La rinuncia, oltre che riverberarsi, con i suoi effetti, sui successibili, può colpire i
creditori di chi la fa, i quali vedono così sfuggire un elemento che avrebbe potuto costituire oggetto di un’
azione esecutiva da parte loro. È in relazione a questa ipotesi che l’art. 524, anche se sostanzialmente mutato, corrisponde all’art. #949# del codice del 1865, in cui si disponeva:
"I creditori di colui che rinuncia ad una eredità in pregiudizio dei loro diritti, possono farsi autorizzare giudizialmente ad accettarla in nome e luogo del loro debitore. In questo caso la rinuncia è annullata non in favore dell’erede che ha rinunciato, ma solamente a vantaggio dei suoi creditori e per la concorrenza dei loro crediti".
Vive dispute si agitavano in dottrina e in giurisprudenza per precisare la
natura giuridica di questo
potere non tanto per un’esigenza dogmatica quanto per la necessità di fissare i requisiti e le condizioni per il suo esercizio; infatti, a seconda che si fosse accolta l’una o l’altra o una diversa opinione, differenti erano i presupposti per l’applicazione dell’art. #949#, nel quale ora si voleva vedere un riflesso dell’art.
2901 (azione
revocatoria), ora, invece, una conseguenza del principio stabilito dall’art.
2900 (
surrogatoria), ora, infine, un’azione
sui generis.
Tuttavia, quell'articolo
non può identificarsi con nessuna delle due norme: non con l'art. 2901, perché qui si presuppone un atto (giuridico) compiuto dal debitore in frode dei suoi creditori, mentre l'art. #949# faceva l'ipotesi di un Tizio, debitore, che rinuncia all'eredità; identico era il trattamento fatto, in un'ipotesi analoga, dal diritto romano, il quale, com'è noto, non consentiva l'esercizio della pauliana per tutti quegli atti che non determinavano una diminuzione del patrimonio posseduto dal debitore, ma impedivano solo che esso aumentasse: 1.6, fr. D.
quae in fraudem creditorum facta sunt ut restituantur, 42, 8:
"pertinet hoc edictum ad deminuentes patrimonium suum non ad eos qui id agunt ne locuplentetur". A prescindere da tale rilievo, andava rilevato poi, contro la configurazione della pauliana nell'art. #949#, che, se requisito essenziale della prima è il
consilium fraudis del debitore - sostanziantesi nel proposito (preso d'intesa o no con il terzo non conta, essendo ciò influente soltanto al fine di decidere la sorte del diritto del terzo che ha contrattato col debitore) di danneggiare i creditori - questo elemento poteva mancare, e spesso, nell'ipotesi prevista dall'art. #949#, perché non era da escludersi che il chiamato all'eredità si fosse indotto a rinunciare non già per frodare i suoi creditori, ma per motivi a lui particolari, per considerazioni d'indole morale o di carattere patrimoniale (come se, ad esempio, fosse convinto della passività dell'asse e così via dicendo).
Men che mai, poi, l'art. #949# poteva ritenersi un riflesso della surrogatoria, della facoltà, cioè, che, mediante questa, ogni creditore ha di far valere egli i diritti e le azioni spettanti ad un suo debitore negligente e dal cui mancato esercizio derivi un danno a lui stesso, che sul patrimonio del debitore ha una garanzia per i suoi diritti. Contro tale sussunzione del #949# sotto il 2900 si opponeva un solo e decisivo rilievo: se la rinuncia all'eredità pone chi l'ha compiuta nella medesima condizione di chi non v'è stato mai chiamato e se, di conseguenza, deve ritenersi che egli non abbia mai avuto alcun diritto sui beni ereditari, come si può concepire che i creditori esercitino in surrogatoria, cioè in sostituzione del debitore, un diritto che egli non ha?
La teoria che vede nel #949# un'azione
sui generis va a priori respinta per la sua indeterminatezza.
Di conseguenza, si può affermare che l'art. #949# attribuiva ai creditori del debitore che, chiamato all'eredità, vi rinuncia e da tale suo atto deriva ai primi un danno - in quanto se i beni fossero acquisiti dal debitore, il suo patrimonio, garanzia dei creditori, ne sarebbe uscito rafforzato - un diritto proprio, autonomo a chiedere l'
autorizzazione per accettare essi stessi l'eredità nei limiti e con gli effetti stabiliti dalla legge.
Come ha regolato quest'azione il nuovo codice delle successioni? Dall'articolo in esame si rileva che è stato soppresso l'inciso
"con pregiudizio"; in altri termini,
anche se il debitore rinuncia senza essere a ciò spinto da un animus fraudandi, purché si accerti, nei confronti dei suoi creditori, un danno consequenziale a tale rinuncia, costoro possono avvalersi dell’art. 524; l’articolo continua col precisare che i creditori possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunciante; su questo punto è possibile operare due rilievi: il primo, che è inesatto parlare di creditori che accettano l’eredità quando è indubbio che costoro non diventano eredi; il secondo, che è pure inesatto dire che essi possono compiere quell’accettazione in nome e luogo del rinunciante quando anche qui è certo che l’attribuzione dei beni ereditari è domandata dai creditori in nome proprio e non in nome del debitore. Comunque, il contenuto dell’art. 524, migliorato nei confronti dell’art. #949#, vuol dire, sostanzialmente, questo: quando da una rinuncia ad un’eredità compiuta da un debitore i creditori ne abbiano a risentire un danno - vi sia o no la frode, cioè l’
animus fraudandi, nell’atto del rinunciante -, essi possono chiedere al giudice che i beni ereditari, anche se acquisiti da altro successibile, siano loro
attribuiti allo scopo di
soddisfarsi sui medesimi dei propri diritti e
fino alla concorrenza dei medesimi.