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Articolo 519 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Dichiarazione di rinunzia

Dispositivo dell'art. 519 Codice Civile

(1)La rinunzia all'eredità [467, 468, 481, 524, 527, 552, 586, 683 c.c.] deve farsi [374 n. 3 c.c.] con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione [456 c.c.], e inserita nel registro delle successioni [52, 53, 133 disp.att.](2)(3)(4).

La rinunzia fatta gratuitamente [461, 478 c.c.] a favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota del rinunziante non ha effetto finché, a cura di alcuna delle parti, non siano osservate le forme indicate nel comma precedente [477, 478, 527, 674 c.c.](5).

Note

(1) La rinuncia è un negozio giuridico formale, deve cioè essere compiuto con la forma prevista dalla legge a pena di nullità. Se non vengono rispettate le formalità previste dalla disposizione in commento la rinuncia è invalida: il rinunciante è da considerarsi ancora un chiamato all'eredità.
E' altresì nulla, in quanto in contrasto con il divieto di patti successori (v. art. 458 del c.c.), la rinuncia fatta prima dell'apertura della successione.
(2) Il comma è stato così modificato ai sensi dell'art. 146, D. Lgs. 19 febbraio1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado).
(3) L'inserimento nel registro delle successioni deve essere effettuato dal cancelliere o dal notaio che ha ricevuto la dichiarazione di rinuncia. Nel secondo caso il notaio deve, entro dieci giorni, depositare in cancelleria una copia autentica della rinuncia.
(4) La mancata iscrizione nel registro delle successioni non determina la nullità della rinuncia ma l'atto non è opponibile ai terzi.
(5) Ove il chiamato abbia rinunciato gratuitamente all'eredità, gli altri chiamati a cui l'eredità è stata devoluta possono completare l'iter formale previsto dal comma precedente affinché la rinuncia possa considerarsi valida.
Si ricordi, tuttavia, che:
- la donazione, la vendita o la cessione, che il chiamato all'eredità faccia dei suoi diritti di successione a favore di degli altri chiamati o ad alcuni di essi o a un estraneo, importa accettazione dell'eredità (v. art. 477 del c.c.);
- la rinuncia gratuita a favore di alcuni soltanto dei chiamati importa accettazione tacita dell'eredità (v. art. 478 c.c.).

Ratio Legis

La forma solenne prescritta dalla norma consente all'erede di riflettere sul significato della stessa, l'iscrizione nel registro delle successioni permette, invece, ai terzi di essere a conoscenza delle vicende dell'eredità.

Brocardi

Beneficium abstinendi
In repudianda hereditate vel legato, certus esse debet de suo iure is qui repudiat
Is potest repudiare, qui et acquirere potest
Nec emere, nec donatum adsequi, nec damnosam quisquam hereditatem adire compellitur
Nemo se cogitur adstringere hereditariis actionibus propter legatum
Non vult heres esse, qui ad alium transferre voluit hereditatem

Spiegazione dell'art. 519 Codice Civile

Questo articolo regola un requisito esistenziale per la rinuncia: quello della forma.
È noto che quando la legge esige che un determinato negozio deve esser fatto, ad substantiam, in una speciale forma, è d’uopo ritenere che tale forma costituisca, per quel particolare negozio, un requisito, la cui mancanza determina la sua inesistenza; ciò è da dirsi per la rinuncia all’eredità, poiché la legge richiede che questa sia fatta in una forma stabilita, omessa la quale, la rinuncia è da ritenersi come non resa. Così disponendo, il legislatore si è allontanato dal diritto romano che ammetteva, al pari dell’accettazione, anche una rinuncia tacita, dedotta, cioè, dai fatti concludentisi nella repudiatio che si contrapponeva all’aditio. Per l’art. 519, che ripete la norma dell’art. #944# del codice del 1865, la rinuncia è non soltanto espressa ma anche solenne; deve, cioè, esser fatta in una forma speciale che è la manifestazione di volontà resa innanzi ad un notaio o al cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, il quale la riceve e la inserisce nel registro delle successioni.
Compiuta la formalità dell’inserzione in questo registro, null’altro occorre perché la rinuncia produca i suoi effetti; non è perciò necessaria la sua trascrizione presso l’ufficio delle ipoteche, nell’ipotesi, beninteso, che essa si riferisca ad eredità di beni immobili; e non è necessaria tale formalità poiché questa è imposta solo per le rinunce a diritti che già facciano parte del patrimonio del rinunciante e da lui siano dismessi, laddove la rinuncia ad accettare un’eredità è mera rinuncia alla facoltà di acquistare.

Il capoverso dell’articolo in esame sembra giustificare l’opinione che sia configurabile una rinuncia contrattuale; in esso, infatti, si fa l’ipotesi di una rinuncia resa gratuitamente a favore di tutti i successibili; ma, in realtà, non si tratta né di un contratto né di un negozio giuridico bilaterale; per convincersene basta riflettere su questi due punti: primo, che la legge ha previsto l’ipotesi che il chiamato rinunci gratuitamente a favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota sua, solo per precisare che in tal caso non si ha accettazione dell’eredità; secondo, che - e questo è decisivo - la rinuncia resa dal chiamato, anche se non fosse stata fatta a favore dei successibili, avrebbe egualmente prodotto l’effetto di far acquistare a costoro la quota del rinunciante; non si tratta, quindi, di un effetto contrattuale.
La rinuncia, che è fatta a favore degli aventi diritto alla quota che si rende così vacante, non è efficace fino a quando, a cura di alcuna delle parti, non sia stata comunicata al notaio o al cancelliere ed inserita nel registro delle successioni.
Ma l’inefficacia della rinuncia, dichiarata dal capov. in esame, deve intendersi nei confronti solo dei terzi, creditori e legatari, oppure anche dei coeredi? La questione non è nuova, perché essa tenne divisa la dottrina che, nell’interpretare l’art. #938# del codice 1865, ora riteneva valida solo tra i coeredi una rinuncia gratuitamente fatta a favore di costoro, ora, invece, ne dichiarava la nullità anche nei rapporti interni.
Nel nuovo sistema successorio, dato il modo con cui è concepito il capov., riteniamo che non si possa neppure porre il problema se sia o no valida nei rapporti fra i coeredi una rinuncia fatta a favore di costoro senza le forme volute dal primo comma dello stesso art. 519. Ma il fatto che il chiamato abbia rinunciato contrattualmente a favore degli altri successibili, se non può far sorgere in costoro un diritto a considerare quello come rinunciante, può ritenersi come promessa di rinunciare, che obbligherebbe perciò il chiamato a compiere il repudio nelle forme di legge, o, in mancanza, al risarcimento dei danni? Sembrerebbe di no, sia perché la legge è chiara quando fa comprendere che la rinuncia non resa nelle forme volute è inefficace anche nei rapporti interni e sia perché ritenere quella pseudo-rinuncia come una promessa a rinunciare significa far derivare dalla volontà del chiamato un effetto che la legge ha inteso comunque escludere.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

253 L'art. 519 del c.c., corrispondente all'art. 61 del progetto, che disciplina la forma della rinunzia è stato integrato con un capoverso, in cui si prevede la rinunzia contrattuale gratuita a favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota del rinunziante. L'ipotesi è già stata implicitamente contemplata dall'art. 478 del c.c. per escludere che tale rinunzia importi accettazione. Sennonché mi è sembrato opportuno stabilire in questa sede che essa non ha effetto, neppure nei rapporti interni, finché non si sia provveduto, a cura di una delle parti, alla pubblicità stabilita nel primo comma dell'art. 519.

Massime relative all'art. 519 Codice Civile

Cass. civ. n. 37927/2022

Nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 c.c., in tema di rinunzia all'eredità, la quale determina la perdita del diritto all'eredità ove ne sopraggiunga l'acquisto da parte degli altri chiamati, l'atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni), con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia è inammissibile.

Cass. civ. n. 29146/2022

La formale revoca della rinuncia sopraggiunta in pendenza del termine per l'accettazione dell'eredità fissato, ai sensi dell'art. 481 c.c., all'erede in rappresentazione, senza che questi abbia accettato, impedisce che possa aver luogo l'accrescimento a favore dei chiamati congiuntamente con il rinunziante; una volta concesso il termine, infatti, l'accrescimento può realizzarsi solo dopo lo spirare di esso e sempre che, nel frattempo, non sia intervenuta la revoca della rinunzia da parte del rinunziante o l'accettazione da parte del chiamato per rappresentazione.

Cass. civ. n. 36080/2021

Il chiamato in possesso dei beni ereditari può rinunciare all'eredità se compie l'inventario nei termini previsti. Se, invece, il chiamato che si trovi nel possesso dei beni ereditari non compie l'inventario nei termini previsti non può rinunciare all'eredità, ai sensi dell'art. 519 c.c., in maniera efficace nei confronti dei creditori del de cuius, dovendo il chiamato, allo scadere dei termini stabiliti per l'inventario, essere considerato erede puro e semplice.

Cass. civ. n. 15871/2020

Il chiamato all'eredità, che abbia ad essa validamente rinunciato, non risponde dei debiti tributari del "de cuius", neppure per il periodo intercorrente tra l'apertura della successione e la rinuncia, neanche se risulti tra i successibili "ex lege" o abbia presentato la dichiarazione di successione (che non costituisce accettazione), in quanto, avendo la rinuncia effetto retroattivo ex art. 521 c.c., egli è considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato tra i successibili. (In applicazione del principio, la S.C. ha escluso che, anche antecedentemente alla rinuncia, Equitalia avesse titolo per l'iscrizione ipotecaria nei confronti del chiamato rinunciante all'eredità dopo l'iscrizione stessa).

Cass. civ. n. 15663/2020

L'atto di accettazione dell'eredità, in applicazione del principio "semel heres semper heres", è irrevocabile e comporta in maniera definitiva l'acquisto della qualità di erede, la quale permane, non solo qualora l'accettante intenda revocare l'atto di accettazione in precedenza posto in essere, ma anche nell'ipotesi in cui questi compia un successivo atto di rinuncia all'eredità. La regola della retroattività della rinuncia deve, infatti, essere riferita alla sola ipotesi in cui nelle more tra l'apertura della successione e la data della rinuncia il chiamato non abbia ancora posto in essere atti idonei ad accettare l'eredità, e non anche al diverso caso in cui nelle more sia intervenuta l'accettazione dell'eredità.

Cass. civ. n. 17970/2018

In tema di successioni, nel caso di debiti del "de cuius" di natura tributaria, l'accettazione dell'eredità è una condizione imprescindibile affinché possa affermarsi l'obbligazione del chiamato all'eredità a risponderne, con la conseguenza che non può ritenersi obbligato chi abbia rinunciato all'eredità ai sensi dell'art. 519 c.c.

Cass. civ. n. 8053/2017

In materia tributaria, l'assunzione delle obbligazioni del "de cuius" richiede l'accettazione dell'eredità, essendo insufficiente la partecipazione alla denuncia di successione, sicché, seppure intervenuta tardivamente la rinuncia alla eredità ed omessa la rettifica della dichiarazione di successione, prevista dall'art. 28, comma 6, del d.lgs. n. 346 del 1990, l'assenza della pregressa accettazione esclude la legittimazione passiva per i debiti ereditari. Tuttavia la rinuncia tardiva, senza rettificazione della dichiarazione di successione, legittimando l'Amministrazione finanziaria a notificare l'atto impositivo, impone al contribuente la costituzione in giudizio e l'onere di provare la sua estraneità ai debiti ereditari tributari, gravando sulla parte pubblica la prova della decadenza dal diritto di esercizio di una valida rinuncia. (Cassa e decide nel merito, COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. TARANTO, 30/09/2010).

Cass. civ. n. 4162/2015

La rinunzia all'eredità è un negozio unilaterale non recettizio, sicché non può configurarsene la simulazione, essendo impossibile l'accordo tra dichiarante e destinatario, richiesto dall'art. 1414, terzo comma, cod. civ.

Cass. civ. n. 12685/2014

Per la valida rinunzia a far valere il testamento, occorre l'accordo di tutti i coeredi, da redigere per atto scritto, a pena di nullità, se nella successione sono compresi beni immobili, poiché detto accordo, importando una modificazione quantitativa delle quote, tanto dal lato attivo, che da quello passivo, si risolve in un atto di disposizione delle stesse.

Cass. civ. n. 3346/2014

L'inserzione dell'atto di rinuncia all'eredità nel registro delle successioni costituisce una forma di pubblicità funzionale a rendere la rinuncia opponibile ai terzi e non ai fini della sua validità. Ne consegue che il creditore ereditario, che agisca in giudizio contro l'erede per il pagamento dei debiti del "de cuius", a fronte della produzione di un atto pubblico di rinunzia all'eredità, ha l'onere di provare, anche solo mediante l'acquisizione di una certificazione della cancelleria del tribunale competente, il mancato inserimento dell'atto "de quo" nel registro delle successioni.

Cass. civ. n. 4274/2013

Ai sensi dell'art. 519 c.c., la rinunzia all'eredità deve essere fatta in forma solenne, con dichiarazione resa davanti al notaio o al cancelliere, che non può essere sostituita dalla scrittura privata autenticata ed è a pena di nullità, in quanto l'indicazione dell'art. 519 c.c. rientra tra le previsioni legali di forma "ad substantiam", di cui all'art. 1350, n. 13, c.c.

Cass. civ. n. 9513/2002

La rinuncia del chiamato all'eredità alle disposizioni testamentarie non gli impedisce di chiedere l'esecuzione della successione legittima, che — venuta meno per qualsiasi ragione la successione testamentaria — diviene operante. Nella specie, convenuta la divisione dei beni devoluti per successione legittima dai chiamati all'eredità, che contestualmente dichiaravano di rinunciare ad eventuali testamenti che fossero stati scoperti, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di appello che dichiaravano aperta la successione legittima, avendo ritenuto valida la rinuncia compiuta, nonostante la successiva scoperta del testamento.

Cass. civ. n. 10775/1996

Il requisito di forma previsto dall'art. 519 c.c. per la rinuncia alla eredità non è applicabile per la rinuncia alla azione di riduzione del legittimario pretermesso, che acquista la qualità di legittimato alla eredità solo dalla sentenza che accoglie la domanda di riduzione.

Cass. civ. n. 7076/1995

L'onere imposto dall'art. 485 c.c. al chiamato all'eredità che si trovi nel possesso di beni ereditari di fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia di essa condiziona non solo la facoltà del chiamato di accettare l'eredità con beneficio di inventario ex art. 484 dello stesso codice, ma anche quella di rinunciare all'eredità, ai sensi del successivo art. 519, in maniera efficace nei confronti dei creditori del de cuius, dovendo il chiamato, allo scadere del termine stabilito per l'inventario, essere considerato erede puro e semplice.

Cass. civ. n. 3500/1975

La rinunzia all'eredità richiede a pena di nullità l'osservanza delle forme previste dall'art. 519 c.c. solo rispetto ai terzi estranei all'eredità, ma non tra i coeredi, quando questi abbiano posto in essere fra loro speciali rapporti, dai quali, in base alle regole generali del diritto, possa desumersi con certezza la rinuncia.

Cass. civ. n. 2119/1974

Il negozio unilaterale di rinunzia all'eredità, posto in essere verso un corrispettivo a favore di un coerede, determinando l'attribuzione a favore di quest'ultimo della quota che sarebbe spettata al rinunziante (effetto ulteriore) e non la semplice perdita del diritto all'eredità (effetto tipico del negozio adottato), deve ritenersi negozio indiretto, che, non tendendo ad uno scopo vietato dalla legge, è idoneo a produrre gli effetti voluti dal rinunziante.

Cass. civ. n. 970/1967

L'omissione della trascrizione della rinuncia all'eredità incide solo sull'efficacia dell'atto nei confronti dei terzi, ma non può influire sulla sua validità.

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Consulenze legali
relative all'articolo 519 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

E. C. chiede
mercoledì 06/11/2024
è deceduto mio fratello senza figli con una montagna di debiti , la moglie che si è presa tutto quello che poteva, prima che morisse, è corsa dal notaio per fare la rinuncia, ora la mia domanda è : anche io e le sorelle dobbiamo rinunciare per non incorrere a possibili rivalse dei creditori? e se rinunciamo anche i nostri figli e i nipoti minorenni debbono rinunciare ? chi deve fare l'inventario e entro quanto tempo ?”
Consulenza legale i 12/11/2024
Principio cardine in ambito di successione mortis causa è quello espresso all’art. 459 del c.c., ove è chiaramente detto che l’eredità si acquista con l’accettazione, la quale avrà effetto sin dal momento dell’apertura della successione (coincidente con la morte del de cuius).
Lo scopo che con tale norma il legislatore si è prefisso di raggiungere è da un lato quello di evitare che qualcuno possa divenire erede senza volerlo e, dall’altro, assicurarsi che, per effetto della retroattività dell’accettazione, non vi sia soluzione di continuità nella titolarità del patrimonio del de cuius.

Ora, il problema principale che si rende necessario risolvere nel periodo di tempo intercorrente tra l’apertura della successione e l’eventuale accettazione o rinunzia da parte dei c.d. chiamati (ex lege o per testamento), è quello di come interagire con il patrimonio del defunto, evitando essenzialmente di incorrere in una accettazione tacita.
Norma di riferimento a tale riguardo è l’art. 460 del c.c., il quale delinea, anche se in modo molto generico, quelli che sono i poteri spettanti al chiamato all’eredità.
Un dato, comunque, è certo: se il chiamato dovesse trovarsi in possesso di beni ereditari, è essenziale, ai fini di una valida successiva rinunzia, che lo stesso rediga inventario dei beni lasciati dal de cuius entro il termine di tre mesi dall’apertura della successione.

Rispettato tale eventuale adempimento, non potranno mai comportare accettazione tacita dell’eredità le seguenti azioni:
  1. azioni possessorie: il chiamato all’eredità può, in tale veste, esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, indipendentemente dalla loro materiale apprensione;
  2. compimento di atti conservativi, cautelari, di vigilanza e di amministrazione temporanea dei beni ereditari. Al chiamato è perfino consentito, previa autorizzazione del Tribunale del luogo di apertura della successione vendere quei beni che non possono essere conservati o la cui conservazione comporta un grave dispendio in danno del patrimonio ereditario.

Ciò significa che il chiamato potrà rimanere inerte, ovvero non manifestare alcuna volontà, né di rinunzia e neppure di accettazione, fino a quando non si sarà prescritto il relativo diritto, ovvero trascorsi dieci anni dall’apertura della successione, come disposto dall’art. 480 del c.c..
In questo arco temporale, peraltro, nessun creditore potrà pretendere il soddisfacimento del suo credito, considerato che, in assenza di accettazione (espressa o tacita) il patrimonio ereditario non può confondersi con quello del defunto.
E’ di assoluta importanza, si ribadisce, che non venga posto in essere alcun atto che possa un domani essere qualificato come accettazione tacita di eredità (così, a titolo meramente esemplificativo, non si dovranno sottoscrivere atti e documenti che potrebbero essere firmati solo nella qualità di erede, né ritirare denaro da eventuali conti correnti intestati al defunto o chiudere gli stessi, subentrare in eventuali giudizi in corso, accettare la posta del defunto o ricevere eventuali notifiche, ecc.).

Nel caso in esame, considerato che il coniuge superstite ha già manifestato la volontà di rinunziare all’eredità (sempre che tale rinunzia sia stata validamente espressa e che la stessa, nel frattempo, non sia incorsa in un atto di accettazione tacita di eredità), a trovarsi nella posizione di chiamati ex lege all’eredità sono, in mancanza di discendenti e ascendenti, i fratelli e le sorelle, nonché in loro subordine (per effetto del c.d. diritto di rappresentazione di cui agli artt. 467 e ss. c.c.) i loro discendenti diretti.
Da ciò ne consegue che, nell’ipotesi in cui i fratelli e le sorelle dovessero manifestare la volontà di rinunciare, anche i loro discendenti, assunta la posizione di chiamati ulteriori, dovranno effettuare la medesima dichiarazione di rinunzia.
Qualora, poi, tra i chiamati ulteriori dovessero esservi soggetti minori (nel quesito si dice che vi sono nipoti minori), per poter rinunciare occorre munirsi della preventiva autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 del c.c., autorizzazione che il giudice non avrà alcuna difficoltà a concedere allorchè si dimostri che il patrimonio ereditario da acquisire risulta gravato da molti debiti.

Per quanto concerne la forma, le modalità e le spese di tale rinunzia, norma regolatrice è l’art. 519 c.c., ove è stabilito che la stessa “deve” farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale dell’ultimo domicilio del defunto, rispettando il termine di tre mesi dall’apertura della successione se si è nel possesso dei beni ereditari ovvero entro dieci anni se non si è nel possesso dei beni.
Se fatta dinanzi al Cancelliere del competente Tribunale è necessario richiedere un preventivo appuntamento e presentare una serie di documenti (questi ultimi possono essere presentati anche da uno solo degli interessati, mentre ovviamente per la formalizzazione e la firma dell’atto è necessaria la presenza di tutti coloro che devono rinunciar).
Si tenga infine presente che sarebbe possibile formalizzare in unico atto la rinuncia sia da parte di coloro che si trovano nella posizione di primi chiamati che dei loro discendenti in rappresentazione.



R. B. chiede
venerdì 20/09/2024
“Una zia che non vedo da 30 anni è deceduta. Siamo 4 eredi. un cugino al 50% e tre sorelle al 50%. La zia è deceduta in casa e la pratica è seguita da un curatore del tribunale di Genova che ad oggi, da aprile, non ci ha comunicato nulla di ufficiale a parte di un attivo di circa 15.000,00 più alcune passività. La casa della zia era stata venduta in nuda proprietà e il proprietario non avendo ricevuto le chiavi dal tribunale chiede euro 500,00/mese per mancati affitti (non so a chi li deve chiedere visto che è il tribunale che non da le chiavi)
domanda:
-mi conviene rinunciare alla eredità ? ho 3 figli maggiorenni e nessun nipote. Mi hanno detto che per chiudere senza notaio devo pagare euro 200,00 + bolli. Anche i miei 3 figli devono pagare la stessa cifra o si può fare diversamente?
-mi conviene invece accettare l'eredità con beneficio di inventario ? con questa formula, rischio di avere costi che devo pagare di tasca mia o risponderei su tutto con la quota ereditata ? ci sono costi al di fuori ?”
Consulenza legale i 28/09/2024
Chiamati all’eredità al momento dell’apertura della successione sono i discendenti diretti dei fratelli della zia deceduta, i quali succedono in applicazione dell’istituto giuridico della rappresentazione, disciplinato agli artt. 467 e ss. c.c.
In particolare, dispone il terzo comma dell’art. 469 del c.c. che “Quando vi è rappresentazione, la divisione si fa per stirpi”, il che comporta, nel caso in esame, la suddivisione del patrimonio ereditario della de cuius secondo le seguenti quote:
Fratello A premorto: 50%
Fratello B premorto: 50%

Il fratello A lascia un solo figlio, a cui andrà una quota di eredità pari a 3/6 indivisi (ossia il 50%), mentre il fratello B lascia tre figli, ai quali andrà una quota di eredità pari ad 1/6 indiviso ciascuno (complessivamente 3/6, pari all’altro 50% dell’eredità).

Ora, dando per ammesso che il patrimonio ereditario sia costituito soltanto da un attivo pari a 15.000 euro, di questi euro 7500,00 spettano al figlio unico del fratello A, mentre i restanti 7500,00 vanno divisi in parti eguali tra i tre figli del fratello B (per un importo, dunque, di euro 2500,00 ciascuno).
Si precisa nel quesito, però, che vi sono anche alcune passività, a cui se ne aggiungeranno altre in considerazione del fatto che il nudo proprietario dell’appartamento abitato in vita dalla zia deceduta (usufruttuaria) reclama il possesso dell’immobile che finora non gli è stato concesso, avendo già richiesto l’indennità di occupazione per il periodo di tempo trascorso.

Sembra più che palese che, rientrando chi pone il quesito tra coloro che hanno diritto a ricevere una somma pari ad euro 2500,00, a cui detrarre le somme dovute per debiti e pesi ereditari, sia davvero controproducente pensare di accettare tale eredità, soprattutto se, in considerazione della presenza di debiti ereditari (di cui non si conosce l’esatta consistenza), ci si deve avvalere dell’accettazione con beneficio di inventario, la quale già di per sé comporta la necessità di sostenere ulteriori spese, quali quelle per la stessa redazione dell’inventario.
A ciò si aggiunga l’ulteriore considerazione che, anche in caso di accettazione con beneficio di inventario, si rischia sempre di compiere per così dire dei “passi falsi”, ovvero atti dai quali ne potrebbe conseguire la decadenza dal beneficio di inventario (e ciò, soprattutto, a causa della complicata situazione che quest’eredità presenta).

Pertanto, a fronte della certezza della spesa da sostenere per rinunziare all’eredità e dell’incertezza di ciò che concretamente si riuscirà a ricavare dall’accettazione della medesima, il consiglio che ci si sente di dare è quello di avvalersi della facoltà di rinunzia.
Per quanto concerne la forma, le modalità e le spese di tale rinunzia, norma regolatrice è l’art. 519 c.c., ove è stabilito che la stessa “deve” farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale dell’ultimo domicilio del defunto, rispettando il termine di tre mesi dall’apertura della successione se si è nel possesso dei beni ereditari ovvero entro dieci anni se non si è nel possesso dei beni.

In genere è necessario richiedere un appuntamento alla cancelleria del Tribunale competente, al quale ci si dovrà presentare muniti dei seguenti documenti:
  • certificato di morte in carta semplice
  • certificato ultima residenza del defunto
  • copia del codice fiscale del rinunciante e del defunto
  • copia del documento d’identità del rinunciante e del defunto
  • autorizzazione del Giudice Tutelare (per minorenni, amministrati, interdetti e inabilitati).

Oltre ai suddetti documenti, occorre:
  • presentare una marca da bollo da € 16,00 da applicare all’originale dell’atto;
  • effettuare un versamento di € 200,00 da eseguire in banca o in posta a favore dell’ufficio delle entrate (il cancelliere rilascerà dopo la firma dell’atto un fac-simile per il versamento, munito del numero di iscrizione a ruolo)
La ricevuta del versamento dovrà essere consegnata in cancelleria subito dopo il pagamento, che dovrà inderogabilmente avvenire il giorno dell’atto.

Dopo circa sessanta giorni dalla firma dell’atto si potrà ritirare copia conforme all’originale della rinunzia, presentando sempre in cancelleria:
  • una marca da bollo da € 16,00
  • una marca da bollo da € 11,80.

La predetta documentazione può essere presentata anche da uno solo degli interessati, mentre ovviamente per la formalizzazione e la firma dell’atto è necessaria la presenza di tutti coloro che devono rinunciare.
Si tenga infine presente che sarebbe possibile formalizzare in unico atto la rinuncia sia di colei che si trova nella posizione di prima chiamata che dei suoi discendenti in rappresentazione.



G. P. chiede
venerdì 02/02/2024
“Avevo già richiesto una consulenza per risolvere una mia problematica, ve la copio e incollo per fare il punto della situazione.

"La situazione è questa, mio padre è in fin di vita dopo un grave incidente, ed essendo figlio unico, unico e solo parente suo, letteralmente, mio padre ha solo me, nessun altro parente, mia mamma è venuta a mancare quest'anno e lui non ha ne fratelli ne sorelle, quindi ripeto, non ha nessuno a parte me.
Lui è nullatenente, non ha case, macchine, niente di niente, e ha solo centinaia di migliaia di euro di debiti verso l'agenzia delle entrate. E ovviamente essendo il suo unico parente, se dovessi prendere in eredità questi debiti io mi rovinerei la vita immediatamente.
Quindi ho alcune domande per voi, a cui vi chiedo per favore di rispondere in maniera più precisa possibile, almeno potrò stare tranquillo.
PREMETTO CHE SONO MAGGIORENNE."

Allora, a tutte le mie domande in seguito a questa illustrazione della mia situazione sono state date risposte (Fortunatamente positive) Ma ancora una domanda mi pervade la mente, siccome l'unica novità è stata scoprire che mio padre aveva diverse milioni di euro di debito (agenzia delle entrate) si parla di circa quattro milioni stando a quando detto dall'agenzia dele entrate, volevo concludere le mie domande finalmente con questa.
Si può rinunciare a un debito a prescindere dalla grandezza della stesso? Mi spiego, posso rinunciare a un debito davvero tanto grande? Come ad esempio questi quattro milioni di euro?
O c'è una specie di "soglia limite" sopra la quale il debito è troppo grande per rinunciare?


Attendo risposta da parte vostra e chiedo cortesemente di essere il più chiari possibile.
Vi ringrazio in anticipo per la risposta.
Cordiali Saluti.”
Consulenza legale i 08/02/2024
Nella consulenza già fornita in risposta al quesito che qui viene riproposto è stato detto che in situazioni di questo tipo, ovvero di eredità interamente passiva, la scelta più oculata per i chiamati all’eredità è quella di effettuare una dichiarazione di rinunzia ex art. 519 c.c., prestando nel frattempo particolare attenzione a non porre in essere alcun atto che possa configurarsi quale accettazione tacita di eredità.
Al pari dell’accettazione, la rinunzia si qualifica come un actus legitimus, in quanto non tollera l’apposizione di termini o condizioni (nel qual caso sarebbe nulla ex art. 520 del c.c.), né può riferirsi ad una parte soltanto dell’eredità (così sempre l’art. 520 c.c.)
Con ciò vuol dirsi che la rinunzia all’eredità non deve essere vista come rinuncia a quelli che sono i singoli elementi, attivi o passivi, che compongono il patrimonio ereditario, ma come atto per effetto del quale, in considerazione peraltro della sua natura retroattiva risultante dall’art. 521 del c.c., il chiamato rimane completamente estraneo ad ogni vicenda che possa interessare il patrimonio del defunto considerato nel suo insieme.

Ciò che il chiamato acquista al momento dell’apertura della successione, infatti, è soltanto il potere di accettare l’’eredità, potere che può decidere di esercitare (acquistando la qualità di erede e così chiudendo il procedimento successorio), come può decidere di non esercitare, rinunziando appunto alla chiamata ereditaria (e non ai debiti che nell’eredità si trovano).
Illustrata la rinunzia in questi termini, si ritiene che ben possa comprendersi come in effetti non si ponga neppure il problema della sussistenza di una soglia massima di debiti rinunziabili, soglia oltretutto a cui non fa riferimento alcuna norma di legge.

Ad ulteriore conforto di quanto qui sostenuto, può addursi il rilievo che per giurisprudenza costante la responsabilità per debiti ereditari in capo all’erede non può dirsi sussistente neppure in caso di accettazione con beneficio di inventario.
Va segnalata a questo proposito l’Ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. VI civile, n. 23961/2019, così massimata:
“Chi accetta l'eredità con beneficio d'inventario è a tutti gli effetti erede, ai sensi dell'art. 490 comma 2 codice civile e l'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario non determina di per sé sola il venir meno della responsabilità patrimoniale degli eredi per i debiti anche tributari, ma fa solo sorgere il diritto di questi ultimi a non risponderne "ultra vires hereditatis", cioè al di là del valore dei beni lasciati dal de cuius”.

In detta ordinanza la S.C., occupandosi proprio di un debito di una certa entità vantato dall’Agenzia delle entrate nei confronti del defunto, rileva che “gli eredi, nei cui confronti l'ufficio faccia valere le proprie pretese creditorie tributarie, hanno interesse a far valere la limitazione della propria esposizione debitoria mediante un accertamento giudiziale; ed a tale interesse degli eredi si contrappone quello dell'ufficio di fare accertare la sussistenza del debito tributario del "de cuius", debito che diventerà esigibile nei confronti degli eredi solo quando sarà chiusa la procedura di liquidazione dei debiti ereditari e sempre che sussista un residuo attivo in favore degli eredi (cfr. Cass. n. 23019 del 2016; Cass. n. 14847 del 2015)”.

Se ciò vale per il caso di accettazione con beneficio di inventario, a maggior ragione deve valere nel caso di rinunzia all’eredità, potendo soltanto residuare in capo al rinunziante, allorchè dovesse essergli richiesto di adempiere al pagamento dei debiti ereditari, l’onere di fornire la prova della già manifestata dichiarazione di rinunzia.


Guglielmo . P. chiede
giovedì 20/07/2023
“Salve, vorrei finalmente esporre i miei dubbi a voi esperti, così da poter vivere serenamente senza paure e ansie varie.
La situazione è questa, mio padre è in fin di vita dopo un grave incidente, ed essendo figlio unico, unico e solo parente suo, letteralmente, mio padre ha solo me, nessun altro parente, mia mamma è venuta a mancare quest'anno e lui non ha ne fratelli ne sorelle, quindi ripeto, non ha nessuno a parte me.
Lui è nullatenente, non ha case, macchine, niente di niente, e ha solo centinaia di migliaia di euro di debiti verso l'agenzia delle entrate. E ovviamente essendo il suo unico parente, se dovessi prendere in eredità questi debiti io mi rovinerei la vita immediatamente.
Quindi ho alcune domande per voi, a cui vi chiedo per favore di rispondere in maniera più precisa possibile, almeno potrò stare tranquillo.
PREMETTO CHE SONO MAGGIORENNE.
1.) Essendo l'unico chiamato all'eredità, se rinuncio, è vero che i creditori di mio padre non potranno aggredire il mio patrimonio personale, e di conseguenza non verrò perseguitato a vita?
2.) L'eredità composta da solo debiti diventa comunque vacante?
3.) Se lo diventa, andrà allo stato? Se si, crea un danno ad esso o no?
4.) Oppure i creditori (agenzia delle entrate) rimarranno per sempre insoddisfatti e basta?
(Quindi evitando di mettere in mezzo me e lo stato)
5.) Rimangono insoddisfatti e basta, o si "elimina il debito", poiché non esisterà nessuno a cui chiedere il pagamento?
Datemi voi risposta a queste mie domande, ed eventualmente è fondamentale che se c'è qualcos'altro che non so o che dovrei sapere ovviamente informatemi su tutto il necessario.”
Consulenza legale i 22/07/2023
E’ certamente possibile rinunciare ad una eredità a cui si è chiamati per legge o per testamento qualora si abbia certezza che nel patrimonio del defunto si ritroveranno soltanto debiti ovvero che l’ammontare dei debiti supera di gran lunga il valore dell’attivo.
Della rinunzia all’eredità si occupa uno specifico capo del libro II del codice civile e più precisamente gli articoli dal 519 al 527 c.c.
In particolare, tra tali norme assumono rilievo, per quanto qui interessa, gli artt. 522 e 523 c.c., i quali disciplinano rispettivamente come si devolve l’eredità in caso di successione legittima ed in caso di successione testamentaria.
Con specifico riguardo al caso della successione legittima, l’ultima parte dell’art. 522 c.c. stabilisce che “se il rinunziante è solo, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse”.

Ebbene, per individuare colui o coloro che si troveranno nella posizione di c.d. chiamati ulteriori in caso di rinunzia del primo o dei primi chiamati, occorre fare riferimento alle norme dettate in tema di successione legittima, ed in particolare all’art. 565 del c.c., il quale individua con esattezza la categoria del successibili ex lege, secondo l’ordine ed il grado stabilite dalle disposizioni che seguono tale norma.
Più precisamente, coloro che, in assenza di testamento, assumono la posizione di chiamati ex lege sono: il coniuge, i discendenti, gli ascendenti, i collaterali, gli altri parenti ed infine lo Stato.

L’acquisizione dell’eredità da parte dello Stato, ultimo dei chiamati per legge, avviene quando ricorrono le seguenti condizioni:
- tutti i successibili non accettano l’eredità nei termini o vi rinunciano espressamente;
- il de cuius non ha disposto per testamento e non vi sia in vita alcun successibile entro il 6° grado.
Al verificarsi di queste condizioni si dice che l’eredità è vacante e la successione dello Stato costituisce l’estrema ratio per supplire alla mancanza di ogni successibile; in altri termini, il legislatore ha previsto la devoluzione del patrimonio ereditario allo Stato italiano per evitare che un’eredità possa rimanere priva di titolare, con evidenti conseguenze per ciò che concerne la circolazione dei beni ereditari.

Lo Stato viene ad assumere la posizione di erede a titolo universale, ovvero subentra in tutte le posizioni di cui era titolare il de cuius e non soltanto limitatamente a determinati beni ereditari.
Sotto un profilo più pratico, secondo quanto espressamente disposto dall’art. 586 c.c., per lo Stato l’acquisto dell’eredità vacante avviene di diritto, cioè senza che sia necessario alcun atto di accettazione e senza possibilità di rinunziarvi; inoltre, ai fini dell’acquisizione del patrimonio ereditario non è richiesto il compimento dell’inventario.
Alla necessità dell'acquisto da parte dello Stato dell'eredità vacante corrisponde l'automaticità del beneficio della limitazione di responsabilità, sempre sancita dal sopra citato art. 586 c.c.
La limitazione riguarda tuttavia soltanto i debiti ereditari, mentre ad esempio lo Stato non si potrebbe sottrarre alle spese di manutenzione rese necessarie dal cattivo stato di conservazione dei beni di cui è diventato proprietario per successione (in tal senso Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 1472 del 20.03.2000).

Dopo aver cercato di illustrare per grandi linee ciò che accade in caso di rinunzia ad una eredità passiva e di successione da parte dello Stato per mancanza di successibili ex lege, si cercherà adesso di dare risposte alle singole domande che vengono poste.

1.Essendo l'unico chiamato all'eredità, se rinuncio, è vero che i creditori di mio padre non potranno aggredire il mio patrimonio personale, e di conseguenza non verrò perseguitato a vita?
L’acquisizione del patrimonio ereditario può avvenire mediante:
- aditio hereditatis, ossia la accettazione dell’eredità
- pro herede gestio, ovvero il comportamento concludente tenuto dagli eredi.
In assenza di uno di questi due requisiti e, soprattutto, in caso di espressa manifestazione di rinunzia all’eredità, il chiamato all’eredità non assume la qualifica di erede (con conseguente confusione del suo patrimonio con quello del defunto) e, pertanto, i debiti dello stesso defunto non gli possono in alcun modo essere imputati, trattandosi di debiti estranei alla sua sfera patrimoniale (per mancato acquisto dell’eredità) e di cui, pertanto, in virtù di quanto disposto dal primo comma dell’art. 2740 del c.c., non si può essere tenuti a rispondere.
In tal senso si è espressa di recente la Corte di Cassazione, Sez. V civile, con sentenza n. 37064 del 19.12.2022, così massimata:
“Atteso che la responsabilità per il debito tributario del de cuius presuppone l'assunzione della qualità di erede e, inoltre, che la rinuncia all'eredità produce effetto retroattivo ex art. 521 del c.c., il chiamato rinunciante non risponde di tale debito, ancorché quest'ultimo sia portato da un avviso di accertamento notificato dopo l'apertura della successione e divenuto definitivo per mancata impugnazione. In tale evenienza, legittimamente il rinunciante può far valere, in sede di opposizione alla cartella di pagamento, la propria mancata assunzione di responsabilità per il debito suddetto”.

2.L'eredità composta da soli debiti diventa comunque vacante?
Anche una eredità composta da soli debiti diventa vacante, con conseguente subentrare ex lege dello Stato in assenza di altri successibili, e ciò perché, come si è prima accennato, occorre assicurare la continuità dei rapporti giuridici patrimoniali che facevano capo al de cuius.

3.Se lo diventa, andrà allo stato? Se si, crea un danno ad esso o no?
La successione dello Stato in una eredità soltanto passiva non può determinare alcun danno per lo stesso, tenuto conto che, secondo quanto disposto dall’art. 586 c.c., in assenza di un attivo ereditario, lo Stato non rimarrà comunque obbligato per eventuali debiti o legati.

4.Oppure i creditori (agenzia delle entrate) rimarranno per sempre insoddisfatti e basta? Quindi evitando di mettere in mezzo me e lo stato)
Rimangono insoddisfatti e basta, o si "elimina il debito", poiché non esisterà nessuno a cui chiedere il pagamento?

Trattandosi di debiti fiscali, si ritiene sia più corretto dire che gli stessi possono considerarsi estinti per confusione ex art. 1253 del c.c., in quanto lo Stato viene contemporaneamente ad assumere la posizione di debitore e di creditore.
Per i debiti diversi da quelli erariali, invece, è più corretto parlare di posizioni debitorie rimaste insoddisfatte.

H. P. chiede
martedì 23/05/2023
“Buongiorno,
Mio marito è deceduto il 21 aprile scorso. Ha un debito non per colpa sua (il suo commercialista rubava gli assegni che riceveva da mio marito per pagare le sue tasse da lavoratore autonomo) con l'Agenzia delle entrate di 60.000 euro (secondo la rottamazione con piano di rateizzazione concordato negli ultimi mesi). Questo è il debito con l'Agenzia delle Entrate di cui sono a conoscenza. Sono arrivati degli avvisi di giacenza negli ultimi giorni e dal codice della raccomandata vengono dall'Agenzia delle Entrate, quindi ci potrebbe essere dell'altro di cui non sono a conoscenza.
Aveva la residenza al mio indirizzo (la casa è mia comprata nel 2002 e ci siamo sposati nel 2011).
I suoi averi attuali sono circa 9.000 euro in banca, qualche azione e una macchina (una Audi A6 del 2012 che ha percorso oltre 350.000 chilometri).
Vorrei rinunciare all'eredità. Due avvocati e due notai mi hanno detto che posso fare la rinuncia senza bisogno di fare l'inventario. E così? Vedo che l'art. 485 sembrerebbe dire di no e che ci vuole l’inventario. Cosa succederà se faccio la rinuncia senza aver fatto l’inventario?
Se devo fare l’inventario, devo farlo prima di fare la rinuncia o è indifferente e l’importante è aver fatto entrambe le cose entro i 3 mesi.
Parte dell’eredità è un garage/fondo commerciale a Bracciano, città natale della mamma di mio marito di cui lui possiede una quota del 25% che io erediterei. Non ha beni immobili in Toscana. Per fare l’inventario, dovrei incaricare due avvocati? Uno per verificare i beni del defunto a casa mia (vestiti, libri, telefono, computer portatile e poco altro e una macchina ferma per strada da quando è morto) e uno per fare un sopralluogo al garage a Bracciano? O incaricando un notaio in Toscana spetterebbe a questo notaio trovare un collega a Bracciano per verificare i contenuti del garage di Bracciano?
La presenza della macchina è un problema? Se rinuncio devo lasciarla per strada a marcire in quanto non più una mia responsibilità?
Se faccio la rinuncia senza inventario cosa rischio? E quanto è grande questo rischio?
Grazie di un parere in proposito.”
Consulenza legale i 29/05/2023
La questione che si chiede di esaminare ed in merito alla quale già è stato acquisito il parere di altri professionisti (avvocati e notai), ha formato oggetto di esame da parte della Corte di Cassazione, alle cui conclusioni si ritiene opportuno rimettersi.
In particolare su tale specifico tema va segnalata l’ordinanza n. 36080, pubblicata il 23 novembre 2021, con la quale la Corte di Cassazione ha ribadito che il chiamato all’eredità, in possesso dei beni del de cuius, non può rinunciare all’eredità stessa, ai sensi dell’art. 519 c.c., se non compie l’inventario entro tre mesi dal giorno di apertura della successione o dal giorno del ricevimento della notizia del decesso del de cuius.

Nel caso preso in esame dalla S.C. i chiamati avevano rinunciato all’eredità solo in seguito ad un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia Entrate per il pagamento di alcuni debiti tributari del de cuius.
Il ricorso proposto dagli eredi era stato accolto in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale di competenza sul rilevo che la rinuncia operata fosse efficace ed avesse effetto retroattivo ai sensi dell’art. 521 del c.c..
In secondo grado la Commissione Tributaria regionale, nel rigettare l’appello dell’Amministrazione Finanziaria, confermava quanto stabilito in primo grado, in considerazione del fatto che non era stato provato che gli eredi rinunciatari si trovassero effettivamente nel possesso dei beni e che dunque fossero tenuti a redigere l’inventario.

La Corte di Cassazione, ribadendo peraltro quanto dalla stessa sostenuto con precedente sentenza n. 4845 del 2003, ha sottolineato che, se il chiamato che si trovi nel possesso dei beni ereditari non compie l’inventario nei termini previsti, non può rinunciare all’eredità in maniera efficace nei confronti dei creditori diventando erede puro e semplice.
Inoltre, per quanto concerne il possesso dei beni, ha rilevato che lo stesso poteva agevolmente desumersi dalla circostanza che i chiamati all’eredità risultavano avere il domicilio nello stesso immobile in cui aveva il domicilio il de cuius.
Si riporta il testo dell’ordinanza in cui viene precisato quanto appena detto:
“…Orbene, l'affermazione della CTR secondo cui «non è dato sapere se gli eredi rinunciatari si trovano nel possesso dei beni ereditari» - con la conseguenza che gli eredi non erano tenuti a redigere l'inventario dei beni caduti in successione e dunque non erano decaduti dal diritto di rinunciare all'eredità per la mancata formazione dell'inventario nei termini previsti – si palesa del tutto apodittica, priva di qualsivoglia riferimento alla fattispecie concreta, a fronte delle specifiche deduzioni formulate dall'Agenzia delle entrate in ordine, in particolare, alla circostanza relativa all'avere i chiamati all'eredità il domicilio nello stesso immobile in cui aveva il domicilio il de cuius, integrando così una motivazione meramente apparente…”.

In considerazione di quanto sopra dedotto, pertanto, si ritiene più che opportuno rinunziare all’eredità, accompagnando tale rinunzia all’inventario dei beni lasciati dal de cuius, e ciò onde evitare che eventuali creditori dello stesso possano giovarsi dell’orientamento fatto proprio dalla S.C. e così far valere l’inefficacia della rinuncia ed il conseguimento della posizione di erede puro e semplice di colei che ha rinunziato.

Per quanto concerne le modalità di redazione di tale inventario, da un punto di vista economico senza dubbio la scelta più conveniente sarà quella di chiederne il compimento ad un cancelliere addetto al Tribunale del luogo di apertura della successione.
A tal fine sarà necessario redigere formale istanza ex art. 769 del c.p.c., sulla quale il Tribunale provvede con decreto.
Considerato, poi, che alcuni beni da inventariare si trovano fuori dal territorio di competenza del Tribunale che provvederà alla nomina, si rende necessario chiedere contestualmente l’autorizzazione, per il cancelliere nominato, a recarsi fuori della competenza territoriale del Tribunale a cui appartiene, per poter inventariare i beni di proprietà del defunto posti fuori comune.
Infine, per i beni che in sede di inventario verranno considerati privi di valore di eventuale futura realizzazione (quale l’autovettura), si potrà chiedere allo stesso giudice di essere autorizzati al loro smaltimento e/o distruzione, senza che ciò possa inficiare l’avvenuta rinuncia all’eredità.

L. R. chiede
mercoledì 08/02/2023 - Umbria
“Buongiorno, il 23 dicembre 2014 sono stato dichiarato fallito dal tribunale civile di Milano ( fallimento personale ) questo si è chiuso il 17 ottobre 2017. I creditori non sono stati soddisfatti in particolare l' INPS che ha ripreso dopo la chiusura l'azione verso il debitore quindi verso di me per circa 120mila euro (TFR DIPENDENTI ) inoltre ho debiti presso l'Agenzia delle entrate per circa 72mila euro. Il mese scorso è morto mio padre lasciando un' eredità fatta di soldi e immobili. Domanda se io rinuncio all eredità cosa rischio a livello penale ?”
Consulenza legale i 09/02/2023
L’eventuale rinuncia all’eredità non ha alcun riverbero a livello penale.

Nel caso di specie sembra infatti che i rischi penali siano connessi, da un lato, al fallimento del soggetto imprenditore e, dall’altro, all’esposizione debitoria che ha nei confronti dell’erario.

Ebbene, laddove si dovessero ritenere sussistenti fattispecie di reato nel caso di cui alla richiesta di parere (fattispecie che non è possibile vagliare e ipotizzare stante la non profonda conoscenza del substrato fattuale della vicenda ma che, tuttavia, sembrano inquadrabili nel campo fallimentare o tributario), il fatto che l’indagato rinunci all’eredità non avrà alcun effetto di rilevanza penale.

Non si vede infatti ragione alcuna per cui si possa ritenere che la rinuncia all’eredità possa influire sul quadro penale ipoteticamente preesistente né tantomeno si ravvede ragione alcuna per cui la rinuncia predetta possa costituire essa stessa reato.

In casi del genere, invero, le implicazioni sono più che altro di natura civilistica e attengono alla possibilità, per i creditori, di esercitare eventuali azioni in surroga del debitore e funzionali alla conservazione della garanzia patrimoniale.

M. S. chiede
giovedì 22/09/2022 - Campania
“Buongiorno,
Mia madre, vedova, è deceduta un mese fa. Abitava da sola nel mio stesso condominio in un' altro appartamento di mia proprietà. Non era proprietaria né di beni mobili né di beni immobili. Aveva solo un conto corrente dove vi veniva accreditata la pensione.
La settimana scorsa ho effettuato dinanzi ad un Notaio rinuncia all' eredità.
Tuttavia ho letto che ci sono alcune sentenze della Cassazione che ritengono inefficace la rinuncia se non si è provveduto a redigere l'inventario dei beni entro i 3 mesi dall'apertura della successione, per cui il chiamato nel possesso dei beni potrebbe esser considerato erede puro e semplice.
La domanda è:
- vivendo mia madre in appartamento di mia proprietà, vengo "inquadrato" come chiamato nel possesso dei beni?
- affinché la mia rinuncia all'eredità non venga impugnata da parte di eventuali creditori della defunta devo redigere l'inventario? In caso affermativo, è possibile redigerlo dopo aver rinunciato all' eredità o potrebbe essere considerato un comportamento di accettazione tacita dell'eredità?
Ringraziandovi anticipatamente per la disponibilità, resto in attesa di vs cortese riscontro.”
Consulenza legale i 28/09/2022
In base a quanto viene riferito nel quesito, non vi può essere alcun motivo per temere di aver posto in essere uno di quegli atti a cui il codice civile ricollega l’effetto dell’accettazione tacita dell’eredità.
Un timore di tale tipo potrebbe trovare fondamento soltanto nell’ipotesi in cui siano stati posti in essere atti dispositivi delle somme giacenti sul conto corrente della defunta (unico elemento attivo del patrimonio ereditario), poiché tale comportamento configurerebbe sicuramente un atto di accettazione tacita (ex art. 476 del c.c.), con conseguente impossibilità di una successiva e valida rinunzia all’eredità.

Al contrario, se il chiamato all’eredità non ha mai preso possesso in alcun modo dei beni ereditari, lo stesso sarà libero, entro il termine di dieci anni che l’art. 480 del c.c. stabilisce per accettare l’eredità, di manifestare una diversa volontà di rinuncia.
Per la rinuncia vale quanto disposto dall’art. 519 c.c., il quale si limita a prescrivere soltanto il rispetto di particolari requisiti di forma, stabilendo che questa deve farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, la quale poi dovrà essere inserita nel registro delle successioni.
Nessun obbligo di redazione di inventario sussiste nel caso in cui il chiamato all’eredità decida di rinunziarvi, sussistendo un tale obbligo soltanto nell’ipotesi di chiamato che decida di accettare e di volersi nel contempo avvalere della procedura di accettazione beneficiata dell’eredità (ossia, della possibilità, che l’ordinamento gli riconosce, di distinguere il suo patrimonio da quello del de cuius e di poter così rispondere di eventuali debiti ereditari soltanto con il patrimonio ereditario).
In tal caso gli artt. 485 e 487 c.c. impongono il rispetto di termini ben precisi per la redazione dell’inventario, distinguendo a seconda che il chiamato all’eredità si trovi o meno nel possesso di beni ereditari.

Pertanto, rispondendo alle domande che vengono poste, può dirsi che:
a) il fatto che la de cuius al momento del decesso vivesse nell’appartamento di proprietà della figlia non può costituire ragione per far considerare quest’ultima come chiamata nel possesso dei beni ereditari (al contrario, era la madre ad avere il possesso, o meglio la detenzione, di un bene della figlia, ovvero l’appartamento);
b) la dichiarazione di rinuncia all’eredità non deve mai essere seguita o preceduta dall’inventario, non essendo tale adempimento richiesto da alcuna delle norme che il codice civile detta in tema di rinunzia (artt. 519-527 c.c.).
Del resto, considerato che ex art. 521 del c.c. chi decide di rinunciare è considerato come se non fosse mai stato chiamato all’eredità, non si vede per quale ragione dovrebbe porsi in capo allo stesso un obbligo di redazione dell’inventario, relativo a beni sui quali non potrà più vantare alcun diritto.

Zito F. chiede
mercoledì 23/10/2019 - Calabria
“Salve, scrivo per conto della mia ragazza. A quest'ultima viene contestata una donazione ricevuta dal padre, precisamente della casa coniugale, per lesione di legittima.
Il nucleo familiare è composto:
1. Coniuge
2. La mia ragazza
3. la sorella della mia ragazza
4.il fratello della mia ragazza
5. il de cuius deceduto in data 06.10.2018 era, unico proprietario dell'immobile donato alla mia ragazza.
Faccio un breve riepilogo della situazione
Resta un relictum di 135.000.00 Euro e un donatum di 111.620.00, oltre a dei crediti rimasti in eredità per la vendita di alcuni immobili che il de cuius "vendeva" (in realtà Atti simulati) ai suoi figli Carmela e Nicola. Tale vendita era prevista a rate e il de cuius veniva a mancare prima di tale pagamento.
Precisamente il patrimonio complessivo sarà pari ad euro 298.620, di cui:
€ 135.000 (relictum)
€ 100.000 (donazione alla mia ragazza)
€ 11.620 (donazione del de cuius di quota sociale a Nicola, fratello della mia ragazza)
€ 22.500 (credito della prima vendita del de cuius a suo figlio nicola,fratello della mia ragazza)
€ 29.500 (credito della seconda vendita a Carmela,sorella della mia ragazza).
La mia ragazza ha ricevuto lettere che avvertono su una probabile azione di riduzione congiunta di tutti e tre familiari contro di lei, per lesione di legittima.
Sia sua mamma,sia sua sorella,sia suo fratello andrebbero in azione di riduzione per lesione di legittima.
Così ho richiesto due consulenze sul Sito Brocardi (Consulenza Q201923796 di Z. F. ) , descrivendo tutta la situazione.
Da tale calcolo si evince che la mia ragazza farebbe una lesione di legittima nei confronti dei 3 familiari che andrebbero in azione di riduzione, pari a 17.000.00 Euro complessivi su tutti e tre.
C'è da dire però che tramite l'esplorazione di libri sociali e di scritture contabili la mia ragazza potrebbe alzare il valore del donatum, identificando il vero valore degli 11.620.00 Euro della donazione delle quote sociali avute dal fratello.
Preso atto di ciò, prendendo seriamente in considerazione tale calcolo, che reputa esatto, nonostante ciò che potrebbe fare per sovvertire tale situazione in suo favore, sulla lesione di legittima, tramite il legale, la mia ragazza, ha contattato il legale della controparte offrendo 10.000.00 Euro più mobili per ripristinare la lesione di legittima.
La controparte ha accettato e siamo arrivati ai preventivi e gli atti del Notaio.
Qui poi è nato un ulteriore litigio, in quanto noi abbiamo chiesto:
1. Rinuncia azione di riduzione della mamma della mia ragazza
2. Rinuncia azione riduzione di nicola, fratello della mia ragazza
3. Rinuncia azione di riduzione della sorella della mia ragazza
4.rinuncia eredità della mia ragazza
5 Atto transazione come atto notarile comprendendo la descrizione della res litigiosa e delle concessione reciproche, con appunto i 10.000.00 euro che la mia ragazza darebbe a loro.
La controparte, invece ha chiesto:
1. Rinuncia eredità della mamma della mia ragazza
2. Rinuncia eredità mia ragazza
3. Rinuncia azione di riduzione del fratello della mia ragazza
4. Rinuncia azione di riduzione della sorella della mia ragazza
5. Atto transazione con scrittura privata (non tramite Notaio) con questi 10.000.00 mila euro più mobili che la mia ragazza darebbe come concessione.
Ora arrivo al dunque: premetto che alla mia ragazza non interessa nulla che la mamma rinunci all'eredità , nè che favorisca gli altri due figli. Ma non trova tale comportamento a norma di legge per giustificare l'atto di transazione che si basa su una res litigiosa e sulle concessioni reciproche. Faccio esempio: Se la Res litigiosa corrisponde a un avvertimento di azione di riduzione dei TRE familiari contro la mia ragazza , come si giustificherebbe poi una rinuncia all'eredità della mamma della mia ragazza? Prima avverte di andare in riduzione e poi rinuncia all'eredità? La mia ragazza da chi è stata "costretta" a fare tali concessioni? Dalle quote che spetterebbero a sorella e fratello o dalle quote che spetterebbero a tutti i familiari?
A chi farebbe la mia ragazza queste concessioni per reintegrare, in buona parte, la legittima se sua mamma rinuncia all'eredità? Considerando che solo con le quote di Nicola e Carmela la mia ragazza non lederebbe alcuna legittima? A quel punto come si giustificherebbe questa concessione di 10.000.00 Euro (dovuta ad avvertimenti di azione di riduzione congiunta dei tre familiari) nell'Atto di transazione considerando che sua mamma rinuncerebbe all'eredità? Non sarebbe tutto contraddittorio?
Ciò che comunque teme maggiormente la mia ragazza è che la sua rinuncia all'eredità e quella di sua mamma portino accrescimento o altro in favore degli altri due figli che accettano l'eredità ma che rinunciano all'azione di riduzione. Cioè per esempio, se andiamo dal notaio, e facciamo : rinuncia all'eredità della mia ragazza e di sua mamma e rinuncia azione di riduzione del fratello e della sorella della mia ragazza, poi in futuro la mamma,il fratello o la sorella potrebbero fare qualcosa contro la donazione della mia ragazza? In tal caso facendo questo tipo di atto la mia ragazza potrebbe avere la sicurezza matematica che in futuro la sua donazione non sia attaccata in alcun modo da mamma, sorella e fratello?
Sua mamma che rinuncia all'eredità può in futuro attaccare in qualsiasi modo la donazione avuta dalla mia ragazza? Chi rinuncia all'eredità non può andare in azione di riduzione, giusto? Suo fratello e sua sorella che rinunciano all'azione di riduzione possono in futuro attaccare la donazione della mia ragazza, sfruttando qualche legge o con la complicità della loro mamma?
In sostanza facendo la mia ragazza e sua mamma la rinuncia all'eredità e il fratello e la sorella la rinuncia all'azione di riduzione (dando la mia ragazza i suoi 10 mila euro solo su scrittura privata fra legali) sarebbe tutto inoppugnabile e irrevocabile? Ripeto la mia ragazza non ha alcun interesse che i beni che dovrebbe ereditare la mamma andrebbero ai fratelli, ma vuole solo la certezza matematica e assoluta che questo tipo di Atto non possa in futuro comportare e sfruttare qualche cavillo a favore di sua mamma,sua sorella e suo fratello contro la donazione della mia ragazza.
Grazie, attendo delucidazioni al riguardo.”
Consulenza legale i 29/10/2019
La risposta alle domande poste si incentra essenzialmente sugli effetti che in tale successione avrebbero la rinuncia all’eredità da parte della madre e da parte della figlia Paola (quella nel cui interesse viene posto il quesito).
Intanto va detto che la soluzione della transazione, contenuta in un atto notarile, si adatta perfettamente a risolvere i contrasti tra le parti, essendo volta a cristallizzare in un atto scritto gli accordi a cui si giungerà.

Delle precisazioni debbono comunque essere fatte, al fine di tutelare nel migliore dei modi chi pone il quesito.
Nel compimento delle diverse attività negoziali, sarebbe opportuno rispettare un sequenza temporale ben precisa.
Il primo atto che si suggerisce di compiere è quello della transazione, il quale può anche avere ad oggetto quanto richiesto dalla controparte, ossia di porre fine ad ogni controversia in ordine all’eredità in contestazione, rinunciando all’esercizio di qualsivoglia azione, e mediante assunzione dei seguenti obblighi:
  1. rinuncia all’eredità da parte della madre-coniuge superstite
  2. rinuncia all’eredità da parte della figlia Paola
  3. rinunzia all’esercizio dell’azione di riduzione da parte degli altri eredi legittimari, ma tra questi deve anche comprendersi la madre, e successivamente se ne spiegherà la ragione
  4. versamento da parte della figlia Paola della somma di euro 10.000, oltre alla cessione di alcuni beni mobili a soddisfacimento di ogni pretesa ereditaria da parte degli altri eredi.
L’adempimento di quest’ultima obbligazione (quella sub lettera d) dovrà condizionarsi all’avvenuto adempimento degli obblighi di cui alle precedenti lettere.

Anche una transazione redatta con scrittura privata può assolvere alla finalità che ci si prefigge di raggiungere.
Infatti, la rinuncia all’esercizio dell’azione di riduzione non è soggetta a particolari requisiti di forma, potendo avvenire sia espressamente, mediante atto recettizio diretto a coloro che ne sono i beneficiari, sia per fatti concludenti, purché l'intenzione di rinunciare sia inequivocabile (così Cass. 3299/1962; Cass. 4230/1987; Cass. 10755/1996).
Ciò che conta è che si possa riuscire in qualche modo a dare certezza alla data di stipula.
Tuttavia, se per la predisposizione del suo contenuto ci si avvale dell’assistenza di un legale, si ritiene che il medesimo non possa incontrare alcuna difficoltà nel far sì che quell’accordo abbia data certa.

Una volta redatto l’accordo transattivo, il secondo passo da compiere sarà quello di recarsi nella cancelleria del Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione affinché la moglie del de cuius e la figlia Paola manifestino la loro volontà di rinunciare all’eredità.
Si ricorda, infatti, che ex art. 519 del c.c. la rinuncia all’eredità, perché possa produrre effetti, deve farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, per poi essere inserita nel registro delle successioni.
Avendo la figlia donataria Paola rinunciato all’eredità, troverà applicazione l’art. 552 c.c., nella parte in cui dispone che, se vi è stata dispensa dall’imputazione, il legittimario che rinuncia all’eredità, può sulla disponibile ritenere le donazioni ricevute dal de cuius.
Per la parte che eccede la disponibile, invece, opererà la rinuncia all’azione di riduzione, a cui gli altri eredi si sono obbligati in virtù dell’accordo transattivo.
Tale sistema dovrebbe assicurare una certa garanzia alla figlia Paola.

Infine, solo dopo che è stata sottoscritta la transazione e che è stata posta in essere anche la rinuncia all’eredità da parte della madre, la figlia Paola verserà agli altri legittimari che hanno accettato l’eredità la somma di euro 10.000 quale corrispettivo dell’obbligo dagli stessi assunto per rinunciare all’esercizio dell’azione di riduzione, specificando che quella somma viene accettata a tacitazione di ogni diritto a loro spettante sull’eredità del de cuius (sotto un profilo pratico, si potrà dare atto del versamento di tale somma in calce alla transazione, facendosene rilasciare quietanza da parte degli altri eredi).

Per quanto riguarda il dubbio circa la sussistenza di una valida giustificazione causale per la rinuncia all’eredità che la madre andrebbe a fare, va detto che ciò non deve destare preoccupazione, in quanto quella rinuncia rientra nel complesso dell’accordo transattivo con cui si mira a garantirsi la rinuncia all’azione di riduzione da parte degli altri legittimari.

In merito al contenuto dell’accordo transattivo, è stato prima precisato che non è sufficiente che la madre si obblighi soltanto a rinunciare all’eredità, ma occorre anche ottenere da parte della stessa la rinuncia all’esercizio dell’azione di riduzione.
Infatti, rispondendo adesso a quanto osservato nel quesito circa la sussistenza di possibili cavilli da sfruttare in favore della madre, la necessità di un impegno anche da parte della madre a rinunziare all’esercizio dell’azione di riduzione trova la sua giustificazione nel dettato dall’art. 564 del c.c., norma che, nel disciplinare le condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione, prevede che il legittimario può chiedere la riduzione delle donazioni e dei legati ancorché abbia rinunciato all’eredità.
Ciò significa che se anche la madre non rinuncia all’esercizio dell’azione di riduzione, la stessa potrebbe prima rinunciare all’eredità e poi agire indisturbata in riduzione.

Una volta seguiti questi accorgimenti, si ritiene che non debbano residuare particolari rischi nel portare avanti l’accordo.


Marzia P. chiede
giovedì 10/05/2018 - Emilia-Romagna
“Buongiorno.
Qualche giorno fa ho proceduto a rinunciare all'eredità di un mio congiunto deceduto (non possedeva beni di alcun tipo ed era gravato da debiti). La dichiarazione di rinuncia e' stata fatta in tribunale, davanti al cancelliere della volontaria giurisdizione. Fra un paio di settimane potrò andare a ritirare la copia conforme dell'atto. Nel frattempo però (sono purtroppo persona ansiosa che tende a rimuginare) mi e' sorto un dubbio. Se l'atto di rinuncia dovesse contenere errori (mi riferisco ad esempio ad errori nella trascrizione del codice fiscale, mio o del defunto, o del mio stesso nome, o del nome del defunto, o del mio indirizzo di residenza...) come sarà possibile porvi rimedio? Sarà sufficiente (nel caso in cui ad esempio io debba esibire l'atto ad una banca o all'agente di riscossione) allegare un'autocertificazione con i dati corretti? Bisognerà far ricorso ad un notaio?
Temo insomma di non avere controllato con sufficiente attenzione quanto scritto dal cancelliere e mi chiedo se, nel caso di errori, sia possibile riparare.
Grazie”
Consulenza legale i 16/05/2018
La rinuncia all'eredità è disciplinata dagli artt. 519 ss. c.c.
Secondo il codice, la stessa va fatta con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e viene inserita nel registro delle successioni (art. 52 disp. att. del c.c.) a cura del cancelliere.
A differenza dell’accettazione, dunque, la rinuncia all’eredità non può essere tacita.
Le forme di cui sopra infatti sono stabilite a pena di nullità, come ha ribadito anche recentemente la Cassazione (“ai sensi dell'art. 519 c.c., la rinunzia all'eredità deve essere fatta in forma solenne, con dichiarazione resa davanti al notaio o al cancelliere, che non può essere sostituita dalla scrittura privata autenticata ed è a pena di nullità, in quanto l'indicazione dell'art. 519 c.c. rientra tra le previsioni legali di forma "ad substantiam", di cui all'art. 1350, n. 13, del c.c.”: così Cass. Civ. II, 4274/2013).
La rinuncia all’eredità è retroattiva; cioè chi rinunzia all'eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato (art. 521 del c.c.).
La legge non prevede espressamente un termine per l’effettuazione della rinuncia; pertanto, la stessa può essere fatta entro lo stesso termine di prescrizione stabilito per l’accettazione, ovvero dieci anni dall’apertura della successione (art. 480 del c.c.).
Tuttavia, ai sensi dell’art. 485 del c.c., se il chiamato all'eredità si trova, a qualsiasi titolo, nel possesso di beni ereditari, ha l’onere di fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. In mancanza, è considerato erede puro e semplice.
Compiuto l'inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione di accettazione col beneficio di inventario (art. 484 del c.c.) ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell'inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice.
Esaurita la premessa, va osservato che “errori” quali quelli prospettati, a titolo esemplificativo, nel quesito (errori nella trascrizione del codice fiscale, del rinunciante o del defunto, o del nome dell’uno o dell’altro, o dell’indirizzo di residenza del rinunciante) si configurano tutt’al più come semplici errori “materiali”, dovuti quindi a una semplice svista o disattenzione, e suscettibili di essere corretti, senza che possano derivare conseguenze negative in capo al rinunciante.
Tuttavia, deve escludersi che per la correzione possa essere sufficiente una mera autocertificazione, proprio perché, come spiegato in precedenza, la rinuncia all’eredità non è atto a forma libera ma deve essere effettuata nelle forme indicate dall’art. 519 c.c. Deve ritenersi, pertanto, che anche l’eventuale correzione debba essere fatta con le medesime forme dell'atto a cui si riferisce.
La correzione, dunque - qualora ne sussista la reale necessità - potrà essere effettuata dal cancelliere così come era stata fatta la dichiarazione iniziale di rinuncia.
Si suggerisce, se si hanno dei dubbi che non lasciano sereni, di recarsi dal cancelliere e di esporgli tranquillamente il dubbio, onde poter verificare in pochi minuti con lui la correttezza di quanto fatto precedentemente. Non si dovesse trovare la disponibilità del cancelliere in tal senso, si attenderà di avere in mano la copia autentica e si andrà da lui in quel momento, facendogli precisa menzione degli errori riscontrati, che lui dovrà accettare di correggere, se effettivamente rilevanti.

MARCO T. chiede
lunedì 30/04/2018 - Liguria
“Fatto: genitori deceduti e hanno due figli. Uno di questi rinuncia all’eredità dei genitori (tutti e due).
Chiedo però una cosa. I due fratelli risultano proprietari di alcuni fondi acquistati anni prima della morte dei genitori e ovviamente queste proprietà non vanno in successione.
Uno dei due fratelli però recupera una vecchia scrittura privata non registrata di circa 18 anni prima. Carta firmata da tutti (genitori e fratelli) ma non autenticata.
In essa i genitori dicono chiaramente che quegli immobili, tutti quegli immobili, sono stati acquistati con soldi degli stessi genitori e non dei figli e pertanto loro ne sono i titolari anche se al catasto i proprietari risultano i figli.
Chiedo:
Che valore ha quella scrittura?
E’ prescritta essendo vecchia di 18 anni e in ogni caso ha un termine di prescrizione?
Può essere fatta valere da uno dei due figli in forza della doppia rinuncia del fratello?
L’assunto sarebbe il seguente: i fondi sono stati acquistati con soldi dei genitori (come dichiara la scrittura privata) e pertanto il vero erede è il solo fratello che non ha rinunciato e che ne rivendica la piena proprietà.
E’ possibile intraprendere un’azione di questo genere?”
Consulenza legale i 12/05/2018
In primo luogo, occorre tenere presente che la rinuncia all’eredità (art. 519 c.c.) è atto revocabile nei termini previsti dall’art. 525 del codice civile.
Tuttavia, la revoca della rinuncia ha due presupposti: primo, va fatta entro dieci anni dalla apertura della successione; secondo, l’eredità non deve essere stata acquistata da altri chiamati.
Nel caso in esame, non sappiamo se i dieci anni siano o meno decorsi; quanto al secondo presupposto, dal tenore del quesito, non risulta se l’eredità sia stata o meno accettata dall’altro fratello.

Fermo quanto precede, procediamo a rispondere alle domande contenute nel quesito.

Con riguardo al valore giuridico della scrittura privata si osserva quanto segue.
Una scrittura privata semplice, non registrata né riconosciuta, ha sicuramente “meno forza” rispetto ad una autenticata. Infatti, può essere innanzitutto disconosciuta dal soggetto contro il quale viene prodotta in un ipotetico giudizio. Ciò significa che in caso di disconoscimento colui che vuole utilizzare la scrittura deve provare la genuinità del documento instaurando un particolare procedimento chiamato “istanza di verificazione”.
Una scrittura privata semplice ha invece lo stesso valore di una autenticata laddove vi sia stato un riconoscimento tacito della scrittura da parte di colui contro il quale è prodotta se non la disconosce nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione.

Quanto alla circostanza che la scrittura privata risalga a 18 anni fa non ha alcuna rilevanza.
Infatti, quanto in essa dichiarato non è soggetto a termini di prescrizione.

Il punto davvero importante è piuttosto quello relativo all’acquisto di tutti i beni immobili con il soldi dei Vostri genitori. Tale operazione parrebbe infatti avere le caratteristiche della donazione indiretta.
A riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che: “L'acquisto di un immobile da parte di una persona con denaro di altra persona integra gli estremi di una donazione indiretta, se il denaro, quale corrispettivo della vendita, viene corrisposto, nella sua interezza, dal donante al donatario allo specifico scopo dell'acquisto del bene, oppure, mediante il versamento diretto dell'importo al venditore. Con la specificazione che non è qualificabile siccome donazione indiretta la consegna al donatario, da parte del donante, di somme di denaro, perché in questo caso, anche se il denaro sia stato utilizzato per l'acquisto di un bene, non si versa in un'ipotesi di donazione indiretta, ma di donazione diretta di denaro" (Cass. n. 17604/2015).

Ciò posto, volendo ipotizzare la sussistenza della donazione indiretta, questa tuttavia non comporta automaticamente la possibilità di richiedere la proprietà degli immobili anche dell’altro fratello per le ragioni che di seguito andiamo ad illustrare.
Un erede non può impugnare una presunta donazione a prescindere, ma solo se ciò abbia leso la sua parte di eredità che viene riservata dalla legge.
Infatti, laddove una donazione (anche indiretta, in quanto l’art. 809 c.c. stabilisce espressamente che anche alle liberalità che risultano da atti diversi da quelli previsti dall'articolo 769 c.c. si applicano le stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni) leda la quota di legittima riservata per legge agli eredi, questi ultimi possono esperire l’azione di riduzione (art. 555 c.c.) entro il termine di dieci anni.
Come ha infatti affermato la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n.20644/2004: “l'azione di riduzione è soggetta alla prescrizione ordinaria di 10 anni. Il termine decorre dalla data di apertura della successione.
In pratica, dapprima deve essere fatta dichiarare l'inefficacia delle donazioni che eccedono la quota di cui il de cuius poteva disporre e, successivamente viene richiesta la restituzione.

Ciò precisato, tornando al caso in esame, se non sono ancora trascorsi dieci anni dalla morte dei Vostri genitori, occorre in primo luogo verificare se gli immobili di proprietà dell’altro fratello acquistati con i soldi dei Vostri genitori ledano o meno la quota di legittima.
Per sapere ciò, occorre fare una sorta di riunione fittizia dell’intero patrimonio, eseguendo le operazioni previste dall’art. 556 del codice civile necessarie per determinare la quota di cui poteva disporre il de cuius senza compromettere i diritti dei legittimari.

Ferme le osservazioni che precedono, una eventuale azione di riduzione appare poco praticabile nel caso in esame considerato che, secondo quanto leggiamo nel quesito, tutti gli immobili di entrambi i fratelli sarebbero stati acquistati con il denaro dei genitori e non soltanto alcuni o soltanto quelli del fratello che ha rinunciato all’eredità.
Quindi, sulla base della scarne informazioni in nostro possesso, appare poco probabile una lesione della quota di legittima di uno degli eredi considerato, appunto, che entrambi hanno beneficiato delle donazioni, dirette o indirette che siano state.

Pertanto, l’assunto finale riportato nel quesito secondo cui “ i fondi sono stati acquistati con soldi dei genitori (come dichiara la scrittura privata) e pertanto il vero erede è il solo fratello che non ha rinunciato e che ne rivendica la piena proprietà” non riteniamo sia molto fondato.
Il fratello che non ha rinunciato è sicuramente l’unico erede. Tuttavia, ciò non comporta che -anche tenendo conto della scrittura privata – possa automaticamente rivendicare la proprietà anche dei beni immobili del fratello che ha rinunciato in quanto per fare ciò, come sopra si è evidenziato, dovrebbe provare che le donazioni abbiano leso la sua quota di legittima.

Marzia P. chiede
venerdì 30/03/2018 - Emilia-Romagna
“Buongiorno.
Espongo il mio quesito: a seguito della morte di mio fratello si rende necessaria la rinuncia alla sua eredità (non aveva beni immobili intestati e aveva invece molti debiti verso l'erario). Mio fratello, che non era e non è mai stato sposato, aveva un figlio minorenne, suo unico erede. In caso di rinuncia del figlio minore saremo io e mia madre a subentrare nell'eredità di mio fratello.
La madre di mio nipote ha già ottenuto dal giudice tutelare l'autorizzazione alla rinuncia dell'eredità. Abbiamo quindi pensato di procedere tutti insieme - mio nipote rappresentato dalla madre, mia madre ed io - alla rinuncia, mediante un unico atto. Ho fissato un appuntamento presso la cancelleria di volontaria giurisdizione del tribunale di competenza per il nostro caso e il cancelleria non ha avuto nulla da eccepire. Vorrei però chiedere conferma: tale procedura è corretta? Possiamo rinunciare tutti insieme (figlio minore rappresentato dalla madre quale erede in "primo grado" e noi altri familiari, eredi di grado successivo)?
Grazie”
Consulenza legale i 06/04/2018
La successione è il fenomeno per cui un soggetto (successore o avente causa) viene ad assumere la posizione occupata da un altro soggetto (dante causa) rispetto ad una relazione giuridicamente rilevante.
Con riferimento al presupposto di fatto dal quale dipende, la successione può essere a causa di morte o tra vivi. La prima, che è la fattispecie di cui si discute nel caso in esame, è legata al presupposto di fatto della morte di una persona fisica e può essere a sua volta successione a titolo universale ovvero a titolo particolare.
Il successore a titolo universale subentra in tutti i rapporti relativi al dante causa, mentre quello a titolo particolare acquista solo la titolarità di determinati rapporti dei quali era soggetto il dante causa.
L’art 456 c.c. stabilisce in proposito che la successione si apre al momento della morte, nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto.
L’art. 459 c.c. enuncia il principio che l’eredità si acquista con l’accettazione.
Il codice civile prevede, tuttavia, anche la possibilità che il chiamato all’eredità vi possa rinunciare.
La rinunzia all’eredità è un rifiuto della stessa che ne impedisce l’acquisto; è un negozio giuridico formale e, pertanto, deve essere fatta con la forma prevista dalla legge a pena di nullità.
Ai sensi dell’art. 519 c.c “la rinuncia deve farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione ed inserita nel registro delle successioni conservato nello stesso tribunale”.
L’inosservanza della forma solenne richiesta per l’effettuazione della rinunzia stessa ne comporta la nullità. Non è perciò ammessa una rinunzia implicita.
La rinunzia deve essere fatta nel termine di tre mesi dalla morte se si è in possesso dei beni oppure entro 10 anni se non si è nel possesso dei beni.
La rinunzia ha efficacia retroattiva: l’art 521 precisa a tal proposito che “ chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato”.
La devoluzione della parte del rinunziante nella successione legittima è regolata dall’art 522 c.c. secondo il quale la parte del rinunziante si accresce ai coeredi, salvo il diritto di rappresentazione; se il rinunziante è solo, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso egli mancasse.

Alla luce dei richiamati principi, riteniamo che la rinunzia dei chiamati all’eredità possa essere fatta in un unico atto purché, tuttavia, ogni rinunzia venga inserita singolarmente in modo da dare una progressione temporale ai singoli atti.
Difatti, erede legittimo, allo stato, è solo il figlio di Suo fratello. Solo allorquando il figlio del de cuius (Suo nipote) rinuncia all’eredità, la stessa si devolve a Sua mamma e a Lei.
Pertanto, si ripete, pur potendo le tre distinte manifestazioni di volontà di rinunziare all’eredità del defunto essere contenute in un unico atto, sarebbe opportuno che venga prima eseguita temporalmente quella del nipote, e a seguire quella di Sua madre e Sua.


Marzia P. chiede
martedì 30/01/2018 - Emilia-Romagna
“Buongiorno.
Un mese fa e' deceduto mio fratello. La sua situazione debitoria e' assai pesante e si rende necessaria la rinuncia all'eredità. Mio fratello (che non era e non e' mai stato sposato) era padre di un bambino di dieci anni, per il quale ora si sta procedendo alla richiesta delle necessarie autorizzazioni a rinunciare da parte del giudice tutelare. La mia domanda e' questa: io, in quanto sorella non in possesso dei beni di mio fratello, posso rinunciare immediatamente all'eredità anche se non sono il "primo chiamato" all'eredità e anche se il primo chiamato (il bambino minorenne) non ha ancora rinunciato? Grazie.”
Consulenza legale i 01/02/2018
L’istituto che viene in esame nel caso prospettato è la rinuncia all’eredità che consiste in una dichiarazione formale, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale in cui si è aperta la successione, con la quale l’erede impedisce l’ingresso, nel suo patrimonio, dei beni e dei diritti derivanti dall’eredità.

Con la rinuncia all’eredità, difatti, il chiamato perde i poteri di cui era titolare e viene considerato come se non fosse mai stato chiamato alla successione.

I soggetti legittimati alla rinuncia sono coloro che hanno il diritto di accettare.

Ebbene, nella fattispecie che ci occupa, erede di Suo fratello deceduto è il figlio che succede universalmente in tutti i beni del padre ai sensi dell’art. 566 c.c.

Lei, allo stato, non riveste la qualità di erede, né quella di chiamato all’eredità.

Solo in caso di rinuncia del figlio all’eredità paterna si aprirà la successione nei confronti degli altri ascendenti o discendenti ai sensi dell’art. 571c.c. e, in tal caso, Lei, in qualità di sorella del defunto, concorrerà con gli eventuali genitori ancora in vita.

Solo, quindi, in questo momento tutti gli ulteriori chiamati all’eredità potranno decidere se accettare o rinunciare all’eredità stessa.

Pertanto, lei non può già rinunciare all’eredità.
Bisognerà attendere la rinuncia da parte del figlio di Suo fratello deceduto.
Solo dopo tale rinuncia, Lei potrà a sua volta rinunciare alla eredità di cui si discute.


Tonino D. P. chiede
venerdì 15/12/2017 - Abruzzo
“I miei genitori sono deceduto nel gennaio 2011, lasciando due eredi io e mia sorella.
in data 14/3/2012, mia sorella insieme ai suoi unici due figli davanti al notaio firmano la rinuncia all'eredità dei nostri genitori. Per entrambi era stata fatta idonea successione nei tempi previsti dalla legge.
All'inizio di questo anno nel preparare gli atti per la vendita di un terreno il notaio del mio acquirente mi comunica che il terreno risulta intestato al sottoscritto e anche a due
bambini figli uno del figlio di mia sorella e l'altro della figlia di mia sorella entrambi minori, uno di 10 e l'altro di nove anni, comunque già nati prima della rinuncia all'eredità fatta dalla loro nonna e dai genitori .
Come posso sanare questa vicenda cancellando i minori dall'asse ereditario,
si rende necessario la rinuncia dei minori davanti ad un giudice presente i loro genitori,
o aspettare il diciottesimo anno di età di entrambi e chiedere loro di rinunciare all'eredità.”
Consulenza legale i 27/12/2017
L'attuale intestazione del terreno deriva dal fatto che, con la rinuncia all'eredità dei figli di sua sorella, la loro quota ereditaria si è devoluta per "rappresentazione" (art. 467 c.c.) ai figli dei figli stessi.

La "rappresentazione", infatti, fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non possa o non voglia accettare l'eredità.

Laddove i figli dei figli di sua sorella non abbiano ancora accettato (obbligatoriamente con beneficio d'inventario, trattandosi di minori d'età) l'eredità, questi potranno essere estromessi dall'asse ereditario attraverso un atto di rinuncia alla quota ereditaria loro devoluta per rappresentazione.

A tal fine, non è necessario attendere il compimento del diciottesimo anno d'età, in quanto anche i minori possono validamente rinunciare all'eredità loro spettante, nel rispetto di alcune specifiche formalità.
Trattandosi di minori d'età, infatti, è necessario che i genitori chiedano l'autorizzazione al giudice tutelare del luogo di residenza del minore.

Ottenuta tale autorizzazione, i minori potranno validamente rinunciare all'eredità, con le modalità prescritte dagli artt. 519 e seguenti c.c.

L'art. 519 c.c., in particolare, prevede che la rinuncia debba essere fatta mediante una dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, che dovrà essere inserita nel registro delle successioni.

A seguito della rinuncia dei figli dei figli di di sua sorella, troverà applicazione l'art. 522 c.c., il quale prevede che, in caso di successione legittima, la quota di colui che rinuncia, si accresca a coloro che avrebbero concorso col rinunciante.

Anna L. B. chiede
mercoledì 27/07/2016 - Piemonte
“Buongiorno, siamo tre fratelli che alla morte di una prima cugina ne siamo diventati eredi in quanto ella non aveva nessun erede diretto vivente. Vorremmo sapere se un altro nostro cugino, legato alla deceduta dal nostro stesso vincolo di parentela, può ereditare avendo lui rinunciato all'eredità paterna ed essendo la deceduta legata a lui attraverso la linea ereditaria paterna (il padre era fratello della madre della deceduta, nostra madre era sorella della madre della deceduta). La rinuncia all'eredità paterna vale anche per una eredità intervenuta dopo che riguarda la linea ereditaria paterna?”
Consulenza legale i 09/08/2016
La risposta al quesito è senz’altro negativa: l’accettazione o la rinuncia riguardano una singola e specifica eredità ed a nulla rilevano altra accettazione o rinuncia relative a diversa eredità, pur se si tratta di successioni in qualche modo “connesse” per linea ereditaria.

Più precisamente, la rinuncia ad una eredità può avere un qualche effetto sugli altri appartenenti alla medesima linea ereditaria solamente in alcuni casi specificamente previsti dalla legge (che nulla hanno, tuttavia, a che vedere con l'ipotesi prospettata nel quesito): ad esempio nel caso della rappresentazione (art. 467 cod. civ.: “La rappresentazione fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l'eredità o il legato (…)”) oppure nel caso dell’accrescimento, nelle ipotesi in cui non opera la prima (art. 522 cod. civ.: “Nelle successioni legittime la parte di colui che rinunzia si accresce a coloro che avrebbero concorso col rinunziante, salvo il diritto di rappresentazione e salvo il disposto dell'ultimo comma dell'articolo 571. Se il rinunziante è solo, l'eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse”).

Nel caso, invece – come nella fattispecie che ci occupa – un cugino abbia rinunciato all’eredità del padre, nulla vieta che accetti, invece, l’eredità della cugina deceduta.

Gabriella P. chiede
martedì 07/06/2016 - Lombardia
“Buongiorno, ho ricevuto in eredita tramite testamento una piccola quota di un terreno, e una quota di un fienile presso comune di Troina provincia Enna, siamo in 15 eredi, da uno zio che non aveva figli, nella quota della nostra famiglia, siamo in 5 tra le quali una è deceduta la mia domanda è: Io non sono interessata a questa quota cosa posso fare per disfarmene e non subentrare le mie 2 figlie, anche loro non interessate, e se posso disfarmene va fatta prima la successione? in che modo è più corretto non essere più proprietaria e che costo ha questa operazione. ringrazio cordialmente Gabriella P.”
Consulenza legale i 14/06/2016
Va doverosamente premesso e chiarito che la successione si apre automaticamente, per legge e senza bisogno di formalità alcuna, nel momento e nel luogo della morte del “de cuius” (espressione latina per definire colui che muore e lascia l’eredità).

Nel momento in cui si apre la successione i possibili eredi non sono ancora definiti tali (perché ancora non hanno accettato) ma vengono detti semplicemente “chiamati all’eredità”.

Se non si vuole accettare l’eredità, l’unico modo per evitare la successione è quello di rinunciarvi: la rinuncia all’eredità è una dichiarazione formale da farsi con atto notarile oppure davanti al Cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione (art. 519 codice civile).

Trattandosi, nel caso di specie, della successione di uno zio (e quindi del fratello di uno dei genitori di chi pone il quesito) ha luogo la “rappresentazione” in linea collaterale.

La rappresentazione, come spiega l’art. 467 cod. civ., fa subentrare nell’eredità i discendenti (figli) nel grado del loro ascendente, quando questi non può o non vuole accettare l’eredità. La rappresentazione si applica sia nel caso di successione in linea retta sia nel caso (come quello in esame) di successione collaterale (ovvero di fratelli e sorelle).

Nel caso concreto in esame, dunque, l’eredità è stata devoluta, appunto, ai nipoti, ovvero ai figli del fratello/sorella del defunto zio (tra i quali chi pone il quesito): qualora tali nipoti rinunciassero all’eredità, succederebbero per rappresentazione i loro figli, salvo rinuncia.

Di conseguenza, per evitare alle figlie della nipote chiamata all’eredità dello zio di succedere al posto di quest’ultima a seguito di rinuncia della medesima, anch’esse dovranno presentare - a loro volta - formale rinuncia.

I costi della rinuncia sono determinati in base alle tariffe notarili, nel caso ci si rivolga ad un notaio, mentre nel caso in cui si proceda in Tribunale, le spese consisteranno solamente in alcune marche da bollo ed un costo di registrazione dell’atto (normalmente sul sito del Tribunale competente vengono indicati in maniera analitica costi ed adempimenti, oppure viene indicato il numero della Cancelleria alla quale rivolgersi per ogni informazione utile).

Maurizio S. chiede
martedì 09/02/2016 - Umbria
“Non sono mai stato sposato e con la mia ex Compagna ho una figlia che ora ha 19 anni.
Nel mese di dicembre 2015 mi sono stati notificati da parte di Equitalia degli atti di pignoramento presso il mio conto corrente, a seguito della notifica di precedenti Avvisi di Accertamento, notificatomi (settembre 2015) da parte dell’Agenzia dell’Entrate, di cui mi sono opposto presso la Commissione Tributaria Provinciale.

Premetto che ulteriormente ho provveduto a fare ricorso presso il Giudice Civile per richiesta di rigetto degli atti di pignoramento di Equitalia, con la contestuale richiesta di sospensiva da parte del CTP degli importi accertati.

L’importo dell’accertato è significativo e io, in caso di soccombenza, non riuscirò mai ad onorarlo, le attività del mio patrimonio, sono solo la liquidità pignorata da Equitalia giacente nel conto corrente bancario pignorato, che copre una minima parte delle pretese di Equitalia.

Dato che i tre gradi di giudizio dei processi tributari previsti, 1)CTP - 2)CTR - 3)CASSAZIONE dureranno circa 10 anni, sono a preoccuparmi per mia figlia unica mia erede, che nel caso di una mia premorienza si troverebbe ad ereditare la passività dell’accertato con i prevedibili immediati pignoramenti in qualità di erede fino al raggiungimento del credito erariale; e tutto questo in base alle nuove normative tributarie vigenti, che permettono all’Erario i pignoramenti seppure gli Avvisi di Accertamento non siano divenuti definitivi.
Un ulteriore danno che erediterebbe mia figlia, sarebbe quello di essere obbligata in qualità di erede a succedermi nella causa in corso, non potendo sopportare le spese legali per porre fine ai gradi di giudizio con uno scenario catastrofico per mia figlia e per la sua futura stirpe.

A titolo di quanto sopra scritto, ho provveduto ad informare mia figlia che, in caso di mia premorienza, dovrà effettuare la Rinuncia all’Eredità, in tempi immediatamente successivi alla mia premorienza. Purtroppo, in base ad alcune letture, credo che dovrò informare anche mia Madre, Sorella, Nipoti, ad effettuare anche congiuntamente la rinuncia all’eredità, ciò, mi corregga se sbaglio, per evitare che, con la rinuncia di mia figlia, i creditori si rivolgano a cascata, conseguentemente, a tutti i parenti potenzialmente eredi. Gli stessi saranno eruditi di come fare la rinuncia espressa e avvertiti dei pericoli della rinuncia tacita, adeguandosi di conseguenza.

La Rinuncia all’Eredità dei miei parenti, mi pare, che comporterebbe l’intrasferibilità dell’esito delle Cause in corso, e di conseguenza l’estinzione delle cause stesse. Generandosi una situazione di liberatoria seppure virtuale (in quanto gli eredi hanno rinunciato all’eredità) dei debiti erariali nell’ipotesi altresì, che si fosse venuta a creare la soccombenza da parte nostra nel proseguo dei processi. Consapevole, che la liquidità del conto corrente bancario pignorato nel caso di estinzione del processo per mancanza di eredi, viene svincolato dal pignoramento ma sarà trattenuto dallo Stato come eredità giacente di cui gli eredi hanno rinunciato.

Sono a chiederLe, oltre ad un esamina di quanto erroneamente soprascritto, come la legge può tutelare i diritti della mia famiglia e la mia volontà e quale ulteriore Atto, anche per mezzo di un mio Testamento (Istituti: Diseredazione erede, Sostituzione erede), potrei sottoscrivere, per blindare (nei limiti del possibile) la responsabilità successoria agli eredi seppure rinunciatari, nell’ipotesi che, per motivi che mi sfuggono, i creditori possano portare in giudizio i chiamati all’eredità e tentare, in via opportunistica e speculare, di Invalidare le Rinunce dei chiamati all’eredità.

In attesa di comunicazioni a riguardo, porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 15/02/2016
La situazione concreta è stata riassunta in maniera molto puntuale. Inoltre, si ritiene che anche le soluzioni prospettate - al fine di evitare che gli eredi possano essere chiamati a rispondere dei debiti erariali (anche in sede giudiziale) - siano giuridicamente condivisibili.
L'art. 65 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 stabilisce testualmente che: "gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa".
Pertanto, come correttamente indicato nel quesito, alla luce della norma richiamata, in caso di morte del debitore, coloro che accettassero l'eredità del de cuius, risponderebbero dei debiti tributari rimasti ancora insoluti.
Al contrario, al fine di evitare che l'Agente della Riscossione possa, in caso di morte del debitore, rivalersi nei confronti dei chiamati all'eredità, occorre che questi rinuncino espressamente all'eredità stessa.
Se il chiamato non intende accettare l'eredità (poiché, per esempio, i debiti sono superiori ai crediti), e si trova nel possesso dei beni ereditari (potrebbe essere il caso della figlia del de cuius), deve rinunciare all'eredità entro tre mesi dall'apertura della successione, secondo le regole di cui all'art.485 del c.c..
Tale articolo stabilisce che il chiamato:
"1. Quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Se entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di completarlo, può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi.
2. Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice.
3. Compiuto l'inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell'articolo 484 ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell'inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice".
Se il chiamato all'eredità non è nel possesso dei beni ereditari (potrebbe essere il caso della madre, della sorella, dei nipoti), egli ha dieci anni di tempo - dall'apertura della successione - per rinunciare all'eredità.
Tuttavia, in via prudenziale potrebbe essere opportuno, anche con riferimento ai chiamati non in possesso dei beni ereditari, effettuare la rinuncia espressa nel termine breve di tre mesi dall'apertura della successione.
Si precisa che la rinuncia all'eredità va fatta nei modi stabiliti dall'art. 519 del c.c., quindi con dichiarazione ricevuta da notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni.
In sostanza, la rinuncia all'eredità da parte dei chiamati all'eredità (nei termini e nei modi di legge), comporta che i chiamati non divengano eredi, e, pertanto, non potranno succedere nei rapporti passivi del de cuius.
Pertanto, la cd. diseredazione, cioè la disposizione testamentaria nella quale il de cuius dichiara di escludere un determinato soggetto dalla propria successione, non è necessaria - essendo sufficiente la rinuncia all'eredità - e, in ogni caso, non sarebbe consentita per i cd. legittimari, cioè le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti (si veda l'art. 536 del c.c., in particolare, il coniuge, i figli, gli ascendenti).
Allo stesso modo, non risulta necessaria alcuna sostituzione testamentaria, cioè la disposizione testamentaria nella quale il de cuius sostituisca all'erede istituito altra persona per il caso che il primo non possa o non voglia accettare l'eredità (cfr. art. 688 del c.c.).
Con riferimento all'eventuale successione dei chiamati all'eredità anche con riferimento alla posizione debitoria sub judice - la rinuncia all'eredità da parte dei chiamati determina la carenza di legittimazione degli stessi a stare in giudizio.
Infatti, la Giurisprudenza ha già da tempo ribadito che "In tema di successioni mortis causa, la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l'accettazione, mediante aditio oppure per effetto di pro herede gestio oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 485 c.c. Ne consegue che, in ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del de cuius, incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c., l'onere di provare l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, la quale non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta, quindi, un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità" (cfr. Cassazione civile, Sez. Lav., 30 aprile 2010, n. 10525).

Cesira A. chiede
martedì 24/11/2015 - Liguria
“Ho ereditato dei terreni su cui
è stata costruita la casa, di cui sono
l' unica proprietaria, dove dimora,
attualmente, la mia famiglia.
Mio marito deve pagare un debito, che
è stato rateizzato, per mancato pagamento
di tasse.
Se mio marito morisse prima di aver
assolto al pagamento, equitalia potrebbe
richiedermi il pagamento del residuo in
quanto proprietaria della casa e dei terreni?
Grazie per la risposta.

Cesira A.”
Consulenza legale i 28/01/2016
L'art. 65 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 stabilisce testualmente che: "gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa".
Pertanto, alla luce della norma richiamata, in caso di morte del debitore, coloro che hanno accettato l'eredità del de cuius, rispondono dei debiti tributari rimasti insoluti al momento dell'apertura della successione.
Al fine di evitare che l'Agente della Riscossione possa, in caso di morte del debitore, rivalersi nei confronti dei chiamati all'eredità, occorre che questi rinuncino espressamente all'eredità stessa.
Pertanto, se il chiamato non intende accettare l'eredità (poiché, ad esempio, i debiti sono superiori ai crediti), e si trova nel possesso dei beni ereditari, deve rinunciare all'eredità stessa entro tre mesi dall'apertura della successione, secondo le regole di cui all'art.485 del c.c..
Nel dettaglio, si ritiene utile riportare tale articolo, il quale stabilisce, con riferimento al chiamato all'eredità, che:
"1. Quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Se entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di completarlo, può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi.
2. Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice.
3. Compiuto l'inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell'articolo 484 ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell'inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice".
Se il chiamato all'eredità non è nel possesso dei beni ereditari, egli ha dieci anni di tempo - dall'apertura della successione - per rinunciare all'eredità.
Infine si precisa che la rinuncia all'eredità va fatta nei modi stabiliti dall'art. 519 del c.c., quindi con dichiarazione ricevuta da notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni.

Alcinaa chiede
mercoledì 13/07/2011 - Sicilia

Per motivi di salute, non ho potuto espletare la rinuncia all'eredità. Ho letto che si deve fare entro 3 mesi dall'avvenuto decesso (e non ero a conoscenza di tale termine) e ora ne sono passati 5. Come devo comportarmi?”

Consulenza legale i 22/07/2011

Il chiamato all’eredità perde la facoltà di rinunziare se, trovandosi nel possesso effettivo dei beni ereditari (c.d. possesso reale di beni ereditari o anche di uno solo del compendio – ipotesi facile se l’erede è membro della famiglia convivente con il de cuius), lascia passare tre mesi dall’apertura della successione senza alcun atto di rinunzia e senza che sia fatto l’inventario. È un’ipotesi di accettazione legale, coatta o presunta, per cui è considerato dalla legge erede puramente e semplicemente (v.art. 485 del c.c., salva l’ipotesi che abbia espletato pratiche relative all’accettazione con beneficio d’inventario, per cui c’è la possibilità di domandare una proroga al Tribunale per completare l’inventario).

Se, invece, non è nel possesso effettivo di alcun bene ereditario, il chiamato all’eredità può rinunziare finché il diritto di accettare non sia prescritto, cioè nel termine di dieci anni dall’apertura della successione.


Valentina chiede
venerdì 06/05/2011 - Lombardia
“Quando un erede effettua la rinunzia all'eredità, la parte che spettava a lui viene suddivisa tra gli altri eredi? Grazie!”
Consulenza legale i 06/05/2011

A seguito della rinuncia, che è un negozio giuridico di natura abdicativa, nelle successioni legittime troverà applicazione l’art. 522 del c.c., per cui in questo caso per diritto di accrescimento (anche se parte della dottrina nega possa qui parlarsene in senso tecnico, preferendo inquadrare il fenomeno come l'effetto di una ulteriore applicazione della norma sulla successione legittima, nella diversa fattispecie di concorso nascente in conseguenza di rinunzia), opererà ipso iure l'acquisto della quota del rinunziante da parte dei coeredi chiamati nello stesso grado, che avrebbero, altrimenti, concorso con lui, fatto salvo il diritto di rappresentazione (alle condizioni dell’art. 467 del c.c.) e il caso di entrambi i genitori che non vogliano/possano succedere, per cui agli ulteriori ascendenti spetta, secondo la regola dell’art. 569 del c.c., la quota che sarebbe spettata ad uno dei genitori in mancanza dell’altro (v. ultimo comma art. 571 del c.c.).

Nelle successioni testamentarie opera, invece, l’istituto dell’accrescimento tra coeredi disciplinato dall’art. 674 del c.c. e ss. a cui si rinvia per approfondimento (per certa dottrina, come accennato sopra, il "vero" accrescimento in senso tecnico è soltanto questo). Per l’operare dell’istituto sono necessarie le seguenti condizioni: tutti gli eredi devono essere stati chiamati con un unico medesimo testamento (c.d. conuiunctio verbis); le parti di ogni coerede non devono essere state determinate o devono essere state determinate in parti uguali (c.d. coniunctio re); non vi deve essere una diversa volontà del testatore, che escluda l'operare dell'accrescimento. Affinché la quota del rinunziante si accresca a quelle degli altri, non vi devono essere le condizioni per la sostituzione o la rappresentazione; di conseguenza quando il chiamato non può o non vuole accettare non si applica automaticamente l'accrescimento, ma si segue il seguente ordine di precedenza:

I. sostituzione,
II. rappresentazione,
III. accrescimento

Se nemmeno l'accrescimento sarà possibile si prospetterà la necessità di ricorrere alla successione legittima.


Flavio chiede
lunedì 04/04/2011 - Abruzzo
“qual è la procedura quando un figlio rinuncia all'eredità

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