è possibile la predetta produzione, e le prove di tali circostanze, nonché del giorno della scoperta o del recupero del documento, devono esser indicate unitamente ai motivi della citazione per revocazione.
Cass. civ. n. 3684/1999
La falsità di un atto del processo (nella specie, concernente la relata di notifica dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado) che faccia apparire come esistente un elemento in realtà mancante può configurare dolo revocatorio della sentenza, ai sensi dell'art. 395 n. 1 c.p.c., solo se si inserisce in una macchinazione fraudolenta che abbia concretamente inciso sul principio del contraddittorio e sul diritto di difesa o, comunque, sull'accertamento della verità.
Cass. civ. n. 1114/1999
Non sono impugnabili per revocazione le sentenze di cassazione contrarie ad altra precedente tra le parti avente autorità di giudicato interno, senza che tale principio, enucleabile dal combinato disposto degli artt. 395, n. 5 e 391 bis c.p.c., risulti in contrasto con alcuna norma di rango costituzionale.
Cass. civ. n. 1094/1998
Il rimedio straordinario della revocazione è concesso non contro errori di criterio nell'estimazione del fatto, bensì contro l'errore di fatto propriamente detto, ossia quando il giudice non ha conosciuto, né potuto esaminare, gli elementi costitutivi del fatto, tanto da non statuire sul vero fatto controverso. Pertanto, nel caso in cui il giudice ha così giudicato non perché non conoscesse i fatti o i documenti, ma in quanto ha ritenuto che la notificazione di un provvedimento esibito in giudizio costituisse la notificazione del provvedimento impugnato, egli non ignorava i documenti, ma li ha erroneamente interpretati, confondendoli tra loro ed incorrendo, quindi, in un tipico errore di interpretazione del fatto che deve essere oggetto di ricorso per cassazione (art. 360 n. 5 c.p.c.).
Cass. civ. n. 5303/1997
L'errore di fatto, che può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395 n. 4) c.p.c., richiamato dall'art. 391 bis c.p.c., consiste nell'erronea percezione degli atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure nella supposizione dell'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato. Tal genere di errore presuppone quindi il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l'altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall'altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti; pertanto, non costituisce errore di fatto, ma di diritto, quello inerente all'idoneità dell'atto di notificazione a determinare l'effetto di far decorrere il termine iniziale per l'impugnazione, ove tale inidoneità sia stata affermata in esito alla valutazione giuridica dell'atto stesso.
Cass. civ. n. 6367/1996
La erronea affermazione dell'esistenza di un fatto la cui realtà, invece, debba ritenersi positivamente esclusa in base al tenore degli atti o documenti di causa può costituire motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., solo se sussiste un rapporto di causalità necessaria fra l'erronea supposizione e la pronuncia in concreto resa dal giudice di merito. Deve quindi escludersi che tale mezzo di impugnazione possa essere utilizzato in relazione ad errori incidenti su fatti che, non decisivi in se stessi, devono essere valutati in un più ampio contesto probatorio, anche quando, nell'ambito appunto della globale valutazione degli elementi di prova, l'elemento pretermesso avrebbe potuto in concreto assumere un rilievo decisivo. (Nella specie, in un giudizio relativo alla qualificabilità — ai fini previdenziali — come di lavoro subordinato di un rapporto con un ente pubblico, era stata erroneamente supposta la revoca di un atto amministrativo di ricognizione del carattere impiegatizio del rapporto. La Suprema Corte, sulla base del riportato principio, ha cassato senza rinvio la sentenza che aveva accolto, nella fase rescindente, l'azione di revocazione).
Cass. civ. n. 4610/1996
Con riguardo all'ipotesi di revocazione di cui al n. 3 dell'art. 395 c.p.c. — che presuppone che il documento decisivo, non potuto produrre in giudizio, sia preesistente alla decisione impugnata — al fine di verificare la rilevanza del rinvenimento del documento deve aversi riguardo alla data dell'udienza in cui la causa viene assegnata a sentenza e, nel rito novellato dalla legge n. 353 del 1990, alla scadenza dei termini per le difese finali di cui agli artt. 190 e 190 bis c.p.c., in quanto, sebbene il diritto di esibizione ex art. 210 stesso codice si eserciti normalmente fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, alla parte, che rinvenga documenti decisivi medio tempore e che sia stata, senza sua colpa, impedita alla produzione anteriore, deve riconoscersi il diritto di denunciarne il rinvenimento al giudice — collegiale o monocratico — incaricato della decisione, il quale avrà l'obbligo, delibata la decisività dei documenti, di riportare la causa in istruttoria per la rituale acquisizione degli stessi.
Cass. civ. n. 2131/1996
L'art. 395 n. 5 c.p.c. – secondo cui l'impugnazione per revocazione è proponibile se la sentenza è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione – va interpretato nel senso che ricorre tale ipotesi di revocazione qualora l'eccezione di giudicato esterno non sia stata proposta davanti al giudice che abbia pronunciato la sentenza revocanda; mentre, qualora il giudice di merito abbia trascurato di considerare la predetta eccezione, ricorre un vizio di motivazione denunciabile ex art. 360, n. 5, c.p.c. (In forza di tale principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione, proposto deducendo pretesa omissione di motivazione sull'eccezione di giudicato esterno, affermando che avverso l'impugnata sentenza avrebbe potuto esclusivamente proporsi la revocazione ex art. 395, n. 5, del codice di rito, in quanto nel giudizio di appello con essa concluso non era stata, né avrebbe potuto essere, tempestivamente proposta l'eccezione di giudicato esterno, non essendosi questo ancora formato al momento della proposizione dell'atto introduttivo del giudizio medesimo).
Cass. civ. n. 11152/1995
Anche nel rito del lavoro ed anche per la revocazione cosiddetta ordinaria (art. 395 nn. 4 e 5 c.p.c.) opera il principio secondo cui, al di fuori di tassative ipotesi previste dalla legge, l'impugnazione con unico atto di più sentenze emesse tra diverse o tra le stesse parti in separati procedimenti è vietata e va dichiarata inammissibile, considerato che solo all'atto dell'introduzione del giudizio è consentito l'esercizio congiunto di azioni, collegate dalla connessione degli oggetti o dei titoli o dalla comunanza di questioni da risolvere o da connessione meramente soggettiva, mentre nel prosieguo del giudizio il potere di riunire i procedimenti è riservato al giudice.
Cass. civ. n. 9770/1995
La dichiarazione giudiziale di falsità contenuta in una sentenza penale, per poter operare come causa di revocazione ai sensi dell'art. 395 n. 2 c.p.c., presuppone che il relativo accertamento possa svolgere efficacia nei confronti delle parti del giudizio civile, il che resta escluso nei confronti di quei soggetti che non abbiano partecipato al giudizio penale o non siano stati, quanto meno, posti in grado di parteciparvi. Pertanto, è inammissibile la domanda di revocazione della decisione del giudice tributario (nella specie della Commissione tributaria centrale), posta ai sensi dell'art. 395 n. 2 c.p.c. sulla base della dichiarazione di falsità della notifica di un avviso di accertamento contenuta in una sentenza penale, emessa a seguito di giudizio cui l'amministrazione finanziaria non ha partecipato, né è stata posta in grado di parteciparvi.
Cass. civ. n. 8051/1995
La sentenza di appello emessa nel processo di revocazione contro crediti ammessi, promosso dal curatore ai sensi dell'art. 102 L. fall. – che si instaura sin dall'inizio come un qualsiasi processo di cognizione (ordinaria) sottomesso alle regole processuali proprie della L. fall., di modo che contro la sentenza di primo grado è ammissibile l'appello ed il ricorso per cassazione – è impugnabile per revocazione ai sensi dell'art. 395 c.p.c., senza che possa invocarsi il divieto di cui all'art. 403 c.p.c., nei termini processuali previsti dagli artt. 325 e 326 c.p.c. anche dal fallito che subentri al curatore nel processo (in applicazione della regola dell'ultimo comma dell'art. 102 L. fall.) soggetto alle stesse regole processuali vigenti al momento del subingresso. Infatti l'istituto della revocazione contro i crediti ammessi, proponibile dal curatore o da qualunque creditore che vi abbia interesse ai sensi dell'art. 102 sopracitato, costituisce un rimedio processuale proprio della procedura fallimentare distinto ed autonomo rispetto a quello della cassazione delle sentenze per revocazione pronunciate in un normale giudizio di cognizione ordinario in grado di appello o in unico grado ai sensi dell'art. 395 c.p.c., senza che per qualche analogia l'uno istituto possa ritenersi sostituibile all'altro, soprattutto in relazione alle regole giuridiche processuali che disciplinano separatamente la revocazione fallimentare da quella ordinaria.
Cass. civ. n. 6028/1995
La domanda di revocazione di una sentenza pronunciata per effetto del dolo di una della parti in danno dell'altra (art. 395 comma primo n. 1 c.p.c.) non richiede l'esistenza di una prova precostituita; se tuttavia il dolo consiste nella fraudolenta utilizzazione di un documento o di una testimonianza falsi, il nesso causale tra l'artificio della parte ed inganno del giudice è condizionato all'accertamento della falsità che, per un principio generale desumibile dall'art. 395 comma primo n. 2 c.p.c. (applicabile per analogia anche nella ipotesi considerata, perché espressione della comune esigenza di evitare che il processo di revocazione si converta in una successiva istanza), non può essere compiuto nel giudizio di revocazione ma deve a questo precedere.
Cass. civ. n. 5068/1995
Ad integrare il dolo revocatorio di cui all'art. 395 n. 1 c.p.c. non è sufficiente la sussistenza di un'attività deliberatamente fraudolenta della parte, ma è necessario anche che essa abbia determinato il convincimento del giudice e la conseguente sua decisione. (Nella specie la S.C., sulla base dell'esposto principio, ha confermato la sentenza con cui il giudice della revocazione aveva rigettato l'impugnazione rilevando che la decisione del giudice d'appello sottoposta a revocazione era stata determinata non tanto dall'ipotizzato doloso impiego di un atto falso, quanto dalla proposizione nel suo ambito di una querela di falso viziata da difetti procedurali).
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Nel rito del lavoro, ai fini del giudizio sulla possibilità o meno che avrebbe avuto la parte interessata, nel giudizio definito con la sentenza impugnata per revocazione, di produrre documenti decisivi, la cui successiva disponibilità sia dalla stessa fatta valere ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., deve considerarsi sia che il divieto di ius novorum specificamente posto dall'art. 437 trova applicazione per le prove costituende e non per quelle costituite, sia che la decadenza in cui incorre la parte che non menzioni i nuovi documenti già nell'atto di appello (ai sensi delle previsioni di cui agli artt. 414, 434 e 436) deve escludersi, in base al criterio ricavabile dall'art. 420 quinto comma, con riguardo a documenti sopravvenuti che la parte stessa non abbia potuto anteriormente produrre.
Cass. civ. n. 7576/1994
Ad integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio (ex art. 395, n. 1, c.p.c.) è necessaria un'attività intenzionalmente fraudolenta che si sia concretata in artefizi o raggiri subiettivamente diretti ed oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria, impedendo al giudice l'accertamento della verità, e non basta, quindi, la semplice violazione dell'obbligo di lealtà e probità (art. 88 c.p.c.), né sono sufficienti il mendacio o le false allegazioni o le reticenze se queste non abbiano costituito elementi essenziali di un'attività diretta a trarre in inganno la controparte su fatti decisivi della causa sviandone o pregiudicandone la difesa e così precludendo il loro accertamento.
Cass. civ. n. 4139/1994
La proposizione del ricorso per cassazione avverso una sentenza che ha deciso la sola questione di giurisdizione determina la cessazione dell'interesse della parte ad ottenere una pronunzia sull'impugnazione per revocazione della stessa sentenza ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., atteso che agli errori di fatto risultanti dagli atti o documenti della causa hanno il potere di porre riparo le Sezioni Unite della Corte di cassazione, che, decidendo sulla giurisdizione, sono anche giudice del fatto, potendo interpretare direttamente ed in piena autonomia gli atti del processo.
Cass. civ. n. 4689/1993
Ai sensi del combinato disposto degli artt. 395 e 396 c.p.c. la revocazione è ammessa soltanto contro le sentenze pronunziate in grado di appello o in unico grado, mentre la sentenza di primo grado è suscettibile di tale rimedio solo quando sia scaduto il termine per l'appello e si tratti di revocazione, così detta straordinaria, per i motivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395. Ne consegue che la sentenza ancora appellabile non è in alcun caso suscettibile della revocazione, i cui motivi possono essere fatti valere con l'appello, quale rimedio normale ed illimitato all'ingiustizia della decisione.
Cass. civ. n. 6082/1992
Qualora il giudice fondi la propria decisione sull'affermazione dell'inesistenza agli atti di causa di un documento la cui acquisizione agli atti risulti, al contrario, positivamente stabilita, la sentenza è viziata da un errore di fatto ai sensi dell'art. 395, n. 4 c.p.c., sempreché la questione dell'esistenza del documento non abbia costituito un punto controverso deciso dalla sentenza stessa.
Cass. civ. n. 12034/1990
L'impugnazione per revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., può investire la sentenza d'appello, per far valere errori di fatto dai quali la stessa sia affetta, mentre gli eventuali errori di fatto in cui sia incorso il giudice di primo grado sono deducibili esclusivamente con l'atto di gravame, restando in difetto preclusa ogni possibilità di denunciarli o rilevarli.
Cass. civ. n. 9213/1990
Ad integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio ex art. 395 n. 1 c.p.c., non basta la semplice violazione del dovere di lealtà e di probità, richiedendosi, invece, un'attività intenzionalmente fraudolenta, concretantesi in artifizi o raggiri tali da pregiudicare o sviare la difesa avversaria, facendo apparire una situazione diversa da quella reale, e, quindi, da impedire al giudice la conoscenza della verità: requisiti, questi, ravvisabili anche nel mendacio o nel silenzio su fatti decisivi della causa, specie quando la stessa domanda giudiziale trovi fondamento su tale atteggiamento, ed il successivo comportamento processuale, attuativo di questo iniziale disegno fraudolento, sia tale da impedire un'efficiente attività difensiva della controparte o, comunque, da pregiudicare l'accertamento della verità. (Nella specie, alla stregua di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza con la quale i giudici del merito avevano ritenuto ininfluente, ai fini della revocazione della sentenza di condanna della Cassa Marittima al versamento di prestazioni assicurative per infortunio, la circostanza che il lavoratore, il quale le aveva giudizialmente rivendicate, non aveva in alcun modo fatto presente che analoghe prestazioni, per il medesimo infortunio, gli erano già state erogate dall'Inail).
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Ai fini della fattispecie revocatoria di cui all'art. 395 n. 3 c.p.c., il requisito della decisività del documento va escluso nel caso in cui questo non sia, per sua natura, destinato a costituire la prova di un determinato fatto, ma rappresenti soltanto un mezzo di conoscenza di un fatto decisivo, prima ignorato e del quale l'interessato poteva procurarsi aliunde la conoscenza stessa; mentre, rispetto al documento dotato di tale requisito, è sufficiente ad integrare detta fattispecie l'assenza di colpa del soccombente nella mancata produzione del documento medesimo, di cui egli non abbia nemmeno potuto chiedere l'esibizione per avere ignorato, in modo egualmente incolpevole, la sua esistenza e la persona che lo deteneva, non richiedendosi anche che la mancata produzione sia imputabile a fatto dell'avversario.
Cass. civ. n. 8342/1990
Ai fini dell'impugnazione per revocazione, ai sensi dell'art. 395 n. 3 c.p.c., è decisivo il documento, trovato dopo la sentenza, che, se acquisito agli atti, sarebbe stato in astratto idoneo a formare un diverso convincimento del giudice, e perciò a condurre ad una diversa decisione, attenendo a circostanze di fatto risolutive o comunque atte a determinare una modificazione della sentenza impugnata in senso favorevole alla parte che ne domanda revocazione. È necessario poi che si tratti di documento che la parte si sia trovata nell'impossibilità, non dovuta a sua colpa, di produrre nel giudizio di merito e, pertanto, incombe su chi agisce in revocazione l'onere di dimostrare che, fino al momento dell'assegnazione della causa a sentenza, l'ignoranza dell'esistenza dei documenti e del luogo ove essi si trovavano non sia dipesa da sua colpa ma da fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore, non ricorrente – quest'ultima – allorché emerga che la parte avrebbe potuto accertare l'esistenza del documento attraverso un'elementare indagine.
Cass. civ. n. 1838/1990
La categoria di «documenti», rilevante ai sensi e per gli effetti dell'art. 395 n. 3 c.p.c. si identifica non con quella delle scritture private, direttamente rappresentative dei fatti dedotti in causa, bensì con quella ampia e generica elaborata in sede di teoria generale del diritto, che fa riferimento a qualsiasi oggetto idoneo e destinato a fissare in qualsiasi forma, anche non grafica, la percezione di un fatto storico al fine di rappresentarlo in avvenire, e che nel capo II del titolo II e del libro VI del codice civile, intitolato alla «prova documentale», trova compiuta regolamentazione.
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L'ipotesi di revocazione di cui al n. 3 dell'art. 395 c.p.c. presuppone che il documento decisivo, non potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, preesista alla decisione impugnata – tenuto conto dell'uso dell'espressione «sono stati trovati» contenuta nel citato n. 3, alla quale fa riscontro il termine «recupero», adottato nei successivi artt. 396 e 398 c.p.c. – mentre è del tutto insufficiente che anteriore alla decisione sia il fatto rappresentato nel documento stesso.
Cass. civ. n. 3482/1989
La natura straordinaria dell'istituto della revocazione comporta che la decisività del documento di cui al n. 3 dell'art. 395 c.p.c. debba essere apprezzata in relazione al profilo della motivazione della sentenza impugnata che si assume viziato proprio in conseguenza della mancata conoscenza in giudizio del documento poi ritrovato, il quale non può quindi essere utilizzato in funzione meramente strumentale per aprire il dibattito su aspetti e temi già preclusi nel precedente giudizio indipendentemente dal nuovo elemento ovvero già trattati in sede di impugnazioni ordinarie.
Cass. civ. n. 950/1986
Ai fini della sussistenza del motivo di revocazione per successiva scoperta di un documento decisivo, ai sensi dell'art. 395, n. 3 c.p.c., la precedente ignoranza dell'esistenza o dell'ubicazione di tale documento non è sufficiente, ove essa sia conseguenza della colpa o negligenza di colui che del documento intende avvalersi. Nel valutare se sussista o meno una tale negligenza, va considerato che, mentre nell'ipotesi di ignoranza soltanto in ordine al luogo di conservazione dell'atto, vi è uno specifico onere di ricerca che la parte doveva adempiere, per contro, nel caso di ignoranza dell'esistenza stessa del documento, un tale onere non è configurabile, potendo al più valutarsi in termini di negligenza la mancata verificazione di una ipotesi di esistenza, che fosse autorizzata dalla situazione di fatto.
Cass. civ. n. 3874/1985
Al fine dell'esperibilità dell'impugnazione per revocazione, secondo la previsione dell'art. 395 n. 3 c.p.c., l'impossibilità di produrre in giudizio un documento per causa di forza maggiore non è ravvisabile quando il documento stesso si trovava nelle mani di un terzo, e la parte, a conoscenza di tale circostanza, abbia omesso di chiederne al giudice l'esibizione a norma dell'art. 210 c.p.c., atteso che, in questa situazione, la sua mancata acquisizione è ricollegabile a negligenza della parte medesima, senza che possa addursi in contrario l'eventualità del rifiuto di detto terzo di ottemperare all'ordine del giudice (nella specie, sotto il profilo del segreto professionale), dato che tale rifiuto resta rilevante, al fine indicato, solo quando si sia in concreto verificato.
Cass. civ. n. 5990/1984
Il requisito della decisività dei nuovi documenti rinvenuti dopo la sentenza, richiesto per l'impugnazione per revocazione a norma dell'art. 395 n. 3 c.p.c., implica l'idoneità di tali documenti a provocare una decisione diversa, mediante la prova diretta dei fatti di causa, e va quindi escluso quando essi siano in grado di fornire semplici elementi indiziari, utilizzabili per il convincimento su quei fatti solo in concorso con altri elementi.
Cass. civ. n. 4353/1984
Ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione per revocazione ai sensi dell'art. 395 n. 3 c.p.c. è necessario che la impossibilità di produrre in giudizio il documento — che va riportata al fatto che esso era in precedenza sconosciuto o che era ignoto il luogo in cui si trovava — sia in correlazione con uno stato psicologico della parte non addebitabile in alcun modo a colpa, che deve persistere durante tutte le varie fasi del precedente giudizio di merito, compreso il grado di appello, non essendo in quest'ultimo preclusa la facoltà di produrre nuovi documenti. (In applicazione del principio di cui sopra, la S.C. ha ritenuto corretta la pronuncia di merito che aveva dichiarato la inammissibilità della revocazione, in quanto i documenti — peraltro non decisivi — erano stati rinvenuti, dopo l'inerzia della parte protrattasi per circa tre lustri di istruttoria presso un archivio di Stato, dove erano sempre stati e dove erano stati ricercati solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza).
Cass. civ. n. 3158/1984
Il motivo di revocazione previsto dall'art. 395, n. 5, c.p.c. è configurabile quando, prima dell'emanazione (e non prima del passaggio in giudicato) della sentenza impugnata per revocazione, sia intervenuta un'altra sentenza che abbia deciso in senso contrario, con efficacia di giudicato, tra le stesse parti e sullo stesso punto oggetto della decisione adottata nella pronuncia successiva, sempreché quest'ultima non abbia pronunciato sull'eccezione di giudicato. Ai fini anzidetti, nelle controversie soggette al rito del lavoro, è necessario che il giudicato contrastante si sia formato prima della lettura in udienza del dispositivo della sentenza revocanda.
Cass. civ. n. 3768/1983
Il dolo di una delle parti in danno dell'altra in tanto può costituire motivo di revocazione della sentenza in quanto consista in un'attività deliberatamente fraudolenta, concretantesi in artifici o raggiri tali da paralizzare o sviare la difesa avversaria ed impedire al giudice l'accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale. Di conseguenza, non sono idonei a realizzare la fattispecie di cui all'art. 395 n. 1 c.p.c. la semplice allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio su fatti decisivi della controversia o la mancata produzione di documenti, che possono configurare comportamenti censurabili sotto il diverso profilo della lealtà e correttezza processuale, ma non pregiudicano il diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall'ordinamento al fine di pervenire all'accertamento della verità.
Cass. civ. n. 1957/1983
Attesa la loro eccezionalità, i casi di revocazione della sentenza, tassativamente previsti dall'art. 395 c.p.c., sono di stretta interpretazione, ai sensi dell'art. 14 delle preleggi.
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La falsità di un atto del processo, che (come, nella specie, quella concernente la relata di notifica dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado) faccia apparire come esistente un elemento che in realtà manca, può configurare dolo revocatorio della sentenza, ai sensi dell'art. 395 n. 1 c.p.c., solo se rappresenti un elemento di una macchinazione fraudolenta che abbia concretamente inciso sul principio del contraddittorio e sul diritto di difesa o, comunque, sull'accertamento della verità.
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Il concetto di «prova», ai fini dell'ipotesi di revocazione prevista dall'art. 395 n. 2 c.p.c., va inteso in senso strettamente strumentale rispetto alle domande ed alle eccezioni proposte dalle parti e cioè nel senso di mezzo di controllo della veridicità dei fatti posti a fondamento delle contrapposte pretese. Pertanto, l'ipotesi di falsità delle prove considerata dalla disposizione citata non è configurabile in ordine a falsità concernenti attività meramente processuale che (come, nella specie, la falsità della relata di notifica dell'atto introduttivo del giudizio) non incidono sulla veridicità delle prove sulle quali si è giudicato e vanno, perciò, fatte valere, nell'ambito dello stesso processo in cui sono state poste in essere, mediante le eccezioni di nullità ed i normali mezzi d'impugnazione.
Cass. civ. n. 326/1983
In tema d'impugnazione per revocazione a norma dell'art. 395 n. 1 c.p.c., la circostanza che il dolo della controparte sia tuttora persistente non interferisce sull'onere dell'istante, a pena d'inammissibilità, di indicare la prova della data della scoperta di detto dolo e di proporre l'impugnazione medesima nel termine di trenta giorni da tale data (artt. 326 e 398 c.p.c.).
Cass. civ. n. 4693/1982
A norma dell'art. 395 n. 3 c.p.c. non costituisce «fatto dell'avversario» rilevante ai fini revocatori l'aver taciuto l'esistenza di un documento a sé sfavorevole.
Cass. civ. n. 4527/1982
L'impugnazione per revocazione, avverso pronuncia resa in base a prove successivamente riconosciute o dichiarate false (art. 395 n. 2 c.p.c.), presuppone, per quanto riguarda la dichiarazione giudiziale della falsità, che il relativo accertamento sia contenuto in giudicato formatosi in data anteriore alla domanda. Pertanto, deve escludersi l'esperibilità di detta impugnazione in base alla dichiarazione della falsità di un documento, che sia stata resa con sentenza penale di proscioglimento istruttorio, atteso che tale sentenza, ancorché irrevocabile per l'intervento di una causa di estinzione del reato (art. 402 c.p.p.), non è idonea ad acquistare autorità di giudicato sostanziale, configurabile solo come conseguenza dell'irrevocabilità della pronuncia emessa in esito a giudizio, e che i principi posti dall'art. 28 c.p.c. (nel testo di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 1971), secondo i quali l'autorità del giudicato penale nel processo civile postula il carattere sostanziale del giudicato stesso ed opera nei soli confronti dei soggetti che siano stati messi in grado di partecipare al processo penale, non trovano deroghe od eccezioni nel giudizio instaurato con la suddetta impugnazione per revocazione.
Cass. civ. n. 3538/1981
Poiché l'art. 395 c.p.c. pone un rapporto di causalità fra le cause di revocazione e la sentenza impugnabile con tale mezzo, è inammissibile l'impugnazione per revocazione del provvedimento con il quale la corte d'appello — a norma dell'art. 31 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, resa esecutiva in Italia con L. 21 giugno 1971, n. 804 — ha dichiarato esecutiva la sentenza straniera, qualora si deduca, come causa di revocazione, un vizio di quest'ultima decisione e non anche del provvedimento impugnato.
Cass. civ. n. 5268/1980
Qualora una sentenza di appello, fondata su due autonome ragioni del decidere, sia impugnata con riferimento soltanto ad una di esse per revocazione, e con riferimento all'altra con ricorso per cassazione, il giudice della revocazione non può dichiarare inammissibile l'impugnazione in quanto rivolta contro una soltanto delle ragioni della decisione, ma deve provvedere con sentenza dichiarativa dell'esistenza o meno del vizio revocatorio, sentenza che resta subordinata al definitivo esito del ricorso per cassazione in ordine all'autonoma ragione della decisione della sentenza d'appello.
Cass. civ. n. 5852/1979
Poiché la revocazione è un'impugnazione prevista per i soli motivi tassativamente indicati nell'art. 395 c.p.c., la parte contro la quale detta impugnazione è proposta non può sollevare nel giudizio di revocazione una questione già dedotta nel precedente giudizio (svoltosi in unico grado o anche in appello), sulla quale vi sia stata una decisione a lei sfavorevole o un'omessa pronunzia, in quanto in tali ipotesi l'unico rimedio ad essa consentito è il ricorso per cassazione, mediante il quale è possibile denunziare, nel primo caso, un errore di diritto o il vizio di motivazione, e, nel secondo caso, il vizio di omessa pronunzia.
Cass. civ. n. 4084/1979
L'ammissibilità dell'impugnazione per revocazione, a norma dell'art. 395 n. 2 c.p.c., per il sopravvenuto accertamento della falsità dei documenti decisivi, che sia contenuto in una sentenza penale secondo la previsione degli artt. 380 e 480 c.p.p., postula che su tale accertamento si sia formato il giudicato. Pertanto, avverso la sentenza che abbia condannato l'emittente al pagamento di una cambiale, detta impugnazione non può essere esperita sulla base di una pronuncia penale resa in grado di appello, la quale abbia affermato la falsità del titolo e condannato l'imputato per il reato di falso in cambiale, qualora contro questa pronuncia sia pendente ricorso per cassazione dell'imputato, tenuto conto dell'idoneità di tale ricorso, quali ne siano i motivi, a travolgere detta pronuncia d'appello anche in punto di sussistenza del fatto e del conseguente accertamento della falsità (art. 152 c.p.c.).
Cass. civ. n. 3918/1979
Al fine della proponibilità dell'impugnazione per revocazione, il riconoscimento della falsità della prova, che l'art. 395 n. 2 c.p.c. equipara alla dichiarazione giudiziale della falsità medesima, è quello proveniente dalla parte che ha utilizzato la prova a proprio favore, e non anche, pertanto, quello proveniente dal suo autore, rimasto estraneo al processo, ancorché interessato al contenuto della prova stessa.
Cass. civ. n. 4452/1978
La sentenza che accoglie l'opposizione all'esecuzione con la quale si è contestato il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata non ha soltanto incidenza processuale, poiché non si limita a dichiarare la nullità del precetto e degli atti esecutivi, ma accerta l'inesistenza, nella realtà giuridica sostanziale, dell'azione esecutiva preannunciata o in corso di esercizio. Contrasta pertanto con tale sentenza, e deve essere revocata ai sensi dell'art. 395 n. 5, c.p.c., la sentenza passata in giudicato la quale abbia successivamente dichiarato che la mancata efficacia di titolo esecutivo della sentenza posta a base dell'esecuzione forzata dipendeva da una mera omissione, emendata con la procedura di correzione degli errori materiali. (Nella specie l'ordine di rilascio dell'immobile locato, del quale era stata rilevata la mancanza in sede di opposizione all'esecuzione, era stato inserito nella sentenza posta a fondamento dell'esecuzione con la procedura ex artt. 287 e 288 c.p.c.; rigettato l'appello contro la sentenza corretta, questa era stata poi revocata per contrasto col precedente giudicato formatosi in sede di opposizione all'esecuzione).
Cass. civ. n. 1040/1978
La falsità di un atto del processo (nella specie, procura ad litem), che abbia fatto apparire come esistente un presupposto processuale in realtà mancante, può configurare dolo revocatorio della sentenza, ai sensi dell'art. 395 n. 2 c.p.c., solo quando rappresenti un elemento di una macchinazione fraudolenta che abbia concretamente inciso sul principio del contraddittorio e sul diritto di difesa o, comunque, sull'accertamento della verità.
Cass. civ. n. 1067/1955
Quando sono state emesse in grado diverso più sentenze, l'istanza di revocazione deve essere proposta contro quella emessa nel grado superiore.
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Anche le sentenze che chiudono definitivamente il processo per motivi di rito sono impugnabili per revocazione.
Cass. civ. n. 3007/1954
Non può essere dedotta come motivo di revocazione la mancanza di legittimazione della parte nel giudizio in cui è stata pronunziata la sentenza, impugnata per revocazione.
Cass. civ. n. 1318/1954
Quando il giudice, anche senza che sia proposta l'eccezione, rileva o nega l'esistenza di un giudicato, si ha una situazione strettamente analoga a quella nella quale egli si pronunzi sulla eccezione. I vizi eventuali della sentenza, compreso quello di pronunzia, extra petita (perché l'eccezione non fu proposta) non possono in tal caso farsi valere con l'istanza di revocazione, ma con l'appello o il ricorso per cassazione.
Cass. civ. n. 3865/1953
Il nesso di causalità fra il dolo o la collusione, l'inganno del giudice e la sentenza ingiusta, che ne è la conseguenza, deve essere di natura psicologica, non giuridica, perché la sentenza in tal caso è frutto di un errore, e l'errore è vizio della volontà, il cui prius sia in false rappresentazioni o nella mancata conoscenza di un fatto o di una norma; il che interessa le facoltà di sentire e di percepire. Il predetto nesso di causalità non sussiste quando, pur avendo il giudice potuto tener conto di tutti i fatti giuridici rilevanti, la sentenza è ingiusta poiché in tal caso l'ingiustizia della sentenza è effetto soltanto di errore di diritto: questo è solo del giudice, il quale deve conoscere la legge ed accertarne la concreta volontà, e non può essere considerato che in mero rapporto occasionale (solo empiricamente può parlarsi di causalità) con manchevoli od errate difese in diritto delle parti.
Cass. civ. n. 1197/1953
Il provvedimento del giudice collegiale che dichiara cessata la materia del contendere per rinuncia agli atti del giudizio, respingendo il reclamo contro la declaratoria di estinzione pronunziata dall'istruttore, ha forma e sostanza di sentenza, e sono pertanto contro di esso consentite le impugnazioni previste per le sentenze, e, quindi, anche l'impugnazione per revocazione.
Cass. civ. n. 2152/1949
Le parti possono impugnare per revocazione una sentenza solo nei casi tassativamente elencati dall'art. 395 c.p.c. tra i quali non è compreso quello della collusione, per il quale l'impugnazione può essere proposta soltanto dal P.M. ai sensi dell'art. 397 c.p.c.
Cass. civ. n. 530/1949
Le sentenze che pronunciano sulle opposizioni agli atti esecutivi sono sottratte ad ogni impugnativa diversa del regolamento di competenza, e pertanto non possono essere impugnate nemmeno con l'istanza per revocazione.