Si tratta di un delitto posto a tutela del corretto funzionamento dell'attività giudiziaria, volto a garantire la veridicità e la completezza della prova testimoniale quale mezzo idoneo a fondare il convincimento del giudice.
Chiaramente, dimostrare che c'è stata una falsa testimonianza può essere fondamentale per le sorti di un processo civile e/o penale, soprattutto se ci ha visto soccombenti.
Per la tutela penale, si può presentare, innanzi alla Procura della Repubblica o Polizia giudiziaria, una querela-denuncia nei confronti del falso testimone, allegando tutta la documentazione o gli altri elementi idonei a provare che quanto affermato dal teste non corrisponde al vero o che egli si è dimostrato reticente rispetto a qualcosa che conosceva.
In sede civile, invece, vi sono due strumenti d’impugnazione in grado di ribaltare le sorti sfavorevoli del primo giudizio: l’appello e la revocazione straordinaria.
Il primo, secondo l’art. 342 c.p.c., deve essere proposto entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza oppure, se la stessa non viene notificata, entro 6 mesi dalla sua pubblicazione. Esso comporterà un nuovo giudizio, in cui saranno valutate nuovamente tutte le prove acquisite in primo grado.
Discorso più complesso per la revocazione prevista dall’art. 395 c.p.c.. Essa, infatti, presuppone che la falsità del testimone sia stata scoperta o dichiarata dopo la scadenza del termine per proporre appello. Tale impugnazione deve essere proposta entro 30 giorni dalla scoperta della falsità innanzi allo stesso giudice che si è pronunciato sulla base di prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza, oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza.
Avvalendosi di questi strumenti, dunque, sarà possibile tutelarsi dagli effetti negativi di una falsa testimonianza, sia in sede civile che penale.