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È discriminatorio escludere i disabili privi di patente o di veicolo dalla fruizione di parcheggi gratuiti

È discriminatorio escludere i disabili privi di patente o di veicolo dalla fruizione di parcheggi gratuiti
Prevedere che possano usufruire di parcheggi gratuiti soltanto i disabili che abbiano la patente o un veicolo di proprietà configura una discriminazione indiretta.
La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24936/2019, ha avuto modo di pronunciarsi in ordine alla legittimità o meno di un regolamento comunale il quale preveda che beneficiari di un permesso per parcheggiare gratuitamente sui posti auto a pagamento possano essere soltanto i disabili in possesso della patente di guida o, comunque, proprietari di un veicolo, escludendo, di conseguenza, quelli che non rispondano a tali requisiti.

La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata nell’ambito del procedimento in cui una cittadina disabile aveva citato in giudizio il Comune di residenza, ritenendo discriminatorio il regolamento comunale che non aveva previsto che anche i disabili non provvisti di patente o di veicolo di proprietà, potessero usufruire del permesso gratuito di sosta nei parcheggi delimitati dalle strisce blu, qualora quelli riservati alle persone con disabilità fossero tutti occupati.

Le istanze attoree, tuttavia, venivano rigettate all’esito di entrambi i gradi del giudizio di merito. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello sostenevano, infatti, che non fosse configurabile alcuna discriminazione, posto che la disciplina comunale incriminata rispondeva a criteri di equilibrio e ragionevolezza. La Corte territoriale osservava, peraltro, come le esigenze di frequentazione del centro cittadino da parte dell’attrice non avessero una frequenza e una durata tali da far sì che l’eventualità di dover parcheggiare nei posti a pagamento comportasse un esborso eccessivo rispetto alle sue capacità economiche, non incidendo, quindi, sulla sua libertà di movimento.

Rimasta soccombente, l’originaria attrice ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, come, in sostanza, non riconoscendo la portata discriminatoria di quanto previsto dal Comune convenuto, i Giudici di merito avessero realizzato una violazione dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, degli artt. 5, 20, 28 e 30 della Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, nonché dell’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso.

Prendendo le distanze da quanto ritenuto dalla Corte di merito, gli Ermellini hanno evidenziato come sia indiscutibile che i disabili, al fine di accedere al centro cittadino, non abbiano le medesime opportunità delle persone non disabili, che possono servirsi, senza difficoltà, di altri mezzi di locomozione, quali biciclette o motocicli, i quali sono, invece, normalmente interdetti ai disabili, o, comunque, dei mezzi pubblici, il cui utilizzo è consentito anche ai disabili, ma con modalità di non sempre facile applicazione.

Su tali premesse, pur riconoscendo che la previsione del Comune convenuto ha agevolato economicamente le persone disabili, fornendo un incentivo per indurre queste ultime a condurre una vita relazionale assimilabile a quella delle persone normodotate, la Cassazione ha, però, rilevato come la stessa abbia, al contempo, posto in essere una condotta discriminatoria indiretta ai danni dei disabili non muniti di patente e non proprietari di un autoveicolo, i quali, per i loro spostamenti, necessitano dell’ausilio di un familiare, non permettendo loro di usufruire di posti auto gratuiti, a meno che non dimostrino di dover accedere frequentemente al centro cittadino per necessità lavorative o di assistenza e cura.

Secondo i Giudici di legittimità, dunque, la previsione fatta oggetto del caso di specie è senza dubbio discriminatoria, in quanto non considera meritevoli di tutela gli spostamenti del disabile, privo di patente e di veicolo, per motivi di mero svago o di relazione sociale.

A norma dell’art. 2, comma 3, della l. n. 67/2006, peraltro, “si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”. E questo è proprio ciò che è accaduto nel caso di specie, in cui il Comune, nel riconoscere un beneficio ad una particolare categoria di disabili, ne ha posto un’altra in una posizione di svantaggio, nonostante si possa presumere che i soggetti disabili privi di patente o di un veicolo, siano, di norma, affetti da una patologia più grave rispetto agli altri.

Una previsione di questo genere non può, altresì, essere giustificata dalla volontà di prevenire l’abuso di un tale privilegio da parte dei familiari addetti al trasporto del disabile: secondo la Suprema Corte, infatti, pur sussistendo effettivamente un rischio di questo tipo, esso non può essere evitato negando un diritto, ma, piuttosto, predisponendo un adeguato sistema di controlli e di sanzioni.


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