Come è stato più volte chiarito, la finalità della “prova”, nell’ambito del lavoro subordinato, consiste nell’esigenza di protezione sia degli interessi del datore di lavoro, sia del lavoratore. Le parti, infatti, possono ritenersi libere di valutare l’opportunità e la convenienza dell' instaurazione del rapporto di lavoro.
Si tratta, nello specifico, di un periodo di tempo stabilito nel c.d. “patto di prova”, contenuto in forma scritta nel contratto di lavoro, attraverso il quale i contraenti potranno verificare in concreto se instaurare un rapporto di lavoro definitivo.
L’art. 2096 c.c. lo qualifica come assunzione del lavoratore in prova per la durata stabilita, generalmente prevista nella contrattazione collettiva nazionale di lavoro, in base alla categoria di appartenenza del prestatore e alle mansioni da svolgere.
L’inserimento di questa clausola all'interno del contratto di lavoro non risulta, tuttavia, obbligatorio per legge, trattandosi solo di un'opportunità offerta ai contraenti per tutelarsi reciprocamente.
La libertà nella scelta, prevista in favore di entrambe le parti, giustifica la possibilità, riconosciuta dalla legge, di recesso dal contratto, senza che vi siano obblighi di preavviso o indennità da corrispondere e, soprattutto, senza necessità di motivazione da parte del datore di lavoro che intenda licenziare il lavoratore.
Quest'ultimo potrà, a propria volta, recedere durante il periodo di prova, senza essere tenuto al preavviso nei confronti del datore di lavoro.
La giurisprudenza ha ribadito come il “patto di prova” non possa considerarsi legittimamente stipulato qualora la verifica della convenienza del rapporto di lavoro sia già avvenuta con esito positivo e per una certa durata nel tempo.
Non esiste un obbligo di motivazione delle ragioni che hanno indotto il datore di lavoro a licenziare il lavoratore nel periodo di prova, durante il quale non si applicano le norme dettate in materia di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo.
Ciononostante, anche questo licenziamento potrà eventualmente essere dichiarato illegittimo dal giudice, su ricorso del lavoratore, se, ad esempio, intimato illecitamente o per un motivo estraneo al rapporto di lavoro (Corte di Cassazione, sent n. 402/98).
In sintesi, quindi, il licenziamento che sia avvenuto durante il periodo di prova presenta natura discrezionale e, come tale, non deve essere motivato, per cui sarà eventualmente il lavoratore licenziato a dover provare di aver positivamente superato il periodo di prova in esame e che il recesso è stato determinato da un motivo illecito o estraneo all’oggetto della prova (Cassazione, n. 1180/2017).
La Corte Costituzionale, in riferimento alla questione di legittimità sollevata con riguardo al recesso del datore di lavoro, ha evidenziato come esso non si ponga in contrasto con i principi della Costituzione, in particolare con gli artt. 3, 4, 25, 41, comma 2 Cost., a condizione che il licenziamento possa essere sindacato tutte le volte in cui il lavoratore riesca a provare il positivo superamento del periodo di prova e l’imputabilità del recesso ad un motivo illecito (Corte Costituzionale, sent. n. 189/80).