Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Perugia aveva rigettato la domanda proposta da un coniuge di riconoscimento in Italia della sentenza del Tribunale Ecclesiastico che aveva dichiarato la nullità del proprio matrimonio, celebrato secondo il rito concordatario (vale a dire, il matrimonio in Chiesa, che produce anche effetti civili).
Secondo la Corte d’appello, in particolare, la sentenza non poteva essere riconosciuta, in quanto la convivenza tra i coniugi era durata stabilmente per oltre tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio.
Ritenendo la sentenza ingiusta, il coniuge decideva di proporre ricorso dinanzi la Corte di Cassazione, il quale, tuttavia, veniva rigettato.
Secondo il ricorrente, in particolare, la Corte d’appello non avrebbe dato corretta applicazione all’art. 797 c.p.c. e, nel caso di specie, la convivenza ultratriennale non era stata caratterizzata “da quel requisito di continuità e stabilità” che, ai sensi della sentenza n. 16379/2014 delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, costituisce “presupposto necessario per escludere la possibilità del riconoscimento della sentenza della giurisdizione ecclesiastica”.
Secondo il ricorrente, inoltre, il giudice d’appello non aveva adeguatamente tenuto in considerazione il fatto che la convivenza tra i coniugi non era nemmeno stata caratterizzata dall’esistenza “di un reale progetto di vita in comune”.
Evidenziava il ricorrente, infine, come il giudice d’appello, con la propria pronuncia, avesse violato l’art. 3 della Costituzione (principio di ragionevolezza) nonché l’art. 7 della Costituzione e l’art. 8 del Concordato Lateranense.
A detta del ricorrente, infatti, la Corte d’appello, nel negare il riconoscimento della sentenza ecclesiastica, “per il solo fatto della convivenza dopo le nozze senza alcuna indagine sui caratteri specifici di tale convivenza ha commesso una violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione. Inoltre l’attribuzione di una efficacia ostativa assoluta al dato fattuale della convivenza ultratriennale dei coniugi dopo il matrimonio comporta una esclusione del riconoscimento della pronuncia ecclesiastica di nullità senza alcuna considerazione circa la stabilità, continuità, il legittimo affidamento, la responsabilità della convivenza che non può non ritenersi in contrasto con l’art. 7 della Costituzione in relazione all’art. 8 del Concordato Lateranense”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso.
Osservava la Cassazione, in particolare, che “il requisito della convivenza ultratriennale dei coniugi dopo la celebrazione del matrimonio (…) può e deve essere smentito solo da una prova contraria a carico di chi agisce per il riconoscimento della sentenza di nullità del matrimonio concordatario una volta che sia incontestata la fissazione di una comune residenza anagrafica dei coniugi e la volontà di instaurare un rapporto coniugale effettivo”.
Secondo la Cassazione, invece, nel caso di specie, nessun elemento di prova aveva consentito alla Corte d’appello di “affermare il carattere fittizio della residenza comune dei coniugi mentre le deposizioni raccolte, nel corso del giudizio di annullamento davanti al tribunale ecclesiastico, attestano, al contrario la effettività della convivenza dei coniugi dal 2003 al 2009”.
Precisava la Corte, in proposito, che non poteva ritenersi rilevante “la circostanza per cui tale convivenza sia stata intervallata da periodi di allontanamento della N. dettati dalla necessità di visitare e assistere i propri familiari nel suo paese natio”, così come non poteva ritenersi rilevante “il carattere problematico del rapporto coniugale dato che quello che rileva è la effettività del rapporto coniugale dopo la celebrazione del matrimonio”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto, confermando integralmente la sentenza della Corte d’appello.