Il titolo III della Costituzione disciplina in generale i
rapporti economici e contiene le disposizioni fondamentali in materia di rapporti di lavoro e di regime giuridico della proprietà.
L'affermazione dello
Stato sociale ed il riconoscimento dei suoi principi va integrata e resa compatibile con la logica dell'economia di mercato proclamata dal costituente.
Lo
sciopero si sostanzia in una astensione collettiva dal lavoro da parte di lavoratori subordinati e, di regola, viene indetto dai sindacati. Esso ha lo scopo di sollecitare migliori condizioni di lavoro (ad esempio in ordine alla retribuzione o all'orario di lavoro) ma può anche tendere a fini diversi, come quello di evitare licenziamenti, di contestare l'autorità (sciopero politico) o di sostenere le richieste di altri (sciopero di solidarietà).
Lo sciopero costituisce un diritto di libertà, cioè un diritto il cui esercizio non può essere limitato, nè può comportare alcuna sanzione da parte dell'ordinamento.
Inoltre si tratta di un diritto che la Costituzione non crea ma si limita a rilevare, in quanto preesiste ad essa, e di un
diritto soggettivo potestativo che, come tale, riguarda i rapporti tra lavoratore e datore di lavoro.
La legge ordinaria ha preso atto di tali aspetti e la normativa di riferimento è costituita dalla l. 15 luglio 1966, n. 604 (art. 1), dalla l. 20 maggio 1970, n. 300 (artt. 15, 16 e 28), dalla l. 11 maggio 1990, n. 108 (art. 3) nonchè, da ultimo, dal d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (c.d.
Jobs Act). A livello comunitario lo sciopero è disciplinato dall'art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Nessuna disciplina è invece prevista dalla costituzione per lo sciopero dei datori di lavoro (la serrata) che, quindi, deve ritenersi illegittimo.
Di regola lo sciopero viene indetto dalle organizzazioni sindacali ed è esercitato da una pluralità di lavoratori: del resto, si è sempre ritenuto che maggiore è l'adesione e più sono le possibilità di ottenere i risultati sperati. Tuttavia, formalmente, si tratta di un diritto individuale, di cui il singolo è titolare e che può scegliere liberamente di esercitare. Durante lo sciopero il rapporto di lavoro viene considerato sospeso, pertanto il lavoratore, che non percepisce la retribuzione, non ha responsabilità verso il datore di lavoro. Infine, si consideri che in base alla legge alcune categorie di lavoratori non possono scioperare (ad esempio i militari).
La prima
disciplina dello sciopero si è avuta solo con la l. 12 giugno 1990, n. 146. Prima di essa le esigenze di regolamentare lo sciopero nei servizi pubblici (garantendo comunque servizi minimi essenziali e la sua proclamazione dopo un congruo preavviso) erano state soddisfatte mediante autoregolamentazione che, però, non ottenne effetti positivi. Con la l. 146/1990 venne introdotto il principio per cui il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali deve essere bilanciato con altri diritti costituzionalmente garantiti, come quello alla salute, ai trasporti, alle comunicazioni.
In caso di violazione della normativa che regola lo sciopero (ad esempio perchè non viene dato un preavviso congruo) questo può essere precettato da parte del Governo che può dunque ordinarne la revoca. Di recente la legge in questione è stata modificata dalla l. 11 aprile 2000, n. 83; tra le novità più importanti vi è l'estensione delle norme valevoli per lo sciopero a tutte le categorie di lavoratori, cioè anche a quelli non subordinati.
Anche a
livello penale, vi è stata una sostanziale abrogazione dei delitti di sciopero. L'anacronismo dei reati di in merito si è rivelato tale non solamente per il successivo mutamento del quadro sociale politico, ma anche e soprattutto per l'avvento della Costituzione.
Il diritto di sciopero è infatti espressamente riconosciuto dall'articolo
40 Cost., il quale ha di fatto reso inapplicabili i delitti di serrata e di sciopero, nonostante l'unico articolo effettivamente dichiarato incostituzionale sia il
502 c.p..
Ad oggi, dunque, risultano pienamente legittimi lo sciopero e la serrata di carattere economico per fini contrattuali, politici, di
solidarietà e di protesta.
Già nel 1962 la
Corte Costituzionale aveva sancito l'illegittimità di tale norma se applicata nei confronti degli scioperanti solidali, quando, per l'affinità degli interessi coinvolti, vi fosse da ritenere che il motivo sotteso allo sciopero fosse comune.