Il TAR Toscana, con la sentenza n. 891 del 27 giugno 2017, si è occupato proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dal TAR, un Comune aveva indetto un bando di concorso, avente ad oggetto “la selezione pubblica di personale per lavoro occasionale a supporto della biblioteca comunale, dell’ufficio turistico e nella gestione degli immobili”.
Il bando prevede, quale requisito per la partecipazione, la residenza nel Comune stesso.
Una donna, nel presentare domanda di ammissione alla procedura, aveva dichiarato di non risiedere nel Comune in questione, con la conseguenza che la stessa non era stata ammessa al colloquio previsto dal bando.
Ritenendo l’esclusione dalla partecipazione ingiusta, la donna aveva deciso di rivolgersi al TAR, evidenziando la violazione dell’art. 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nonché la violazione degli artt. 3, 16 e 97 della Costituzione.
Il TAR riteneva, in effetti, di dover dar ragione alla ricorrente, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava il TAR, in proposito, che l’art. 51 della Costituzione “prevede che tutti i cittadini possano accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge” e che l’art. 117 Cost. stabilisce che “l’esercizio della potestà legislativa sia rispettoso degli obblighi e dei principi fondamentali derivanti dal diritto comunitario, tra i quali ultimi vi è quello di libera circolazione dei lavoratori, con i relativi corollari applicabili anche agli impieghi nel settore pubblico”.
Precisava il TAR, inoltre, che da sempre, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, “l’accesso in condizioni di parità ai pubblici uffici può subire deroghe, con specifico riferimento al luogo di residenza dei concorrenti” solo quando il requisito stesso sia ricollegabile “all’assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato” (Corte cost., sent. n. 158 del 1969, n. 86 del 1963, n. 13 del 1961, n. 15 del 1960, ordinanza n. 33 del 1988).
Evidenziava il TAR, peraltro, che la Corte costituzionale ha anche chiarito che “non é razionale né corrisponde propriamente al fine di una migliore organizzazione del servizio, che sia data prevalenza assoluta, in materia di assunzioni impiegatizie” al luogo di residenza piuttosto che al merito dei candidati (sentenza n. 158 del 1969).
Pertanto, secondo il TAR, devono ritenersi ammessi delle discriminazioni fra i concorrenti basate sul luogo di residenza solo a condizione che le stesse “siano corrispondenti a situazioni connesse con l’esistenza di particolari e razionali motivi di più idonea organizzazione di servizi”.
Ebbene, nel caso di specie, poiché il bando di concorso e il provvedimento di esclusione dalla partecipazione non precisavano che il requisito della residenza era effettivamente “strumentale all’assolvimento del servizio” cui era preordinata la selezione, il TAR riteneva di dover accogliere il ricorso proposto dalla ricorrente, annullando la graduatoria, il provvedimento di esclusione e il bando, nella parte in cui prevedeva il requisito di accesso della residenza.