La vicenda giudiziaria di cui si è occupata la Suprema Corte vedeva come protagonista un ottantaseienne che, più volte, aveva commesso il reato di atti sessuali ai danni di un minore di quattordici anni, approfittando della sua particolare situazione di debolezza dovuta, principalmente, alla mancanza della figura paterna.
L’uomo, dopo essere stato condannato alla pena detentiva per il reato ex art. 609 quater del c.p., si rivolgeva al Tribunale di Sorveglianza, al fine di ottenere la concessione della misura della detenzione domiciliare, stante la sua età avanzata ed il suo attuale ricovero dovuto a broncopolmonite ed insufficienza renale. Il giudice adito, tuttavia, rigettava l’istanza in quanto, in primo luogo, dalla relazione medica disposta emergeva come l’uomo non fosse affetto da alcuna grave patologia idonea ad ottenere la concessione di quanto richiesto, e perché, in secondo luogo, la totale mancanza di rivisitazione critica di quanto commesso comportava un rischio attuale e concreto di recidiva.
L’anziano ricorreva, pertanto, dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, innanzitutto, il fatto che la decisione impugnata avesse violato la legge, sia nel negargli la detenzione domiciliare nonostante l’età avanzata, sia nell’aver omesso un’adeguata valutazione in ordine alla lontananza dei fatti di reato e all’assenza di altri crimini. Si rilevava, inoltre, come fosse contrario al senso di umanità condannare alla pena intramuraria un soggetto così anziano, nonché l’illegittimità costituzionale dell’art. 47 della l. sull'ordinamento penitenziario, per violazione degli articoli art. 3 Cost. e art. 27 Cost. Cost., nella parte in cui non dispone una presunzione di incompatibilità della detenzione per gli ultrasettantenni.
La Suprema Corte ha, tuttavia, rigettato il ricorso, respingendo definitivamente la richiesta di detenzione domiciliare avanzata dal detenuto ultraottantenne.
Gli Ermellini evidenziano, infatti, come, pur costituendo l’età una condizione per la concessione della detenzione domiciliare al condannato parzialmente inabile, la legge, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, non prevede una presunzione di tale inabilità in capo al reo che sia particolarmente avanti con l’età.
Né, tantomeno, si può considerare automaticamente inumana e degradante la detenzione di un anziano, considerato che, ad oggi, gli istituti di detenzione sono attrezzati anche per far fronte ad eventuali bisogni assistenziali, circostanza, questa, dimostrata dal fatto che lo stesso ricorrente risulti essere collocato nel centro clinico del carcere sin dall’inizio della sua detenzione.
Secondo la Suprema Corte risulta, inoltre, infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente. I giudici hanno infatti evidenziato come la legge preveda sì un divieto di detenzione in carcere per i soggetti ultrasettantenni, ma soltanto qualora, all’età avanzata, si aggiunga anche una condizione di inabilità, anche soltanto parziale, tale da essere incompatibile con il regime carcerario. Per la legge, dunque, a rilevare a tal fine non è tanto l’età avanzata, quanto, piuttosto, le condizioni di salute del carcerato, che devono essere di una gravità tale da richiedere continue cure ospedaliere, circostanze, queste, che non risultano sussistere nel caso di specie.