Per comprendere il recente provvedimento, va brevemente ricordato che tale questione era stata prospettata nell’ambito di una vicenda che vedeva protagonista uno studente di infermieristica dell’Università degli Studi di Palermo, il quale non aveva potuto svolgere, in quanto non vaccinato, il tirocinio formativo in area medica/sanitaria, necessario per il completamento degli studi: con un provvedimento di aprile 2021, infatti, l’Ufficio di Gabinetto del Rettore aveva confermato che, in ossequio alle normative volte al contenimento dei contagi, per continuare i tirocini era necessaria la vaccinazione. Lo studente, allora, aveva proposto ricorso per l’annullamento, previa sospensione, di questo provvedimento. Il TAR, tuttavia, aveva rigettato la domanda, ritenendo prevalente l’interesse pubblico ad evitare che soggetti non vaccinati frequentassero le strutture sanitarie, mettendo a rischio operatori e pazienti.
Avverso l’ordinanza di reiezione della domanda cautelare, allora, lo studente aveva proposto appello, formulando varie censure e prospettando una questione di costituzionalità in relazione agli articoli
[[n3cost ]] e [[n32cost ]] Cost.
Così investito della questione, il CGA Sicilia, con ordinanza del 17 gennaio 2022, aveva dunque:
- chiarito l’astratta compatibilità con la Costituzione dell’obbligo vaccinale, ricordando come la giurisprudenza della Consulta in materia di vaccinazioni obbligatorie sia salda nell’affermare che “l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute della singola persona (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto delle altre persone e con l’interesse della collettività” e che “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.”;
- ricordato le condizioni per la legittimità dell’obbligo vaccinale enucleate dalla Consulta, cioè a) che il trattamento sia diretto non solo a migliorare o preservare lo stato di salute di chi vi sia assoggettato ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; b) che il trattamento non incida negativamente sullo stato di salute di chi vi è assoggettato, salvo per le conseguenze normali e tollerabili; c) che, per l’ipotesi di danno ulteriore, sia comunque prevista la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, tutte richiamate nel provvedimento in esame.
- ritenuto pertanto opportuno disporre alcuni incombenti istruttori, al fine di valutare la manifesta infondatezza o meno della questione di costituzionalità prospettata.
All’esito delle verifiche svolte da uno speciale collegio ad hoc, il CGA con la citata ordinanza ha ritenuto rispettato il primo degli indici di costituzionalità degli obblighi vaccinali in quanto il trattamento appare diretto a migliorare o a preservare lo stato di salute sia di chi vi è assoggettato sia degli altri.
Premettendo che i vaccini anti Covid non hanno omesso alcuna delle tradizionali fasi di sperimentazione e che i farmaci commercializzati previa autorizzazione condizionata (che consente lo svolgimento in parallelo, anziché in sequenza, delle fasi di sperimentazione clinica, accelerando, quindi, la normale tempistica di svolgimento delle sperimentazioni) non sono preparati “sperimentali”, il CGA ha rilevato infatti che la campagna vaccinale “risulta efficace nel contenere decessi ed ospedalizzazioni, proteggendo le persone dalle conseguenze gravi della malattia, con un conseguente duplice beneficio: per il singolo vaccinato, il quale evita lo sviluppo di patologie gravi; per il sistema sanitario, a carico del quale viene allentata la pressione”. Per questa ragione, il Collegio ha sottolineato che “risulta evidente come la vaccinazione, sostanzialmente, tuteli sia l’interesse dei singoli, sia l’interesse collettivo”, sicchè appare rispettata la prima condizione di legittimità indicata dalla Consulta.
Ad avviso del CGA, elementi di criticità appaiono emergere, invece, con riferimento agli altri parametri, con specifico riferimento alla problematica degli eventi avversi. La Consulta, come ricordato, ritiene infatti che la legge impositiva di un trattamento sanitario non sia incompatibile con l'art. 32 Cost. a condizione che si preveda che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”.
Ebbene, a tali riguardi il Collegio ha rilevato che, sebbene la maggior parte degli effetti collaterali documentati indubbiamente evidenzi sintomi modesti e transitori, si sono registrate anche patologie gravi, tali da compromettere, in alcuni casi irreversibilmente, lo stato di salute del soggetto vaccinato, cagionandone l’invalidità o, nei casi più sfortunati, il decesso. Nella motivazione dell’ordinanza in esame, infatti, si legge che “vero è che le reazioni gravi costituiscono una minima parte degli eventi avversi complessivamente segnalati; ma il criterio posto dalla Corte costituzionale in tema di trattamento sanitario obbligatorio non pare lasciare spazio ad una valutazione di tipo quantitativo, escludendosi la legittimità dell’imposizione di obbligo vaccinale mediante preparati i cui effetti sullo stato di salute dei vaccinati superino la soglia della normale tollerabilità, il che non pare lasciare spazio all’ammissione di eventi avversi gravi e fatali, purché pochi in rapporto alla popolazione vaccinata”.
Infine, per il CGA, ulteriori profili di criticità emergono
- dalla inidoneità del triage pre-vaccinale, desumibile dalla circostanza che non è richiesta, ai fini della sottoposizione a vaccino, né una relazione del medico di base, né l’esecuzione di esami di laboratorio o test genetici, né tantomeno l’esecuzione di un tampone Covid, che potrebbe evidenziare una condizione di infezione in atto;
- dalla irrazionalità della normativa sul consenso informato, in considerazione del fatto che non viene espressamente esclusa la raccolta del consenso anche nell’ipotesi di somministrazione di un trattamento sanitario obbligatorio: nonostante l’organismo incaricato dell’istruttoria abbia sottolineato che nel caso di vaccinazione obbligatoria il consenso andrebbe inteso quale presa visione da parte del cittadino delle informazioni fornite, il Collegio non ha condiviso tale chiarimento in quanto “da un punto di vista letterale, logico e giuridico, il consenso viene espresso a valle di una libera autodeterminazione volitiva, inconciliabile con l’adempimento di un obbligo previsto dalla legge”.
Per tali ragioni, il CGA, ai sensi dell’art. 23 comma 2 l. 11 marzo 1953 n. 87, ritenendole rilevanti e non manifestamente infondate, solleva la questione di legittimità costituzionale:
- dell’art. 4, commi 1 e 2, del d.l. n. 44/2021 (convertito in l. n. 76/2021), nella parte in cui prevede, da un lato l’obbligo vaccinale per il personale sanitario e, dall’altro lato, per effetto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, “per contrasto con gli artt. 3, 4, 32, 33, 34, 97 della Costituzione, sotto il profilo che il numero di eventi avversi, la inadeguatezza della farmacovigilanza passiva e attiva, il mancato coinvolgimento dei medici di famiglia nel triage pre-vaccinale e comunque la mancanza nella fase di triage di approfonditi accertamenti e persino di test di positività/negatività al Covid non consentono di ritenere soddisfatta, allo stadio attuale di sviluppo dei vaccini antiCovid e delle evidenze scientifiche, la condizione, posta dalla Corte costituzionale, di legittimità di un vaccino obbligatorio solo se, tra l’altro, si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”;
- dell’art.1 della l. 217/2019, nella parte in cui non prevede l’espressa esclusione dalla sottoscrizione del consenso informato delle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, e dell’art. 4, del d.l. n. 44/2021, nella parte in cui non esclude l’onere di sottoscrizione del consenso informato nel caso di vaccinazione obbligatoria, “per contrasto con gli artt. 3 e 21 della Costituzione”.
La parola, pertanto, passa ora alla Corte Costituzionale.