(massima n. 1)
L'azione revocatoria esercitata dal curatore nei confronti dei terzi aventi causa dal primo acquirente del fallito, pur presupponendo l'esercizio della revocatoria fallimentare nei confronti dell'atto dispositivo posto in essere da quest'ultimo e la sua conseguente dichiarazione d'inefficacia, si atteggia come una revocatoria ordinaria, e come tale può essere qualificata dal giudice sulla base dei fatti rappresentati dal curatore, il quale è tenuto a provare la mala fede del sub-acquirente a titolo oneroso, intesa come consapevolezza che l'atto d'acquisto intervenuto fra il suo dante causa ed il debitore fallito era revocabile ex art. 67 legge fall.; se però l'azione revocatoria ha per oggetto il pagamento eseguito dal debitore, poi fallito, con mezzo normale e per debiti scaduti, la sua stessa esperibilità va negata ai sensi dell'art. 2901, terzo comma, c.c., trattandosi di atto dovuto, privo di contenuto negoziale e non assimilabile all'atto di disposizione patrimoniale revocabile ai sensi del primo comma dell'art. citato; in ogni caso, l'azione revocatoria ordinaria permette di far valere il diritto di sequela e dunque il suo effetto recuperatorio nei confronti dei predetti terzi acquirenti solo se l'oggetto dell'azione sia una cosa determinata che, sebbene trasferita ad un terzo, mantenga la sua individualità, come non può essere il danaro che, una volta incassato, si confonde con la restante parte del patrimonio del creditore.