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Articolo 38 Costituzione

[Aggiornato al 22/10/2023]

Dispositivo dell'art. 38 Costituzione

Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria [2110 c.c.].

Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato (1).

L'assistenza privata è libera (2).

Note

(1) A tal fine gli istituti più rilevanti di cui l'ordinamento si è dotato sono l'INPS, che gestisce la tutela previdenziale degli occupati in imprese private e l'INAIL che, invece, ha copre il settore dell'infortunistica sul lavoro.
(2) Tra le forme previdenziali private che sono state introdotte vi sono associazioni di volontariato, cooperative ed istituti di patronato ed assistenza. Negli ultimi anni, a causa della scarsità delle risorse dello Stato, l'importanza dell'assistenza privata è aumentata.

Ratio Legis

La disposizione è espressione dello stato sociale e del principio di sicurezza sociale, che impongono di assicurare ai singoli il rispetto della dignità, anche se versano in una situazione di bisogno.

Spiegazione dell'art. 38 Costituzione

Il titolo III della Costituzione disciplina in generale i rapporti economici e contiene le disposizioni fondamentali in materia di rapporti di lavoro e di regime giuridico della proprietà.

L'affermazione dello Stato sociale ed il riconoscimento dei suoi principi va integrata e resa compatibile con la logica dell'economia di mercato proclamata dal costituente.

L'articolo in esame tutela più nello specifico il principio della sicurezza sociale. In base ad esso l'autorità statale deve salvaguardare la dignità umana nelle situazioni di bisogna, garantendo a tutti i cittadini i mezzi minimi per vivere, tutelando la salute e rimuovendo tutti quegli ostacoli economici e sociali che impediscono lo sviluppo della persona e la sua effettiva partecipazione alla vita pubblica.

Lo Stato si fa infatti carico in prima persona dell'assistenza sociale, ossia quelle misure che servono a garantire un adeguato tenore di vita anche a chi è titolare di un reddito inferiore ad una certa soglia e non può procurarsi altre entrate (ad esempio perchè invalido di guerra o inabile al lavoro per malattia). Queste misure si sostanziano, tra gli altri, in corresponsione di pensioni di invalidità e guerra o in agevolazioni per la fruizione di servizi. Anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea si occupa di "sicurezza sociale e assistenza sociale" all'art. 34.

Il secondo comma si occupa della previdenza sociale che, a differenza dell'assistenza di cui al primo comma, concerne i soli lavoratori. Essa si sostanzia in prestazioni economiche e sanitarie per tutelare, oltre che dai rischi lavorativi di infortuni, invalidità ecc., da eventi naturali quali la vecchiaia. Si tratta di una previdenza sociale obbligatoria, che grava in parte sullo Stato ed in parte sui datori di lavoro, salvo che i lavoratori scelgano di integrare queste misure con forme private di tutela.

Lo scopo della previdenza sociale è quello di consentire al soggetto una vita dignitosa. Nel tempo, peraltro, si sono susseguite numerose disposizioni di legge volte a limitare o condizionare il diritto a queste forme di tutela e tali interventi sono stati ritenuti legittimi per la necessità di contemperare questo diritto con le risorse finanziarie disponibili.

Per quanto concerne i minorati e gli inabili, la particolare situazione di svantaggio in cui si trovano comporta che ad essi è costituzionalmente attribuito il diritto all'avviamento professionale. In esecuzione di ciò il legislatore ha emanato la l. 23 marzo 1999, n. 68, attuata con D.P.R. 10 ottobre 2000, n. 333 con i quali, in particolare, ha stabilito che ogni datore di lavoro è tenuto ad assumere lavoratori affetti da disabilità (in misura variabile a seconda dei dipendenti che l'azienda impiega).

A livello comunitario l'art. 26 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea disciplina l'inserimento dei disabili, oltre che nel mondo del lavoro, nella società e nella vita comunitaria.

Relazione al Progetto della Costituzione

(Relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica italiana, 1947)

38 Si riferiscono ad istituti concreti il diritto dell'assistenza che spetta ad ogni individuo senza mezzi e senza capacità di lavoro ed il diritto particolare, che sorge dalla stessa prestazione di lavoro, alla previdenza ed alla «sicurezza sociale».

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Consulenze legali
relative all'articolo 38 Costituzione

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

S. A. C. chiede
sabato 18/05/2024
“Salve, la mia domanda è pensionamento ed invalidità che io ho del 75% senza revisione perchè psichica (disturbo bipolare grave, con totale riduzione di capacità lavorativa). Mi sono ammalata a 40 anni, ora ne ho 58. Avendo fatto l'università, riscattare i miei anni universitari sarebbe un salasso. Ho solo 16 anni di versamenti INPS da dipendente privata, dichiarando 10.000€ annui di assegno divorzile non ho diritto dell'assegno mensile di 300€ circa mensile. Ho avuto 2 figlie lavorando. Che ne sarà di me quando più o meno tutti qualcosa vedranno? Per l'INPS temo nulla, ma resta il fatto che ho perso la capacità lavorativa e campo solo grazie all'aiuto di mio padre che però non è eterno. Avrò diritto ad una minima pensione sociale e, se si, quando? L'invalidità grave mi tutela in qualche modo? A chi chiedere aiuto? Grazie e Cordialità
Consulenza legale i 26/05/2024
L’assegno sociale è una prestazione dell’INPS di tipo assistenziale rivolto a persone che si trovano in condizione di disagio economico.

I beneficiari devono avere almeno 67 anni di età e possedere un reddito inferiore ai limiti stabiliti dalla legge.

L’importo dell’assegno viene riconosciuto interamente soltanto a coloro che non possiedono alcun reddito, mentre per tutti gli altri aventi diritto il beneficio spetta in forma ridotta.

In particolare, chi non è sposato e ha un reddito annuo inferiore a 6.947,33 euro (cioè l’importo annuo massimo dell’assegno) ha diritto alla differenza tra il proprio reddito e l’importo dell’assegno.

La cifra stabilita dal giudice per il mantenimento dell’ex coniuge in caso di separazione e/o divorzio, viene considerata per il computo di tutti i redditi percepiti, al fine di valutare la possibilità di ottenere l’assegno sociale.

Pertanto, alle condizioni attuali non avrebbe comunque diritto all’assegno sociale anche al compimento dei 67 anni.

Per quanto riguarda gli invalidi, al compimento del 67° anno di età cessa l'erogazione della pensione di inabilità e dell'assegno mensile: in sostituzione è concesso l'assegno sociale.

L'assegno sociale è destinato agli invalidi civili titolari di assegno mensile, ai titolari di pensione di invalidità totale e ai sordi titolari di pensione non reversibile: questi soggetti acquisiscono automaticamente il diritto all'assegno sociale erogato dall'INPS.

Si applica la stessa normativa riguardante la generalità dei cittadini, con gli stessi limiti reddituali previsti per l'assegno sociale.

Si consiglia di rivolgersi ad un patronato per avere una consulenza circa la propria situazione.


Roberto Z. chiede
lunedì 12/03/2018 - Lombardia
“Possiedo alcune quote di un fondo pensionistico complementare (Allianz).Avendo età pensionabile (67 anni e 7 mesi) ho richiesto rimborso quote o rendita.
Non ho diritto alla pensione INPS per contributi insufficienti.
Allianz mi dice che non procede alla liquidazione per i seguenti motivi:

"Buongiorno,
con riferimento all’oggetto alleghiamo lettera di chiusura senza seguito, poiché dalla documentazione pervenuta non risulta aver maturato il requisito di accesso alla pensione obbligatoria.
Come indicato nella nostra mail del 15/01/2018, per poter accogliere la sua richiesta restiamo in attesa di ricevere l’attestazione del pensionamento, rilasciato dall'Ente Previdenziale di appartenenza (generalmente l'INPS), con indicazione della data di decorrenza della pensione erogata."

Art.11(regolamento fondo). - Prestazioni pensionistiche
1. Il diritto alla prestazione pensionistica complementare si acquisisce al momento della maturazione dei
requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza dell’aderente, con
almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari. L’aderente che decide di
proseguire volontariamente la contribuzione ai sensi del comma 7 dell’Art. 9 ha la facoltà di determinare
autonomamente il momento di fruizione delle prestazioni pensionistiche.
2. Per i soggetti non titolari di reddito di lavoro o d'impresa si considera età pensionabile quella vigente nel
regime obbligatorio di base.

Io credo che nessun regolamento possa privarmi delle mie quote versate e appropriarsene, in quanto privo dei "requisiti"
Vorrei sapere se ritenete utile una querela per appropriazione indebita o altro”
Consulenza legale i 19/03/2018
La Costituzione all’art. 38 riconosce ai lavoratori il diritto di disporre di mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, o di disoccupazione involontaria.

La determinazione dei casi e delle forme di previdenza e di assistenza obbligatorie, la contribuzione e le relative prestazioni sono disciplinate da una legislazione speciale.

La successione di leggi di riforma in materia di previdenza sociale ha apportato rilevanti novità, in particolare sull’età pensionabile, sui requisiti assicurative contributivi e sulla retribuzione pensionabile, fino ad arrivare alla riforma complessiva del sistema pensionistico operata dapprima dalla L. 335/95 e recentemente modificata dalla L. 214/2011.

L’attuale sistema si fonda essenzialmente su due pilastri:
  1. la previdenza obbligatoria, che deve garantire la rendita pensionistica principale in proporzione alla massa dei contributi attribuiti in tutta la vita lavorativa;
  2. la previdenza volontaria integrativa (complementare e privata) cui il lavoratore potrà decidere di aderire ed è destinata ad assicurare il mantenimento del livello economico raggiunto nell’ultimo periodo di lavoro.
Il diritto alle prestazioni pensionistiche è subordinato alle condizioni previste dalla legge, che in via generale sono il compimento di una determinata e il possesso da parte dell’assicurato di determinati requisiti contributivi e assicurativi.
Per quanto riguarda la pensione di vecchiaia, che interessa il quesito in esame, i requisiti necessari per il conseguimento della prestazione previdenziale sono diversi a seconda del momento nel quale i soggetti interessati hanno iniziato a versare i contributi.
Per i lavoratori che alla data del 31 Dicembre 1995 erano già in possesso di anzianità contributiva, la pensione di vecchiaia viene erogata se ricorrono le seguenti condizioni:
  1. compimento dell’età pensionabile;
  2. possesso dei requisiti contributivi minimi richiesti;
  3. cessazione dell’attività lavorativa.
Per i lavoratori che hanno acquisito il primo accredito contributivo dal 1 Gennaio 1996 o che anche se già titolari di un conto assicurativo-previdenziale a questa data abbiano optato per il sistema c.d. contributivo; nell’anno 2018 possono conseguire la pensione di vecchiaia contributiva al ricorrere di una delle seguenti condizioni:
  1. maturazione del requisito anagrafico dei 66 anni e 7 mesi (sia per gli uomini che per le donne) e maturazione del requisito contributivo di 20 anni di contributi versati, a condizione che l’importo della pensione risulti essere non inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale (art. 3 comma 6 L. 335/1995)
  2. raggiungimento del 70° anno di età anagrafica con 5 anni di anzianità contributiva effettiva (non sono utili i c.d. contributi figurativi).

Per quanto riguarda la previdenza integrativa oggi la disciplina normativa è data dal D.Lgs. 252/2005. Tale previdenza è gestita da appositi Fondi pensione che sono enti cui ciascun lavoratore può aderire liberamente.
I Fondi erogano le prestazioni secondo i criteri stabiliti dai loro statuti e/o regolamenti, rispettando però le disposizioni contenute nella Legge (D.Lgs. 252/2005).
La normativa vigente ed applicabile alle prestazioni dei Fondi pensione prevede che per acquisire il diritto alla prestazione pensionistica occorre:
  1. aver maturato i requisiti di accesso alle prestazioni previsti nel regime obbligatorio di appartenenza (vedi sopra);
  2. poter far valere almeno 5 anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari.
È la legge che estende alla pensione integrativa le norme restrittive in materia di pensioni ordinarie, non il regolamento del Fondo che ad essa si conforma recependone i principi, con la conseguenza che vi è il divieto di percepire la pensione integrativa prima della maturazione della pensione obbligatoria.
Pertanto, l’accesso alla pensione di anzianità e di vecchiaia assicurate dalle forme di previdenza complementare è subordinato, dalla Legge e dal Regolamento emanato nel rispetto della Legge, al possesso dei requisiti per fruire del trattamento pensionistico obbligatorio.
Per quanto riguarda il caso specifico, bisogna approfondire la portata dell’art.9 comma 7 del Regolamento del Fondo di riferimento, per capire in dettaglio le modalità di esercizio della facoltà di determinare autonomamente il momento di fruizione delle prestazioni pensionistiche ivi contemplato e che non è stato possibile esaminare in questa sede.

Alla luce di quanto appena considerato, qualora possa raggiungere lo scopo dell’ottenimento della prestazione pensionistica per la quale ha effettuato i versamenti sul Fondo pensione, non si verifica il presupposto della fattispecie di reato della appropriazione indebita, pertanto non risulta consigliabile sporgere denuncia/querela.


Mario M. chiede
martedì 11/02/2014 - Puglia
“Ho ottenuto un Decreto Ingiuntivo, Atto di precetto e Pignoramento immobiliare, con successiva domanda di vendita al Giudice dell'Esecuzione, sulla base di una scrittura privata sottoscritta dal debitore. Per non pagare, il debitore si è inventato che aveva firmato un foglio in bianco per cui ha proposto la querela di falso incidentale e poi con atto di citazione ha riassunto la causa nello stesso Tribunale ma collegiale. Posso eccepire l'incompetenza per territorio del Tribunale, visto e considerato che abitavo ed abito, con residenza, in un'altra circoscrizione di Tribunale molto distante dal primo, adito dall'attore?”
Consulenza legale i 18/02/2014
La querela di falso (artt. 221 ss c.p.c.) si propone in via principale con citazione oppure in via incidentale con dichiarazione da unirsi al verbale d'udienza, proveniente dalla parte personalmente o anche dal suo procuratore speciale.
Sia nel caso di querela di falso proposta in via principale, sia in caso di proposizione in via incidentale, si dà vita a un ordinario giudizio di cognizione sottoposto alla regola del doppio grado di giurisdizione e dell'eventuale giudizio di legittimità.

La competenza territoriale sul giudizio di falso va individuata tenendo in considerazione che si tratta di un procedimento ove è obbligatorio l'intervento del P.M. (artt. 70 e 221, terzo comma, c.p.c.).
Tale circostanza determina la competenza inderogabile del giudice che sarà individuato in base al foro generale delle persone previsto dagli artt. 18 e 19 c.p.c. (rispettivamente, persone fisiche e giuridiche), a prescindere dalla natura del rapporto dedotto in giudizio.
Sul punto, esiste un consolidato orientamento giurisprudenziale, risalente nel tempo (Cass. 10920/1992; Cass. 4326/1978; Cass. 618/1967).

Con sentenza del 21 maggio 2004, n. 9713, la Cassazione ha escluso che la competenza per territorio spetti al giudice del foro del domicilio eletto ex art. 30 del c.p.c., sulla base della sola elezione di domicilio contenuta nella procura speciale (art. 83 del c.p.c.): la competenza appartiene "inderogabilmente - stante il previsto intervento obbligatorio del p.m. - al giudice individuabile secondo il criterio del foro generale delle persone fisiche ai sensi dell'art. 18 c.p.c.".

Anche di recente l'orientamento è stato ribadito dalla Suprema Corte, con ordinanza n. 18484 del 25 agosto 2006.
Nel caso affrontato dalla Cassazione, il ricorrente aveva denunciato la violazione dell'art. 20 del c.p.c., lamentando che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto non applicabile il foro facoltativo ex art. 20 c.p.c. nel considerare nel caso irrilevante "l'aspetto obbligazionario della vicenda" per costituire viceversa sostanziale oggetto della domanda l'accertamento del "falso civile".

La Corte ha dichiarato l'infondatezza del motivo, così statuendo: "la competenza a conoscere della querela di falso in via principale ex art. 221 c.p.c. appartiene inderogabilmente, stante il previsto intervento obbligatorio del P.M., al giudice individuabile secondo il criterio del foro generale delle persone di cui agli artt. 18 c.p.c., ss., senza che possa aversi riguardo agli effetti della pronuncia sui rapporti giuridici della cui prova si tratta (per l'applicabilità dell'art. 18 c.p.c., con riferimento alle persone fisiche, cfr. Cass., 16.7.2005, n. 15093; Cass., 21.5.2004, n. 9713; Cass., 5.10.1992, n. 10920)". Nel caso di specie, la Cassazione stabiliva che, essendo convenuta una persona giuridica, fosse l'art. 19 c.p.c. a trovare applicazione, e non l'art. 20 c.p.c., con conseguente competenza del Tribunale di Genova, nel cui circondario era ubicata la sede della società.

Il caso specifico riguardava una querela di falso proposta in via principale, ma non v'è ragione di non applicare gli stessi principi anche al caso di querela proposta in via incidentale, nel momento in cui si debba individuare il tribunale a cui il giudice di merito è tenuto a rimettere la causa.

Quindi, alla luce della giurisprudenza citata, è possibile che nella vicenda esposta il convenuto eccepisca l'incompetenza territoriale del giudice diverso da quello del luogo in cui egli è residente, invocando l'applicazione inderogabile dell'art. 18 c.p.c.