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Articolo 467 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Nozione

Dispositivo dell'art. 467 Codice Civile

La rappresentazione fa subentrare i discendenti [legittimi e naturali](1) nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può [463] o non vuole accettare l'eredità o il legato(2).

Si ha rappresentazione nella successione testamentaria quando il testatore non ha provveduto(3) per il caso in cui l'istituito non possa o non voglia accettare l'eredità o il legato, e sempre che non si tratti di legato di usufrutto o di altro diritto di natura personale(4).

Note

(1) Comma così modificato con d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, in vigore dal 7 febbraio 2014.
(2) La rappresentazione opera laddove sussistano due requisiti:
1) il chiamato diretto (c.d. rappresentato) sia figlio o fratello del de cuius;
2) il rappresentato non possa o non voglia accettare l'eredità perché premorto, indegno, assente o abbia rinunciato all'eredità.
Per effetto della rappresentazione, il discendente del rappresentato succede nello stesso luogo e grado del proprio ascendente.
L'istituto in commento trova applicazione anche nella successione dei legittimari.
(3) La rappresentazione opera nella successione testamentaria a condizione che il testatore non abbia provveduto per le ipotesi di premorienza, assenza, indegnità o rinuncia, attraverso la nomina di un altro erede o legatario in luogo di quello che non può o non vuole accettare (c.d. sostituzione).
(4) La rappresentazione non si applica al legato di usufrutto e a quelli di natura personale, quali il legato di uso (v. art. 1021 del c.c.), di abitazione (v. 1022 del c.c.) o di alimenti (v. 433 del c.c.).

Ratio Legis

Scopo della norma è di consentire ai discendenti del figlio o del fratello del de cuius, che non può o non vuole accettare l'eredità, di subentrare nella quota di eredità o nel legato che spetterebbe all'ascendente.

Spiegazione dell'art. 467 Codice Civile

La rappresentazione è l'istituto giuridico che prevede il subentro di un soggetto (rappresentante) nel luogo e nel grado del suo ascendente (rappresentato) in relazione ad una successione ereditaria o all'acquisto di un legato nel caso in cui quest'ultimo
- non possa per:
commorienza(art. 4 del codice civile);
premorienza;
assenza (art. 48 del codice civile);
indegnità (art. 463 del codice civile);
prescrizione o decadenza dal diritto di accettare l'eredità (artt. 480 e 481 del codice civile);
diseredazione;
- non voglia per rinunzia (art. 519 del codice civile);
accettare l'eredità o il legato.

La dottrina ha elaborato diverse teoria sulla natura giuridica dell'istituto in esame:
  1. teoria della fictio iuris secondo la quale la rappresentazione altro non sarebbe che una finzione giuridica utilizzata dal legislatore al fine di far subentrare il rappresentante nel luogo e nel grado del rappresentato;
  2. teoria della conversione legale in base alla quale con la rappresentazione si determinerebbe la conversione della vocazione del rappresentato nella vocazione del rappresentante;
  3. teoria della vocazione indiretta che riconosce la vocazione del rappresentante come chiamata per relationem rispetto a quella del rappresentato;
  4. teoria della delazione indiretta in virtù della quale il rappresentante succederebbe solo ove il rappresentato non potesse o volesse accettare nonché nella medesima posizione e quindi il patrimonio ereditario offerto sarebbe qualitativamente e quantitativamente il medesimo.
La rappresentazione opera tanto con riferimento alla successione legittima quanto a quella testamentaria relativamente alla quale la rappresentazione trova la sua fonte nella legge in quanto, qualora fosse disposta dal testatore, si rientrerebbe nell'ambito della sostituzione ordinaria.


Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

235 Questi principi sono enunziati nell'art. 467 del c.c., art. 468 del c.c. e art. 469 del c.c.. Il primo di essi chiarisce il concetto di rappresentazione e ne fissa i limiti nel caso di successione testamentaria, affermando che la rappresentazione non ha luogo se il testatore ha fatto una sostituzione per il caso che l'istituito non possa o non voglia accettare l'eredità. A evitare il dubbio, del resto infondato, che i discendenti dell'istituito non possano reclamare la quota di riserva, nel caso in cui sia stata disposta la sostituzione, ho posto un chiarimento a questo riguardo nell'art. 536. L'art. 468 precisa i soggetti tra i quali vi è rappresentazione e le condizioni nelle quali questa ha luogo. L'art. 469 infine contempla i casi in cui si ha la successione per rappresentazione e il modo in cui si effettua la divisione fra i rappresentanti. In correlazione ai mutamenti introdotti in questo capo, ho soppresso e modificato talune disposizioni del progetto che non erano più compatibili con i nuovi principii, come sarà di volta in volta avvertito.

Massime relative all'art. 467 Codice Civile

Cass. civ. n. 29146/2022

La formale revoca della rinuncia sopraggiunta in pendenza del termine per l'accettazione dell'eredità fissato, ai sensi dell'art. 481 c.c., all'erede in rappresentazione, senza che questi abbia accettato, impedisce che possa aver luogo l'accrescimento a favore dei chiamati congiuntamente con il rinunziante; una volta concesso il termine, infatti, l'accrescimento può realizzarsi solo dopo lo spirare di esso e sempre che, nel frattempo, non sia intervenuta la revoca della rinunzia da parte del rinunziante o l'accettazione da parte del chiamato per rappresentazione.

Cass. civ. n. 2914/2020

La formulazione dell'art. 467 c.c., secondo la quale la rappresentazione fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado dell'ascendente, deve intendersi non già nel senso che i discendenti siano titolari dei medesimi diritti del rappresentato, ma piuttosto nel senso che gli stessi vengano a trovarsi nella medesima posizione e nel medesimo grado del rappresentato solo ai fini della misura della delazione ereditaria, la quale avviene peraltro direttamente nei confronti dei rappresentanti, che mantengono una posizione autonoma rispetto al rappresentato.

Cass. civ. n. 6747/2018

La legittimazione a chiedere la pronuncia di indegnità spetta a coloro che sono potenzialmente idonei a subentrare all'indegno nella delazione ereditaria e, quindi, anche al coerede che potrebbe beneficiare dell'accrescimento della propria quota qualora i successibili per diritto di rappresentazione in luogo del suddetto indegno non possano o non vogliano accettare l'eredità.

Cass. civ. n. 18319/2015

In caso di morte della parte, la notificazione tempestivamente effettuata, impersonalmente e collettivamente, nei confronti degli eredi, ex art. 303 c.p.c., è idonea a validamente riassumere il giudizio ed integrare il contraddittorio anche nei confronti di colui che, a seguito di rinunzia all'eredità effettuata dal proprio dante causa, originario chiamato all'eredità della parte deceduta, succeda a quest'ultima per rappresentazione, non rilevando che la rinunzia sia avvenuta oltre l'anno dalla morte del "de cuius", posto che, in caso di successione per rappresentazione, la chiamata all'eredità deve considerarsi avvenuta, per il rappresentante, fin dal momento di apertura della successione medesima.

Cass. civ. n. 594/2015

In tema di successione per rappresentazione, il discendente legittimo o naturale (rappresentante), nel subentrare nel luogo e nel grado dell'ascendente (rappresentato) - che non possa o non voglia accettare l'eredità - succede direttamente al "de cuius", sicché egli in qualità di successore "jure proprio" nell'eredità, è legittimato all'esercizio del retratto successorio.

Cass. civ. n. 5508/2012

L'indicazione dei soggetti a favore dei quali ha luogo la successione per rappresentazione, quale preveduta dagli artt. 467 e 468 c.c., è tassativa, essendo il risultato d'una scelta operata dal legislatore, sicché non è data rappresentazione quando la persona cui ci si vuole sostituire non è un discendente, fratello o sorella del defunto, ma il coniuge di questi.

Cass. civ. n. 4621/2012

In tema di successioni per causa di morte, deve escludersi che chi non sia ancora concepito al momento dell'apertura della successione e, quindi, sia privo della capacità di rendersi potenziale destinatario della successione "ex lege" del "de cuius", possa succedere per rappresentazione, essendo necessario, affinché operi la vocazione indiretta, che il discendente, in quel momento, sia già nato o almeno concepito.

Cass. civ. n. 11195/1996

La diseredazione, al pari della indegnità a succedere, non esclude l'operatività della rappresentazione a favore dei discendenti del diseredato.

Cass. civ. n. 3300/1976

L'istituto della successione per rappresentazione non opera a favore dei figli di cugini del de cuius.

Cass. civ. n. 1366/1975

La successione per rappresentazione costituisce un caso di vocazione indiretta in ragione della quale la posizione dell'erede rappresentante si determina in base al contenuto (luogo e grado) della vocazione del chiamato (rappresentato), nel presupposto determinante e qualificante che egli non possa o non voglia venire alla successione, e nei limiti soggettivi specificamente dettati dagli artt. 467 e 468 c.c. I suddetti limiti richiedono per la rappresentazione in linea retta che il c.d. rappresentato sia figlio (senza distinzione tra figli legittimi, legittimati, adottivi, naturali) del de cuius, e che il c.d. rappresentante sia discendente anche naturale del rappresentante, e per la rappresentazione in linea collaterale che il c.d. rappresentato sia fratello o sorella del de cuius e che il c.d. rappresentante sia discendente naturale del medesimo (tenendo anche presente la sentenza della Corte costituzionale n. 79 del 1969, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 c.c. — oltre che dell'art. 577 — limitatamente alla parte in cui esclude dalla rappresentazione il figlio naturale di chi, a sua volta figlio o fratello del de cuius, non potendo o non volendo accettare, non lasci o non abbia discendenti legittimi). È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 c.c. per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto sono stabiliti limiti soggettivi, in tema di rappresentazione, a proposito sia del rappresentato sia del rappresentante.

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Consulenze legali
relative all'articolo 467 Codice Civile

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V.B. chiede
venerdì 14/10/2022 - Basilicata
“Vorrei sottoporre alla vostra attenzione una problematica.
Decesso di un soggetto alla cui successione concorrono tre fratelli di cui uno deceduto. Il patrimonio viene diviso in tre parti uguali e la quota del fratello morto viene ripartita ai figli.
Sembrerebbe che nel riparto dell’imposta di successione, ai due fratelli in vita viene riconosciuta una franchigia di 100.000,00 € ciascuno, mentre nessuna franchigia verrebbe riconosciuta alla quota del fratello deceduto.
Non è una stortura?
Quella quota viene tassata solo perché c’è stato il decesso, ma i figli ereditano il diritto del genitore!!
DOMANDE:
Vi è qualche sentenza su tali casi?
Si potrebbe usare l’eventuale residuo della franchigia dei due fratelli in vita a favore della quota del fratello morto?”
Consulenza legale i 20/10/2022
Purtroppo le regole del diritto civile non sempre trovano perfetta rispondenza nella disciplina fiscale.
L’art. 467 c.c. sancisce la regola secondo cui in tutti i casi in cui il chiamato all’eredità non può o non vuole accettare l’eredità o il legato gli subentrano per rappresentazione i suoi discendenti legittimi e naturali, mentre il successivo art. 468 c.c. delimita dal punto di vista soggettivo l’operatività del diritto di rappresentazione, disponendo che possono assumere la posizione di rappresentati soltanto i figli (legittimi, legittimati e adottivi) ed i fratelli e le sorelle del defunto.

Caratteristica principale del diritto di rappresentazione, sempre da un punto di vista civilistico, è che il rappresentante, pur succedendo direttamente al de cuius e iure proprio, subentra nel luogo e nel grado del rappresentato e quindi gli viene devoluto quanto l'ascendente avrebbe ricevuto e, nell'ambito della posizione gerarchica dei successibili, egli si colloca là dove il rappresentato si sarebbe trovato se fosse venuto alla successione.
Tuttavia, va anche detto che secondo un recente orientamento della Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ. Sez. II ordinanza n. 2914 del 07.02.2020) i discendenti vengono a trovarsi nella medesima posizione e nel medesimo grado del rappresentato solo ai fini della misura della delazione ereditaria, la quale avviene direttamente nei confronti dei rappresentanti, che mantengono una posizione autonoma rispetto al rappresentato.
Già quest’ultimo orientamento può far dubitare della fondatezza, in un eventuale contraddittorio con l’amministrazione finanziaria, di una tesi quale quella prospettata nel quesito, che vorrebbe estendere anche ai rappresentanti del fratello del de cuius i benefici della franchigia prevista in favore di fratelli e sorelle del defunto.

A ciò si aggiungano le seguenti ulteriori considerazioni.
Il caso di specie ha formato oggetto, nei suoi esatti termini, di una consulenza giuridica da parte dell’Agenzia delle entrate, a seguito della quale la stessa Agenzia ha emanato, in data 12.02.2010, la risoluzione n. 8/E.
In detto provvedimento si legge, come si è accennato all’inizio, che “per costante giurisprudenza di legittimità la disciplina civilistica di un istituto è applicabile al campo tributario qualora l’ordinamento tributario non disciplini autonomamente la materia con proprie norme, anche se derogatorie rispetto a quelle civilistiche”.

Ebbene, ai fini dell’imposta di successione, l’articolo 2, comma 48, del decreto legge n. 262 del 2006, disciplina compiutamente i criteri per l’applicazione e la determinazione di tale imposta, fissando aliquote e franchigie differenti a seconda del rapporto di parentela intercorrente tra il de cuius e il beneficiario.
In forza di tale norma, dunque, il trattamento tributario risulta condizionato esclusivamente dal rapporto naturale (parentela o coniugio) esistente tra il de cuius e il beneficiario, dovendosi prescindere dal titolo della chiamata all’eredità.
Ciò comporta che in caso di rappresentazione la tassazione va effettuata non già ai sensi della lett. a bis) dell’art. 48, bensì ex lett. b).

A tal fine la stessa Agenzia delle Entrate richiama la decisione della Commissione Tributaria centrale n. 3418 dell’8 maggio 1990 (confermata da Cass. n. 6955 del 26.07.1994), nella quale si afferma, sebbene in riferimento alla normativa previgente, che una diversa interpretazione della norma, che dia rilevanza “…agli effetti della ‘rappresentazione’ comporterebbe ai fini tributari un inammisissibile ‘salto’ nel cosiddetto ‘ordine naturale di successione’ con una conseguente ed ingiustificata attenuazione della ratio del tributo successorio graduato…in ragione dell’ammontare dell’attivo ereditario, sul vincolo, più o meno stretto, di parentela esistente tra il dante causa e colui che in effetti è chiamato a godere dell’eredità”.

Pertanto, la conclusione a cui deve giungersi è che al rappresentante potrà essere riconosciuta la franchigia esclusivamente in base al suo rapporto di parentela con il de cuius originario (ossia, nel caso dei nipoti, come parenti in linea collaterale di terzo grado, rientranti, appunto, nella lett. b dell’art. 48 del Decreto Legge del 3 ottobre 2006, n. 262, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 24 novembre 2006, n. 286).

Risposta negativa va data anche all’ultima domanda posta, ovvero se ci si può avvalere delle franchigia dei due fratelli in vita a favore della quota del fratello morto.
Si tratterebbe, infatti, di voler realizzare una sorta di compensazione tra l’imposta dovuta dai fratelli e quella dovuta dai nipoti, fattispecie a cui nel caso di specie non è possibile fare ricorso.
Infatti, sebbene l’istituto giuridico della compensazione, per lungo tempo escluso dalla dottrina e dalla giurisprudenza, sia stato introdotto in ambito tributario dall’art. 8 comma 1 della Legge 212/2000, per esso vale pur sempre il principio generale espresso dall’art. 1241 del c.c., secondo cui la compensazione, quale modo satisfattorio di estinzione dell’obbligazione, può aver luogo soltanto tra due persone obbligate l’una verso l’altra (in questo caso, invece, difetterebbe proprio tale presupposto, trattandosi di voler compensare un “credito d’imposta” dei fratelli viventi con un “debito di imposta” dei nipoti).


Pierantonio G. chiede
giovedì 02/04/2020 - Lazio
“Buonasera,
vorrei dei chiarimenti in merito all'istituto della rappresentazione ipoteticamente connesso all'accettazione tacita dell'eredità per fatti concludenti. Vi illustro, in sintesi, il caso in esame.

Tizia ha un debito risalente nei confronti di Filano, che non ha interesse ad adempiere. A seguito del decesso di Tizia, il figlio Caio - unico erede - si reca da un notaio per la rinuncia all'eredità della madre, puramente e semplicemente. Dopo qualche anno muore anche Sempronia, madre di Tizia, lasciando in eredità una proprietà immobiliare che viene volturata a Mevio e Mevia, figli di Sempronia e fratelli di Tizia, nonché al nipote Caio in virtù dell'istituto della rappresentazione e nella qualità di rappresentante della madre.
Successivamente l'immobile passato in eredità viene ceduto dagli eredi di Sempronia in favore di terzi.

Tanto premesso vorrei porVi i seguenti quesiti:
-posto che Caio aveva rinunciato espressamente alla qualità di erede della madre Tizia, può successivamente conservare il diritto di subentrare a quest'ultima per rappresentazione senza incorrere in accettazione tacita dell'eredità per fatti concludenti?
-in questo caso, ricorrere al rimedio della rappresentazione può costituire un atto che presupponga necessariamente la volontà di accettare l'eredità ovvero un atto che non poteva essere posto in essere se non nella qualità di erede?
-Mevio e Mevia, figli di Sempronia, avrebbero potuto opporre la precedente rinunzia di Caio contestandogli il diritto di ricorrere alla rappresentazione con l'effetto, di fatto, di provocare una riduzione delle proprie quote ereditarie di spettanza?
-Filano ha diritto di richiedere il pagamento del proprio credito a Caio nella qualità di erede della madre Tizia? Può procedere al sequestro conservativo del conto corrente utilizzato per la compravendita immobiliare pur non avendo ancora costituito un titolo giudiziale?”
Consulenza legale i 11/04/2020
Tutti i dubbi che vengono sollevati con il quesito in esame sono strettamente connessi ad un corretto inquadramento dell’istituto giuridico della rappresentazione in ambito successorio.

Come si presume sia ben noto, la delazione, ossia l’individuazione del chiamato all’eredità per vocazione testamentaria o legale, coincide sempre con il momento dell’apertura della successione.
Se il chiamato accetta l’eredità, la delazione raggiunge il suo scopo e la vicenda successoria si esaurisce con l’individuazione di colui o coloro che assumono la posizione di eredi del de cuius.
Se, invece, il chiamato non vuole accettare (perché vi rinunzia ex art. 519 del c.c. comma 1 o per perdita del diritto di accettare ex artt. 481 e 487 comma 3 c.c.) o non può farlo (per incapacità ex artt. 598 e ss. c.c., indegnità, assenza ex art. 70 del c.c., o premorienza, come nel caso di specie), si pone il problema di individuare chi subentrerà al suo posto.

Per tale ipotesi, occorre innanzitutto distinguere a seconda che si tratti di:
  1. successione testamentaria: in questo caso occorre indagare quale fosse la volontà del de cuius, ed in particolare se lo stesso abbia previsto la c.d. sostituzione ordinaria;
  2. successione legittima, nel qual caso si applicheranno le regole dettate dagli artt. 467 e ss. c.c. in materia di rappresentazione.

La rappresentazione è, dunque, un istituto generale successorio che fa subentrare all’infinito (ex art. 469 del c.c.) i discendenti legittimi o naturali (definiti rappresentanti) nel luogo e nel grado del loro ascendente (definito rappresentato) che non può o non vuole accettare (così il primo comma dell’art. 467 del c.c.), a condizione che il rappresentato sia figlio legittimo, legittimato, adottivo o naturale del defunto ovvero suo fratello o sorella.

Quanto appena detto, ci consente già di poter affermare che nel caso di specie sussistono tutti i presupposti per l’operatività della rappresentazione, in quanto alla morte di Sempronia, si apre la successione legittima (nel quesito non si fa alcun cenno a testamento), assumendo la posizione di delati, ossia chiamati all’eredità, i figli della stessa ex art. 566 del c.c..
Poiché Tizia è premorta alla madre Sempronia, sarà il figlio Caio a prendere il suo posto e trovarsi nella posizione di delato, acquisendo così il diritto di accettare o rinunziare all’eredità.

Caratteristica principale di questa forma di successione, definita per rappresentazione, è che il c.d. rappresentante, ossia nel nostro caso Caio, succede al defunto Sempronia iure proprio, e non già per il tramite della persona del c.d. rappresentato.
Da ciò ne consegue che è del tutto irrilevante che il rappresentante (Caio) sia, ad esempio, indegno o incapace a succedere nei confronti del rappresentato (Tizia) o che abbia, nell’ipotesi specifica di premorienza dello stesso rappresentato (Tizia) al de cuius (Sempronia), rinunziato alla sua eredità (in tal senso, del resto, si esprime abbastanza chiaramente il secondo comma dell’art. 468 c.c.).

Pertanto, cercando adesso di dare una risposta alle singole domande poste, alla luce di quanto sopra riportato, può dirsi che:
  1. Caio può legittimamente rinunciare all’eredità della madre Tizia ed accettare, a seguito di successione per rappresentazione, l’eredità della nonna Sempronia;
  2. l’accettazione dell’eredità di Sempronia non può in alcun modo essere qualificata come accettazione tacita dell’eredità di Tizia, in quanto il rappresentante (Caio) succede al de cuius (Sempronia) iure proprio, ossia in virtù di un autonomo titolo successorio;
  3. Mevio e Mevia non possono opporre alcunché, in quanto Caio ha un diritto a succedere del tutto eguale al loro;
  4. Filano, creditore di Tizia, non può vantare alcun credito nei confronti di Caio, in quanto quest’ultimo ha legittimamente rinunziato all’eredità di Tizia e, dunque, non è tenuto a rispondere dei suoi debiti.

Diversa sarebbe stata la situazione se la morte di Tizia si fosse verificata anche un istante dopo la morte di Sempronia, dunque subito dopo l’apertura della successione di Sempronia, ma prima che Tizia abbia potuto manifestare la volontà di accettare o rinunziare.
In questo caso viene meno il presupposto per l’operatività della rappresentazione, ed al posto del chiamato defunto subentreranno i suoi eredi legittimi o testamentari, i quali troveranno nel patrimonio, tra i vari diritti, anche quello di accettare l’eredità del primo de cuius (si tratta del diverso istituto giuridico della trasmissione del diritto di accettare, previsto dall’art. 479 del c.c.).
Pertanto, se Sempronia avesse istituito erede Tizia e questa, apertasi la successione di Sempronia, avesse temporeggiato ad accettare o non avesse avuto il tempo di farlo, alla morte di Tizia le subentrerà Caio, e nel suo patrimonio troverà anche il diritto di accettare l’eredità di Sempronia.
In questo caso, a prescindere dal fatto che sarebbe nulla una accettazione parziale dell’eredità (così il terzo comma dell’art. 475 del c.c.), l’accettazione dell’eredità di Sempronia varrebbe anche come accettazione tacita dell’eredità di Tizia (e, pertanto, su Caio graverebbero anche i debiti della stessa Tizia).

Un’ultima considerazione va necessariamente fatta: non ci si faccia trarre in inganno da quanto disposto dall’art. 524 del c.c., il quale attribuisce ai creditori del defunto il diritto di farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e per conto del rinunziante qualora il chiamato vi rinunzi, arrecando così un danno agli stessi creditori e pur se la rinunzia sia stata fatta senza alcun intento fraudolento.
A seguito dell’esercizio di tale diritto, la rinuncia del chiamato conserva pur sempre i suoi effetti, ed i creditori potranno soltanto soddisfarsi sui beni dell’eredità di Tizia fino alla concorrenza del loro credito, tra i quali non vi si può far rientrare quanto Caio ha conseguito da Sempronia, perché, come più volte precisato, Caio viene chiamato all’eredità di questa per diritto proprio.


Nino D. C. chiede
lunedì 02/01/2017 - Abruzzo
“Nel luglio 2016 è morto nostro zio T. non coniugato, senza figli e senza ascendenti .Gli sono premorti :nel 1988 il fratello D. , nel 1996 la sorella A . e nel 2007 la sorella E. (mia madre) . Essi avevano rispettivamente : 2 figli il fratello D. , 2 figli la sorella A. e 3 figli la sorella E.
In tutto succedono quindi 7 nipoti . E’ in corso la divisione dell’eredità del conto in banca dello Zio T. . Con riferimento al quesito N.12522 del 28/02/2015 da voi pubblicato (posto da Stefania M. Lazio) e che mi è sembrato simile al nostro caso, nel punto 2 voi asserite che " l'eredità dovrebbe essere divisa in parti uguali tra tutti i parenti dello stesso grado: nel caso di specie, tra tutti i figli dei fratelli e sorelle premorti della de cuius".
Nel nostro caso, la divisione di una prima quota del conto corrente suddetto, sta avvenendo in questo modo : a ognuno dei tre figli della sorella E. una quota pari ai 2/18, mentre ad ognuno degli altri 4 miei cugini una quota pari ai 3/18.
E’ come dire che per 4 nipoti ( i miei cugini) la consistenza del vincolo di sangue e l’ intensità di affetto (addirittura quantificata) è stata ed è più grande rispetto agli altri tre cugini. Io sono uno dei quei tre e sono anche quello che negli ultimi 20 anni lo ha accolto, come se fosse mio padre, a pranzare insieme nella mia famiglia e a preparargli la cena . La successione la sta curando uno dei cugini che asserisce che tutto sta avvenendo secondo quanto prevede la legge . Io non ne sono convinto .
La domanda che vi pongo è : qual è la quota di eredità spettante a ogni erede e quale art. di legge o sentenza lo sancisce ?

Consulenza legale i 16/01/2017
La successione, nella fattispecie, sta avvenendo correttamente.

Viene in considerazione, in primo luogo, nel caso in esame l’art. 572 cod. civ., secondo il quale se qualcuno muore senza lasciare figli, genitori “né fratelli o sorelle o loro discendenti, la successione si apre a favore del parente o dei parenti prossimi, senza distinzione di linea”.
La regola sancita dal suddetto articolo è quella per cui il parente più prossimo esclude i remoti e, tra parenti di pari grado, la divisione avviene in parti uguali.

E’ bene porre l’attenzione sul fatto che non casualmente la norma dice “né fratelli o sorelle o loro discendenti: infatti, questi ultimi sono esclusi dalla regola dell’esclusione per prossimità di grado perché nei loro confronti vale invece il diverso istituto della rappresentazione, di cui all’art. 467 cod. civ..
Quest’ultimo recita “La rappresentazione fa subentrare i discendenti (…) nel luogo e nel grado del loro ascendente in tutti i casi in cui questi non può (come nel caso di premorienza) o non vuole accettare l’eredità o il legato”. Inoltre, il successivo art. 468 cod. civ. specifica che la rappresentazione può avvenire o in linea retta, a favore dei discendenti dei figli del de cuius, oppure in linea collaterale, a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto (come nel nostro caso).

La giurisprudenza afferma sul punto: “In tema di successione per rappresentazione il discendente rappresentante che subentri nel luogo e nel grado dell'ascendente rappresentato, che non possa o non voglia accettare l'eredità, succede direttamente al "de cuius", con la conseguenza che la detta eredità è a lui devoluta nella identica misura che sarebbe spettata al rappresentato.” (Cassazione civile, sez. II, 02/02/2016, n. 1987).

Tornando dunque al quesito, dal combinato disposto della due norme sopra citate (ovvero dalla combinazione delle regole dettate dall’una e dall’altra) si evince che i cugini, essendo i discendenti di fratello e sorelle del de cuius, succedono a questi ultimi per rappresentazione nella medesima posizione che essi avrebbero avuto.
Tale posizione è quella specificata dall’art. 570 cod. civ.: “A colui che muore senza lasciare prole, né genitori, né altri ascendenti, succedono ii fratelli e le sorelle in parti uguali”.
Pertanto:
- al fratello ed alle sorelle premorti (D., A. ed E.) sarebbe spettato 1/3 ciascuno dell’eredità di T.;
- tale terzo si suddivide, a sua volta, in parti uguali, tra i discendenti (che subentrano ai genitori per rappresentazione), ovvero 1/6 (3/18) a ciascuno dei due figli di D; 1/6 (3/18) a ciascuno dei due figli di A; ed infine 1/9 (2/18) a ciascuno dei tre figli di E.

Gian Paolo G. chiede
domenica 18/12/2016 - Emilia-Romagna
“Buongiorno Gentilissimi Avvocati : La mia amica "Cinzia" mi chiede di porvi questo quesito.
Cinzia ha i genitori molto anziani, di anni 88 e anni 85. Cinzia avendo un problema con Equitalia per cartelle non pagate, e problemi con un creditore a cui deve dei denari, vorrebbe in caso di decesso dei genitori, rinunciare all' eredita. Trattasi di un immobile, che è l' abitazione dei genitori, e due libretti Postali.
Cinzia ha un figlio di 30 anni, vorrebbe che questa eredità andasse a suo figlio.
In pratica vuole rinunciare all' eredità, a favore del figlio.
Il quesito è il seguente ; Cinzia è consigliabile che si rivolga ad un Notaio, e far fare al Notaio, tutte le pratiche necessarie a risolvere tale problema, naturalmente sostenendo anche le spese,per il lavoro del Notaio ecc. ecc. che non saranno poche.?
O Cinzia può lei stessa, inviare delle comunicazioni, mediante lettere raccomandata A.R, ai vari Enti, non so.? Ufficio del Registro, Catasto, Uff. delle Entrate. O altro.? Deve specificare eventualmente nella Raccomandata, in cui scrive che rinuncia all' eredità da subito, in favore del figlio, o è sufficiente che scriva, che rinuncia all' eredità. Punto.! Vi ringraziamo.”
Consulenza legale i 26/12/2016
La rinuncia dell’eredità cui si è chiamati “a favore” del figlio non solo è possibile ma è prevista e disciplinata dalla legge.

Opera, infatti, nei casi come questo l’istituto della cosiddetta “rappresentazione” (art. 467 cod. civ.), secondo il quale i discendenti del chiamato all’eredità (in questo caso “Cinzia”) che non possa o non voglia accettare quest’ultima, subentrano “nel luogo e nel grado” del loro ascendente.

Il caso concreto al nostro esame rientra perfettamente nella fattispecie sopra descritta: ovvero il chiamato all’eredità (“Cinzia”) è figlio dei defunti: se rinuncia, subentrerà in suo luogo il suo discendente, ovvero il figlio trentenne.
Subentro nello stesso luogo e grado”, significa che il discendente a favore del quale opera la rappresentazione (nel nostro caso, il figlio di “Cinzia”) sostituisce in tutto e per tutto il posto del suo ascendente (ne "prende il posto").

La rinuncia è un atto formale e non può essere sufficiente, a determinarne gli effetti tipici, una semplice dichiarazione di volontà manifestata attraverso – ad esempio - una raccomandata ai vari enti interessati.
Tuttavia, l’art. 519 cod. civ. così prescrive: “La rinunzia all'eredità deve farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni”.
Come si vede, quindi, non è indispensabile rivolgersi al notaio, ma è possibile e legittimo effettuare la rinuncia avanti al Cancelliere del Tribunale competente per territorio, che è quello dell’ultimo domicilio del defunto.
In tale ultima eventualità, basta fissare un appuntamento e portare con sé:
- il certificato di morte in carta libera o dichiarazione sostitutiva di certificazione di morte;
- il certificato ove risulta l’ultima residenza o domicilio del defunto;
- la copia del codice fiscale del rinunciante e del de cuius;
- il documento di identità valido del rinunciante;
- la copia autentica dell’eventuale testamento;
- la copia autentica dell’autorizzazione del giudice tutelare, se trattasi di minorenni o persone dichiarate interdette o inabilitate.
Il giorno dell’atto si dovrà, altresì, presentare una marca da bollo da applicare all’originale dell’atto e la ricevuta di versamento effettuata.

Laura M. chiede
lunedì 19/09/2016 - Liguria
“ho fatto testamento come da voi dettomi, ho lasciato erede universale mio figlio R. con usufrutto vita natural durante della casa.
ho 85 anni, della casa dove abito io possiedo un terzo, un terzo mio figlio F. e un terzo mio figlio R. il terzo di mio figlio F. lo ha acquistato mio figlio R. quindi due terzi sono suoi. ho una società che avevo al 50% con mio marito, l'altro 50% e' stato diviso 1/3 a me, 1/3 a mio figlio R. e 1/3 a mio figlio F.: la quota di F. e' stata acquistata da mio figlio R. alla mia morte, cosa andrebbe a mio figlio F. -deceduto- cioè alle sue due figlie alle quali non vorrei lasciare niente? cosa devo fare ? le mie due nipoti ancora adesso stanno litigando fra di loro e tutte e due hanno preso un avvocato ! naturalmente sia io che mio figlio non entriamo nel merito, sono cose loro.”
Consulenza legale i 19/09/2016
Va innanzitutto chiarito, richiamando quanto già illustrato nella precedente consulenza, che se nel testamento risulta scritto testualmente che il figlio R. è istituito “erede universale”, la disposizione testamentaria in questione potrà essere invalidata dalle nipoti perché contraria alla legge (dal momento che, come già chiarito, il figlio F. ha diritto comunque alla sua quota di legittima: 1/3, nel caso di specie).
In pratica, il testamento non è attualmente invalido o inefficace, ma rimane pienamente valido fino al momento in cui l’erede legittimario pretermesso (cioè dimenticato) o diseredato (in questo caso, le nipoti) non agisca in giudizio con la cosiddetta azione di “riduzione” delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima, al fine di conseguire appunto la quota che gli spetta.
Il risultato finale, in ogni caso, sarà quello già illustrato in precedenza: dovrà essere, cioè, riservato un terzo del patrimonio alle nipoti, mentre il residuo patrimonio ereditario (2/3) andrà tutto al figlio R.

Si noti bene che il diritto alla legittima è di natura quantitativa e non qualitativa, per cui le nipoti non potranno pretendere l’attribuzione di un bene piuttosto che di un altro, ma solo che venga rispettata la “quantità” di patrimonio loro spettante.

Ciò detto, il modo di agire più opportuno sarebbe quindi quello di rifare subito il testamento, con l’aiuto di un notaio tentare di calcolare l’ammontare più preciso possibile della quota di legittima (cioè che valore monetario ha un terzo del patrimonio materno) e stabilire già nel testamento, nello specifico, cosa spetterà alle nipoti (ad esempio una determinata somma di denaro, che soddisfi la legittima; oppure ancora determinati beni mobili di ammontare complessivo pari alla legittima; si potrà, quindi, escludere – se i calcoli lo permettono – che le nipoti abbiano una quota della casa di cui è usufruttuaria la nonna, il cui nudo proprietario sarà solo il figlio R.).
In questo caso la testatrice, che purtroppo non ha modo di “diseredare” le nipoti, avrà però il diritto di scegliere cosa andrà e cosa no a queste ultime.

Non si comprende bene - quando nel quesito è scritto che, sia della casa che delle quote societarie, il terzo del figlio F. “è stato acquistato” dal figlio R. - se si faccia riferimento ad un acquisto vero e proprio, già intervenuto, oppure a quanto accadrà per effetto del testamento redatto.
Nel primo caso, varrà la regola più volte richiamata: quanto già acquisito in vita dal figlio F. entrerà nella successione di quest’ultimo e rimarrà alle sue figlie mentre per il resto il patrimonio materno verrà suddiviso, alla morte della mamma, in modo che alle nipoti ne spetti un terzo.
Nel secondo caso, si è già risposto sopra.

Luigi M. chiede
lunedì 05/09/2016 - Piemonte
“Mio padre e mia madre erano proprietari di un alloggio. Il mio unico fratello è deceduto quattro anni addietro, lasciando la moglie ed una figlia che ora ha 16 anni. Mia madre e mio padre hanno redatto (separatamente) un testamento olografo, nominandomi erede universale. Alla morte di mia madre, avvenuta lo scorso anno, ho provveduto a far pubblicare il suo testamento, pertanto, il 50% dell’alloggio è stato intestato a me, mentre il restante è ancora intestato a mio padre (ancora in vita). Il notaio che ha proceduto alla pubblicazione del testamento non ha inteso di ciò avvertire la moglie di mio fratello in quanto afferma che non è previsto.
Di recente, con mio grande stupore, ho appreso da un avvocato che anche mia cognata, rivolgendosi al giudice, avrebbe diritto ad una parte dell’eredità per sé, mentre io sapevo che tale diritto aspetta solo alla unica figlia di mio fratello.
E’ vero che mia cognata potrebbe adire (per proprio conto e nel suo interesse, quindi, non nell’interesse della figlia) il giudice ed ottenere parte dell’eredità? Questo mi dispiacerebbe molto in quanto la predetta, oltre ad essere di fatto separata con il marito, da diversi anni non aveva alcun rapporto con i miei genitori e se ne disinteressava completamente.
Per quanto attiene mia nipote (ora minorenne), per rispetto al mio defunto fratello, alla morte di mio padre e dopo averne fatto pubblicare il testamento, intendo donarle il denaro relativo ad un terzo del valore del suindicato immobile, senza cioè che si rivolga (o altri lo facciano per suo conto se ancora minorenne) al giudice.
Certo di ricevere gli opportuni chiarimenti e suggerimenti ringrazio e saluto cordialmente.”
Consulenza legale i 07/09/2016
Il nostro ordinamento prevede il c.d. istituto della rappresentazione che opera ogniqualvolta un erede non possa o non voglia accettare l’eredità: il suo diritto si trasmetterà in capo ai suoi discendenti, ai sensi dell’art. 467 c.c.

La norma in commento è piuttosto chiara e scevra da dubbi interpretativi: “La rappresentazione fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l’eredità o il legato”. In altre parole, solo sua nipote potrebbe vantare dei diritti successori nei confronti dei nonni: la mamma (sua cognata), in quanto affine, non può vantare alcun tipo di diritto successorio, in quanto tale istituto è stato previsto dal legislatore anche per rafforzare i legami di consanguineità. La nuora, pertanto, non essendo consanguinea, non potrà ereditare alcunché.

Diverso è il caso della nipote: questa infatti subentra nei diritti successori del padre premorto, e avrebbe pertanto diritto ad una quota di eredità pari ad un quarto dell’intero patrimonio (metà spetta a suo padre e l’altra metà deve essere divisa in parti uguali tra i figli: un quarto a testa). Nel caso di specie vi è una ulteriore peculiarità: essendo la nipote minorenne, i suoi diritti potrebbero essere fatti valere dalla madre in quanto genitore esercente la responsabilità genitoriale.

Sicuramente sua cognata non potrebbe agire in proprio ma solo in quanto genitore della figlia minorenne.

Alla morte di suo padre, pertanto, sarebbe opportuno convocare dal notaio anche sua nipote, onde evitare eventuali controversie future.

David M. chiede
martedì 22/03/2016 - Puglia
“Tizio, Caio e Mevio (fratelli)sono chiamati all'eredità ab intestato lasciata da un loro genitore. Tizio e Caio hanno dei figli minorenni ed allora accettano l'eredità e donano le rispettive quote ereditarie al fratello Mevio. Ora, i figli di Tizio e di Caio, divenuti maggiorenni, quali diritti hanno ( per esempio,ex art. 467 C.C.) sulla predetta eredità? Possono attaccare la suindicata donazione? Quali pretese possono avanzare verso il (loro zio) Mevio?”
Consulenza legale i 30/03/2016
In primo luogo occorre chiarire che l'istituto della rappresentazione di cui all'art. 467 c.c. opera quando i discendenti subentrano nel luogo e nel grado del loro ascendente laddove questi non possa o non voglia accettare l'eredità (o il legato) del de cuius.

Nel caso di specie non vi è stata rappresentazione, poiché l'eredità del de cuius è stata devoluta e accettata dai suoi figli Tizio, Caio e Mevio: la rappresentazione avrebbe invece operato qualora Tizio e Caio non avessero accettato la loro quota di eredità e al loro posto fossero subentrati i loro figli.

Ciò premesso, occorre osservare che, in linea generale, colui che accetta una quota di eredità finché è in vita può disporne come preferisce, anche mediante donazioni. La donazione, ai sensi dell'art. 800 c.c., può essere revocata per ingratitudine o per sopravvenienza di figli: la domanda di revocazione deve essere proposta dal donante o dai suoi eredi, contro il donatario o i suoi eredi, entro l'anno dal giorno in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consente la revocazione.
Nel caso di specie, tuttavia, ciò non sembra possibile, non essendosi venuta a configurare nessuna di tali cause. In altre parole, finché il donante è in vita e, comunque, finché non ricorre una delle indicate situazioni che permettono la revoca, la donazione non è attaccabile.

Diverso è invece lo scenario che si viene a configurare alla morte di Tizio e di Caio. Infatti, poiché i beni del de cuius sono entrati a far parte del patrimonio dei figli Tizio e Caio nel momento in cui questi ultimi hanno accettato l'eredità, con le donazioni effettuate a favore di Mevio essi potrebbero aver pregiudicato la quota di legittima spettante ai loro figli maggiorenni.

Nella successione testamentaria viene infatti tutelata la posizione dei congiunti più stretti del de cuius, ai quali, in qualità di legittimari, la legge riserva determinate porzioni del patrimonio dello stesso, anche contro la sua volontà. Tali quote sono definite “quote di riserva” o "legittima", e rappresentano quella parte di eredità di cui il testatore non può disporre né a titolo di liberalità né mortis causa (c.d. “quota indisponibile” del patrimonio), poiché riservate ai legittimari o riservatari (in tal senso, fra le molte, Cass. n. 11737/2013; Cass n. 13524/2006).

Quando la quota di legittima viene violata dal de cuius per effetto di donazioni fatte a terzi, al fine di reintegrare tale quota di legge è necessario esercitare l'azione di riduzione di cui agli artt. art. 553 del c.c. e ss. c.c.: mediante tale azione colui che la esperisce chiede al giudice di far dichiarare invalidi (integralmente o parzialmente) gli atti, inter vivos o mortis causa, che hanno prodotto la lesione della quota riservate per legge (la cosiddetta "legittima" appunto), in quanto eccedevano la quota di cui il de cuius poteva liberamente disporre. L'azione può essere esperita, oltre che dai legittimari (nel caso di specie, i figli di Tizio e Caio), anche dai loro eredi e aventi causa, ed è soggetta all'ordinario termine di prescrizione di dieci anni.

Per calcolare l'ammontare della lesione subita dai legittimari e quindi capire di quanto dovrà essere integrata per prima cosa si svolgerà la cosiddetta "riunione fittizia", cioè una operazione matematico-contabile mediante la quale si imputerà al patrimonio del de cuius (soggetto della cui successione si discute) il valore dei beni a lui già intestati, decurtato dai debiti, e di tutte le donazioni da egli compiute in vita.

Come ha chiarito anche la giurisprudenza, il legittimario diverrà erede della quota che gli spetta (quota di legittima) solamente quando avrà esercitato vittoriosamente l’azione di riduzione, mediante la quale le disposizioni lesive della quota di legittima diverranno quindi inefficaci nei confronti del legittimario leso (Cass. n. 10775/1996; n. 5591/1981).

Una volta esperita vittoriosamente l'azione di riduzione e accertata quindi in via giudiziale la lesione della legittima, il legittimario dovrà esercitare sempre in via giudiziale la cosiddetta "azione di restituzione", mediante la quale potrà ottenere la soddisfazione concreta dei suoi diritti. Il legittimario quindi eserciterà l'azione di restituzione contro i beneficiari (o eventualmente contro i terzi che hanno acquistato dai beneficiari i beni oggetto di azione) delle disposizioni ridotte per recuperare quanto ancora presente nel loro patrimonio.

In conclusione, finché Tizio e Caio sono in vita, i loro figli nulla potranno fare avverso le donazioni da costoro effettuate in favore del fratello Mevio. Al momento della morte di Tizio e Caio, invece, i figli di questi ultimi potranno esercitare l'azione di riduzione (e, in caso di esito positivo di quest'ultima, la conseguente azione di restituzione) nei confronti di Mevio o dei suoi eredi, nel caso in cui mediante tali atti di liberalità si sia venuta a configurare una lesione della loro quota di legittima.
E' chiaro che per valutare in via preliminare la ricorrenza dei presupposti necessari per un eventuale esito favorevole dell'azione di cui sopra occorre fare una valutazione del patrimonio complessivo di Tizio e Caio in rapporto al valore delle donazioni delle quote ereditarie a suo tempo effettuate.

Maria L. B. chiede
giovedì 03/12/2015 - Calabria
“Sono vedova.Alla morte di mio marito eravamo separati (ma non divorziati),difatti da anni percepisco dall' Inps una pensione della categoria SO(superstiti).Ora è morto il padre di mio marito(mio suocero).Ho diritto a ereditare una quota del patrimonio anch'io, o soltanto mia figlia (maggiorenne) in quanto discendente del padre?”
Consulenza legale i 10/12/2015
La nuora (separata o meno) non rientra tra i soggetti che la legge qualifica come legittimari, cioè ai quali viene riservata per legge una quota del patrimonio del de cuius. Sono tali, infatti, solo il coniuge, i figli e gli ascendenti (art. 536 del c.c.).

La legge neppure la individua come successore per il fatto che il marito, figlio del defunto, sia a lei premorto.
L'ordinamento infatti prevede, per l'ipotesi che un chiamato non possa o non voglia accettare, l'istituto della rappresentazione (art. 467 co. 1 c.c.), che però si attiva solo quando il chiamato (rappresentato) è un figlio, un fratello o una sorella del de cuius, e opera a favore dei suoi discendenti (rappresentanti) (art. 468 del c.c.). Escluse quindi le nuore.

Per completezza va peraltro precisato che l'operatività della rappresentazione viene esclusa tutte le volte in cui il testatore abbia già individuato egli stesso il successore in luogo di un chiamato che non avrebbe voluto o potuto accettare l'eredità (c.d. sostituzione, art. 688 del c.c.): in questo caso il soggetto indicato dal testatore succede in luogo del chiamato che non può accettare.

Solo la figlia della vedova/nuora, pertanto, ha titolo per succedere.


Massimo chiede
lunedì 30/04/2012 - Sicilia

“Quesito: alla morte di soggetto (senza figli ne eredi diretti/o altro) che ha fatto testamento in favore di terzi estranei, ai fratelli della consorte premorta tocca una rappresentanza nell'asse ereditario? E se si in che proporzione? grazie”

Consulenza legale i 02/05/2012

Con il testamento, il nostro ordinamento attribuisce ad un soggetto il diritto di disporre delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

Unico limite a tale volontà consiste nel rispetto della cd. quota legittima, ossia una quota dell'eredità riservata per legge ad una categoria di successibili denominati legittimari. Ai sensi dell'art. 536 del c.c. sono tali il coniuge superstite, i discendenti legittimi e naturali, gli ascendenti legittimi.

Nel caso prospettato non sussistono legittimari, pertanto il de cuius ha potuto liberamente devolvere l'eredità a suo piacere.

Infatti, i fratelli della consorte del de cuius, la quale era già venuta a mancare, non possono vantare alcun diritto a carico dell'eredità, poiché secondo la legge non solo non sono legittimari ma non risultano nemmeno parenti del defunto.


Stefano K. chiede
martedì 24/04/2012 - Liguria
“in caso di morte di una persona nubile,senza genitori,senza figli con tre fratelli germani e un fratellastro tutti e quattro deceduti,come viene divisa l'eredità tra due nipoti figli di un fratello e un nipote figlio del fratellastro?”
Consulenza legale i 25/04/2012

Nella successione legittima, la legge individua un sistema completo di categorie di successibili che vanno dai più stretti congiunti fino allo Stato. Regola cardine è quella dell'esclusione per prossimità di grado, in base alla quale il parente più prossimo esclude tutti gli altri.

In tale ambito, a colui che muore senza lasciare prole, nè genitori nè altri ascendenti, succedono i fratelli e le sorelle in parti uguali. I fratelli e le sorelle unilaterali conseguono la metà della quota che in concreto andrà ai germani.

Se poi i fratelli, sia germani che unilaterali, siano premorti, verrà in applicazione l'istituto della rappresentazione che, in base all'art. 467 del c.c. e s.s., permette ai loro discendenti legittimi e naturali di subentrare nel luogo e nel grado dei loro ascendenti quando questi non possano o non vogliano accettare l'eredità.

Nel caso di specie quindi l'eredità andrà divisa tra i discendenti dei fratelli germani premorti ed il discendente del fratello unilaterale anch'egli premorto, i quali subentreranno nella posizione del loro ascendente. E' opportuno ricordare che il discendente del fratello unilaterale avrà diritto alla quota che sarebbe spettata al suo ascendente, pari cioè alla metà della quota che in concreto avrebbe conseguito ciascun fratello germano.


Annalisa chiede
venerdì 20/04/2012 - Lazio
“nell'eredità tra cugini, se un cugino è morto prima possono subentrare la moglie ed i figli, oltre i cugini rimasti?. Se si, si può impugnare la vendita degli immobili?”
Consulenza legale i 20/04/2012

Nel caso prospettato, la moglie ed i figli del cugino premorto non avranno alcun diritto a carico dell'eredità del cugino.

Invero, ai sensi dell'art. 467 del c.c. il diritto di rappresentazione che fa subentrare i discendenti legittimi o naturali nel luogo e nel grado del loro ascendente, trova applicazione nella sola ipotesi in cui l'ascendente chiamato all'eredità sia figlio o fratello/sorella del de cuius.

Nel caso di specie, pertanto, l'eredità andrà divisa tra i soli cugini viventi.


Aurora S. chiede
martedì 31/05/2011 - Lombardia
“In caso di morte di persona vedova, senza figli, senza genitori, senza fratelli e sorelle viventi, ma con tre nipoti, rispettivamente: 1 figlio di un fratello e 2 figli di un altro fratello, in quale percentuale va suddivisa l'eredità?
grazie molte
aurora schiesaro”
Consulenza legale i 03/06/2011

Se il de cuius è deceduto senza lasciare testamento, si apre la successione legittima ex art. 457 del c.c. e nel caso di specie, trova applicazione quel particolare istituto di diritto successorio denominato rappresentazione e disciplinato dall’art. 467 del c.c. e ss. La rappresentazione opera anche in via collaterale e fa subentrare i discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto in loro luogo e grado, quando questi non possono o non vogliono esercitare i diritti successori loro spettanti. La divisione si fa per stirpi, quindi l’eredità viene divisa in due parti uguali, spettanti ciascuna ai discendenti di ciascuno dei due fratelli. Il figlio unico, quindi, avrà il 50% dell'eredità, mentre gli altri due avranno il 25% ciascuno.


Liotta L. chiede
mercoledì 23/02/2011 - Sicilia

“Un soggetto (celibe e senza figli naturali ne legittimi) deceduto nel dicembre 2010 lascia per legge come unico erede legittimo il fratello. Tuttavia prima ancora che venga presentata la dichiarazione di successione, muore nel febbraio 2011 anche il fratello. Quest'ultimo per legge lascia come eredi 2 figlie e la moglie. Desidero sapere se in questi casi c'è da parte di queste ultime rappresentazione ex art. 467 c.c o invece essendo il fratello morto successivamente alla data di apertura della successione del primo si devono presentare 2 distinte dichiarazioni di successione. La prima con erede il fratello morto a febbraio. E un'altra per il fratello De Cuius morto a febbraio con eredi moglie e 2 figlie. Grazie.”

Consulenza legale i 25/02/2011

La rappresentazione opera facendo subentrare i discendenti legittimi o naturali nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l'eredità. Difatti, di frequente la rappresentazione si verifica quando il fratello o il discendente del de cuius gli è premorto.

Nel caso di specie, la morte del fratello chiamato è successiva a quella del fratello defunto: poiché egli non aveva ancora (presumibilmente) dichiarato di accettare l'eredità, il diritto di accettazione si trasmette ai suoi eredi come diritto facente parte dell'universitas iuris a loro devoluta (art. 479 del c.c., comma 1). Andranno pertanto presentate due distinte dichiarazioni di successione.

Si ricorda, infine, che l'accettazione dell'eredità trasmessa comporta accettazione tacita dell'eredità del trasmittente.


Oronzo chiede
lunedì 18/10/2010
“E' morta mia cugina, orfana di padre e madre, figlia unica, non ha lasciato testamento, a chi spetta l'eredità?? Ci sono in vita una sorella da parte della madre e una sorella ed un fratello dalla parte del padre. Io sono figlio di un fratello del padre premorto.Mi parlano di rappresentanza e' vero??”
Consulenza legale i 19/10/2010

L'istituto giuridico a cui fare riferimento non è la "rappresentanza" ma la la "rappresentazione". E' disciplinato dall'art. 467 c.c.


B. A. chiede
martedì 16/04/2024
“Salve, ho una zia che purtroppo è venuta a mancare da poco, che a quanto pare non ha lasciato testamento. Mia zia era sposata quasi sicuramente in comunione di beni con mio zio ma non hanno avuto figli. Lei possedeva una piccola casa ereditata da mio nonno (suo padre) e un altra di sua proprietà (non so se rientra nella comunione dei beni) più un conto cointestato e alcuni buoni postali a suo nome e forse un altro conto a suo nome. Mio zio è sempre stato tenuto all'oscuro di tutto ciò che possedeva in banca poiché era mia zia che amministrava tutto quindi alcuni buoni cartacei credo che non siano stati ancora ritrovati col rischio che scadano. Mio padre non intende accettare l'eredità per non avere problemi con mio zio. Io ho altri due fratelli, e personalmente vorrei evitare almeno che la casa che era di mio nonno un giorno la ereditassero anche i nipoti dalla parte di mio zio. Non so come fare per accettare l'eredità e allo stesso tempo lasciare che mio zio abiti la casa a vita. Mi preme sapere come fare a non far andare in prescrizione l'accettazione. Grazie”
Consulenza legale i 22/04/2024
Le norme di cui deve farsi applicazione nel caso in esame sono gli artt. 582 e 540 c.c.
La prima di esse disciplina il caso in cui alla successione del de cuius concorrano, in assenza di testamento, il coniuge superstite con ascendenti, fratelli e sorelle, disponendo che al coniuge sono devoluti i due terzi del patrimonio ereditario, mentre la parte residua (1/3) è devoluta ad ascendenti, fratelli e sorelle.
A favore del coniuge, inoltre, sono riservati, anche in caso di concorso, il diritto reale di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni (così art. 540 c.c.).
Si ritiene che con quest’ultima norma il legislatore abbia voluto evitare che alla cessazione del rapporto matrimoniale, dovuta alla morte di uno dei coniugi, possa eventualmente far seguito anche una forzosa alterazione dell'ambiente di vita nel quale il medesimo rapporto era insediato.

Per quanto concerne il concetto di “casa familiare”, si ritiene che questa non possa che individuarsi in quella a cui fa riferimento la norma dell'art. 144 del c.c., ovvero quella casa nella quale i coniugi vi abbiano concretamente condotto la propria vita in comune.

Oltre alle norme sopra citate, nel caso di specie troveranno applicazione anche le norme dettate in materia di diritto di rappresentazione.
Si definisce tale quell’istituto giuridico grazie al quale i discendenti dei figli (nella linea retta) e dei fratelli e sorelle (nella linea collaterale) del de cuius, succedono al loro ascendente in tutti i casi in cui questi non possa (per premorienza) o non voglia (per rinunzia) accettare l’eredità o il legato.

Dal coordinamento, dunque, tra l’art. 570 c.c. e le norme sul diritto di rappresentazione ne discende che, alla morte dello zia, chiamati all’eredità nella qualità di eredi legittimi saranno il coniuge superstite ed i fratelli della zia deceduta, in concorso tra loro e secondo le quote fissate dall’art. 582 c.c.
Nel momento in cui uno dei fratelli della de cuius dovesse decidere di rinunziare all’eredità, subentrano per rappresentazione i figli del rinunziante, ovvero chi pone il quesito con i suoi fratelli, i quali a quel punto avranno dieci anni di tempo, sempre dall’apertura della successione, per decidere se accettare o rinunziare.

L’accettazione dell’eredità della zia, comunque, non farà venir meno il diritto del coniuge superstite di continuare ad abitare la casa in cui la coppia viveva e di far uso dei mobili che l’arredavano, in quanto si tratta di un diritto al medesimo spettante ex lege, in forza del sopra richiamato art. 540 c.c.
Si tenga pur sempre presente, in ogni caso, che su tale immobile, così come sul resto del patrimonio relitto dalla de cuius, i fratelli superstiti hanno diritto a concorrere in ragione di un terzo indiviso, da dividere a sua volta in parti eguali tra loro, e che i figli del fratello rinunciante subentreranno nella sola parte di quel terzo indiviso che sarebbe spettata al genitore rinunciatario.


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