La legge consente al chiamato, che abbia rinunciato, di ritrattare la sua rinuncia diversamente dall’accettazione che, una volta compiuta, non può più ritrattarsi. Come si spiega questa contraria disposizione? Essa si comprende riflettendo allo stesso scopo per cui, un volta adita l'eredità, non è più consentito dismetterla: la
necessita di render certo l'acquisto dei patrimoni ereditari; è interesse sociale che i beni di una persona defunta non siano lasciati senza soggetto, per cui, quando colui che avrebbe potuto acquistarli nonostante abbia rinunciato al diritto di farli suoi, muta d'avviso, bisogna consentirgli la facoltà di compiere quell'acquisto, che non sarà più possibile per lui quando i beni siano già entrati a far parte del patrimonio di altri.
I presupposti perché il chiamato rinunciatario possa ritrattare la sua rinuncia sono due: 1) l'eredità non deve essere stata accettata da altri sia prima che dopo la rinuncia; prima, per effetto del diritto di accrescimento; il che avviene quando a succedere col chiamato, che poi ha rinunciato, vi siano altri aventi diritto all'accrescimento; costoro, avendo con l'accettazione della propria quota, acquistato anche il di ritto di far propria, per accrescimento, la quota che si rende comunque vacante (e la rinuncia determina tale situazione) impediscono l’acquisto della sua quota da parte del coerede rinunciante; dopo, in quanto se l'eredità è stata accettata da coloro ai quali essa doveva devolversi, non è possibile un acquisto da parte del rinunciante, perché nei confronti di chi ha accettato sta il principio della irretrattabilità dell'aditio; questa soluzione è assoluta; essa, cioè, non subisce deroga alcuna neppure se vi sia un accordo di tutti i coeredi accettanti a che la rinuncia sia revocata; 2) non deve essersi verificata la prescrizione del diritto di accettare per il rinunciante che vuol ritornare sulla propria decisione.
Chi può ritrattare la rinuncia? Senza dubbio questo diritto spetta a chi ha abdicato alla facoltà di acquistare l'eredità. Ma si trasmette esso ai suoi eredi ove non sia stato esercitato e ove non si siano verificate le circostanze preclusive innanzi considerate? La legge non lo dice così come lo ha detto per la trasmissibilità del diritto di accettale; ma è ovvio che una volta affermata questa, la trasmissibilità del diritto di revocare la rinuncia si rivela come un effetto della trasmissibilità del diritto di accettare. All’infuori del chiamato rinunciante e dei suoi eredi la revoca della rinuncia non può essere attuata da altri e, specialmente, dai creditori che vogliano compierla avvalendosi dell’art.
2900, cioè della surrogatoria.
Tuttavia, questa tesi è contrastata da autorevoli scrittori, i quali ammettono che i creditori, come possono surrogarsi al loro debitore nell’accettare un’eredità in luogo e in vece del successibile che se ne astiene, così hanno facoltà di surrogarglisi per chiedere la revoca della rinuncia. L'effetto di tale revoca sarebbe che i beni dell'eredità rientrano nel patrimonio del debitore, il quale rimane erede, cosicché i creditori avrebbero diritto di veder soddisfatti i loro crediti su quei beni. Ma a questa teoria possono muoversi i seguenti rilievi: 1) la legge ha, sotto determinate condizioni, accordato ai creditori il diritto di evitare gli effetti pregiudizievoli della rinuncia resa dal loro debitore; di modo che, non verificandosi quei presupposti, alcuna legittimazione in revoca può riconoscersi ai creditori; 2) la revoca della rinuncia attua l’esercizio d’una facoltà d’acquisto di diritti da parte del debitore e nei confronti di tale facoltà la surrogatoria è improponibile perché l’art.
2900, parlando di diritti, ha voluto considerare i diritti che, potenzialmente, già fanno parte del patrimonio del defunto, garanzia delle ragioni dei creditori; 3) è inconcepibile che il chiamato, rinunciatario, debba vedersi erede senza volerlo, anzi pur dopo aver rinunciato, dal momento che la revoca della rinuncia, non regolando la legge siffatta ipotesi, deve portare necessariamente a tale risultato; 4) infine, la teoria in esame cade in aperta contraddizione quando da un lato afferma che i creditori possano surrogarsi al loro debitore per far revocare la sua rinuncia e, dall’altro, poi, nega che tale facoltà sia un’applicazione della surrogatoria, in base al motivo, esattissimo, che non si può parlare di surroga nell’esercizio di un diritto cui si è rinunciato; se si riconosce questo principio non si può ammettere la surrogatoria per la revoca della rinuncia.
Come va compiuta la ritrattazione della rinuncia? La legge non prescrive forme speciali, dunque essa può venir fatta così come può essere manifestata l’accettazione dell’eredità; ma questo sistema non risulta molto coerente in quanto, se la rinuncia, per essere valida, ha dovuto esser resa con l’osservanza di determinate formalità, sarebbe consequenziale, se non proprio necessario, porre l’osservanza di altre formalità per la sua revoca, e ciò per garantire la certezza dei rapporti giuridici e a salvaguardia di diritti dei terzi.