Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 536 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Legittimari

Dispositivo dell'art. 536 Codice Civile

Le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti(1) nella successione sono: il coniuge [548 c.c.], i figli(2)(3), gli ascendenti(4).

Ai figli sono equiparati gli adottivi(2)(5) [291 ss, 304 c.c.].

A favore dei discendenti dei figli(2), i quali vengono alla successione in luogo di questi [467 c.c.], la legge riserva gli stessi diritti che sono riservati ai figli(2)(2)(6).

Note

(1) Per esempio l'assegno vitalizio spettante al coniuge superstite a cui sia stata addebitata la separazione che godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto al momento dell'apertura della successione (v. art. 548 del c.c.).
(2) Comma così modificato dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(3) Sia quelli riconosciuti da uno o da entrambi i genitori (v. art. 250 del c.c.) che quelli giudizialmente dichiarati figli naturali (v. art. 269 del c.c.).
(4) Tali soggetti prendono il nome di legittimari.
(5) Legittimari sono solo i figli adottati quando erano minori di età, che instaurano un rapporto di parentela (v. art. 74 del c.c.) con la famiglia dell'adottante.
(6) Qualora i figli del de cuius non possano o non vogliano accettare l'eredità subentrano nel diritto alla legittima i loro discendenti. La norma è diretta ad evitare che il testatore impedisca la successione dei discendenti per rappresentazione disponendo una sostituzione (v. art. 688, 467 del c.c.).

Ratio Legis

Le norme che regolano la successione dei legittimari tutelano il coniuge, i figli e i genitori del de cuius, riservando loro una quota di patrimonio in relazione alla quale la volontà del testatore viene limitata. Si ritengono in tal modo correttamente bilanciate, da un lato, la tutela della famiglia (v. art. 29 Cost.), dall'altro, la liberta di ciascuno di disporre dei propri beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere (v. art. 587 del c.c.).

Brocardi

Donatum
Legitima hereditas tantum proximo defertur
Officium pietatis
Portio debita
Praeteritio
Relictum
Vocatio contra testamentum

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 536 Codice Civile

Cass. civ. n. 1228/2023

Nel giudizio di revocatoria del patto di famiglia ex art. 768-bis c.c. sussiste il litisconsorzio necessario del coniuge e degli altri legittimari, salvo che gli stessi abbiano partecipato al contratto e rinunciato in tutto alla liquidazione in loro favore mediante il pagamento da parte degli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli artt. 536 ss. c.c.

Corte cost. n. 15/2021

È costituzionalmente illegittimo, per violazione all'art. 3, comma 1, Cost., l'art. 18, comma 2, del decreto del Presidente della Provincia di Bolzano 7 febbraio 1962, n. 8 (Approvazione del testo unico delle leggi provinciali sull'ordinamento dei masi chiusi nella Provincia di Bolzano) nella parte in cui afferma che "tra i chiamati alla successione nello stesso grado è preferito il più anziano", anziché prevedere che "tra i chiamati alla successione nello stesso grado viene scelta, sentiti i e le coeredi e la commissione locale per i masi chiusi, la persona che dimostra di possedere i migliori requisiti per la conduzione personale del maso chiuso". Ed infatti, l'automatica differenziazione sulla base del criterio dell'età in tanto può risultare ragionevole, e per questo non discriminatoria, in quanto evidenzi una giustificazione e risulti, nello specifico, coerente con le finalità proprie dell'istituto regolato, quale viene plasmato dall'evoluzione economico-sociale. Altresì, l'acclarata irragionevolezza della regola del maggiorascato, quale criterio per la determinazione in via di automatismo del diritto di assunzione, comporta, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, l'illegittimità costituzionale in via consequenziale dell'art. 14, comma 1, lettera g), della legge prov. Bolzano n. 17 del 2001, operante sino all'entrata in vigore della legge prov. Bolzano n. 2 del 2010, in quanto disposizione di contenuto identico rispetto a quello della norma censurata.

Cass. civ. n. 27259/2017

In tema di successione necessaria, la quota spettante al legittimario rinunciante non si accresce a favore degli altri legittimari accettanti, dovendo l'individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria essere effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell'apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell'azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.

Corte cost. n. 193/2017

E' costituzionalmente illegittimo l'art. 5 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 luglio 1978, n. 33 (Modifiche al testo unico delle leggi provinciali sull'ordinamento dei masi chiusi, approvato con decreto del Presidente della Giunta Provinciale 7 febbraio 1962, n. 8, e alla legge provinciale 9 novembre 1974, n. 22), riprodotto dall'art. 18 del decreto del Presidente della Giunta Provinciale di Bolzano 28 dicembre 1978, n. 32 (Approvazione del testo unificato delle leggi provinciali sull'ordinamento dei masi chiusi), come modificato dall'art. 3 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica delle leggi provinciali sull'ordinamento dei masi chiusi e della legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche ed integrazioni, sull'assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi), nella parte in cui prevede che, tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

Corte cost. n. 146/2015

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 104, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 154 del 2013, nella parte in cui ha previsto che gli effetti successori della parentela naturale, di cui al novellato art. 74 c.c., sono riferibili anche a successioni apertesi anteriormente al 1° gennaio 2013, oggetto di giudizi pendenti al momento dell'entrata in vigore del predetto decreto legislativo.

Cass. civ. n. 14917/2012

In ipotesi di azione di petizione di eredità proposta da un figlio naturale del "de cuius" successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di riconoscimento del proprio "status", gli eredi, che erano stati immessi nel possesso dei beni ereditari in buona fede, permangono in tale condizione sino al momento della notificazione della domanda di restituzione dei beni medesimi, avendo portata generale il principio della presunzione di buona fede, di cui all'art. 1147 cod. civ., e determinando la proposizione nei confronti del possessore di una domanda volta ad ottenere la restituzione delle cose il mutamento della situazione di buona fede in mala fede, con conseguente obbligo di rispondere dei frutti successivamente percepiti. (Cassa con rinvio, App. Perugia, 08/08/2006).

Cass. civ. n. 368/2010

In materia di successione ereditaria, l'erede legittimario che sia stato pretermesso acquista la qualità di erede soltanto dopo il positivo esercizio dell'azione di riduzione; ne consegue che, prima di questo momento, egli non può chiedere la divisione ereditaria né la collazione dei beni, poiché entrambi questi diritti presuppongono l'assunzione della qualità di erede e l'attribuzione congiunta di un asse ereditario.

Cass. civ. n. 13429/2006

In tema di successione necessaria, l'individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria va effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell'apertura della successione e non di quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell'azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.

Cass. civ. n. 13310/2002

Il principio dell'intangibilità della quota di legittima deve intendersi soltanto in senso quantitativo e non anche in senso qualitativo, potendo il testatore soddisfare le ragioni dei legittimari con beni — di qualunque natura — purché compresi nell'asse ereditario; ne consegue che non viola il disposto degli artt. 536 e 540 c.c. il testatore che abbia lasciato al coniuge l'usufrutto generale sui beni mobili e immobili nonché la prima proprietà di eredità, contanti, depositi bancari e postali, sempre che il valore di detti beni copra la quota riservata al coniuge, atteso che l'attribuzione dell'usufrutto generale non costituisce assegnazione di legato ma istituzione di erede e che l'attribuzione della proprietà prima di alcune categorie di beni vale come istituzioni di erede se essi sono intesi come quota dei beni del testatore.

Cass. civ. n. 3452/1973

Le ragioni dei legittimari possono essere soddisfatte anche mediante atti di disposizione a titolo particolare. La successione cosiddetta necessaria non implica né l'acquisto ipso iure da parte dei legittimari della qualità di eredi né, di conseguenza, l'investitura della titolarità dei beni ereditari.

Notizie giuridiche correlate all'articolo

Tesi di laurea correlate all'articolo

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!

Consulenze legali
relative all'articolo 536 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

L. O. chiede
martedì 29/10/2024
“Vorrei fare testamento. la mia situazione è: sono celibe (mai sposato), non ho figli, mia unica sorella ( celibe senza figli ) e i miei genitori sono deceduti. Gli unici "parenti" in vita sono due cugini (figli della sorella - defunta - di mio padre ) e tre cugini ( figli del fratello - defunto - di mio madre). La mia domanda è: devo riservare una quota di leggittima ai miei cugini? posso disporre dell'intera quota (quindi non a rischio contestazione di legittima) del mio patrimonio da lasciare a persone terze?”
Consulenza legale i 05/11/2024
I discendenti, il coniuge o la persona unita civilmente e, qualora manchino i discendenti, anche gli ascendenti, acquistano, nel momento in cui si apre la successione, il diritto ad una quota-parte del patrimonio del de cuius; tale quota, di cui non si può disporre a titolo di liberalità, è quella che si definisce “quota legittima o riserva”, mentre i soggetti che ne hanno diritto si definiscono “legittimari o eredi necessari”.

Gli stessi soggetti, individuati come legittimari con elencazione tassativa contenuta all’art. 537 c.c., sono, insieme ad altri soggetti, previsti anche come successibili ex lege al successivo art. 565 del c.c..

Ebbene, nel caso in esame la persona che vuole redigere testamento non lascia alcun soggetto che riveste la posizione di legittimario, il che lascia lo stesso soggetto libero di disporre come vuole di tuti i suoi beni, potendo nominare erede universale anche soggetti del tutto estranei alla cerchia familiare.
Si tenga presente, infatti, che i cugini si troverebbero nella posizione di chiamati all’eredità soltanto in caso di apertura della successione legittima, la quale, tuttavia, non opera se il de cuius ha disposto per testamento dei suoi beni.


Anonimo chiede
giovedì 24/10/2024
“Premesso che sono divorziato da molti anni, che non ho figli né fratelli, e che sia i miei genitori che i miei nonni sono tutti morti, vorrei capire se mia sia possibile redigere un testamento strutturato nel seguente modo: a) lascio ciò che si trova a mio nome depositato presso una certa banca alla mia ex fidanzata, b) lascio tutto il resto del mio patrimonio, senza ulteriori specificazioni, suddiviso in parti uguali tra due miei cugini. Un testamento del genere sarebbe impugnabile da qualcuno? Gli altri miei numerosi zii e cugini avrebbero per legge diritto a qualcosa anche loro? N.b. La presente richiesta annulla quella inviatavi due giorni fa, meno precisa di questa.”
Consulenza legale i 03/11/2024
La legge stabilisce che quando vi sono determinate categorie di successibili una parte dei beni del de cuius debba essere a loro attribuita; la quota che viene riservata a costoro si definisce “quota di legittima o di riserva”, mentre i successibili che vi hanno diritto vengono designati con il nome di “legittimari o successori necessari”.
L’art. 536 c.c. specifica, con una elencazione tassativa, la categoria dei legittimari, individuandoli nel coniuge o nella persona unita civilmente, nei figli (anche adottivi) e negli ascendenti (la riserva a favore degli ascendenti opera soltanto se il defunto non lascia figli).

Per quanto concerne il coniuge occorre precisare che sulla sua posizione di legittimario incidono le vicende successive al matrimonio, ed in particolare un eventuale divorzio.
Infatti, a differenza della separazione, il divorzio determina definitivamente il venir meno dello status di coniuge, con la conseguenza che il coniuge divorziato non potrà vantare alcun diritto ereditario sul patrimonio dell’ex coniuge defunto, a meno che quest’ultimo non lo abbia incluso nel testamento e salvo quanto previsto dall’art. 9 bis della Legge n. 898/1970 (secondo tale norma il beneficiario di somme periodiche di denaro corrisposte a norma dell’ art. 5 della citata Legge 898, può ricevere, in caso di morte dell’obbligato e qualora versi in stato di bisogno, un assegno a carico dell’eredità).

Ora, ciò posto, nel caso in esame colui che intende disporre per testamento non lascia alcun legittimario, non avendo figli, né ascendenti e versando, ormai da molti anni, nella condizione di divorziato.
Tale situazione gli consente di disporre come vuole del suo intero patrimonio, non essendovi tra i potenziali successibili ex lege alcuno che possa essere legittimato ad impugnare le sue disposizioni di ultima volontà.

In conclusione, un testamento avente il contenuto indicato nel quesito sarà pienamente valido ed efficace.


C. G. chiede
giovedì 19/09/2024
“siamo 2 sorelle non sposate e senza figli. Non abbiamo ascendenti viventi, ma gli eredi sono 8 cugini, che hanno 7 figli e 3 nipoti minorenni.
il nostro patrimonio consiste in 3 case, alcuni mobili/quadri di antiquariato e contanti depositati e investiti in alcuni conti correnti a noi intestati (1 solo cointestato).
Vorremmo sapere se:
- donazioni personali ad eredi vengono sottratte alla quota legittima o "prelevate" prima del calcolo dell'importo della quota legittima?
- possiamo destinare agli eredi quote diverse di legittima?
- quanto sono tassate le donazioni ad associazioni? e a privati?
Grazie”
Consulenza legale i 25/09/2024
L’art. 536 c.c. dispone che le persone alle quali deve essere riservata una quota di eredità in sede successoria sono: il coniuge, i figli e gli ascendenti.
Nel caso in esame non vi sono soggetti che possano farsi rientrare in alcuna di tali categorie, il che comporta che si potrà disporre dei propri beni come si vuole, senza dover rispettare quote di riserva.
Pertanto, le due sorelle possono redigere testamento con cui manifestare la volontà di lasciare i propri beni anche ad uno solo dei potenziali successibili (uno dei cugini o dei loro figli, perfino un nipote minorenne), ovvero non redigere alcun testamento e lasciare che il loro patrimonio ereditario si devolva ex lege, secondo le norme dettate in tema di successione legittima agli artt. 565 e ss. c.c.

In particolare, l’art. 565 c.c. individua le categorie di successibili ex lege nei seguenti soggetti:
coniuge, discendenti, ascendenti, collaterali, altri parenti, lo Stato
precisando all’art. 572 c.c. che nell’ipotesi di altri parenti la successione si apre a favore del parente o dei parenti prossimi (senza distinguere tra linea patena e materna) e che, in ogni caso, la successione non potrà aver luogo in favore dei parenti oltre il sesto grado.

Pertanto, ritornando alla situazione che qui si prospetta, primi chiamati ex lege all’eredità delle due sorelle saranno gli otto cugini, parenti in linea collaterale di quarto grado, mentre i figli dei cugini sono parenti in linea collaterale di quinto grado ed i rispettivi nipoti di sesto grado.

Chiarito il quadro successorio, si cercherà adesso di dare risposta alle domande che vengono poste:
  • non essendovi persone a cui favore deve essere riservata una quota di eredità (ossia i soggetti menzionati all’art. 536 c.c.) non si rende necessario tener conto di eventuali donazioni poste in essere in vita in favore dei successibili ex lege, potendosi perfino disporre del proprio patrimonio in favore di coloro che già sono stati beneficiari delle donazioni.
  • anche alla seconda domanda va data risposta positiva, sempre sul presupposto che non vi sono quote di riserva da rispettare (pertanto, si potrà destinare agli eredi la quota di patrimonio che si vuole);
  • per quanto concerne la tassazione delle donazioni valgono le regole che qui di seguito si vanno ad esporre.

Innanzitutto va chiarito che soltanto il beneficiario della donazione è tenuto al pagamento dell’imposta.
Le aliquote applicabili variano a seconda del rapporto esistente tra i soggetti coinvolti nel contratto di donazione, con la previsione di franchigie che rendono tassabile la donazione soltanto per la parte eccedente il loro valore.
Più precisamente, queste sono le aliquote:
  • 4% per il coniuge e i parenti in linea retta, da calcolare sul valore eccedente 1 milione di euro, per ciascun beneficiario
  • 6% per fratelli e sorelle, da calcolare sul valore eccedente 100mila euro, per ciascun beneficiario
  • 6% da calcolare sul valore totale (cioè senza alcuna franchigia), per gli altri parenti fino al quarto grado, affini in linea retta, affini in linea collaterale fino al terzo grado
  • 8% da calcolare sul valore totale (cioè senza alcuna franchigia), per le altre persone.

Se a beneficiare del trasferimento è una persona portatrice di handicap grave l’imposta si applica sulla parte del valore della quota che supera 1.500.000 euro, a prescindere dal grado di parentela tra i soggetti coinvolti.

Ai sensi del comma 1 dell’art. 3 del T.U. successioni e donazioni, non scontano l’imposta sulle donazioni i trasferimenti in favore di alcuni soggetti ben individuati, come, per esempio, quelli destinati a:
  • Stato, Regioni, Province e Comuni
  • Enti pubblici, fondazioni o associazioni legalmente riconosciute che abbiano come scopo esclusivo assistenza, studio, ricerca scientifica, altre finalità di pubblica utilità
  • Onlus e fondazioni bancarie.


P. D. C. chiede
martedì 02/07/2024
“buonasera, vorrei porre un quesito. Una mia zia (deceduta) il mese scorso, sorella di mio padre deceduto anche esso, ha fatto un testamento olografo lasciando tutto ad uno solo dei miei fratelli.
la domanda è: i fratelli esclusi hanno diritto alla quota di legittima?
restando in attesa di un riscontro si inviano cordiali saluti”
Consulenza legale i 04/07/2024
La risposta, purtroppo, è negativa, in quanto i soggetti a favore dei quali la legge riserva una quota di eredità (quella che nel quesito si definisce “quota di legittima”) sono soltanto il coniuge, i figli e gli ascendenti, come espressamente disposto dall’art. 536 c.c.
Tra costoro non risultano contemplati i fratelli e le sorelle del de cuius, ai quali eventualmente potrebbero succedere per rappresentazione, ex artt. 467 e ss. c.c., i rispettivi discendenti per l’ipotesi in cui i primi chiamati non possano (per premorienza) o non vogliano (per rinunzia) accettare l’eredità.

Diversa sarebbe stata la situazione, invece, se la zia non avesse disposto per testamento dei suoi beni, in quanto il patrimonio della stessa si sarebbe devoluto secondo le norme della c.d. successione legittima, con conseguente applicazione degli artt. 565 e ss. c.c.
In tal caso, infatti, in assenza di coniuge, discendenti e ascendenti, primi chiamati all’eredità della zia sarebbero stati i fratelli e le sorelle e, per il caso di premorienza di uno di essi, i rispettivi discendenti, per effetto del sopra citato diritto di rappresentazione.


B. M. F. chiede
martedì 27/02/2024
“Buongiorno. Espongo il quesito in modo figurato:
A marito di B
B moglie di A
C sorella di A
D figlia di C
E sorella di B
F figlia di E

A e B senza figli ne ascendenti
B muore con testamento a favore di A
C muore
E muore
A scrive testamento con beneficiari in egual misura (50%) a favore di D e F

Quesito: 1) D ha diritto al 50% come da testamento oppure all'intero capitale come erede legittimo?
2) A può disporre di una quota disponibile e in che misura?
3) F ha diritto al 50% come da testamento?”
Consulenza legale i 05/03/2024
L’eredità di cui si tratta è quella di A, il quale non lascia alcuno dei soggetti che l’art. 536 c.c. individua quali legittimari, ovvero coniuge, figli e ascendenti.
In considerazione di ciò A può liberamente disporre di tutti i suoi beni, senza incontrare alcun limite nel rispetto di eventuali quote di riserva.
Da ciò se ne deve far discendere che il testamento con il quale A istituisce erede di tutti i suoi beni D, nipote ex frate (figlio/a di C), ed F, nipote del coniuge premorto, è del tutto valido ed efficace e ad esso potrà essere data piena e completa attuazione.
In mancanza di testamento, invece, unico erede ex lege di A sarebbe stato D, chiamato a succedere in rappresentazione del fratello/sorella premorto C.


N. D. chiede
martedì 23/01/2024
“Ho bisogno di qualcuno che mi fornisca chiarimenti in merito a eredità.
Questa è la mia situazione:
- Mio padre ha 60 anni e da 2 anni circa convive con una donna di nome Teresa che è intenzionata a sposarlo e lui sembra essere d'accordo.
- Mia madre è morta quasi 20 anni fa.
- Teresa ha un figlio di 34 anni che vive a 4 ore di macchina da loro, è sposato con una figlia e una moglie e non va d'accordo con la mamma.
- Teresa è divorziata.
- Teresa è andata a vivere a casa di mio padre da 2 anni.
- Mio padre ha due figlie (me e mia sorella).
- Mio padre ha 2 case e una piccola impresa edile con un deposito di materiali edili e vari macchinari.
- Mio padre non pensa a cosa poter fare per il futuro con questi beni ed è tutto intestato a lui.
- Mio padre ha 30 mila euro di tasse che sta cercando di pagare da quest'anno (ha fatto con l'aiuto del commercialista un condono e sta cercando di mettersi in pari con le tasse).
- Non credo che mio padre abbia qualcosa di rilevante in banca dal momento che spesso chiede prestiti da quello che mi risulta.

Ora... essendo che l'età inizia ad esserci e non abbiamo mai parlato con mio padre e mia sorella di come sistemare la situazione case e cosa andrà a chi e sta subentrando l'idea di un matrimonio tra lui e Teresa, mi chiedo cosa dovremmo fare io e mia sorella per tutelarci.
Mi chiedo anche cosa dovremmo fare per tutelarci io e mia sorella nell'eventualità non riesca a pagare tutte le tasse.
C'è la possibilità che i beni di mio padre, se si sposa con Teresa, vadano un giorno al figlio di lei?
Se mio padre non riuscisse a mettersi in pari con le tasse cosa succederebbe ai beni?
Cosa dovremmo fare noi figlie affinché i beni un giorno andranno solo a noi due e non avremo alcun tipo di problema?
Grazie.”
Consulenza legale i 29/01/2024
I dubbi che vengono manifestati nel quesito attengono a due aspetti ben precisi della situazione familiare, e precisamente:
  1. in che misura il figlio della attuale compagna del padre potrebbe avere diritto alla successione di quest’ultimo;
  2. come evitare di subentrare nella posizione debitoria in cui potrebbe trovarsi il padre al momento della sua morte.

Per quanto concerne la prima questione, non vi è alcuna ragione di preoccuparsi, in quanto, anche se Tizio (chiamiamo così il padre per comodità di esposizione) dovesse decidere di coniugarsi con Caia (sua attuale compagna), i figli di Caia non acquisterebbero mai, almeno per legge, alcun diritto di partecipare alla successione di Tizio.
Ciò trova spiegazione nel fatto che il figlio che la seconda moglie ha avuto in prime nozze verrebbe ad instaurare con il secondo marito della madre Caia soltanto un rapporto di affinità che, come tale, non può in alcun modo rilevare sotto il profilo successorio.

Tuttavia, è bene precisare che questo non impedisce a Tizio di disporre per testamento in favore del figlio di Caia, a condizione che le disposizioni testamentarie non vadano a ledere la quota di riserva spettante ai suoi legittimari, ovvero il coniuge superstite, le figlie ed eventuali ascendenti (così art. 536 c.c.).
Le figlie di Tizio potranno reclamare il rispetto della loro quota di riserva anche con riferimento ad eventuali donazioni disposte dal padre in favore del figlio di Caia, essendo anch’esse soggette a riduzione e dovendosi, pertanto, riunire fittiziamente, ex artt. 553 e ss. c.c., alla massa ereditaria, sul cui ammontare complessivo andrà poi determinata la quota di riserva spettante alle figlie di prime nozze ed al secondo coniuge.

La seconda questione, invece, trova agevole soluzione nelle norme che il codice civile detta in tema di accettazione con beneficio di inventario, e precisamente agli artt. 484 e ss. c.c.
Tale forma di accettazione dell’eredità, infatti, impedisce la confusione del patrimonio del de cuius con quello dell’erede, con la conseguenza che:
  1. gli eredi non saranno tenuti al pagamento dei debiti ereditari (e dei legati) oltre il valore dei beni loro pervenuti (ultra vires);
  2. di contro, i creditori del defunto avranno diritto a soddisfarsi sul patrimonio ereditario con preferenza rispetto ad eventuali creditori degli eredi.

Si ritiene opportuno precisare che i chiamati all’eredità avranno diritto di giovarsi del beneficio di inventario nonostante qualunque divieto del testatore (così dispone espressamente il secondo comma dell’art. 470 del c.c.).
L’accettazione con beneficio di inventario viene qualificata come atto avente carattere strettamente personale, in quanto, potendo denotare una certa sfiducia o mancanza di riguardo verso la memoria del defunto, la legge affida esclusivamente al chiamato la valutazione dell’opportunità di ricorrervi.
Tuttavia, malgrado tale carattere personale, l’art. 510 del c.c. dispone che l’accettazione con beneficio di inventario fatta da uno solo dei chiamati giovi a tutti gli altri, anche se l’inventario dovesse essere compiuto da un chiamato diverso da quello che ha fatto la dichiarazione (pertanto, sarà sufficiente che anche una sola delle figlie si avvalga di tale facoltà).

Sotto il profilo formale, va ricordato che per essa è richiesta una particolare forma ad substantiam, dovendo necessariamente risultare da dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale del Circondario in cui si apre la successione.
E’ anche sottoposta ad un particolare regime di pubblicità, dovendo essere inserita nel registro delle successioni conservato presso il Tribunale e trascritta entro un mese nei registri immobiliari.
Infine, se non si vuole rischiare di decadere dal beneficio di inventario, occorre prestare particolare attenzione a rispettare i precisi termini temporali che il codice prescrive, distinguendo a seconda che il chiamato all’eredità sia o meno nel possesso dei beni ereditari.

Ultimo aspetto da esaminare rimane quello di cercare di individuare un modo per far sì che i beni di cui è proprietario Tizio non vadano in alcun modo ad accrescere il patrimonio del figlio di Caia.
Tra le diverse soluzioni possibili, quella che qui si propone è di convincere il padre Tizio a donare alle figlie (prima di un eventuale matrimonio) la nuda proprietà dei beni immobili di cui è titolare, riservando per sé l’usufrutto, ad eccezione dell’azienda, considerata la situazione debitoria ad essa connessa.
Tale soluzione risulterebbe conveniente sia per Tizio, in quanto continuerebbe ugualmente a godere dei suoi beni, sia per le figlie, considerata la situazione di minor peso fiscale gravante sul nudo proprietario.


D. A. chiede
martedì 19/12/2023
“mio marito è mancato a febbraio 2023. ho lasciato testamento pubblicato dove lascia la quota libera a me.
nel 2017 ha acquistato le mura di un appartamento lasciandomi, come da rogito, usufrutto vita natural durante
nel 2019 ha stipulato polizza vita a mio favore in quanto la band avevo detto che tale somma non rientrava dell'asse ereditario.
vivo nella casa coniugale
lui ha 4 figlie 2 da primo matrimonio e due da secondo alle quale è stata assegnata la legittima
ora hanno accettato con beneficio d'inventario
come mi devo comportare a parte iniziare la pratica per inventario, sono tutelata sufficientemente o devo fare qualcosa?
il padre ha sempre avuto rapporto molto conflittuale con figlie tanto da non volerle neanche in ospedale.
grazie per consulenza”
Consulenza legale i 26/12/2023
Sulla base delle generiche informazioni fornite sembra che il de cuius in vita si sia sufficientemente preoccupato di tutelare la posizione ereditaria del coniuge superstite.
La circostanza che per testamento sia stato disposto in favore del coniuge solo per la quota disponibile trova, infatti, giustificazione nella ulteriore circostanza che in vita la moglie è già stata beneficiaria dei seguenti beni:
  1. l’usufrutto dell’appartamento acquistato nel 2017;
  2. le somme derivanti dalla polizza vita stipulata nel 2019.

Con particolare riferimento a quest’ultima va precisato che è del tutto corretto quanto sostenuto dalla banca, ovvero che quelle somme non entrano a far parte del patrimonio ereditario, in quanto trattasi di somme che il beneficiario (ossia la moglie) acquista iure proprio al momento stesso della stipulazione.
Questa particolare fattispecie contrattuale trova fondamento all’art. 1920 del c.c., norma che disciplina appunto il contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzi, nel quale le parti contraenti convengono che, alla morte della persona assicurata, la somma sia attribuita ad un terzo beneficiario designato dall’assicurato stesso nell’ambito della polizza.
In tal caso l’acquisto da parte del beneficiario del diritto all’indennità oggetto della polizza assicurativa è compiuto in forza del contratto stesso di assicurazione, quale diritto che sorge appunto “iure proprio” in capo al beneficiario a seguito della semplice individuazione e nomina da parte dell’assicurato-stipulante e successivamente alla morte di quest’ultimo.

Da ciò ne consegue che né i creditori del defunto né i suoi eredi potranno vantare alcuna pretesa sull’indennità assicurativa spettante al beneficiario, in quanto essa non è mai transitata nel patrimonio del de cuius, ma è nata direttamente in capo al beneficiario.
Semmai, gli altri eredi, nel caso in esame le figlie del de cuius, potranno vantare delle pretese sui premi versati dal defunto alla Banca in sede di stipula del contratto o anche successivamente, trattandosi di somme uscite dal patrimonio dello stesso de cuius e di cui si è indirettamente avvantaggiato il solo coniuge superstite, beneficiario della polizza.
Stesso discorso vale per il valore dell’usufrutto relativo all’appartamento acquistato nel 2017, in quanto trattasi anche in questo caso di un’ipotesi tipica di donazione indiretta, essendo stato l’acquisto effettuato dal de cuius in favore del coniuge, terzo beneficiario.

Solo la valutazione complessiva del patrimonio relitto dal de cuius al momento della morte, unito al valore dei beni di cui sopra si è detto (le somme versate a titolo di premi assicurativi ed il valore da attribuire all’usufrutto dell’appartamento) consentirà di determinare se gli altri eredi legittimari (le figlie) abbiano subito o meno una lesione della quota di riserva, loro spettante ex art. 536 e ss. c.c.

In ogni caso, dovrà sempre essere fatto salvo il diritto del coniuge superstite di continuare ad abitare nella casa coniugale e di fare uso dei mobili che l’arredano, trattandosi di un diritto spettante ex lege, in forza di quanto disposto dall’art. 540 del c.c..


FILIPPO C. chiede
sabato 02/09/2023
“Sono sposato in seconde nozze, mia moglie è proprietaria dell'abitazione ha un figlio, se essa muore quando erediterò la legittima, pur avendo dei miei fratelli, posso lasciarla al figlio di mia moglie, escludendo i fratelli ed eventuali loro figli ?
Come posso fare?
Posso appellarmi ad articoli di legge. Quali? Vorrei sapere
Grazie”
Consulenza legale i 07/09/2023
E’ certamente possibile che questa volontà trovi piena e completa attuazione.
L’ordinamento giuridico italiano consente al singolo di disporre, nel modo che ritiene più opportuno, dei suoi beni per il tempo successivo alla morte ed ammette anche che egli in vita faccia dono a chi vuole delle sue sostanze, a condizione che non leda i diritti che la legge assicura ai congiunti più stretti (sarebbe in contrasto con la coscienza collettiva che tutti i beni del de cuius possano essere lasciati o donati ad un estraneo e che qualcuno dei figli o il coniuge non ricevano nulla).

Per tale ragione, la legge, ed in particolare il codice civile, stabilisce che, in presenza di determinate categorie di successibili (coniuge, figli e, in mancanza di figli, gli ascendenti), una parte dei beni del de cuius deve essere a loro attribuita.
La quota che la legge riserva a costoro si chiama riserva o quota di legittima, mentre i successibili che vi hanno diritto sono designati con il nome di legittimari o riservatari o successori necessari, e non devono essere confusi con i successori legittimi, ossia con coloro ai quali l’eredità viene devoluta in forza di legge qualora manchi il testamento.

Ebbene, nel caso in esame, colui che pone il quesito lascerebbe alla sua morte soltanto fratelli, i quali, secondo quanto espressamente risulta dall’art. 536 c.c. non rientrano nella categoria di coloro che sono stati sopra definiti “legittimari”.
Ciò comporta che, se non dovesse essere manifestata alcuna volontà testamentaria, aprendosi la successione legittima costoro avrebbero diritto ad una quota di eredità, rientrando tra i c.d. eredi legittimi (così art. 565 del c.c.).
Qualora, invece, ci si decidesse a disporre per testamento dei propri beni in favore del figlio della attuale moglie, tale volontà non incontrerebbe alcun limite, considerato che i fratelli (né, eventualmente, i loro figli chiamati a succedere per rappresentazione) hanno diritto ad una quota, c.d. di riserva, sul patrimonio del disponente.

Andrea C. chiede
lunedì 06/12/2021 - Friuli-Venezia
“Un padre ha tre case ed ha tre figli. Nel novembre 2001 fa questi tre atti notarili. Sono già passati 20 anni. E' un anticipo di eredità.
il padre al primo figlio dona una casa con la piena proprietà del valore di 80mila euro.
il padre al secondo figlio dona un appartamento con la piena proprietà di 100 mila euro
il padre al terzo figlio gli intesta la nuda proprietà (del valore di 75mila euro)della casa dove abita e si tiene l'usufrutto.
Alla morte del papà, il terzo figlio che nel 2001 ha avuto la nuda proprietà e non ha mai usufruito del bene fino al 2021, ha diritto ad un indennizzo da parte degli altri due fratelli che invece hanno ricevuto la casa con la piena proprietà e l'hanno usata? se c'è l'indennizzo come si calcola?”
Consulenza legale i 13/12/2021
Come correttamente viene osservato da chi pone il quesito, le donazioni compiute in vita dal de cuius costituiscono una anticipazione di eredità, il che comporta che, alla morte del donante, per le stesse troveranno applicazione le norme che il codice civile detta in tema di successione.
Ciò significa che, mentre nel momento in cui vengono poste in essere non può in alcun modo essere sindacata la scelta del donante di voler favorire uno o più dei suoi futuri eredi, in quanto ciascun individuo può disporre a proprio piacimento dei beni di cui è proprietario, ben diversa è la situazione nel momento in cui si apre la successione del donante stesso, e ciò in particolare in virtù di quanto previsto dal legislatore agli artt. 536 e ss. c.c., norme che tutelano i diritti spettanti a determinare categorie di soggetti, anche contro la volontà dello stesso de cuius.

Secondo quanto espressamente previsto dal citato art. 536 c.c., la legge impone che una determinata quota del patrimonio ereditario debba essere in ogni caso riservata al coniuge, ai figli ed agli ascendenti del de cuius, specificandosi poi nelle norme che seguono la misura esatta di tale quota, tenendo conto anche del concorso tra diversi soggetti appartenenti alle suddette categorie.
Cominciando già a fare applicazione di quanto fin qui detto al caso di specie, per determinare la quota spettante a ciascun figlio occorre fare riferimento al secondo comma dell’art. 537 del c.c., il quale dispone che, in presenza di più figli (in questo caso i figli sono tre), è loro riservata la quota complessiva di due terzi, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli.

A questo punto, però, al fine di stabilire in concreto la misura di tale quota, si rende necessario determinare il valore dell’intero patrimonio del de cuius, e per fare ciò va fatto riferimento a quanto disposto dal successivo art. 556 del c.c., norma che detta le regole da seguire per determinare la c.d. porzione disponibile, ovvero la quota del proprio patrimonio di cui il de cuius avrebbe potuto liberamente disporre.
Secondo quanto dettato da tale norma, infatti, per giungere alla determinazione della porzione disponibile, occorre compiere le seguenti operazioni:
a) formare una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al momento della morte (c.d. relictum);
b) detrarvi i debiti;
c) riunirvi fittizziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione.
Conclude la norma disponendo che “sull’asse così formato si calcola il valore della quota di cui il defunto poteva disporre”.

In questo caso sembrerebbe che il de cuius non abbia lasciato alcun bene (cioè che non vi sia relictum) e che il suo patrimonio sia fittizziamente costituito dai soli beni donati, ossia dai tre immobili.
Si tratta adesso di stabilire secondo quali modalità e quali criteri vanno valutate le donazioni effettuate in vita dal de cuius ai fini della riunione fittizia, e di ciò si occupa lo stesso art. 556 c.c., disponendo che per i beni donati si deve tener conto del loro valore determinato in base alle regole dettate agli articoli dal 747 al 750 dello stesso codice civile.
In particolare dispongono gli artt. 746 e 747 c.c. che, nel caso di immobile, la collazione può farsi o con il rendere il bene in natura ovvero con l’imputarne il valore alla porzione del donatario e che, allorchè dovesse scegliersi la collazione per imputazione, si deve avere riguardo al valore che l’immobile ha al momento dell’apertura della successione.
Nel caso specifico di immobile donato con riserva di usufrutto, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, la collazione per imputazione va effettuata con riferimento al valore corrispondente alla piena proprietà come acquisita dal donatario al momento dell’apertura della successione (così Cass, n. 20387/2009, Cass. n. 25473/2010).

Pertanto, anche a voler ricostruire il patrimonio ereditario tenendo conto dei valori indicati nel quesito (e dunque non considerando il valore in piena proprietà dell’immobile donato al terzo figlio, che sicuramente sarà superiore ad euro 75 mila), ne esce fuori una massa complessiva pari ad euro 255, di cui i due terzi devono essere riservati ai figli in parti eguali.
Poiché la riserva in favore di ciascun figlio risulta pari ad euro 57 (si ottiene dividendo in 3 i due terzi, pari ad euro 170), sembra più che evidente che il terzo figlio abbia già con la sola nuda proprietà ricevuto più di quanto gli spetti.

La conclusione che dalle considerazioni e dai calcoli che precedono se ne deve far discendere, dunque, è che il terzo figlio non ha nulla da reclamare contro l’operato e le scelte del padre, trovando piena affermazione il principio di carattere generale, proprio del nostro ordinamento giuridico, secondo cui ciascun individuo è pienamente libero di disporre come vuole dei beni di cui è proprietario.
Volendo, infine, ugualmente rispondere alla domanda su come si può calcolare un eventuale indennizzo, può dirsi che, nel caso in cui il figlio avesse ricevuto meno di quanto gli fosse spettato come quota di riserva, si potrebbe assumere come base di calcolo il valore dell’usufrutto che il padre si è riservato in proprio favore su quell’immobile, poiché in concreto è di tale diritto che il terzo figlio è stato privato in confronto agli altri due fratelli.

Mauro F. chiede
domenica 09/09/2018 - Lombardia
“Egr. Avv.,
il quesito che le vorrei porre è il seguente: mio padre, divorziato da mia madre, titolare di una unità immobiliare (quota al 100%) e di due altre proprietà immobiliari (in quota di 1/3 ciascuna) e liquidità personale ha deciso di risposarsi con una signora ucraina che vive provvisoriamente qui in Italia.
Della signora ignoro lo stato civile (divorziata, vedova o altro), mi risulta madre di due figli maggiorenni (provenienti da legami precedenti alla conoscenza di mio padre) che attualmente vivono in Ucraina e suppongo indipendenti.
Quando mio padre verrà a mancare come saranno le quote ereditarie legittime sia in presenza che in assenza di testamento?

In attesa di vostro cortese riscontro porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 14/09/2018
Preliminarmente, è necessario fare chiarezza sui diversi tipi di successione per causa di morte previsti dal nostro ordinamento.
Ai sensi dell’art. 457 del c.c., l'eredità si devolve per legge o per testamento.
Si parla di successione legittima quando un soggetto muore senza lasciare testamento. In questo caso è la legge a predeterminare la misura in cui gli eredi succedono al de cuius.
Non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria.

I legittimari sono invece una particolare categoria di soggetti a cui la legge riserva, in caso di successione testamentaria, determinate quote dell'eredità o altri diritti nella successione. Infatti il comma 3 del medesimo art. 457 c.c. precisa che le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari.
La successione dei legittimari è disciplinata dagli artt. 536 ss. c.c.
Sono legittimari il coniuge, i figli e gli ascendenti. A favore dei discendenti dei figli, i quali vengono alla successione in luogo di questi, la legge riserva gli stessi diritti attribuiti ai figli.

Nel caso in esame, qualora il soggetto della cui successione si discute abbia redatto testamento, al momento della sua morte occorrerà verificare l’esistenza dei soggetti elencati dall’art. 536 c.c., e tenere presente che:
- se chi muore lascia un solo figlio, a questi è riservata la metà del patrimonio;
- se, invece, i figli sono più di uno, a loro è riservata la quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli (art. 537 del c.c.). Viene fatto salvo, però, il disposto dell’art. 542 del c.c. che riguarda l’ipotesi (che appare quella più probabile nel caso in esame, stando alle informazioni fornite) di concorso dei figli con il coniuge;
- infatti, ai sensi dell’art. 542 c.c., se il de cuius lascia, oltre al coniuge, un solo figlio, a quest'ultimo è riservato un terzo del patrimonio ed un altro terzo spetta al coniuge; quando, invece, i figli sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio e al coniuge spetta un quarto del patrimonio del defunto. La divisione tra tutti i figli è effettuata in parti uguali;
- per completezza, si segnalano anche le previsioni rispettivamente dell’art. 538 del c.c.(se chi muore non lascia figli, ma ascendenti, a favore di questi è riservato un terzo del patrimonio, salvo quanto disposto dall'art. 544 del c.c. per il caso di concorso tra ascendenti e coniuge) e dell’art. 540 del c.c. (per cui al coniuge è riservata la metà del patrimonio dell'altro coniuge, salve le disposizioni dell'articolo 542 per il caso di concorso con i figli; in ogni caso al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli).

Qualora, invece, il de cuius non abbia redatto testamento, o abbia disposto per testamento solo rispetto a una parte dei propri beni, si farà luogo a successione legittima. In questo caso i criteri saranno quelli stabiliti dagli artt. 565 ss. c.c.
In particolare, secondo l’art. 565 c.c., nella successione legittima l'eredità si devolve:
1) al coniuge;
2) ai discendenti;
3) agli ascendenti;
4) ai collaterali;
5) agli altri parenti;
6) allo Stato,
nell'ordine e secondo le regole stabilite nelle norme successive.
In questa sede ci limiteremo a menzionare alcuni dei criteri che appaiono di maggiore interesse.
In base all’art. 566 del c.c. (“successione dei figli”), al padre ed alla madre succedono i figli, in parti uguali.
L’art. 581 del c.c. disciplina l’ipotesi del concorso del coniuge con i figli: quando con il coniuge concorrono figli, il coniuge ha diritto alla metà dell'eredità, se alla successione concorre un solo figlio, e ad un terzo negli altri casi.
Invece, ai sensi dell’art. 583 del c.c., in mancanza di figli, di ascendenti, di fratelli o sorelle, al coniuge si devolve tutta l'eredità.


Naturalmente, allo stato è possibile fornire al quesito solo una risposta di carattere generale che tenga conto delle diverse ipotesi in astratto configurabili. Per un parere più dettagliato bisognerebbe avere una conoscenza più completa delle categorie di successibili (coniuge, ovviamente non divorziato, figli, eventuali fratelli e/o sorelle ecc,) e, soprattutto, valutare la situazione in concreto esistente al momento dell’apertura della successione (cioè della morte del de cuius).

Anonimo chiede
mercoledì 03/05/2017 - Piemonte
“Buongiorno
I miei genitori con testamento olografo redatto separatamente mi hanno nominato erede universale, volendomi lasciare unica proprietaria del loro alloggio (non avevano altri beni). Alla morte di mia madre, avvenuta tre anni addietro, ho fatto pubblicare il suo testamento e pertanto metà del citato immobile è stato intestato a me. Alla morte di mio padre, avvenuta di recentemente, ho fatto pubblicare anche il suo testamento, quindi, l'intero alloggio è stato intestato a me.
Poiché mio fratello (siamo solo due fratelli) chiede che gli venga riconosciuta la parte che gli aspetta per legge (legittima) desidererei sapere, alla luce della pubblicazione dei due citati testamenti e relative successioni, se a mio fratello deve essere assegnato un terzo dell'immobile (33,33) o una percentuale inferiore.
Distinti saluti.”
Consulenza legale i 10/05/2017
Il nostro ordinamento non prevede la possibilità di diseredare una persona che sia legata a noi da vincoli di parentela o coniugio, in quanto cerca di tutelare al massimo, nella successione ereditaria, la famiglia, supponendo che quivi si trovino principalmente le persone legate da affetto profondo al soggetto deceduto, nei confronti delle quali vi è un implicito vincolo di solidarietà.
Sebbene la successione possa essere regolata con testamento, come in questo caso, tuttavia la volontà del de cuius trova applicazione fintantoché le disposizioni ivi contenute non vadano a ledere una certa quota che la legge riserva ai parenti più prossimi.
Il testatore, dunque, non è completamente libero di disporre del suo patrimonio.

Se però un successore ha commesso determinati fatti lesivi dell’incolumità fisica e morale del de cuius o della sua libertà di fare testamento, allora si potrà certamente instaurare un giudizio affinché con sentenza venga dichiarata l'indegnità a succedere.
Le ipotesi di indegnità a succedere sono quelle tassative previste dall'art 463 c.c. e sono tutti casi particolarmente gravi in cui è logico supporre che sia venuta meno la meritevolezza del lascito, come per il tentato omicidio ovvero l'omicidio del de cuius o dei suoi prossimi congiunti o come nel caso di falsificazione di un testamento.

Nello specifico, il codice civile agli artt. 536 e seguenti riserva ai figli, al coniuge ed agli ascendenti (cosiddetti "eredi legittimari") del de cuis una quota indisponibile che varia a seconda di quanti legittimari vi sono. La presenza di figli esclude gli ascendenti dai diritti di legittima.
Il legittimario che ha visto diminuita o cessata la quota riservatagli dalla legge, può agire per la riduzione dei lasciti fino alla reintegrazione dei propri diritti.
Nel caso proposto, alla morte della madre, i successori legittimari erano i due figli ed il coniuge.
Suo padre, pur avendo diritto ad 1/4 dell'eredità, non ha reclamato alcunché, confermado la successiva disposizione testamentaria con la quale la voleva erede in toto dell'immobile.

A mente dell'art. 542 c.c. "quando i figli sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio e al coniuge spetta un quarto del patrimonio del defunto".
Dunque a suo fratello spettava 1/4 dell'eredità di sua madre, ovverosia 1/4 di metà abitazione, pari ad 1/8 del valore totale dell'immobile.

Alla morte di suo padre, successori legittimari erano solamente i figli, situazione per la quale l'art. 536 c.c. 2° comma dispone che "se i figli sono più, è loro riservata la quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli".
Dunque sull'eredità di suo padre la quota intangibile di suo fratello è pari ad 1/3 della metà dell'immobile, ovverosia 1/6 dell'intero immobile.
Quindi se suo fratello agisse in giudizio per la riduzione delle disposizioni testamentarie che ledono la sua quota di legittima, potrebbe ottenere 1/6 + 1/8, e cioè 7/24 dell'abitazione pari al 29,16 % della proprietà.

Vincenzo C. chiede
martedì 27/10/2015 - Campania
“Faccio seguito al quesito n. 11859.
La situazione non è mutata e l'ostilità di mia sorella persiste.
Mia madre, quindi, intende assegnare le sue quote a me.
In che modo si può procedere, quale tipo di transizione immobiliare conviene fare ( donazione, vendita, altro ) per non vedersi in futuro, quando non ci sarà più, impugnare dalla figlia questa sua volontà ?

Nel particolare:
- in merito alla DONAZIONE, quale strumento è opportuno utilizzare tra il testamento olografo, il testamento segreto oppure il testamento pubblico e come procedere in merito alla quota legittima della figlia ?

- in merito alla VENDITA, nel caso sia una strada percorribile, come orientarsi tra il valore catastale e il valore commerciale in modo che non venga considerata in futuro una donazione indiretta quindi impugnata la quota di legittima e per il pagamento è possibile/opportuno utilizzare nella trascrizione dell’ atto di vendita che le parti dichiarano che il corrispettivo di vendita è stato versato in precedenza alla stipulazione del rogito ?

- in merito alle GARANZIE DELLA MADRE, pur non essendoci assolutamente questo aspetto da parte sua , ma io nel caso intendo percorrerlo soprattutto per una questione di rispetto, cosa è possibile/opportuno inserire nell’ atto di donazione/vendita tra il diritto di usufrutto, il divieto di alienazione, gravare di un onore ( onere per il donatario di prestare assistenza materiale e morale al donante vita sua natural durante ) altro o similare oppure, meglio ancora, se tutto insieme ?

In ultima analisi, considerato che la figlia/sorella è capace di tutto e mia madre percepisce pensione di invalidità, nel caso si proceda quindi ad una delle due strade fin qui esposte, quando una persona può essere considerata incapace di intendere o di volere, così da invalidare/impugnare/annullare l’ atto di donazione/vendita ?

In attesa di un celere riscontro, cordiali saluti.”
Consulenza legale i 27/10/2015
La domanda posta sottende una questione classica: come "aggirare" il divieto di lesione della quota legittima di un legittimario (nel nostro caso, figlia)?

La risposta più immediata è certamente la vendita. Difatti, il proprietario di un bene - nel nostro caso, di una quota di un bene immobile - può liberamente alienarlo a titolo oneroso, senza che tale operazione possa essere in futuro oggetto dell'azione di riduzione, con cui il legittimario leso torna in possesso di beni ereditari per ricomporre la sua quota legittima.
Come già evidenziato nel quesito, la vendita deve essere reale, e non deve potersi ricondurre ad una donazione, come nel caso in cui l'acquirente paghi un prezzo irrisorio.
Certamente, vendere ad un prezzo di mercato è la scelta consigliabile, in quanto l'ammontare del corrispettivo sarà difficilmente contestabile in futuro. Il valore catastale potrebbe essere, invece, molto inferiore al valore commerciale dell'immobile, dando adito a sospetti che potrebbero portare a far dichiarare la simulazione di una donazione.

Quanto alla modalità di pagamento del prezzo, con il D.L 4 Luglio 2006, n. 223 (c.d. Decreto Bersani), convertito, con modifiche, nella Legge 4 agosto 2006, n. 248 è stato previsto un nuovo regime di trasparenza alle compravendite immobiliari, relativamente alla c.d. "tracciabilità" dei mezzi di pagamento del prezzo.
La dichiarazione congiunta delle parti contraenti, resa davanti al notaio, deve specificare se il pagamento è avvenuto in contanti o mediante bonifico bancario o attraverso l'emissione di assegni circolari, bancari o postali. In caso di pagamento con bonifico bancario, dovranno essere indicati gli estremi del medesimo; se si utilizzano assegni, dovranno essere precisati la banca emittente o trattaria e il numero dell'assegno. I pagamenti in contanti sono ammessi solo per somme limitate.
Di conseguenza, dal 2006, non è possibile stipulare un atto notarile in cui genericamente le parti affermino che il corrispettivo di vendita è stato versato in precedenza, senza indicazione delle modalità.

Esaminiamo ora l'ipotesi della donazione. Per valutare se essa sia una strada percorribile, si deve fare un calcolo immaginario, che tenga conto della probabile composizione del patrimonio ereditario della madre al momento della sua morte: la figlia, infatti, avrà diritto alla quota legittima di metà dei due terzi dell'eredità (vedi art. 537 del c.c.).
Supponendo che la signora sia proprietaria di 667/1000 dell'immobile in questione, oltre alla sola pensione di invalidità (per cui potrebbe avere una liquidità bancaria più o meno consistente - immaginiamo per un attimo che non ci siano debiti ereditari consistenti), si deve calcolare se la quota che resterà alla figlia dopo il decesso della madre sia tale da soddisfare il limite minimo di legge.
Ciò potrà avvenire, ad esempio, se la liquidità bancaria della signora viene lasciata alla figlia ed è di ammontare tale da garantire alla stessa la percezione della legittima (ipotizziamo che l'immobile valga 500.000 euro e che la quota della madre, donata al figlio, ne valga 333.500 euro; inoltre, diciamo che la madre ha 300.000 euro in banca: la figlia avrebbe diritto a una quota di 111.166 euro circa sull'immobile, e 133.333 euro circa di denaro liquido. La madre potrebbe con testamento attribuire alla figlia 250.000 euro in denaro, soddisfacendo così la legittima).
Gli scenari sono, naturalmente, i più diversi, e vanno analizzati nel concreto.

Infine, per quanto attiene alle garanzie da offrire alla madre, vista l'ostilità dell'altra figlia, per garantire che la signora possa sempre dimorare nell'immobile, è consigliabile procedere con la costituzione di un diritto reale, che può essere l'usufrutto o il diritto di abitazione.
L'usufrutto è un diritto più completo, che consiste nel diritto riconosciuto all'usufruttuario di godere e di utilizzare un bene uti dominus (al pari del proprietario), limitato solamente dal non poterne trasferire la proprietà principale e al rispetto della destinazione economica impressavi dal proprietario. Inoltre, tale diritto comporta per il titolare la facoltà di trarre dalla cosa oggetto del diritto in analisi, tutte le utilità che può dare, compresi i frutti che essa produce, con l'obbligo di non mutarne la destinazione (v. art. 981 del c.c.). Ad esempio, l'usufruttuario può dare in locazione il bene e trattenerne i frutti (cioè il canone).

Il diritto di abitazione è più limitato, il quanto il cosiddetto "habitator" ha solo la facoltà di godimento dell'immobile con il limite della soddisfazione dei bisogni propri e della propria cerchia familiare. Si tratta comunque di un vero e proprio diritto reale.

Ciascuno dei due diritti sopra menzionati vanno costituiti con atto pubblico per poter validamente sorgere e sono oggetto di trascrizione nei registri immobiliari, in modo da essere opponibili a chiunque.

La previsione di un onere di accudimento in capo al donatario si ritiene superflua, visto l'ottimo rapporto tra la madre e il figlio: in ogni caso, ipotizzando una donazione dell'immobile, il donatario ha comunque alcuni oneri di legge, come quello di dover corrispondere gli alimenti al donante, o di doversi comportare correttamente nei suoi confronti, visto che la donazione può revocarsi per ingratitudine (art. 801 del c.c.).

Il divieto di alienazione non sembra una strada consigliabile, sia, nuovamente, perché i rapporti tra le parti sono buoni, sia perché esso è comunque molto limitato: l'art. 1379 del c.c., infatti, sancisce che il divieto di alienare stabilito per contratto non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti. Inoltre, una convenzione di tal genere ha effetto solo tra le parti, quindi se il figlio disgraziatamente decidesse di vendere ad altri, dovrebbe corrispondere alla madre solo un risarcimento del danno, mentre l'acquisto fatto dal terzo acquirente sarebbe perfettamente valido.

In conclusione, circa la forma testamentaria da scegliere, le tre modalità previste per legge sono assolutamente equivalenti in quanto ad effetti. Il testamento olografo è quello più economico (il testatore deve scriverlo interamente di suo pugno, datarlo e firmarlo), però ci si espone al rischio di smarrimento, distruzione, manipolazione nonché alla possibilità che eventuali eredi insoddisfatti ne contestino il contenuto (di solito, scritto in linguaggio non giuridicamente ineccepibile). Il testamento pubblico, reso dinnanzi al notaio, dà maggiori garanzie di chiarezza e di conservazione, quando si sia in presenza di un potenziale chiamato all'eredità che potrebbe contestare la volontà del testatore.

Manuela A. chiede
sabato 10/10/2015 - Emilia-Romagna
“Mia madre, di anni 70, ha due figlie.
La sottoscritta nata da precedente matrimonio, ed una seconda nata da secondo matrimonio in separazione di beni.
Durante il secondo matrimonio ha acquistato un immobile, che è a Lei intestato.
Vorrei sapere se ha libera facoltà di vendita dell' immobile senza nulla dire alle figlie, e se ha facoltà di fare donazione della somma del ricavato solo ad una delle figlie (mia sorella) senza nulla dire all altra (io), oppure far confluire il ricavato nel conto intestato solamente all attuale coniuge con il quale non ho rapporto alcuno di parentela.
Vorrei quindi sapere che azioni mi spettano nel caso di vendita a terzi, oppure donazione della somma ricavata.”
Consulenza legale i 14/10/2015
Una delle principali facoltà del proprietario di un bene è quello di poterlo alienare (ai sensi dell'art. 832 del c.c., "Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo"): pertanto, certamente la madre ha diritto di vendere l'immobile di cui è proprietaria.

Altrettanto liberamente può disporre della somma che ricaverà dalla vendita: potrà usarla per acquistare altri beni o servizi per sé o donarla a terzi.

La donazione di denaro fatta in vita da una persona diventerà rilevante - eventualmente - solo dopo la sua morte.
Nel caso di specie, in particolare, poiché la signora ha due figlie e un coniuge, e poiché questi soggetti sono per la legge dei legittimari (art. 536 del c.c.), ogni donazione potrà - un domani, alla morte della signora, quando si aprirà la sua successione - essere potenzialmente aggredibile qualora venga lesa la quota di legittima riservata dal codice civile a questi soggetti.

I legittimari sono soggetti che hanno diritto ad una quota dell'eredità detta "legittima", anche nel caso in cui il testatore non li abbia contemplati tra gli eredi (si parla allora di legittimario "pretermesso") o abbia lasciato loro di meno del dovuto (c.d. legittimario "leso" nella quota di riserva). Sono certamente legittimari i discendenti del de cuius (quali i figli) e il coniuge.

Per rispondere alle domande poste nel quesito, quindi, può dirsi che:
- alla figlia non compete nessuna azione contro la madre finché questa, in vita, vende il suo immobile a terzi, né se essa donasse una somma di denaro all'altra figlia o al marito;
- deceduta la madre, qualora questa abbia donato somme a una sola figlia o al coniuge, si dovrà valutare se sussistano i presupposti per una azione di riduzione contro la donazione.

L'azione di riduzione compete ai legittimari nel caso in cui sia lesa la quota di eredità loro riservata dalla legge, ed è disciplinata dagli artt. 553 ss. c.c.
Lo scopo dell'azione è quella di far dichiarare l'inefficacia delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che eccedono la quota di cui il testatore poteva liberamente disporre, in modo da consentire al legittimario leso o pretermesso di poter ottenere materialmente quanto gli spetta.

Nel nostro caso specifico, presupposto dell'azione sarà, pertanto, la lesione della quota legittima, cioè il fatto che la prima figlia non abbia ricevuto per intero la quota dell'eredità che gli spetta per legge. Ipotizzando che alla morte della madre siano ancora in vita entrambe le figlie e il coniuge, la legittima per ciascuna figlia corrisponderà a un quarto del patrimonio ereditario (più precisamente, un quarto spetta al marito, e metà alle due figlie, da dividersi in parti uguali, secondo quanto dispone l'art. 542 del c.c.; l'altro quarto è nella libera disponibilità della defunta). Se, invece, sono in vita solo le due figlie, spettano loro i 2/3 dell'eredità, da dividersi in parti uguali.

Peraltro, la legge dice che prima di aggredire le donazioni si debbono ridurre le disposizioni testamentarie lesive (art. 555 del c.c., "Le donazioni non si riducono se non dopo esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento"), quindi non è detto che la donazione fatta in vita dalla madre debba essere necessariamente impugnata dopo la sua morte. Potrebbe non essere necessario qualora risultasse sufficiente far dichiarare inefficace una o più disposizioni testamentarie (se presenti).
Un esempio pratico potrà chiarire il concetto: se la madre, in vita, ha fatto una donazione di 100.000 euro a una figlia, e con testamento le ha lasciato un immobile del valore di 400.000, l'altra figlia, la cui quota di legittima è stata ipoteticamente lesa, dovrà prima di tutto far dichiarare l'inefficacia della disposizione testamentaria con cui si assegna l'immobile a sua sorella, e, se ciò basta a farle conseguire la sua parte di eredità, ella non dovrà anche impugnare la donazione di 100.000 euro.

Luca R. chiede
martedì 08/09/2015 - Lombardia
“Egregio Avvocato,

la mia pro-zia (sorella di mia nonna) senza ascendenti (padre e madre), senza fratelli, senza figli riconosciuti e senza coniuge ha fatto un testamento pubblico presso un notaio e ha deciso di lasciare il 100% dei suoi beni a me e ai miei fratelli.
Ora scopriamo che la mia prozia aveva un figlio (A), che non ha mai riconosciuto e che, minorenne, è stato adottato da altra famiglia. Questi ha fatto la sua vita e ora è morto, ha avuto un figlio (B), ora morto anche lui, che a sua volta ha avuto un altro figlio (C).
Ora si voleva capire se (C), di fatto un bis nipote non riconosciuto è un soggetto a cui spetta la quota legittima ? in caso positivo è quindi legittimato a richiederla in proprio ? In caso positivo quanto gli spetterebbe di quota legittima ? quali passi dovrebbe compiere per avere la sua quota di legittima ?

Grazie per la risposta”
Consulenza legale i 09/09/2015
Il quesito implica la risposta alla domanda: il figlio "naturale" (va precisato che oggi normativamente non rileva più la differenza tra figli legittimi e naturali), non riconosciuto e adottato sin da minorenne da un'altra famiglia, vanta ancora diritti successori nei confronti dei genitori biologici?

Va prima di tutto premesso che il nostro ordinamento contempla oggi due categorie di adozione, quella legittimante e quella non legittimante.
La prima, che può aversi nei confronti di minori stranieri o italiani, comporta la recisione totale dei rapporti con la famiglia biologica d'origine, e la conseguente perdita dei diritti successori.
L’adozione non legittimante è quella che si ha in "casi particolari" (attualmente disciplinata dall’art. 44 della legge n. 184/83): il minore acquista in questo caso, lo stato di figlio adottivo dell’adottante, ma al tempo stesso egli conserva i diritti/doveri nei confronti della famiglia biologica (anche se i genitori naturali perdono la potestà genitoriale sul figlio).

La vicenda in esame, tuttavia, considera un'adozione avvenuta sicuramente prima del 1967.
Il codice civile del 1865 riconosceva la possibilità per le persone maggiori degli anni diciotto di essere adottati, ma nulla si prevedeva per i minori.
Nel 1942, con l'emanazione del codice civile, venne introdotta per la prima volta l’adozione anche per i minorenni, tuttavia lo scopo era solo quello di regolare alcune finalità patrimoniali.
Fino al 1967 l'adozione di minori prevedeva che l’adottato conservasse lo status di figlio con i genitori biologici e dunque avesse diritto alla loro eredità, mentre per le adozioni di minori intervenute successivamente a tale data, l’adottato non ha alcun diritto in tal senso, poiché il legislatore, con legge n. 431/1967, ha stabilito che sia interrotto definitivamente ogni legame giuridico tra l’adottato e la famiglia d’origine.

In realtà, il codice civile del 1942 regolava anche l'istituto della affiliazione, concessa in alcuni casi (ad esempio, l’affiliazione da parte del marito del figlio della moglie; l'affiliazione di bambini anche non parenti da parte di uomini sposati, pater familias, che altro non erano che forme di adozione mascherate; etc.), e che non recideva il legame del bambino con la famiglia d'origine (in particolare, quanto ai diritti successori).

La risposta al quesito, quindi, sia che il minore (figlio della prozia) sia stato "adottato" che "affiliato" (dopo il 1942, prima l'istituto non esisteva), sembra dover essere in astratto positiva, poiché le leggi vigenti prima del 1967 contemplavano ipotesi in cui il figlio "adottato" non perdeva davvero i legami - giuridici, e quindi successori - con i genitori naturali.

Tuttavia, v'è da dire che il figlio dato in adozione non è mai stato riconosciuto dalla madre.
Si profilava, allora, la necessità per quel figlio di esercitare l'azione volta alla dichiarazione giudiziale di maternità.
Il primo comma dell'art. 270 del c.c. sancisce l'imprescrittibilità riguardo al figlio dell'azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità; i suoi eredi, invece, hanno solo due anni di tempo dalla morte del figlio non riconosciuto per poter agire in giudizio (secondo comma dello stesso art. 270).

Ne consegue che il pronipote di quel figlio mai riconosciuto dalla prozia ha la possibilità di far dichiarare la maternità in via giudiziale, solo se non è ancora spirato il termine previsto dal codice civile: in altre parole, A dovrebbe essere morto da meno di due anni. Se A fosse morto da oltre due anni, il suo pronipote C non potrà vantare alcun diritto successorio sul patrimonio della bisnonna biologica, non avendo strumenti giuridici per ottenere la dichiarazione di maternità.

Silvia V. chiede
lunedì 06/07/2015 - Emilia-Romagna
“Mio padre vedovo, figlio unico, senza più genitori e con un’unica figlia (io) è deceduto lasciando un testamento olografo valido in cui nomina suo unico erede universale il suo unico nipote di anni 22 (e mio unico figlio). Vorrei sapere se, poiché il testamento eccede la quota di cui il defunto poteva disporre (1/2 patrimonio in quanto 1/2 quota legittima della figlia), erede è solo mio figlio o siamo in due (io e lui ognuno per il 50% ). In questo caso poiché io vorrei che ereditasse tutto mio figlio dovrei fare rinuncia all’eredità e sono ancora in tempo? (il decesso è avvenuto il 02-10-14). Oppure è sufficiente che io non faccia azioni oppositorie per non essere considerata coerede? Nel caso l’unico erede sarebbe mio figlio oppure gli unici altri parenti (una zia e qualche cugino di primo grado) possono vantare diritti sull’eredità?”
Consulenza legale i 08/07/2015
La lesione della quota riservata ad alcuni eredi rileva solo qualora ad essere esclusi siano i legittimari del defunto, che, per legge, sono solo il coniuge, i figli e gli ascendenti, cioè i genitori (art. 536 del c.c.).
Quando il testatore abbia disposto della propria eredità oltre il limite della quota disponibile, i legittimari hanno diritto ad agire con l'azione di riduzione, che ha lo scopo di far dichiarare l'inefficacia delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che, appunto, eccedono la quota di cui il testatore poteva liberamente disporre.
Nel nostro caso, poiché il de cuius era già vedovo e i suoi genitori gli erano premorti, l'unica persona che potrebbe impugnare il testamento è la figlia. Ella, però, non ha intenzione di agire contro il figlio, anzi.
In questa ipotesi, la soluzione migliore è non fare nulla. Difatti, l'azione di riduzione si prescrive naturalmente decorsi dieci anni dal momento in cui la disposizione testamentaria lesiva della legittima sia stata accettata dal chiamato all'eredità (cioè dal nipote del defunto, figlio dell'unica legittimaria).
Sul piano giuridico, la figlia va considerata come "legittimaria pretermessa" e, secondo la migliore dottrina, ella non è reputabile come erede se non in quanto abbia sperimentato vittoriosamente l'azione di riduzione. Se la figlia non agisce in riduzione, non sarà mai erede e, quindi, non è tenuta a rinunciare ad alcunché.
Quanto all'esistenza di altri parenti, il testamento vale ad escluderli indubbiamente dall'eredità. Essi non potranno vantare alcun diritto sul patrimonio del de cuius, che sarà interamente devoluto al nipote.

Gianmarco M. chiede
lunedì 25/08/2014 - Emilia-Romagna
“Buonasera, chiedo se i fratelli, della defunta (essa non ha figli) possono richiedere qualcosa, come la leggittima, nel caso è presente un testamento, in cui, la defunta lascia tutto al coniuge.
Grazie”
Consulenza legale i 25/08/2014
Ai sensi dell'art. 536 del c.c. sono legittimari solo il coniuge, i figli e gli ascendenti (genitori, nonni).
Il defunto può quindi decidere di dare con testamento tutti i propri averi al coniuge, escludendo i fratelli.

Alfredo M. chiede
venerdì 16/12/2011 - Lazio
“Mio zio,sposato senza prole, è il fratello di mio padre defunto. Io sono figlio unico ed unico parente suo. Egli ha stilato un testamento olografo in cui lascia tutto a sua moglie.
Vorrei sapere se mi posso definire "legittimario" e quindi avere diritto ad una parte dell'eredità (legittima)ed eventualmente in che percentuale.
Grazie!”
Consulenza legale i 02/01/2012

Ai sensi dell'art. 536 del c.c. le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione sono solamente il coniuge, i figli legittimi, i figli naturali e gli ascendenti legittimi. Ai figli legittimi sono equiparati i legittimati e gli adottivi. Solo questi soggetti sono considerati dalla legge legittimari.

Se il de cuius ha disposto a favore della moglie con testamento olografo, il nipote non potrà considerarsi legittimario e far valere tale posizione. Per questo non avrà diritto ad alcuna eredità.


Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.