Il titolo III della Costituzione disciplina in generale i
rapporti economici e contiene le disposizioni fondamentali in materia di rapporti di
lavoro e di regime giuridico della proprietà.
L'affermazione dello
Stato sociale ed il riconoscimento dei suoi principi va integrata e resa compatibile con la logica dell'economia di mercato proclamata dal costituente.
L'articolo in esame sancisce innanzitutto il principio della
giusta retribuzione, secondo il quale vi deve essere proporzione tra retribuzione e quantità e qualità del lavoro prestato e secondo cui la retribuzione debba essere in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'
esistenza libera e dignitosa.
La norma costituzionale non stabilisce, in concreto, quale retribuzione spetti al prestatore, perchè questo viene lasciato alla legislazione ordinaria. La Costituzione, però, detta i criteri sulla base dei quali emanare questa normativa che sono quello della proporzionalità e quello della sufficienza. In base al primo, deve esserci una relazione corrispettiva tra ogni elemento della retribuzione ed ogni elemento della prestazione lavorativa: così, ad esempio, una parte di retribuzione può consistere in elargizioni diversi dal denaro, come le partecipazioni agli utili societari. Inoltre, la proporzionalità può anche mancare, come accade quando il prestatore riceve la retribuzione anche per il periodo di ferie. La sufficienza indica la misura minima del compenso, che deve essere tale da rispettare libertà e dignità del lavoratore e della sua
famiglia.
L'immediata forza cogente della norma in oggetto inserisce il suo dettato tra i
diritti irrinunciabili del lavoratore, senza cioè necessità di altre disposizioni complementari. Corollario di quanto affermato è che la sufficienza del
salario ha assunto efficacia ultrattiva ai
contratti collettivi di categoria stipulati dalle organizzazioni sindacali e che dunque il minimo salariale si applica per tutti i lavoratori della categoria, a prescindere da una loro adesione alle organizzazioni sindacali stipulanti.
Il
secondo comma stabilisce invece una riserva di legge per determinare la durata massima della
giornata lavorativa. Ad oggi il limite massimo stabilito è, ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, quello delle 40 ore settimanali (salvo particolari categorie di lavoratori, come le donne o i minori, o certe tipologie di lavoro). In passato, negli ordinamenti non democratici, mancava un tetto all'orario lavorativo e ciò rendeva possibile lo sfruttamento dei lavoratori, anche minori. In Italia una prima regolamentazione in materia si è avuta solo con il R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692.
Il
terzo comma sancisce il medesimo principio della riserva di legge per quanto concerne il diritto al
riposo settimanale e le
ferie annuali, ed alla loro irrinunciabilità. Sia il riposo settimanale, sia le ferie annuali sono previsti allo scopo di consentire al lavoratore di realizzare la propria persona anche in relazione ai suoi interessi ed ai suoi rapporti famigliari, nonchè di riposare e recuperare le forze. L'irrinunciabilità di essi comporta che ogni clausola contrattuale che dovesse eliminarli sarebbe nulla ex art.
1418 c.c..