La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata in seguito alla condanna inflitta ad un uomo, all’esito di entrambi i gradi del giudizio di merito, per il reato di lesioni personali, ex art. 582 del c.p., aggravato ai sensi dell’art. 585 del c.p. in relazione al comma 2 dell’art. 577 del c.p., in quanto, nel corso di una lite con l’ex moglie, l’aveva colpita con la portiera dell’auto a bordo della quale si trovava, cagionandole delle lesioni giudicate guaribili in cinque giorni.
A fronte della propria condanna, l’imputato impugnava la sentenza di secondo grado dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, in particolare, la violazione e falsa applicazione degli articoli 577 e 585 del c.p., nonché dell’art. 3 Cost., avanzando, sul punto, in subordine, un’eccezione di legittimità costituzionale.
Secondo il ricorrente, infatti, la Corte territoriale aveva errato nel riconoscere, a suo carico, la circostanza aggravante prevista dal secondo comma dell’art. 577 del c.p., considerato il mutamento dei percorsi di vita degli ex coniugi, nonché la cessazione della loro convivenza, unitamente allo svolgimento del giudizio di separazione. A suo avviso, peraltro, la ratio stessa di tale norma andava ricercata nella necessità di garantire una tutela rafforzata ai familiari, la quale, però, poteva essere riconosciuta soltanto in relazione a due coniugi che fossero conviventi e che condividessero le medesime scelte di vita, non, invece, a due ex coniugi separati e in aperta conflittualità.
La Suprema Corte ha, tuttavia, rigettato il ricorso.
Gli Ermellini, con particolare riferimento all’aggravante di cui al comma 2 dell’art. 577 del c.p., hanno evidenziato la correttezza della decisione della Corte territoriale, che, conformandosi al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’ha ritenuta applicabile anche in un contesto, come quello de quo, in cui, tra l'imputato e la persona offesa, intercorra un rapporto di coniugio, sia pure ormai superato dalla separazione in corso di definizione.
La Cassazione ha, infatti, più volte affermato che “la circostanza aggravante del rapporto di coniugio riposa sul valore morale, sociale e giuridico della qualità di coniuge per la quantità dei doveri che comporta” (Cass. Pen., n. 1622/1971), considerato che “il rapporto di coniugio è una circostanza speciale, di natura soggettiva, che ha il suo fondamento nel vincolo coniugale, unicamente preso in considerazione dell'art. 577 c.p., al di fuori dell’ulteriore circostanza dell'eventuale coabitazione” (Cass. Pen., n. 5378/1990).
La stessa Corte di legittimità ha, altresì, già più volte precisato che “ai fini dell'aggravante del rapporto di coniugio prevista dall'art. 577 c.p., è irrilevante l'intervenuta separazione legale tra i coniugi in quanto detto status non determina lo scioglimento del matrimonio” (Cass. Pen., n. 7198/2011; Cass. Pen., n. 42462/2006).
Orbene, la Cassazione ha ritenuto opportuno conformarsi a tale suo orientamento anche con riferimento al caso in esame, considerato che il regime di separazione legale tra i coniugi attenua il complesso degli obblighi nascenti dal matrimonio, eliminando segnatamente quello della coabitazione, ma non toglie lo status di coniuge, con i corrispondenti obblighi personali e permanenti che lo costituiscono, il quale viene meno solo con lo scioglimento del matrimonio.
Sul punto, gli Ermellini hanno, peraltro, evidenziato come tale interpretazione, lungi dal porsi in contrasto con i principi costituzionali, si risolva, piuttosto, in un motivo di rafforzamento degli stessi, nella misura in cui, coerentemente con il sistema ordinamentale della famiglia, ispirato al principio della solidarietà, rispetto al quale non possono ritenersi estranei i precetti penali, conferisce alla norma che prevede l'aggravante de qua la corretta valenza dispositiva.
Infatti, anche qualora il rapporto di coniugio si interrompa, a fronte della separazione legale dei coniugi, esso non si può ancora considerare del tutto cessato, continuando ad imporre dei doveri che trovano la loro fonte di legittimazione proprio nel matrimonio, i quali persistono per tutta la sua durata, cessando soltanto nel momento in cui intervenga una atto estintivo e definitivo come il divorzio.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato, dunque, la ratio dell’art. 577 del c.p. va rinvenuta nell’evidente necessità di riconoscere una tutela rafforzata alle persone che vivano o che abbiano vissuto un rapporto di tipo familiare, e ciò non solo per la ripugnanza che un’azione contraria ad un tale legame suscita, ma anche per l’insidiosità delle relazioni che su di esso si possono innescare, le quali non svaniscono necessariamente con la cessazione della convivenza, che, anzi, molto spesso, produce l’effetto di acuire la conflittualità tra i soggetti coinvolti.