La Carta Costituzionale contiene, all'interno dei primi dodici articoli, i principi fondamentali dell'ordinamento repubblicano.
A differenza di altre Costituzioni straniere, il Costituente ha preferito inserire tali principi direttamente nel testo della Carta fondamentale, senza cioè relegarli in un preambolo separato, al fine di evitare qualsiasi dubbio sull'ampiezza della propria efficacia e sulla immediata applicabilità.
Così facendo, i principi non fungono solamente da criteri guida cui i poteri pubblici devono conformarsi, ma altresì come norme che vincolano l'interprete.
Per quanto concerne il presente articolo, al primo comma viene posto il principio dell'
uguaglianza formale tra i cittadini, quale regola fondamentale di ogni Stato di diritto.
Il secondo comma sancisce invece il principio dell'
uguaglianza sostanziale, secondo cui è compito preciso dello Stato rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto limitano la libertà e l'uguaglianza dei consociati.
Premesso che la norma non si riferisce in realtà solo ai cittadini italiani, ma a qualsiasi persona, essa ha valenza generale e si riferisce a tutte quelle ipotesi in cui è necessario che situazioni uguali siano trattate in maniera uguale, e che situazioni diverse siano trattate in maniera diversa.
Quanto al principio di uguaglianza formale, trattasi della pari soggezione di tutti i cittadini al diritto, senza alcuna distinzione. Tale riconoscimento implica che tutte le Autorità e di
poteri dello Stato sono egualmente soggetti alla legge. Ciò non toglie che possano essere previste disciplina differenziate per casi particolari, come l'art.
6 Cost., che impone di tutelare le minoranze linguistiche.
Come anticipato, il
divieto di discriminazione va interpretato in una duplice accezione:
-
le leggi, anche quando riferite a gruppi determinati, non possono avere carattere personale o singolare, a meno che non esistano giustificate ragioni (si pensi alle leggi di interpretazione autentica con efficacia retroattiva);
-
il principio di uguaglianza non vieta in assoluto trattamenti differenziati, ma impone discriminazioni irrazionali o irragionevoli.
Il principio di
ragionevolezza è infatti un naturale corollario del principio di uguaglianza, ed esige che le norme dell'ordinamento, in tutte le loro forme, siano adeguate al fine perseguito. Esso rappresenta pertanto uno stringente limite alla discrezionalità del
legislatore. Le norme irragionevoli possono essere infatti oggetto di falcidia costituzione anche e soprattutto per irragionevolezza.
La
Corte Costituzionale, nel valutare la ragionevolezza, si serve del c.d.
tertium comparationis, al fine di avere un parametro di riferimento.
La verifica della ragionevolezza comporta l'indagine sui suoi presupposti, la valutazione della compatibilità tra mezzi e fini, nonché l'accertamento dei fini stessi.
Per quanto riguarda l'uguaglianza sostanziale, essa implica che lo Stato si adoperi effettivamente ed efficacemente per assicurare la parità dei diritti. Il legislatore è dunque tenuto ad azioni positive per impedire che il sesso, la razza, la lingua, la religione, le opinioni politiche e le condizioni personali e sociali diventino causa di una discriminazione di fatto.