La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7667/2020, si è pronunciata in materia di adozione del maggiore d’età, chiedendosi, in particolare, se sia possibile, per il giudice, derogare alla differenza minima d’età tra adottante e adottato, richiesta ex lege, qualora tra essi sussista già una consolidata situazione familiare.
La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era sorta in seguito alla pronuncia con cui il Tribunale di Modena aveva rigettato la domanda proposta da un uomo, il quale voleva adottare la figlia maggiorenne della compagna convivente, rimasta orfana di padre all’età di sei anni e da lui cresciuta come una figlia. Il giudice di prime cure aveva motivato la propria decisione sulla base dell’insussistenza della differenza minima d’età di diciotto anni tra adottante e adottato, richiesta dall’art. 291 del c.c.
Tale decisione veniva, in seguito, confermata anche dalla Corte d’Appello di Bologna, la quale riteneva che non sussistesse alcuna speciale ragione idonea a giustificare una deroga al limite minimo di differenza d’età richiesto ex lege.
Di fronte a tale decisione, l’uomo e la ragazza decidevano di ricorrere dinanzi alla Corte di Cassazione denunciando, innanzitutto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 291 del c.c. per contrasto con gli articoli 2, 3, 10 e 30 della Costituzione, nella parte in cui non consente al giudice di derogare, in base al proprio potere discrezionale, al limite del divario d’età di diciotto anni tra adottante e adottato.
Tale previsione, a loro avviso, avrebbe contrastato, in primo luogo, con gli articoli 2 e 30 Cost., impedendo l’autodeterminazione di ogni individuo, sia come singolo, sia come membro di organizzazioni sociali quali la famiglia, soprattutto con riguardo a situazioni, come quella de quo, in cui tra le parti sussista già un profondo legame affettivo equiparabile a quello di filiazione.
L’art. 291 c.c., poi, secondo i ricorrenti, sarebbe stato in contrasto con l’art. 3 Cost., risultando violato il principio di uguaglianza rispetto alla fattispecie dell’adozione di minore in casi speciali, la quale, pur essendo molto simile all’adozione di maggiorenne, consente al giudice di ridurre il divario d’età in considerazione delle circostanze del caso.
La stessa norma sarebbe, altresì, stata in contrasto anche con l’art. 10 Cost., violando, a parere dei ricorrenti, l’art. 8 CEDU, l’art. 7 della Carta Europea dei diritti fondamentali, nonché l’art. 16 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, in ordine alla tutela dei valori della vita privata e familiare.
I ricorrenti eccepivano, poi, la mancata disapplicazione dell’art. 291 del c.c., perché in contrasto con le richiamate norme di diritto, nonché l’omesso esame di un punto decisivo per il giudizio, costituito dallo spirito di unità familiare su cui si deve fondare l’adozione, non essendosi tenuto conto, a loro avviso, né dei recenti sviluppi giurisprudenziali in materia familiare, né delle dichiarazioni rese dai testimoni.
La Suprema Corte, pur disattendendo la questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti, ha accolto il ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
In relazione alla questione relativa alla disparità di disciplina tra l’adozione di minore e quella di maggiorenne, considerato che solo per quest’ultima è imposto un limite di differenza d’età tra adottante e adottato, si è già pronunciata la Corte Costituzionale la quale l’ha ritenuta infondata in quanto formulata sull’erronea premessa della ritenuta identità di situazioni in cui verserebbero gli adottandi nelle due ipotesi (Corte Cost., n. 500/2000; Corte Cost., n. 89/1993).
Le due tipologie di adozione sono, difatti, profondamente diverse. Quanto, innanzitutto, all’adozione di minore, essa ha come obiettivo essenziale l’interesse del minore stesso a vivere in un ambiente familiare stabile ed armonioso, in cui poter sviluppare la propria personalità, in un equilibrato contesto affettivo ed educativo che abbia come riferimento degli idonei genitori adottivi. Tale tipologia di adozione è, poi, caratterizzata dall’inserimento definitivo del minore nella famiglia di accoglienza e dal rapporto con i genitori adottivi, i quali, assumendo la responsabilità educativa del minore adottato, divengono titolari dei poteri e dei doveri che caratterizzano la posizione dei genitori nei confronti dei figli, con il conseguente pieno inserimento del minore nella famiglia adottiva e l’obbligo, per l’adottante, di mantenerlo, istruirlo ed educarlo.
L’adozione di una persona maggiorenne, invece, non implica, necessariamente, l’instaurazione di una convivenza familiare, né determina la soggezione dell’adottato alla potestà del genitore adottivo, il quale non assume alcun obbligo di mantenimento, istruzione o educazione nei confronti dell’adottato.
Nonostante ciò, i giudici di legittimità hanno comunque osservato come l’art. 291 del c.c., nel richiedere la sussistenza di una differenza d’età di almeno diciotto anni tra adottante e adottato, costituisca un’evidente ingiusta limitazione e compressione dell’istituto dell’adozione di maggiorenni, soprattutto in relazione all’accezione sociologica da esso assunta negli ultimi decenni. Negli ultimi tempi, infatti, tale tipologia di adozione ha perso la sua originaria connotazione diretta ad assicurare all’adottante la continuità della sua casata e del suo patrimonio, assumendo, piuttosto, la funzione di riconoscimento giuridico di una relazione sociale, affettiva ed identitaria, nonché di una storia personale, di adottante e adottando, risultando, così, uno strumento volto a consentire la formazione di famiglie tra soggetti che, seppur maggiorenni, siano tra loro legati da saldi vincoli personali, morali e civili.
Secondo gli Ermellini, dunque, il limite imposto dall’art. 291 del c.c., appare un ostacolo rilevante ed ingiustificato all’adozione dei maggiorenni, nonché un'indebita ed anacronistica ingerenza dello Stato nell'assetto familiare, in contrasto con l'art. 8 CEDU, interpretato, nella sua accezione più ampia, come principio che impone il rispetto della vita familiare e privata.
La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha, infatti, più volte affermato che, “al di là della protezione contro le ingerenze arbitrarie, l'art. 8 pone a carico dello Stato degli obblighi positivi di rispetto effettivo della vita familiare. In tal modo, laddove è accertata l'esistenza di un legame familiare, lo Stato deve in linea di principio agire in modo tale da permettere a tale legame di svilupparsi” (CEDU, sent. del 13/10/2015, su ricorso n. 52557/14).
Alla luce di tali statuizioni, la Suprema Corte ha evidenziato come si renda necessaria un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 291 del c.c., la quale tenga conto anche della giurisprudenza dell’Unione Europea in base a cui il concetto di “vita privata e familiare”, ex art. 8 CEDU, deve essere inteso in senso ampio, come comprensivo di ogni espressione della personalità e della dignità della persona.
Su tali premesse la Cassazione ha, pertanto, ritenuto opportuno affermare il principio diritto per cui "in materia di adozione di maggiorenne, il giudice, nell'applicare la norma che contempla il divario minimo d'età di diciotto anni tra l'adottante e l'adottato, deve procedere ad un'interpretazione costituzionalmente compatibile dell'art. 291 c.c., al fine di evitare il contrasto con l'art. 30 Cost., alla luce della sua lettura da parte della giurisprudenza costituzionale e in relazione all'art. 8 della Convenzione Europea per la Protezione dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali, adottando quindi una rivisitazione storico-sistematica dell'istituto, che, avuto riguardo alle circostanze del singolo caso in esame, consenta una ragionevole riduzione di tale divario di età, al fine di tutelare le situazioni familiari consolidatesi da lungo tempo e fondate su una comprovata affectio familiaris".
Nel pronunciarsi sull’adozione di un maggiorenne il giudice può ridurre la differenza d’età richiesta dalla legge sulla base di un'interpretazione costituzionalmente compatibile dell'art. 291 c.c.