La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata in seguito all’avvenuto deposito, da parte di un avvocato, dell’istanza di liquidazione delle proprie spettanze, dopo aver svolto l’attività di difensore di un soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, ai fini della sua ammissione al passivo del fallimento di una società.
Il Tribunale adito, tuttavia, rigettava detta istanza, dichiarando che non era liquidabile alcuna somma, posto che, per la domanda di ammissione al passivo, la legge non richiedeva il patrocinio legale.
Di fronte a tale pronuncia, il legale proponeva opposizione, la quale veniva accolta, con conseguente liquidazione del compenso e condanna del Ministero della Giustizia al pagamento delle spese di lite.
Rimasto soccombente, il Ministero della Giustizia ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 74 e 75 del Testo Unico delle spese di giustizia, D.P.R. n. 115/2002. Secondo il ricorrente, infatti, non potevano essere posti a carico dell’erario i compensi spettanti al difensore della parte ammessa al patrocino a spese dello Stato, nei casi in cui la parte stessa avrebbe potuto stare in giudizio personalmente, senza che fosse necessaria l’assistenza di un avvocato.
A parere del Ministero, peraltro, la ratio stessa dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato, non era quella di consentire al non abbiente di fruire dell’assistenza di un avvocato, bensì quella di permettere l’accesso alla tutela giurisdizionale per la difesa dei propri diritti, con la conseguenza che, nel caso di specie, non sussistendo alcun ostacolo tra l'assistito e l’accesso alla tutela giudiziale, non vi era alcuna ragione di ritenere operante l’istituto del patrocinio gratuito.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, “il patrocinio a spese dello Stato è assicurato in ogni procedimento civile, con inclusione della volontaria giurisdizione, ed anche quando l'assistenza tecnica del difensore non è prevista come obbligatoria, perché l'istituto copre ogni esigenza di accesso alla tutela giurisdizionale, sia quando questa tutela coinvolge necessariamente l'opera di un avvocato, sia quando la parte non abbiente, pur potendo stare in giudizio personalmente, richieda la nomina di un difensore, al fine di essere consigliata nel miglior modo sull'esistenza e sulla consistenza dei propri diritti, ritenendo di non essere in grado di operare da sé” (cfr. ex multis Cass. Civ., n. 15175/2019; Cass. Civ., n. 164/2018; Cass. Civ., n. 30069/2017).
Gli Ermellini hanno, altresì, precisato che il diritto di accedere alla tutela giurisdizionale, anche a fronte della non obbligatorietà della difesa tecnica, non va valutato alla luce del principio di uguaglianza formale, ai sensi del comma 1 dell’art. 3 Cost., bensì alla luce di quello di uguaglianza sostanziale, sancito dal secondo comma della medesima disposizione, posto che il disconoscimento della possibilità, per un soggetto, di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato, nei casi in cui la difesa tecnica non sia obbligatoria, lascerebbe persistere una situazione di “disparità di partenza”.