La ripartizione dei carichi del godimento
Il
criterio di ripartizione tra proprietario e usufruttuario dei carichi esistenti sulla cosa è rimasto sostanzialmente immutato rispetto al codice del 1865. Sono dovuti interamente dall'usufruttuario i carichi annuali che per la loro natura o per la loro funzione costituiscono un prelevamento dal reddito, mentre rispetto ai carichi che investono la cosa come capitale la legge stabilendo con una norma dispositiva un concorso tra i due soggetti interessati, essendo tenuto al pagamento il proprietario e agli interessi l'usufruttuario (salva la facoltà di questo di anticipare il pagamento e ottenere il rimborso senza interessi alla fine dell'usufrutto).
Va solo rilevato che mentre il vecchio codice, per individuare la categoria dei pesi che gravavano sull'usufruttuario, faceva riferimento alla consuetudine (pesi che secondo la consuetudine gravano i frutti secondo l'espressione dell'
art. 197 del c.c.), invece nel nuovo codice tale riferimento è scomparso. Il che non toglie, a nostro avviso, che essa possa fornire un utile criterio, sia pure sussidiario, per determinare se un certo peso possa considerarsi costituito sul reddito ovvero sul capitale.
Le norme degli articoli
1008-
1009 regolano esclusivamente i rapporti interni tra proprietario e usufruttuario e non creano diritti nel terzo creditore. Se questi abbia o no azione diretta nei confronti dell'usufruttuario non si può decidere in base a quelle disposizioni, che si limitano a porre l'obbligo dell'usufruttuario nei confronti del proprietario, ma in base al titolo costitutivo dell'obbligazione di cui si tratta. Così non vi è dubbio ad es. che l'usufruttuario è tenuto direttamente verso lo Stato al pagamento della imposta fondiaria, ma ciò accade non in virtù dell'art.
1008 ma in virtù della legge fiscale. Tanto vero che se il titolo costitutivo dell'usufrutto esime l'usufruttuario dall'onere dell'imposta, non per questo egli sarà meno obbligato nei confronti dello Stato, limitandosi l'efficacia dell'esonero all'attribuzione di un diritto di regresso verso il proprietario.
S'intende però che anche nelle ipotesi in cui si deve escludere, in base al titolo costitutivo, un'azione diretta del terzo, questi potrebbe sempre agire contro l'usufruttuario
utendo iuribus del suo debitore.
Rendite fondiarie e rendite semplici
L'
art. 1008 del c.c. non si limita a porre il criterio generale per l'individuazione dei carichi che l'usufruttuario deve sopportare, ma ne fa anche un'indicazione esemplificativa, risolvendo, in occasione di essa, la vecchia questione
se il pagamento della rendita fondiaria, costituita come corrispettivo dell'alienazione del fondo su cui cade l'usufrutto,
incomba o meno sull'usufruttuario. La questione e risolta in senso affermativo, ma la
ratio della soluzione non e quella in cui si accenna nella Relazione al Re, ossia la natura di onere reale della rendita fondiaria.
In effetti già le disposizioni del vecchio codice e ancor più quelle del nuovo (cfr. specialmente il caso in cui si presuppone che il fondo alienato non e altro che la garanzia della rendita per effetto della iscrizione dell'ipoteca legale che spetta all'alienante) escludono l'arcaico concetto della rendita fondiaria come
onere reale. La soluzione del codice trova invece la sua giustificazione nel fatto che le annualità della rendita perpetua sono determinate in funzione del reddito e non sono economicamente che una parte di questo.
È chiaro invece che
l'usufruttuario non è tenuto al pagamento di una rendita semplice che sia
garantita con ipoteca sul fondo dato in usufrutto. La rendita semplice è e resta un debito personale del proprietario e la situazione dell'usufruttuario e in tal caso identica a quella che si ha in una qualsiasi ipotesi di debiti del proprietario garantiti da ipoteca sul fondo iscritta precedentemente alla trascrizione dell'usufrutto. Il vecchio codice (art. 508) escludeva espressamente ogni responsabilità dell'usufruttuario, e riconosceva a questo, nell'ipotesi in cui avesse pagato il debito per evitare la espropriazione o il rilascio, il diritto di regresso nei confronti del proprietario. La disposizione dell'art. 508 non è stata riprodotta nel codice perché è sembrata assolutamente superflua. E infatti non si può dubitare nè che l'usufruttuario non sia obbligato per i debiti ipotecari del proprietario (salva la regola speciale dettata dall'art.
1010 per l'usufruttuario di una eredita è quella dettata dall'
art. 2561 del c.c. per l'usufrutto dell'azienda in relazione ai debiti di qualunque genere esistenti all'atto della costituzione dell'usufrutto), nè che egli, allorché per evitare la perdita del suo diritto per effetto della espropriazione paga il debito, abbia diritto di regresso nei confronti del proprietario debitore.
Carichi relativi al reddito e carichi relativi alla proprietà
Fra i carichi annuali che gravano sull'usufruttuario stanno anzitutto quelli enunciati dallo stesso art.
1008 e cioè i
tributi e i canoni. Di regola le imposte in quanto costituiscono un prelevamento dal reddito sono a carico dell'usufruttuario: così dicasi per l' imposta fondiaria con relative addizionali, per l'imposta di ricchezza mobile (nel caso ad es. di un usufrutto costituito sopra un'azienda commerciale o industriale). Solo eccezionalmente si può avere qualche imposta che incide direttamente sul capitale (tale carattere ha probabilmente il prestito Coattivo e la relativa imposta straordinaria di cui al R.D.L. 5 ottobre 1936 n. 1743), e per la quale si attua il concorso di cui all'art. 1009.
Sono del pari
a carico dell'usufruttuario i canoni enfiteutici per derivazioni di acque pubbliche, l'indennità annua che sia stata eventualmente convenuta come corrispettivo della costituzione di una servitù, i canoni di locazione nel caso in cui oggetto dell'usufrutto sia il diritto del conduttore e così via.
Rientrano invece nella
categoria dei carichi imposti sulla proprietà ad es. contributi di miglioria derivanti dall'esecuzione di opere pubbliche, i contributi consorziali per opere di bonifiche e idrauliche, le spese determinate dai rapporti di vicinanza (es. articoli
886,
894,
896) e così via.
I carichi della prima specie incombono sull'usufruttuario per tutta la durata del suo diritto, di talché per quanto riguarda la ripartizione di essi nell'anno in cui ha inizio e in quello in cui cessa l'usufrutto, si applica la medesima regola che vale per la ripartizione dei frutti civili. Essi si ripartiscono cioè in proporzione della durata del rispettivo godimento nel periodo annuale a cui si riferisce il carico (art.
1008, comma secondo). Per i carichi imposti sulla proprietà durante il periodo di tempo in cui dura il diritto dell'usufruttuario, la situazione normale nei rapporti tra proprietario e usufruttuario è la seguente: obbligo del proprietario di sborsare le somme necessarie per l'adempimento, obbligo dell'usufruttuario di corrispondere al primo gli interessi legali sulle somme erogate. E in altri termini il medesimo criterio stabilito per le riparazioni straordinarie, che si spiega col fatto che l'adempimento di quegli obblighi produce una innegabile utilità anche per l'usufruttuario. Se questi provvede al pagamento dei carichi che gravano sul proprietario, egli avrà diritto di essere rimborsato alla fine dell'usufrutto del semplice capitale e, a garanzia di tale rimborso, ha diritto di ritenere la cosa (
art. 1011 del c.c.). Dall'art. 1009 non risulta se la facoltà dell'usufruttuario di anticipare il pagamento è subordinata al fatto che il proprietario rifiuti o ritardi l'adempimento. Riteniamo che, data l'analogia delle due situazioni, la soluzione sia quella stessa risultante dagli articoli
1005-
1006 e cioè la soluzione affermativa.
Obblighi conseguenti all'esercizio di un potere di acquisto
Qualche problema interessante dal punto di vista pratico può nascere quando si tratta di
obbligazioni che sorgono per il fatto che si è esercitato un potere di acquisto di un diritto determinato. Cosi se durante l'usufrutto il proprietario costituisce a favore del fondo una servitù contro corrispettivo, l'usufruttuario sarà tenuto a concorrere al pagamento degli interessi?
In tal caso pare certo che l'usufruttuario può esimersi da ogni obbligo rifiutandosi di utilizzare la servita, ma se egli la esercita, dovrà trovare applicazione, per una evidente ragione di analogia, il disposto dell'art. 1009. Al contrario se l'usufruttuario costituisce a favore del fondo una servitù destinata a durare oltre la cessazione dell'usufrutto (possibilità espressamente riconosciuta dall'art.
art. 1078 del c.c.), il proprietario non sarà tenuto a rimborsargli alla fine dell'usufrutto il corrispettivo pagato ma sarà tenuto a un'indennità per il miglioramento che l'usufruttuario ha apportato al fondo.
Ancora: se l'enfiteuta procede all'affrancazione del fondo su cui ha costituito l'usufrutto o il proprietario procede al riscatto di una rendita fondiaria, ovvero ha ottenuto la comunione del muro, l'usufruttuario e tenuto a pagare gli interessi sulle somme sborsate dal proprietario? La soluzione più corretta appare quella negativa sempre che l'usufruttuario preferisca di esercitare il suo diritto nella sua consistenza originaria senza giovarsi dell'acquisto operato dal proprietario. L'usufruttuario, se non vuole concorrere col pagamento degli interessi, dovrà continuare a pagare i canoni enfiteutici o le annualità della rendita come se l'affrancazione e il riscatto non fossero avvenuti e non potrà giovarsi dell'acquisto della comunione del muro. In altri termini in tutte le ipotesi in cui l'obbligazione nasce per effetto dell'esercizio di un potere di acquisto da parte del proprietario, l'obbligo di concorso da parte dell'usufruttuario non può ricollegarsi che a un suo atto di volontà.