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Articolo 555 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Riduzione delle donazioni

Dispositivo dell'art. 555 Codice Civile

Le donazioni(1) [769 ss., 809 c.c.], il cui valore eccede la quota della quale il defunto poteva disporre, sono soggette a riduzione [559 c.c.] fino alla quota medesima(2).

Le donazioni non si riducono se non dopo esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento(3) [554 c.c.].

Note

(1) Vi rientrano anche le donazioni di modico valore e le donazioni indirette (v. art. 809 del c.c.).
(2) La riduzione avviene secondo le modalità indicate dall'art. 559 del c.c.: si inizia dalla donazione più recente fino a risalire a quelle anteriori.
Se le donazioni sono contemporanee, queste devono essere ridotte in proporzione, salvo che il donante abbia stabilito un ordine di preferenza.
(3) Ove il de cuius abbia dissimulato una donazione attraverso un contratto oneroso, il legittimario deve esperire prima l'azione di simulazione, poi quella di riduzione. Quanto alla prima, essendo egli terzo, può provare la simulazione anche per testimoni (v. art. 1417 del c.c.).

Ratio Legis

Le donazioni vengono ridotte per ultime, ossia dopo le quote degli eredi legittimi e le disposizioni testamentarie, in quanto si presume il de cuius così avrebbe voluto se fosse stato a conoscenza della necessità di ridurre le quote spettanti agli eredi legittimi e testamentari e le donazioni fatte in vita.

Brocardi

Actio ad integrandam legitimam

Spiegazione dell'art. 555 Codice Civile

Riguardo all’ordine da seguire nella riduzione, il criterio adottato è quello del tempo nel quale le disposizioni ebbero luogo, a cominciare dalle ultime, riferendo peraltro, com’è naturale, tutte le disposizioni testamentarie, quale che sia stata l’epoca in cui sono state ordinate, al tempo dell’apertura della successione. Perciò, le liberalità testamentarie sono ridotte per prime e, solo dopo di esse, si procede alla riduzione delle donazioni, salva l’eccezione stabilita dall’art. 552, seconda parte.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 555 Codice Civile

Cass. civ. n. 2914/2020

Il legittimario totalmente pretermesso, proprio perché escluso dalla successione, non acquista per il solo fatto dell'apertura della successione, ovvero per il solo fatto della morte del "de cuius", la qualità di erede, né la titolarità dei beni ad altri attribuiti, potendo conseguire i suoi diritti solo dopo l'utile esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, e quindi dopo il riconoscimento dei suoi diritti di legittimario.

Cass. civ. n. 30079/2019

Il legittimario totalmente pretermesso che impugna per simulazione un atto compiuto dal "de cuius", a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce, sia nella successione testamentaria che in quella "ab intestato", in qualità di terzo e non in veste di erede, acquisendo quest'ultima qualità solo in conseguenza del positivo esercizio dell'azione di riduzione, sicché, come tale, non è tenuto alla preventiva accettazione dell'eredità con beneficio di inventario; né vi è tenuto quando agisca per far valere una simulazione assoluta od anche relativa, ma finalizzata a far accertare la nullità del negozio dissimulato, in quanto, in queste ipotesi, l'accertamento della realtà effettiva consente al legittimario di recuperare alla massa ereditaria i beni donati, mai usciti dal patrimonio del defunto.

Cass. civ. n. 20879/2019

Nell'ipotesi ove la domanda di riduzione della donazione asseritamente dissimulata dalla vendita di un immobile non è affiancata da una specifica domanda volta all'accertamento della simulazione dell'atto di vendita e della dissimulata donazione, non è possibile esaminare la domanda di riduzione della donazione. Per l'effetto, la pronuncia non afferma e non nega il diritto dell'attore alla riduzione della donazione dissimulata, limitandosi ad affermare la mancata domanda sulla fattispecie costitutiva presupposta, con l'effetto che il relativo giudicato ha natura soltanto processuale. Ulteriormente, consegue che non si pone una questione di estensione del giudicato dal dedotto al deducibile, atteso che, inesistente sul dedotto, il giudicato non può darsi neppure sul deducibile.

Cass. civ. n. 12317/2019

Il legittimario è ammesso a provare, nella veste di terzo, la simulazione di una vendita fatta dal "de cuius" per testimoni e presunzioni, senza soggiacere ai limiti fissati dagli artt. 2721 e 2729 c.c., a condizione che la simulazione sia fatta valere per un'esigenza coordinata con la tutela della quota di riserva tramite la riunione fittizia; egli, pertanto, va considerato terzo anche quando l'accertamento della simulazione sia preordinato solamente all'inclusione del bene, oggetto della donazione dissimulata, nella massa di calcolo della legittima e, così, a determinare l'eventuale riduzione delle porzioni dei coeredi concorrenti nella successione "ab intestato", in conformità a quanto dispone l'art. 553 c.c..

Cass. civ. n. 4721/2016

In tema successione necessaria, l'ordine da seguire nella riduzione delle disposizioni lesive della quota legittima è tassativo ed inderogabile: sicché può procedersi alla riduzione delle donazioni, dalla più recente alla più risalente, solo dopo avere ridotto tutte le disposizioni testamentarie - anche privilegiate - ed avere verificato che tale riduzione non è sufficiente a soddisfare il diritto del legittimario leso.

Cass. civ. n. 22097/2015

Il legittimario può esercitare l'azione di riduzione verso il coerede donatario anche in sede di divisione ereditaria, atteso che gli effetti della divisione - nonostante il meccanismo della collazione - non assorbono gli effetti della riduzione, quest'ultima obbligando alla restituzione in natura dell'immobile donato, mentre l'altra ne consente l'imputazione di valore.

Cass. civ. n. 6925/2015

In materia di donazione modale, l'imposizione di un onere in capo al donante - sebbene non presenti natura di corrispettivo, trasformando il titolo dell'attribuzione da gratuito in oneroso - comporta una diminuzione di valore della donazione stessa, incidendo sull'ammontare del trasferimento patrimoniale, della quale è necessario tenere conto ai fini della riunione fittizia conseguente alla riduzione della donazione ex art. 555 cod. civ.

Cass. civ. n. 26858/2013

Nel giudizio di riduzione in materia ereditaria, la deduzione, da parte del convenuto, della necessità di imputare alla legittima le donazioni ricevute in vita dall'attore, costituisce eccezione in senso lato e, come tale, il suo rilievo non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione di parte, ma è ammissibile anche d'ufficio ed in grado di appello, purché i fatti risultino documentati "ex actis".

Cass. civ. n. 20387/2008

La donazione remuneratoria, che è un atto di liberalità caratterizzato dagli scopi di riconoscenza e di apprezzamento dei meriti individuati dall'art. 770 cod. civ., in quanto donazione vera e propria, è assoggettata alla disciplina della reintegrazione di quanto spetta ai legittimari e, di conseguenza, all'azione di riduzione.

Cass. civ. n. 6345/1981

La costituzione di dote mediante attribuzione liberale da parte di un terzo — mentre nei rapporti fra gli sposi è un negozio sempre oneroso, costituendo la destinazione dei beni totali alla soddisfazione dei pesi del matrimonio specifica obbligazione del marito, che permane ed influenza tutta la regolamentazione riguardante direttamente gli sposi stessi — nei rapporti tra dotante e dotata ha natura di donazione obnuziale suscettibile come tale di riduzione ex artt. 553 e seguenti c.c., in quanto, in assenza di una qualsiasi obbligazione civile al riguardo, essa deve ritenersi sorretta dall'animus donandi, funzionando il matrimonio ed il fine di sovvenire ai relativi pesi solo da occasione o da motivo, ancorché essenziale.

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Consulenze legali
relative all'articolo 555 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. B. chiede
lunedì 29/07/2024
“Buongiorno
sottopongo il seguente quesito
uno dei tre fratelli ha ricevuto nel 2002 una donazione di un immobile effettuata da parte del padre (deceduto nel 2022) "a valere sulla legittima ed il supero del disponibile, con dispensa per la donataria dall'obbligo di collazione ed imputazione"
Alla chiusura della successione, avvenuta senza testamento, e quindi utilizzando la ripartizione dei beni in maniera proporzionale tra la vedova e i tre fratelli, è emerso che il valore della stessa ha superato la quota "disponibile"
L'azione di riduzione è quindi possibile da parte degli altri eredi ?”
Consulenza legale i 06/08/2024
La risposta alla domanda che si pone è positiva e qui di seguito se ne vanno a spiegare le ragioni.
Occorre, innanzitutto, fare una precisazione: l’azione di riduzione impone che venga prima di tutto determinata la porzione di patrimonio di cui il dante causa (ovvero il donante) poteva disporre, per distinguerla da quella riservata ai legittimari e, dunque, indisponibile.
Tale operazione si effettua secondo i criteri dettati dall’art. 556 del c.c., espressi attraverso la formula “relictum – debitum + donatum”, operazione che viene definita “fittizia” in quanto la riunione dei beni donati alla massa ereditaria (depurata da eventuali debiti) ha carattere soltanto contabile, considerato che quei beni continueranno a rimanere nella titolarità dei rispettivi beneficiari almeno finchè l’azione di riduzione non risulti vittoriosamente esperita.

Una volta eseguita detta operazione e verificata la sussistenza di una lesione, si procede dapprima alla riduzione delle disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre (secondo quanto disposto dall’art. 554 del c.c.) in maniera fra loro proporzionale (così il primo comma dell’art. 558 del c.c.) e successivamente, esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento, alla riduzione delle donazioni (cfr. il comma 2 dell’art. 555 c.c.), sempre nei limiti in cui il loro valore ecceda la quota di cui il defunto poteva disporre (cfr. art. 555 c.c. comma 1), cominciando, però, dall’ultima (cfr. art. 559 del c.c.).

Ebbene, determinata con esattezza la massa ereditaria secondo il sistema della riunione fittizia, prima che si possa esperire l’azione di riduzione, il legittimario che abbia beneficiato di una donazione (cfr. artt. 552 e 553 c.c.), al pari del legittimario leso (cfr. art. 564 del c.c.), deve imputare la donazione alla quota riservatagli per legge.
In altre parole, entrambi, in virtù anche in questo caso di un’operazione meramente contabile, devono attribuire alla loro quota il valore della eventuale donazione di cui siano stati destinatari.
L’imputazione, rientrando tra le operazioni di conteggio necessarie per completare ciò che impone l’art. 556 c.c., fa valere la donazione come una sorta di anticipazione contabile della quota di legittima, cosicchè la liberalità non andrà a gravare sulla disponibile.

Lo scopo del meccanismo sopra descritto è quello di far sì che il legittimario, beneficiario in vita di una donazione, non possa ricevere tutela, nei confronti degli altri legittimari, oltre i diritti a lui riservati per legge, a meno che il donante non abbia diversamente disposto.
Una eventuale diversa disposizione si identifica proprio nella dispensa dall’imputazione contenuta nell’atto di donazione (come è accaduto nel caso di specie), in quanto la sua previsione impedisce di delimitare le acquisizioni del donatario legittimario entro i limiti della quota a lui riservata ex lege, consentendogli di gravare il valore della donazione sulla disponibile.
In buona sostanza, con l’inserimento della dispensa dall’imputazione (al contrario di ciò che può accadere con la sola dispensa dalla collazione, la quale non può mai valere ad esonerare il legittimario dall’imputazione della liberalità alla sua porzione legittima), il de cuius raggiunge l’effetto di ampliare i vantaggi patrimoniali del donatario legittimario oltre la quota a lui riservata, ovviamente per il caso in cui dovesse essere promossa un’azione di riduzione.

Applicando, a questo punto, i principi sopra espressi al caso di specie, può affermarsi che la clausola della doppia dispensa, contenuta nell’atto di donazione e trascritta nel quesito, consente al donatario-legittimario di imputare la donazione prima alla disponibile e poi alla quota di riserva, con la conseguenza che:
  1. se il valore della donazione supera quello della disponibile e della quota di riserva del donatario, la stessa donazione sarà soggetta a riduzione nel limite di quanto sarà necessario per garantire la quota di riserva anche agli altri legittimari;
  2. se, al contrario, il valore della donazione non supera quello della disponibile e della quota di riserva, tale donazione, per effetto della doppia dispensa, ed in particolare della dispensa dall’imputazione, non potrà essere soggetta a riduzione, con la conseguenza che il donatario-legittimario, a differenza degli altri legittimari, potrà beneficiare per intero della quota di riserva.


Heidi R. chiede
domenica 02/02/2020 - Trentino-Alto Adige
“Buongiorno, io ho il seguente problema:
Il giorno 13.4.2006 è deceduto mio padre.
Assieme alla mamma era proprietario di un appartamento e ha lasciato la sua metá a me (Quinto) e a uno dei miei fratelli (Primo).
Agli altri fratelli (tre Seconda, Terzo, Quarta) ha lasciato altri appartamenti.
Per conguagliare ha disposto oralmente, che la mamma avrebbe regalato la sua metà (Valore oggi ca. 280.000 Euro) a me e a Primo.
Cosa, che la mamma ha fatto nel 2008 con atto notarile.
Contemporaneamente ha rinunciato al diritto di abitazione in quella casa, mantenendo il diritto di abitazione nella casa in montagna, ereditata da Quarta e venduta da lei in seguito a Seconda.
In realtà però ha continuato ad abitare nella mia casa fino al 2016 (anno di trasferimento alla casa di riposo).
Nel 2018 poi in seguito a una mediazione ho comperato da mio fratello Primo anche l`altra metà di quella casa e nel 2019 ho trasferito la mia abitazione principale.
A luglio 2019 quindi è deceduta la mamma, senza lasciare testamento, ma lasciando contanti ed azioni per ca. 120.000 Euro (a detta di mio fratello), ma molto superiore facendo i conti precisi.
Domanda: Come posso fare per tutelare la donazione?
I miei fratelli (tre + Primo) hanno già incaricato un avvocato per la dichiarazione di eredità (che comprenderà ovviamente la metà della mia casa).
A me hanno chiesto di proporre una soluzione a loro quattro.
Io vorrei la mia parte (un quinto) dei beni lasciati dalla mamma, ma i miei fratelli vogliono probabilmente rivendicare la donazione e i beni mobili contenuti.

Consulenza legale i 06/02/2020
Il primo momento che occorre prendere in esame nella vicenda successoria descritta è la morte del padre, che chiameremo Caio, avvenuta nell’anno 2006, e dalla quale sono trascorsi più di dieci anni.
Caio lascia a Quinto e Primo soltanto la quota di comproprietà, pari ad un mezzo indiviso, su un appartamento, mentre lascia agli altri fratelli, Seconda, Terzo e Quarta, altri immobili, il cui valore si lascia intendere che sia stato superiore rispetto al bene lasciato a Quinto e Primo.
Per compensare tale disparità di trattamento, infatti, Caio manifesta il desiderio che la moglie Caia doni la sua quota di quell’appartamento agli stessi figli Quinto e Primo.
Sotto il profilo giuridico, occorre a questo punto precisare che si tratta semplicemente di un desiderio, non essendo possibile in alcun modo configurare vincoli al compimento di un atto (la donazione) che, per definizione, deve essere libero e caratterizzato dalla spontaneità dell’animo liberale del donante.

Stando così le cose, le disposizioni di ultima volontà del padre sarebbero state impugnabili mediante esercizio dell’azione di riduzione, sia da parte della madre che da parte dei figli Quinto e Primo.
Nessun dubbio può sussistere in ordine alla esperibilità dell’azione di riduzione da parte della madre, avendo diritto, nella sua qualità di coniuge, ad un quarto del patrimonio ereditario (così art. 542 del c.c.), oltre al diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la corredavano ex art. 540 del c.c..
Per i figli Quinto e Primo, invece, sarebbe stato necessario calcolare se effettivamente il valore di quanto ricevuto fosse inferiore alla quota ai medesimi spettante, pari complessivamente alla metà del patrimonio ereditario da dividere in parti eguali tra loro.
Quindi, se il patrimonio di Caio avesse avuto, supponiamo, un valore di 200, la metà pari a 100 sarebbe stata riservata ai figli, a ciascuno dei quali sarebbe andata una quota di 25.

Il fatto che siano trascorsi dieci anni da quando l’eredità è stata accettata (anche implicitamente), comporta che si è prescritto il diritto ad esercitare ogni eventuale azione di riduzione, essendo ormai divenuta immutabile la situazione successoria.
Infatti, anche se il codice non prevede espressamente un termine di prescrizione dell’azione di riduzione, nel silenzio della legge esso non può che desumersi dall’ordinario termine decennale disciplinato dall’art. 2946 del c.c. (in tale senso si esprime anche la giurisprudenza, la quale ha precisato che l’azione di riduzione si prescrive in dieci anni decorrenti non dalla morte del de cuius, e quindi dall’apertura della successione, ma dal momento in cui l’erede ha acquisito la sua qualità accettando).
Ciò non può ritenersi privo di rilievo per i futuri sviluppi successori che la vicenda in esame ha avuto, in quanto quel quarto del patrimonio ereditario del defunto marito, a cui Caia ha rinunciato, avrebbe indubbiamente accresciuto adesso il suo patrimonio e ridotto in egual misura il rischio che la donazione fatta ai figli Quinto e Primo potesse essere lesiva dei diritti di riserva spettanti agli altri tre fratelli.

Adesso, trascurando i diversi passaggi di proprietà che sono stati posti in essere tra fratelli (e che ai fini successori sono privi di rilievo), diviene corretto calcolare le quote di riserva di ciascuno dei fratelli (e la conseguente misura di una loro eventuale lesione) sulla base del donatum (la metà dell’appartamento) e del relictum (contanti ed azioni).
In quest’ultimo è anche corretto farvi rientrare i mobili che arredavano l’abitazione dei comuni genitori.
Solo dalla sommatoria di tali valori sarà possibile determinare la quota di riserva e conseguentemente quella di disponibile, della quale ultima la madre era pienamente legittimata a disporre in favore di chiunque volesse.

Passando adesso ad effettuare un calcolo concreto, anche se indubbiamente molto approssimativo (poiché si hanno delle indicazioni di valori abbastanza imprecise), e considerando quanto previsto dal combinato disposto dell’art. 556 del c.c. e dell’art. 747 del c.c. (secondo cui nel determinare la porzione disponibile deve tenersi conto del valore che gli immobili donati hanno al tempo dell’apertura della successione), alla morte della madre Caia il suo patrimonio sarà pari a circa € 400.000,00 (di cui € 280.000,00 il valore della metà di appartamento donato ed € 120.000,00 tra contanti ed azioni).
Non è possibile includervi il valore dei mobili poiché non si ha alcun elemento per quantificarlo.
Poiché l’art. 537 del c.c. dispone che se vi sono più figli, agli stessi deve essere riservata la quota di due terzi del patrimonio ereditario da dividersi in parti eguali tra loro (mentre il restante terzo costituisce disponibile), si avrà che ciascun figlio avrà diritto a beni per un valore di circa € 53.000.

E’ più che evidente, purtroppo, che il solo relictum non potrà essere in grado di soddisfare le quote di riserva dei tre fratelli Seconda, Terzo e Quarta esclusi dalla donazione della madre, anche se gli stessi dovrebbero essere ben consapevoli delle ragioni di tale esclusione (avevano già ricevuto di più dal padre).
Pertanto, non conoscendo i rapporti che intercorrono tra i fratelli, si ritiene improponibile avanzare pretese sul relictum, essendo piuttosto consigliabile concentrarsi su quali proposte portare avanti per salvaguardare la donazione, della quale, si sottolinea, risulta beneficiario anche il fratello Primo.

Poiché non si può nascondere di essere in presenza di dati e valori immodificabili, non si vede altra soluzione che quella di accettare tutti l’eredità della defunta madre e stipulare una transazione in forza della quale i fratelli Seconda, Terzo e Quarta rinunciano all’esercizio dell’azione di riduzione (facoltà loro concessa dal secondo comma dell’art. 557 del c.c.), mentre i fratelli Primo e Quinto si obbligano a soddisfare i diritti di riserva lesi degli altri tre mediante corresponsione di una somma pari a circa € 88.000 complessivi, di cui € 48.000 verrebbero prelevati dal relictum, mentre € 40.000 complessivi dovrebbero essere corrisposti dal patrimonio personale di Primo e Quinto (in ragione di € 20.000 ciascuno).

Sembra quasi superfluo evidenziare che, se i tre fratelli Seconda, Terzo e Quarta dovessero invece riconoscere, come è giusto che sia, che la lesione della loro quota di riserva sia solo fittizia (sia perché hanno ricevuto qualcosa in più dal padre sia perché anche il patrimonio della madre non è stato accresciuto di ciò che le sarebbe dovuto spettare per effetto della morte del coniuge), sarebbe sufficiente stipulare una transazione con la quale i fratelli Seconda, Terzo e Quarta rinuncerebbero sempre ad esercitare l’azione di riduzione, mentre Primo e Quinto rinuncerebbero alla somma a loro spettante sul relictum.
Occorrerebbe essere troppo ottimisti, infatti, per pensare che Seconda, Terzo e Quarta possano essere disponibili a dividere in cinque il relictum.


Giancarlo C. chiede
mercoledì 02/10/2019 - Sardegna
“Entrambi i coniugi [padre e madre] in comunione legale dei beni, nel mese di aprile del 2008, con atto notarile di donazione hanno donato ad uno dei due figli un'area fabbricabile dove attualmente insiste la casa di civile abitazione. nel giugno del 2009 il padre è morto per malattia.
Quesito, poiché da oltre 10 anni e spirato uno dei coniugi, l'altro figlio può rivalersi in giudizio ?.”
Consulenza legale i 10/10/2019
Il quesito posto nasce probabilmente dall’essersi reso conto solo adesso che la donazione fatta in favore di uno dei figli possa aver ridotto considerevolmente il patrimonio ereditario, a tal punto da integrare una lesione della quota riservata agli altri legittimari.
E’ noto, infatti, che alla morte di una persona i suoi beni si trasmettono agli eredi, i quali possono essere individuati sia per legge che per testamento.

Il codice civile, tuttavia, prevede che, anche nel caso in cui sia il de cuius a scegliere come ed in favore di quali soggetti disporre delle sue sostanze, sussistono dei limiti oltre i quali non è possibile andare.
Ci si intende riferire all’esistenza di determinate persone, i c.d. legittimari, ai quali la legge riserva di diritto una quota di eredità, e sono tali: il coniuge, i figli, e gli ascendenti, ossia i genitori, se chi muore non lascia figli (così dispongono gli artt. 536 e 538 c.c.).
Può dirsi, dunque, che l’eredità di una persona si divide in due distinte quote, e cioè:
  1. una quota necessaria, che dovrà essere divisa necessariamente tra gli eredi legittimari, secondo le quote stabilite agli artt. 536 e ss. c.c.;
  2. una quota disponibile, della quale il testatore può fare ciò che vuole.
Qualora sorga il dubbio (come si ritiene che stia succedendo in questo caso) che il de cuius abbia con i suoi atti dispositivi violato la quota di riserva (mediante il testamento o, quando ancora era in vita, con le donazioni), occorrerà al più presto cercare di ricostituire il patrimonio ereditario, sommando al patrimonio relitto (cioè lasciato in eredità dal de cuius), le donazioni (dirette e indirette) fatte in vita dallo stesso de cuius.
Se poi da tale stima ne esce fuori che uno o più eredi legittimari hanno ricevuto meno di quanto la legge vuole che ad essi sia riservato, allora sarà possibile tutelare la propria posizione mediante un apposito strumento giuridico, la c.d. azione di riduzione, disciplinata nel dettaglio agli artt. 553 e ss. c.c. (in particolare l’art. 555 c.c. si occupa della riduzione delle donazioni).
Trattasi di azione che può essere esercitata solo dopo la morte del de cuius, e che, nel silenzio della legge, deve intendersi soggetta alla prescrizione ordinaria decennale stabilita dall’art. 2946 c.c.

Per quanto concerne la decorrenza del termine di prescrizione, va detto che, secondo un orientamento costante in giurisprudenza, se la lesione del legittimario deriva da donazione, il termine decorre dalla data di apertura della successione (cfr. Cass. 20644/2004); è soltanto da questo momento, infatti, che può essere fatto valere, ex art. 2935 c.c., il diritto del legittimario a vedersi riconosciuta la propria quota di legittima.

Dei contrasti in ordine alla corretta individuazione del termine dal quale far decorrere la prescrizione, invece, sono sorti con riferimento alla lesione della quota di legittima ricollegabile a disposizioni testamentarie, essendosi posto il dubbio al riguardo se tale termine debba farsi decorrere dalla data di apertura della successione (così Cass.n. 11809/1997), o dalla data di pubblicazione del testamento (così Cass. N. 5920/1999) ovvero, infine, dalla data di accettazione dell’eredità da parte del chiamato ((così Cass. N. 20644/2004).

In questo caso l’azione dovrebbe essere diretta contro la donazione dell’area fabbricabile (si presume in considerazione del maggior valore che ha acquisito il bene donato a seguito della costruzione eseguita su di esso); poiché, dunque, mira a colpire un atto immediatamente lesivo sin dal momento dell’apertura della successione, è a quella data (giugno 2009) che occorre riferirsi per la decorrenza del termine decennale, con la conseguenza che si è prescritto ogni diritto dell’altro figlio di poter agire

Carlo N. chiede
martedì 27/11/2018 - Abruzzo
“CASO
Tizio in data 4.4. 2014 istituisce un trust conferendo n. 15 immobili del valore di 200.
Trustee è la figlia che diviene intestataria dei beni (con separazione dal suo patrimonio); guardiano è la moglie; alla scadenza del trust (2050) i beneficiari finali sono i figli al 50%. I beni conferiti nel trust sono gravati da debiti (ipoteca) per 50.
Nel 2016 la moglie fallisce.
Tizio nel febbraio 2017 muore e lascia la figlia, il figlio e la moglie.
Con testamento olografo del 20.4.2014, pubblicato in data 10.4.2017, lascia un immobile del valore di 100 ai due figli e riserva il diritto di abitazione e uso alla moglie. Vi sono debiti per 80.
La figlia rinuncia all’eredità; l’altro figlio la accetta con beneficio di inventario.
Vi è lesione di legittima della moglie per 1/4, che diviene legataria del solo diritto di abitazione e uso che, in ogni caso le sarebbe spettato ex art 540 cpc..
Il Curatore fallimentare vuole agire con azione di riduzione.
Il Curatore scopre che nel 2016 un creditore di Tizio ha promosso azione revocatoria per far dichiarare inefficacia relativa del tust. Il creditore cita in giudizio Tizio (che nelle more muore), la moglie (guardiano) e la figlia (trustee).
L’atto di citazione viene notificato alla moglie dopo il suo fallimento (il creditore ne è formalmente a conoscenza).
La causa si svolge in contumacia dei convenuti e si conclude con sentenza (non passata in giudicato) che accoglie la revocatoria.
Determinazione della quota lesa ex art. 556 cc:
100 (relictum) – 80 (debiti) = 20
20 + 200 (donatum) = 220
220 : 4 (1/4 è la quota della moglie) = 55, oltre diritto di abitazione sulla casa familiare e uso degli arredi.
Quesiti:
1- Come si calcola il valore dei beni immobili ? Con una perizia estimativa ?
2 - Siccome il relictum, al netto dei debiti, vale 20, si opererà la riduzione di 35 sulla “donazione” in vita ?
3 – donatum:
- i beni sono in trust; va quindi contestualmente impugnato per nullità alle norme imperative ?
- dal valore dei beni del donatum vanno detratti i debiti ?
4 - Nella determinazione della quota lesa va aggiunto il valore del diritto di abitazione ?”
Consulenza legale i 05/12/2018
Partendo dalla prima domanda, la risposta è sì: nel caso di “riduzione” delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima, solitamente in corso di causa viene nominato uno stimatore dal Giudice.

Sul procedimento di riduzione, va specificato che agire in “riduzione” altro non è che far valere il diritto di rendere inefficaci nei confronti dell’attore le disposizioni testamentarie lesive della sua quota.
Se si tratta, quindi, di donazione di immobile – ad esempio – la riduzione si farà (art. 560 c.c.) “separando dall’immobile medesimo la parte occorrente per integrare la quota riservata, se ciò può avvenire comodamente”. Ciò in base al principio per cui si ha diritto ai beni in natura. Se invece ciò non sia possibile, è la legge che stabilisce le modalità con le quali procedere (ad esempio quando il donatario possa trattenere il bene per l’intero, compensando i legittimari in denaro oppure al contrario quando lasciare l’immobile per intero all’eredità: si veda in proposito lo stesso art. 560 c.c. già citato).

Tornando al quesito (e facendo l’importante premessa che il calcolo delle quote è questione complessa che normalmente si deferisce ad un notaio o comunque ad un esperto stimatore: pertanto si rende il parere considerando il conto effettuato nel quesito come corretto), ipotizzando che gli immobili conferiti in trust siano considerabili quali beni “donati”, è evidente che la riduzione si farà tenendo conto che il testatore ha disposto per un valore eccedente rispetto a 20: se la parte legittimaria lesa (cioè la moglie o meglio, ora, il Fallimento) ha diritto ad avere 55, dovrà chiedere – se possibile – che le vengano attribuiti parzialmente gli immobili che il marito ha donato ai figli oppure – a seconda delle varie ipotesi di legge già accennate – dovrà chiedere una compensazione in denaro fino a soddisfare l’intero valore di 55 della quota che le spetta.
La valutazione degli immobili in questione (e con ciò si risponde alla seconda domanda), nonostante il tema sia dibattuto e non tutti gli studiosi concordino sulla soluzione adottata dai giudici, dovrà essere condotta sulla base del valore che il bene donato aveva al tempo dell’apertura della successione e non al tempo della donazione effettuata in vita dal testatore.

Ancora, sull’ipotizzata nullità del trust.
Il trust, di per sé, può essere assimilabile a diverse figure giuridiche e, a seconda del suo contenuto e delle modalità con cui viene istituito, può rientrare nell’una o nell’altra categoria giuridica.
Per come è strutturato nella fattispecie che ci occupa, ad avviso di chi scrive, e tenendo conto di quanto statuiscono sul punto sia la giurisprudenza fiscale che civile, il trust è assimilabile in effetti ad una donazione.
Nel caso di specie è indubitabile che esso sia stato costituito a beneficio e nell’interesse dei figli del disponente. Come tale, ad avviso di chi scrive, dovrà essere aggiunto al “relictum” (quanto, cioè, lasciato dal testatore) dopo – beninteso – che siano già stati sottratti da quest’ultimo i debiti. In buona sostanza, dal patrimonio lasciato in eredità andranno tolti prima tutti i debiti (sia quelli che gravano sui beni in trust che gli altri); poi andrà aggiunto al risultato quanto donato, ovvero i beni conferiti nel trust.
Il trust, però, attenzione, anche se ha avuto come effetto la lesione della quota di legittima di uno degli eredi, non sarà nullo di per sé (per contrarietà a norme imperative o altro), ma più semplicemente sarà soggetto a riduzione e quindi, in concreto, potrà essere colpito da inefficacia relativa, ovvero non avrà effetto ma solo nei confronti di chi ha agito in riduzione per tutelare il proprio diritto.

Sull’ultima questione, relativa al diritto di abitazione, la risposta è negativa.
Si ritiene, infatti, che il diritto di abitazione di cui all’art. 540 c.c. costituisca un “prelegato” (art. 661 c.c.), ovvero una sorta di prelievo anticipato sull’eredità che il coniuge ha diritto di ottenere prima della divisione con gli altri coeredi.
La legge, attenzione, specifica che il prelegato va a beneficio del legatario per l’intero, ovvero si configura come un incremento quantitativo di quanto spetta al legatario (in questo caso, la moglie/il Fallimento), perché andrà ad aggiungersi alla (e non ad essere ricompreso nella) quota di legittima calcolata sull’intero asse ereditario.

Si ritiene opportuno aggiungere, da ultimo, qualcosa in ordine alla revocatoria del trust, dal momento che il quesito origina da un procedimento di questo tipo.
Purtroppo, per giurisprudenza consolidata, è più agevole ottenere la revoca di un trust istituito a titolo gratuito, perché in quest’ultimo caso (a differenza del caso di trust istituito a titolo oneroso) è del tutto irrilevante l’atteggiamento psicologico del terzo.
Precisiamo.
Per la revocatoria, com’è noto, i presupposti essenziali sono due:
  • l’intento fraudolento del debitore (l’atto dispositivo è stato fatto proprio con l’intento di sottrarre ai creditori la garanzia del credito);
  • la consapevolezza, da parte del terzo che ha partecipato all’atto, che quest’ultimo ha recato pregiudizio ai creditori dell’altra parte.
Ora, nel trust si considera terzo ai sensi della disciplina della revocatoria il beneficiario.
Ebbene, se il trust è a titolo oneroso, diventa ovviamente rilevante stabilire l’atteggiamento psicologico del terzo. Nel caso invece di trust gratuito, è del tutto irrilevante la compartecipazione fraudolenta del terzo, mentre è sufficiente che l’atto istitutivo del trust abbia recato pregiudizio alle ragioni dei creditori e che il disponente lo sapesse.
Nel caso di specie, parrebbe sia andata proprio così.

Peraltro, diviene abbastanza irrilevante anche il coinvolgimento in giudizio di un soggetto (formalmente la moglie come “guardiano” e non il successivo Fallimento) che non “esiste più”, dal momento che litisconsorte (ovvero parte del giudizio) necessario (ovvero obbligatorio) dell’azione in questione è solo il trustee (figlia), e nessun altro (eventualmente, se il trust fosse stato a titolo oneroso, anche il beneficiario, ma non certo il guardiano).


Gianni B. chiede
martedì 01/05/2018 - Lombardia
“mia nonna,deceduta il 31-12-2016 mi diede in prestito nel 2003 la somma di 130.000€ con obbligo di interessi al 6%annuo e di restituzione il 31-08-2006.Io ho restituito la somma alla data prevista ma ora(2018) gli eredi (con accettazione semplice di eredità), richiedono la restituzione sostenendo,senza alcuna prova,che la nonna avrebbe omesso di esercitare il diritto di credito facendo cadere i termini di prescrizione al fine di procurarmi un arricchimento patrimoniale per puro spirito di liberalità.,configurandosi così una donazione indiretta.Chiedo se ne possono vantare il diritto non avendo io conservato i documenti essendo trascorsi più di dieci anni dalla restituzione.”
Consulenza legale i 06/05/2018
In primo luogo, occorre valutare se l’operazione economica di prestito compiuta da Sua nonna possa essere qualificata o meno come donazione indiretta.
Per donazione indiretta si intende un atto diverso dalla donazione ma che produce i medesimi effetti e cioè l’arricchimento del patrimonio del donatario senza che sia stato versato un corrispettivo al donante.
La donazione indiretta non ha necessariamente la forma dell’atto pubblico, come la donazione vera e propria.
Laddove una donazione (anche indiretta, in quanto l’art. 809 c.c. stabilisce espressamente che anche alle liberalità che risultano da atti diversi da quelli previsti dall'articolo 769 c.c. si applicano le stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni ) leda la quota di legittima riservata per legge agli eredi, questi ultimi possono esperire l’azione di riduzione (art. 555 c.c.) entro il termine di dieci anni.
Come ha infatti affermato la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n.20644/2004: “ l'azione di riduzione è soggetta alla prescrizione ordinaria di 10 anni. Il termine decorre dalla data di apertura della successione.

Ciò posto, un prestito di una somma con richiesta di interessi, sicuramente non ha le caratteristiche di un atto di liberalità indiretto potendo qualificarsi come un vero e proprio contratto di mutuo (art. 1813 c.c.).
Tuttavia, la circostanza che non vi sia alcuna prova né della restituzione dell’importo né dell’esercizio del diritto di credito da parte del mutuante, potrebbe costituire una argomentazione a favore di chi (gli eredi di Sua nonna) sostiene la tesi della donazione indiretta.

Fermo quanto precede, nel quesito non è specificato come gli eredi sappiano del prestito di 130 mila euro: Sua nonna ha lasciato documenti in proposito? Se si, occorrerebbe vedere cosa c’è scritto.
In ogni caso, l’onere della prova in ordine all’esistenza della donazione indiretta grava sugli eredi.
Una volta provata, potrebbe essere esercitata l’azione di riduzione solo se ciò avesse leso la quota di legittima.
Ciò significa che gli eredi non possono impugnare una presunta donazione a prescindere ma solo se ciò, lo si ripete, abbia leso la loro parte di eredità che viene riservata dalla legge.
Infatti, non è molto corretto parlare di “restituzione”: dapprima deve essere fatta dichiarare l'inefficacia delle donazioni che eccedono la quota di cui il de cuius poteva disporre; solo successivamente viene richiesta la restituzione.
Come sopra specificato, tale tipo di azione si prescrive in dieci anni.
Nel nostro caso, essendo Sua nonna deceduta nel 2016, l’azione di riduzione si prescrive -salvo eventuali atti interruttivi – nel 2026.

L’ulteriore aspetto da tenere in considerazione è quello relativo alla circostanza che non vi sarebbe alcun documento che provi la restituzione della somma prestata a suo tempo da Sua nonna.
Con quali modalità era stata restituita la somma?
Considerato l’ingente importo, non crediamo possa essere stata restituita in contanti. Anche perché nel quesito leggiamo una data per la restituzione (31.08.06) e quindi parrebbe che sia stata versata in un’unica soluzione e non in modo rateale.
Teniamo presente che in un ipotetico giudizio provare per testimoni la dazione di una somma di denaro non è sempre consentito ma solo laddove il giudice ritenga di ammetterlo “tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza”.

Alla luce di quanto precede, in risposta alla domanda contenuta nel quesito, riepilogando possiamo affermare che: la circostanza che sono trascorsi più di dieci anni dalla restituzione è irrilevante considerato che il termine per l’azione di riduzione, come sopra specificato, decorre dalla apertura della successione (e quindi dalla morte di Sua nonna). L’unico rischio vi sarebbe qualora gli eredi possano provare l’esistenza della donazione laddove invece Lei non possa provare la circostanza della restituzione della somma e/o della tempestiva richiesta di restituzione da parte del mutuante (Sua nonna).

Sergio chiede
giovedì 30/09/2010

“Se l'erede accetta l'eredità semplicemente senza beneficio d'inventario, può richiedere la riduzione delle donazioni? "Riduzioni delle donazioni" significa che un bene ritorna nella proprietà dell'erede?”

Consulenza legale i 21/12/2010

L'azione di riduzione è il mezzo previsto dal nostro ordinamento attraverso il quale il legittimario fa valere il suo titolo. Si dirige in primo luogo contro le disposizioni testamentarie. Queste sono ridotte proporzionalmente, per quanto è necessario ricostruire la quota indisponibile.
Quando la riduzione delle disposizioni testamentarie non sia sufficiente, si agisce contro i donatari. Le donazioni si riducono cominciando dall'ultima e risalendo via via alle anteriori.
La riduzione non è in sè un'azione ricuperatoria: essa mira a far dichiarare senza effetto, totalmente o parzialmente, un lascito o una donazione. L'effetto reale è invece collegato all'azione di restituzione che il legittimario può esercitare per ottenere soddisfazione concreta dei suoi diritti.
Per chiedere la riduzione delle donazioni e dei legati fatti a persone che non sono coeredi, il legittimario deve avere accettato l'eredità con beneficio d'inventario. Il requisito dell'accettazione beneficiata si spiega pensando che il legislatore abbia ritenuto che l'accettazione beneficiata possa garantire agli estranei, donatari o legatari, circa l'effettiva consistenza del patrimonio ereditario, rispetto al quale va commisurata la pretesa lesione dei legittimari.


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