Funzione dell'azione. Cenni generali
Agli effetti dell'azione si è già qua e là accennato nel corso della trattazione e specialmente a proposito della indagine sulla qualificazione giuridica. In quest'occasione già fu messo in rilievo il carattere preparatorio dell'azione e la sua direzione specifica a tutela di un dato interesse, che ne pone anche oggettivamente i confini.
Trattasi cioè di provocare, in sede cognitoria, una dichiarazione giudiziale di inefficacia dell'atto .di disposizione che rimuova l'impedimento ad eventuali procedure realizzate sui beni alienati, in favore del creditore procedente e contro il terzo acquirente. Dichiarazione di inefficacia che agisce in funzione e proporzione esclusiva dell'interesse del detto creditore, come ambito patrimoniale di operatività, come estensione utile soggettiva e come oggettivazione su determinati beni. Per cui, da una parte, l'azione non può profittare ad altri creditori che non prendano parte al giudizio, e dall'altra non può giovarsene neppure il debitore, agendo il creditore procedente in base ad un
diritto proprio e non in via surrogatoria, ed a tutela esclusiva della propria ragione creditoria, la quale risulta appagata quando sui beni perseguiti possa comunque trovare realizzazione. Gli altri creditori che vogliano profittare dell'azione debbono processualmente associarvisi, o nel momento iniziale, o mediante tempestivo intervento, con che si precostituiranno ancor essi la declaratoria indispensabile a partecipare all'azione esecutiva sui beni. E quanto al debitore, se egli deve essere citato nel giudizio, ciò è solo in funzione della sua posizione giuridica, essenziale nella perpetrazione dell'illecito contrattuale, e quindi per la legittimità del contradditorio, in un giudizio che deve operare anche nei suoi confronti, mentre d'altro canto, la sua presenza in causa permette l'utile spiegamento, nello stesso processo, di eventuali domande di rivalsa da parte del terzo convenuto in giudizio, contro il proprio autore. Ma, considerata l'azione nei rapporti del creditore procedente, come questi nulla di concreto può al debitore domandare, a prescindere dai cennati effetti astratti della declaratoria anche nei suoi confronti, cosi, a sua volta, nulla il debitore può chiedergli nè derivare di profittevole dalla sua azione, la quale resta operativa come tale, solo contro il terzo ed a vantaggio del credito per cui si procede.
Deve pertanto escludersi che l’azione operi l’attrazione nel patrimonio del debitore dei beni che ne furono distratti, laddove il rapporto si pone direttamente, sul piano cognitorio ed esecutivo, tra il creditore procedente e il terzo, mentre il debitore non potrebbe beneficiarne neanche per il residuo, dopo aver soddisfatto il creditore. E neppure vi è questa attrazione quale presupposto giuridico per l’esecuzione, quasi che questa avvenga contro il debitore. Laddove si provveda semplicemente a rendere i beni, a mani del terzo e attribuiti alla sua titolarità, suscettibili come tali di azione esecutiva o conservativa del creditore.
Dichiarazione di inefficacia dell'atto traslativo ai fini di una futura eventuale esecuzione
Ora, questa concezione, già espressa dall'elaborazione della giurisprudenza e dalla dottrina, a appare messa anche in luce dal nuovo codice, nell'articolo in esame.
Si pone anzitutto in risalto il distacco concettuale e cronologico fra l'azione cognitoria di revocazione — che si conclude con la declaratoria di inefficacia – e il procedimenti di realizzazione può estrinsecarsi direttamente — ormai — attuare sui beni distratti la propria pretesa creditoria. E questa fase di verso quale, rimosso l'impedimento dell'atto revocato, il creditore può attuare sui beni distratti la propria pretesa creditoria. E questa fase di esecuzione (mobiliare od immobiliare, non distinguendo la legge circa la natura dei beni alienati, sebbene praticamente l'azione si rivolga piuttosto contro le alienazioni immobiliari), ovvero può limitarsi intanto a quegli specifici atti conservativi con i quali i beni vengono staggiti nelle mani del possessore od affidati ad un terzo, ai fini (successivi) della esecuzione. Tale essenzialmente il
sequestro conservativo, come contemplato - nei suoi elementi sostanziali - agli articoli 2905 e seguenti del presente capo, e come particolarmente regolato, sotto l'aspetto processuale, negli articoli 671 e seguenti del codice di rito. Sequestro il quale ha bensì la- funzione propria di assicurare al creditore la conservazione. delle garanzie (patrimoniali) del proprio credito, come rappresentate in effetti da determinati beni, ma che può convertirsi di poi in pignoramento al momento in cui il creditore, a conclusione del giudizio di merito (rappresentante a sua volta una fase di sviluppo di quello di convalida : art. 680 cod. proc. civ.) ottenga sentenza di condanna esecutiva ; onde, il provvedimento cautelare si innesta senza altro ed assume funzione nel processo esecutivo per la realizzazione vera e propria delle ragioni del creditore.
Ma specialmente è importante la formulazione dell'articolo in esame laddove, nell'ultimo inciso del primo comma, precisa che nell'esperimento degli atti di realizzazione dovranno osservarsi le
forme prescritte per la esecuzione a danno dei terzi acquirenti. Sono queste le forme indicate negli articoli 602 e seguenti del codice di rito, caratterizzate dal fatto che soggetto passivo della procedura non è, come al solito, lo stesso debitore, ma un terzo : in quanto possessore di beni di cui abbia acquistato la proprietà, ma assoggettati da vincolo reale (pegno od ipoteca) che li persegue anche in mani aliene, — od in quanto proprietario e per beni non vincolati, ma in base ad. un atto di alienazione che sia stato revocato, negli effetti, per frode. È questo ultimo appunto il caso della revocatoria, ora contemplato — anche ai
fini esecutivi — in modo espresso dalla legge. Il che, se chiarisce agli effetti pratici del rito la procedura da seguirsi, basta parimenti per confermare, sotto t'aspetto sostanziale, i principii che abbiamo indicati più sopra. Nel senso che l'efficacia della revocatoria si proietta tutta sul terzo acquirente ad. esclusivo vantaggio del creditore che vi procede, e quindi con rigoroso misuramento, sul piano esecutivo, all’entità del credito ; mentre il debitore — sebbene parte in causa nel processo cognitorio per i fini già più volte indicati, e sebbene soggetto processuale anche del processo esecutivo in tale suo speciale atteggiamento -- vi assume una posizione che può dirsi
integrativa, e soprattutto è messo in condizione dalla legge di non potersene in alcun modo avvantaggiare.
Limiti di operatività rispetto al debitore ed ai terzi
Posto che infatti il creditore procedente passi alla fase dell'esecuzione, questa opera limitatamente ai fini del soddisfacimento del credito. Il creditore non vi ha altro diritto ed altro interesse ; e per suo conto il debitore, essendosi a suo tempo definitivamente spogliato dei beni in attuazione di una facoltà di disposizione che la legge personalmente non gli ha tolto, non può pretendere di rientrarne in possesso, anche in parte, approfittando di una situazione che altri ha provocata solo a suo vantaggio particolare.
È pertanto pacifico, come si è già sopra accennato — e più che mai aderente al sistema del nuovo codice — che il superamento eventuale dell'esecuzione, dopo aver soddisfatto il creditore, od i creditori procedenti, non deve essere restituito al debitore a sensi dell'art. 510 ultimo comma primo inciso cod. proc. civ.,
ma al terzo acquirente il cui acquisto viene così, negli effetti pratici, ad essere revocato solo entro il limite dell'interesse del credito.
E parimenti viene generalmente ammesso – in funzione dello stesso principio di interesse— che il terzo acquirente possa evitare l’esecuzione provvedendo in proprio al soddisfacimento delle ragioni del creditore mediante pagamento della somma capitale del credito e degli interessi, oltre alle spese del procedimento. Manca infatti nel creditore alcun diritto specifico sui beni, né alcuna ragione mediante pagamento della somma capitale del credito e degli alcun diritto specifico sui beni, né alcuna ragione che vada oltre gli elementi economici sopra indicati, tutti suscettibili di soddisfacimento in denaro. Onde, provvedendosi a questo soddisfacimento mediante quel mezzo essenzialmente fungibile che è la moneta, manca qualsivoglia interesse per il creditore a esercitare o proseguire l’azione.
D’altro canto, poiché la pretesa creditoria dell’attore, per effetto della revocabilità dell’atto di alienazione, viene a individuarsi direttamente nei confronti del terzo acquirente, e in virtù di azione personale che ha fondamento su una sua specifica responsabilità – e per partecipazione alla frode, o per indebita locupletazione – ne deriva che, ove il terzo si sia a sua volta spossessato del bene e questo non possa essere recuperato presso il successivo acquirente, sia tenuto il detto terzo a rispondere in proprio delle conseguenze del suo spossessamento e cioè a soddisfare il creditore procedente in proporzione delle somme che avrebbe potuto altrimenti recuperare mediante l'esecuzione sui beni. Certo — poiché la legge ammette sotto determinate condizioni già infra illustrate la direzione della revocatoria e l'esplicazione degli effetti realizzativi anche nei confronti dei terzi mediati, aventi causa o titolo particolare del primo acquirente — ove ricorrano tali casi ed i terzi mediati siano tuttora in possesso dei beni, la procedura esecutiva, come già l'azione, piuttosto che verso il primo acquirente per la rivalsa in denaro, deve essere rivolta contro di loro ; nel qual caso la procedura sarà ancora la stessa di cui ai citati articoli del codice di rito. Ma quando l'acquisto del terzo mediato sia inattaccabile, per l'onerosità del titolo e per la buona fede, o trattisi di atto comunque anteriore alla trascrizione della domanda di revocazione (non ricorrendo la quale ultima condizione anche la buona fede non gioverebbe), allora alla impossibilità di realizzazione sui beni deve supplire la restauratoria diretta personale da parte dell'acquirente.
Questa soluzione può offrire qualche elemento di perplessità per il caso che l'acquisto da parte del terzo ed il successivo trasferimento siano esenti da colpa : come nel caso che l'acquisto sia avvenuto in buona fede ma a titolo gratuito e pure in buona fede sia avvenuto il successivo trasferimento a titolo oneroso (onde la sua irrevocabilità presso il terzo mediato). Ma la soluzione resiste, come principio, tenuto conto che comunque si sarebbe verificata a favore del terzo una locupletazione da considerarsi ormai senza causa. Laddove, attraverso la successiva alienazione onerosa (se fosse gratuita l'esecuzione potrebbe rivolgersi verso il terzo mediato), il corrispettivo del bene alienato ebbe ad incrementare il suo patrimonio e ciò sempre in conseguenza di un titolo ormai posto nel nulla con l'azione di revocazione. Onde dovrebbe applicarsi, quanto meno, l’
art. 1990 del c.c., nel senso della obbligatorietà di un indennizzo nei limiti dell’arricchimento.
E naturalmente il principio, ricorrendone le condizioni, vale anche per i successivi trapassi, a carico degli acquirenti che si siano poi spossessati dei beni.
Effetti consequenziali. Frutti
Attuandosi l'azione esecutiva in natura sui beni alienati, questi vi devono essere sottomessi
cum omni causa, cosi come si trovavano nel patrimonio del debitore
fraudator. L'acquirente deve rispondere delle diminuzioni che vi abbia cagionato dopo l’acquisto, e dei frutti. In tal senso già si esprimeva il diritto romano, nell’evoluzione del quale deve notarsi una divergenza a proposito della misura dei frutti a restituirsi ; laddove, mentre per effetto dell'astio la responsabilità si estendeva anche ai frutti
percipiendi, nel caso dell'interdetto bastava la restituzione dei percetti,
post iudicium incohatum. In quest'ultimo senso la questione venne poi composta in diritto giustinianeo.
E tale più equitativa soluzione è quella che dovrebbe seguirsi anche nel diritto vigente, quanto meno in ordine alla decorrenza dell'obbligo di restituzione. Non viene qui in campo l'elemento della buona fede, in quanto la relativa nozione
in subiecta materia non coincide con quella tipica inerente al possesso, alla quale specificamente si riferisce la nota distinzione a proposito dei frutti. Ma piuttosto ha valore la considerazione che l'effetto revocatorio deriva direttamente dall'azione, in senso costitutivo e non dichiarativo, rispetto ad un trasferimento che sarebbe intrinsecamente perfetto e valido ; onde, pur ammesso che la pronuncia di revoca retroagisca al momento della domanda giudiziale, questo momento non potrebbe comunque essere superato, come quello che solo può segnare l'inizio di una posizione illegittima di godimento da parte del terzo acquirente.
Quanto alla misura dei frutti, peraltro, l'obbligo dovrebbe oggi estendersi anche a quelli percipiendi, posto che in tale senso si esprime l'art. 1148, conforme all'obbligo di diligenza, di operosità che incombe, in regime corporativo, ad ogni proprietario o possessore di beni produttivi, nell'interesse dell'economia nazionale. E frutti percipiendi sono appunto, secondo la dizione dell'articolo, «
quelli che il possessore (acquirente) avrebbe potuto percepire usando la diligenza di un buon padre di famiglia ».
Ragioni creditorie del terzo acquirente
Il capoverso dell'articolo in esame ha voluto disciplinare normativamente una situazione (apparente) di conflitto, o di concorso, che potrebbe verificarsi fra creditore procedente e terzo acquirente dopo l'esecuzione sui beni, per la collocazione delle rispettive pretese sul ricavato della vendita. Laddove, in dipendenza della revoca, possono sorgere a favore del terzo espropriato delle ragioni creditorie verso il debitore suo dante causa, in quanto tenuto all'evizione, od altrimenti vincolatosi, per esplicito patto contrattuale, a rivalerlo del pregi inerente ad una eventuale revocazione. Ora, nel concorso fra le due ragioni, se pure entrambe di fondamento obbligatorio, non reale, non poteva dubitarsi che la prevalenza dovesse essere attribuita a quella del creditore. A parte l'anteriorità del titolo almeno in via generale salvo l'ipotesi della preordinazione a sensi del 2 ° comma dell’art. 2901, tutta l'economia dell'istituto che opera a favore del creditore, in quanto vittima di una frode e portatore di una legittima aspettativa che investe tutto il patrimonio del debitore, con un sostanziale diritto di seguito anche in caso di alienazioni ordite a suo danno. Diritto che verrebbe ad essere frustrato nel momento stesso in cui dovrebbe realizzarsi ove si ammettesse al concorso quello stesso terzo contro quale, e pe; una sua partecipazione di responsabilità, è stata diretta l'azione. D'altra parte, già si é visto come l'azione sia in funzione soltanto dell'interesse del creditore e non operi che in suo confronto, restando esclusi da un possibile concorso sia il debitore che gli altri creditori i quali non abbiano partecipato all'azione. Non vi era ragione pertanto di creare una posizione diversa per il terzo acquirente in quanto creditore verso il debitore
fraudator, trattandosi anzi di un creditore meno degno di tutela, per la partecipazione che ha avuto — in ipotesi, anche solo obbiettiva, di approfittamento — ad un negozio illecito.
D'altra parte, non si trova in contraddizione con tali principii la disposizione dell'ultimo inciso del comma, che ammette il terzo acquirente al concorso sul residuo, dopo che il creditore sia stato soddisfatto. In realtà, più che di un'azione sul residuo trattasi qui di una
restituzione, o meglio la collocazione funziona come mezzo per pervenire a tale doverosa restituzione. Laddove già si è visto come l'azione revocatoria operi solo in funzione ed in misura dell'interesse del creditore procedente, senza poter profittare nè al debitore nè a terzi. Onde dovrebbe essere oggettivata solo su quel tanto di beni che basti a soddisfarne l'interesse, restando il supero in legittima pertinenza del terzo. Ma se, per ragioni di opportunità processuale, l'azione venga rivolta sopra un complesso di beni di valore superiore al credito, logico è che almeno il residuo del ricavato ritorni, dopo soddisfacimento del creditore, al terzo, come a ripristino di quella situazione che avrebbe dovuto essere rispettata — limite quantitativo — dalla esecuzione. Ora qui la disposizione in esame interviene appunto, in sostanza, a questo fine, lasciando tuttavia in facoltà del terzo di profittarne laddove egli potrebbe rinunziarvi, perseguendo altrimenti il proprio interesse nei confronti del proprio debitore.
Data tale impostazione la disposizione potrebbe dunque ritenersi pleonastica. Tuttavia non è sembrata inopportuna al legislatore una precisa affermazione, a chiarimento definitivo di dibattiti che si erano prima profilati sull'argomento.