In particolare, se l’INPS sbaglia nel comunicare il numero di contributi maturati ai fini pensionistici, il soggetto interessato ha diritto al risarcimento del danno?
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Torino aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da un pensionato “avente ad oggetto la condanna dell’INPS al risarcimento del danno derivatogli dalla mancata percezione del trattamento pensionistico per il periodo dall’aprile 2006 all’ottobre 2007, in conseguenza dell’erronea comunicazione della sua situazione contributiva da parte dell’Istituto circa il numero dei contributi accreditatigli”,
Secondo il giudice di secondo grado, in particolare, “il prospetto contributivo, sul quale l’assicurato aveva fatto affidamento per ritenere perfezionati i requisiti contributivi necessari per la pensione, non aveva valore certificativo ai sensi dell’art. 54 della legge n. 88/1989, trattandosi di una semplice videata di computer, senza alcuna sottoscrizione da parte del funzionario responsabile, senza riferimento alla legge n. 88/1989, priva di indicazioni circa la data alla quale, con quel numero di contributi settimanali, il ricorrente avrebbe maturato il diritto alla pensione di anzianità”.
Il pensionato decideva, dunque, di proporre ricorso in Cassazione, evidenziando come “la questione relativa alla natura certificativa dell’estratto conto” fosse “irrilevante ai fini del giudizio”, dal momento che “l’atto proveniva dall’INPS, unico organismo preposto ad effettuare conteggi e a rilasciare le certificazioni inerenti ai periodi di contribuzione dei propri assicurati”.
La Corte di Cassazione riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, accogliendo il relativo ricorso.
Secondo la Corte, infatti, “il lavoratore indotto alle dimissioni da colpevole comportamento dell’INPS ha diritto al risarcimento del danno in un importo commisurabile a quello delle retribuzioni perdute fra la data della cessazione del rapporto di lavoro e quella dell’effettivo conseguimento della detta pensione, in forza del completamento del periodo di contribuzione a tal fine necessario, ottenuto col versamento di contributi volontari, da sommarsi a quelli obbligatori anteriormente accreditati”.
Precisava la Cassazione, inoltre, come la responsabilità dell’INPS dovesse essere considerata come di natura contrattuale, “in quanto si tratta di obbligazione di origine legale attinente ad un rapporto intercorrente tra due parti”, con conseguente applicabilità dell’art. 1218 codice civile, il quale “pone espressamente a carico del debitore la prova che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Di conseguenza, secondo la Corte, “nell’ipotesi in cui l’INPS abbia comunicato all’assicurato una indicazione erronea del numero dei contributi versati, il danneggiato non ha l’onere di provare la colpa o il dolo dell’autore dell’illecito”.
Osservava la Corte, inoltre, come dovesse essere tutelato il “legittimo affidamento del cittadino”, che “costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto” e che trova fondamento costituzionale nel principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 Costituzione.
Pertanto, secondo la Cassazione, “la pubblica amministrazione è gravata (…) dell’obbligo di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi indisponibili, fornendo informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative”.
In proposito, la Corte evidenziava come fosse del tutto irrilevante la mancata sottoscrizione dell’estratto conto, dal momento che gli “estratti contributivi su moduli a stampa rilasciati dall’INPS sono la riproduzione di un documento elettronico e come tali non abbisognano, per spiegare i loro effetti, di alcuna sottoscrizione, per cui, ancorché privi di firma del funzionario INPS che ne attesti la provenienza, fanno piena prova dei fatti in essi rappresentati, ossia della corrispondenza tra i dati ivi riportati e le registrazioni risultanti dagli archivi elettronici”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal pensionato, rinviando la causa alla Corte d’appello, la quale avrebbe dovuto attenersi ai principi sopra enunciati nella determinazione del danno risarcibile.